Forme e Linguaggi della Moda PDF
Document Details
![LightHeartedNovaculite4541](https://quizgecko.com/images/avatars/avatar-4.webp)
Uploaded by LightHeartedNovaculite4541
Università di Torino
Tags
Summary
This document explores the concept of fashion through the lens of form and language, analyzing historical aspects and theoretical frameworks of fashion studies and theory. It discusses the evolution of fashion, including the concept of seasonality and the role of media in shaping fashion trends. The text also incorporates theories from prominent figures like Simmel and Barthes.
Full Transcript
FORME E LINGUAGGI DELLA MODA Lezione 1 – 14 novembre ’24 Fashion studies: studi relativi alla moda – contemplano tutti gli aspetti relativi al mondo della moda (economici, artistici, materiali, etc.), dunque vengono studiati da vari professionisti e da settori teorici diversi. Si ha a che fare con...
FORME E LINGUAGGI DELLA MODA Lezione 1 – 14 novembre ’24 Fashion studies: studi relativi alla moda – contemplano tutti gli aspetti relativi al mondo della moda (economici, artistici, materiali, etc.), dunque vengono studiati da vari professionisti e da settori teorici diversi. Si ha a che fare con la dimensione materiale della moda o comunque si rifà ad esso. Fashion theory: Moda intesa e trattata come campo di indagine teorico; moda come sistema di senso che propone istanze culturali ed estetiche legate al corpo rivestito. Ciò è trasversale ai fashion studies e si muove in un percorso teorico. Negli anni 90’ nasce una coscienza e l’etichetta di questo tipo di studi nonostante esistesse già da tempo. Preesistono già da prima delle teorie che rientrano nel campo delle fashion theory. Simmel, torico, scrisse. Il primo saggio sulla moda “La moda” del 1910, anni prima che le fashion theory prendessero il loro nome. Quando parliamo di moda dobbiamo aQrontare le parole “forma” e “linguaggio” per arrivare ad un’interpretazione del fenomeno, questo per arrivare ad una decostruzione dell’oggetto della moda attraverso questi due aspetti. Per forma intendiamo l’aspetto esteriore con cui si configura ogni oggetto corporeo o fantastico, o una sua rappresentazione. Parliamo di conformazione, profilo, struttura, qualcosa che si lega al sensibile, a ciò che si lega all’esperienza attraverso i sensi. Per linguaggio invece intendiamo la capacità e facoltà di comunicare pensieri, esprimere sentimenti e, in genere, di informare altri sulla propria realtà interiore o sulla realtà esterna. Parliamo di sistema simbolico di comunicazione e si rifà al contesto nel quale l’oggetto (vestito) si trova. Quando guardiamo degli elementi in una situazione specifica riusciamo a dedurre ciò che vogliono o possono comunicare. Nella moda, uno stesso elemento in base al contesto può assumere diversi significati. La questione storica e temporale per la moda è tanto importante quanto sfuggente in quanto la moda è un linguaggio in conto divenire, muta e cambia. M.L. Frisa in “Le forme della moda” aQerma: “La moda è circolare perché ha un rapporto simultaneo con il futuro e con il passato. Questa attenzione a due diverse dimensioni temporali la costringe a quell’eterno ritorno per cui ciclicamente sembrano essere riproposte sempre le stesse forme, ripetute e uguali a sé stesse, mentre ogni volta sono in realtà mutate dal gusto che le riporta in superficie”. Es: Stranger Thing del 2016 si rifà all’estetica anni 80’ in “The Goonies” del 1985 pur creando un eQetto diQerente. Nella riproduzione attuale si hanno una serie di resinificazioni che non per forza negli anni Ottanta sono esistiti, abbiamo un’accentuazione dei colori, una fluidità di genere. In questo caso ci ritroviamo però in un contesto nel quale vi è la volontà di ricreare un determinato contesto storico. Es. Nel videoclip “Aranciata” di Madame, assistiamo a un abbigliamento che si rifà agli anni 80’, in questo caso ritrovandoci di fronte a uno stile personale che rievoca gli anni passati ma proiettandoli verso una realtà futura. La stagionalità nella moda è un concetto moderno, se parliamo di storia della moda dovremmo tornare indietro fino ad almeno il Medioevo. La moda come la consideriamo negli ultimi decenni nasce secondo Lipovetsky si radica nel secolo che va dal 1857 al 1957, secolo nel quale si ha la nascita, la crescita e il trionfo dell’alta moda. Il secolo della moda coincide con l’apertura da parte di Charles Frederick Worth apre a Parigi la maison Worth. Quest’ultimo fu il responsabile del passaggio da sarto di corte (figura che confezionava abiti dal gusto e misura della persona che lo richiedeva) a stilista (figura che confeziona abiti su suo gusto e detta moda). Il secolo si fa concludere con la morte dello stilista Christian Dior nel 1957 in quanto se con Worth si passava da sarto a creativo con Dior la figura di stilista e quella di impresario si separano, Dior sarà il designer ma non il possessore della maison. Il periodo classico della moda muore dunque in questo caso poiché nonostante il designer morì il nome rimase. In questo periodo si aQerma una stagionalità della moda rispetto al passato nel quale vi era un lavoro su committenza. Si decide ogni quanto creare nuovi abiti e si aQerma di farlo in modo stagionale, si avevano due collezioni all’anno, una per il periodo caldo e l’altra per quello freddo. Successivamente si passò a quattro collezioni fino ad arrivare ad oggi nel quale non si dovrebbe parlare di stagionalità in quanto escono molte più collezioni. La stagionalità ormai è imposta da meccanismi di di?usione della moda mentre in passato era la stagione a dettare il cambiamento. È anche vero che questa frenesia non è dettata solo dall’industria della moda ma anche dal fatto che un capo può non essere considerato nuovo dopo poco in quanto è cambiato l’utilizzo, si utilizzano molto di più. Il fatto che la moda venga comunicata attraverso i mass media fa in modo che venga percepita velocemente e dunque consumato velocemente. A partire dagli anni 60’ l’idea di riaggiornamento costante diventa più frenetico. Negli ultimi decenni si ha una velocizzazione di cambiamento e riaggiornamento negli abiti anche dettato al consumo che ne facciamo. Georg Simmel Il primo teorico della moda, che provò a spiegare questo aspetto della velocità e stanchezza verso l’abito che si possiede, alla fine del 800’ e inizio del 900’, pur non essendoci in quel periodo un consumo di massa, fu Simmel. Descrisse il meccanismo di ciclicità della moda nel libro “La moda”, descrivendo quest’ultima come un sistema di coesione sociale attraverso cui l’essere umano può vedere conciliate due tensioni opposte, l’imitazione e la distinzione. Riconosce che la moda cambia in base a queste sue tensioni che si sviluppano verticalmente secondo il meccanismo del “trickle down” (sgocciolamento), ovvero l’idea secondo cui la ricchezza e la moda è in mano a pochi ma arriva anche in mano alle persone di ceto più basso, per mano di un regalo o perché dopo essere stata in voga per anni riesce ad essere accessibile a tutti. Nel momento in cui la moda diventa alla portata di tutti chi sta all’apice ha bisogno di diversificarsi e di creare qualcosa di nuovo, una nuova moda. Dunque, la velocità di produzione di cui parlavamo prima, nasce da questo concetto di trickle down. Il fatto che la moda inizialmente fosse vista maggiormente dal genere femminile si rifà alle parole di Simmel, secondo cui la moda è elemento di identificazione sociale. Se gli uomini vestivano tre pezzi a prescindere dal loro ceto sociale, le donne, non potendo riconoscersi socialmente in modo definito in quanto non lavorano, hanno come unico modo per esprimere la loro peculiarità attraverso gli abiti. Di conseguenza, nell’unico spazio nel quale potevano autodefinirsi spaziavano molto. Se lo notiamo infatti, anche oggi, i gruppi sociali che non si riconoscono nella società sono quelli che si definiscono maggiormente nella moda per aQermare la propria identità. G. Mc Craken definisce il career dress femminile come esempio attuale di trickle-down. L’abito a tre/due pezzi è qualcosa che anche la donna iniziò ad utilizzare nel momento in cui pian piano riuscì ad inserirsi in un contesto sociale e lavorativo. Visto che il mondo in cui si era inserita vestiva in quel modo, si iniziò a vestire come tale per omologarsi. In tempi più recenti, grazie anche allo studio di Ted Polhemus “Street Style. From Sidewalk to Catwalk” del 1994, nasce il concetto di bubble-up, fenomeno che si rifà al tricke-down, ma al contrario, la moda che sta in basso viene appresa e proposta dalle case di alta moda (pensiamo ad esempio ai jeans, alla minigonna). Lezione 2 – 15 novembre ’24 (domande esame libro di Amaducci: si soQermano sui nomi degli autori che si citano nei titoli non su tutti i fashion film e i loro dettagli) Walter Benjamin Fu un teorico che si inserisce nella preistoria delle fashion theory e si dedicò allo studio della riproducibilità della moda. Inizia a pensare alla moda legata allo spazio urbano, come già detto, partendo dall’osservare l’ideale percorso dell’individuo che attraversa i passage, gallerie coperte non al chiuso che si diQondono tra la fine del 700’ e l’inizio del 800’, sotto i quali i passanti si soQermavano a guardare le vetrine. L’aspetto importante delle considerazioni di Benjamin si rifà al fatto che diversamente da Simmel, inizia a concepire la moda come merce. Nota come vi è una conversione tra organico e non organico, nota come la merce esposta diventa importante e viva mentre il corpo perde la propria vitalità diventando manichino. Dunque, vede la moda come trionfo della merce, della sua riproducibilità, parlando di trionfo dell’inorganico, sex appeal dell’inorganico, a fronte di una oggettivazione del corpo. Il corpo diventa cadavere perché diventa mero supporto dell’abito, diventa un supporto devitalizzato, mentre l’abito prende vitalità e attira il nostro interesse. Ciò che diventa sexy in vetrina paradossalmente è qualcosa di non vivente. Un ulteriore concetto dell’autore è quello del balzo di tigre, di Tigersprung, che osserva la moda come fenomeno che fa rivivere il passato presentificandolo. Vede la moda come un fenomeno che è in grado di rendere attuali degli aspetti del passato che non spiccavano molto ma che adesso possono essere appealing. Il passato costituisce un bacino di elementi e di segni che vengono riesplorati. Il vintage è un termine che ormai non si rifà più ad abiti riciclati e riinseriti nel mercato ma ad un genere, un gusto, una patina. Valery Steele è una storica americana e curatrice che agli inizi degli anni 2000’ propose una lettura molto critica del fenomeno di appropriazione cannibalistica. Un esempio si ha con Ralph Lauren, il quale si rifà ad un’estetica legata ai primi anni del 900’. Roland Barthes Concepisce la moda come un vero e proprio sistema, un insieme di elementi che insieme tra loro assumono significato. Una delle prime considerazioni che fa è quella legata ai concetti di costume e di abbigliamento, partendo dalla linguistica prende in prestito degli elementi legando il costume alla “langue” mentre l’abbigliamento alla “parole”. La langue è l’appannaggio della comunità, un sistema linguistico che accomuna, mentre la parole è ciò che singolarmente può avvenire attraverso la nostra bocca, ossia il modo di esprimersi personale, un modo di designare le cose. Partendo da ciò, il costume viene visto come un’istanza comune mentre l’abbigliamento è considerato la singola evoluzione del costume. Il costume preesiste dall’individuo mentre l’abbigliamento vive grazie alla persona, alla peculiare esecuzione del costume. Il costume è un fattore collettivo mentre l’abbagliamento è legato al singolo, all’individuale. Barthes individua la moda come un fenomeno di costume, è anche vero però che è molto facile il fatto che si possa passare da un’istanza all’altra, ovvero dal costume all’abbigliamento, l’abbigliamento può diventare costume. Distingue all’interno del “sistema moda” la moda reale e la moda immaginata, ovvero la moda considerata come sistema retorico: - La moda reale: è data dall’abito, è l’uso comune influenzato e che alimenta la moda immaginata - La moda immaginata: è il mondo parallelo, il mondo dei media, nel quale la moda viene rappresentata Queste due componenti hanno un rapporto sistemico, una moda reale può essere moda immaginata e viceversa. Noi scegliamo un vestito partendo anche dalla moda immaginata che ci propone l’abito reale e lo fa desiderare. Si ha una relazione reciproca. Abbiamo tre tipi di abito considerando la moda come sistema retorico: - l’abito indossato: con finalità pratica - l’abito immagine: abito rappresentato o fotografato, che non ha finalità pratiche ma può significare quelle praticità - l’abito scritto: abito descritto, convertito in parola, che non ha nessuna funzionalità pratica, diventa pura significazione, dalle parole non possiamo dedurre funzioni pratiche. L’aspetto più importante di questo autore è il fatto di riconoscere la moda anche come aspetto immaginario, che sopravvive anche senza l’abito. Il sistema della moda (1967): “Nella nostra società, la circolazione della moda riposa dunque in gran parte su un’attività di trasformazione: c’è un passaggio (almeno secondo l’ordine invocato dalle riviste) dalla struttura tecnologica alle strutture iconica e verbale” Il significato della moda non sta nell’abbigliamento in sé ma nella --- MODA E MASS MEDIA Nell’immaginario di Barthes la moda viene diQusa attraverso i mass media. A partire dal secondo 900’ inoltrato, la moda inizia ad essere uno strumento di comunicazione di massa. Fino agli anni 50 del 900’ non esisteva la moda di massa in quanto non esistevano abiti in serie. Patrizia Calefato, nel 1996 introduce il concetto di mass moda, parola per indicare la moda come non più semplice fenomeno che viene comunicato dai mass media ma diventa sé stessa media di comunicazione. Questo passaggio si attua pian piano e nasce dalla produzione di massa, dagli anni 50’, nel momento in cui le aziende tessili iniziano a produrre in serie e dunque, si può ritrovare uno stesso capo ovunque. Carosello Facis “Ogni uomo corre contento” 1955, Studio Testa: Aspetti legati al passato vengono superati da quelli innovativi, tra cui anche l’abbigliamento, non più su misura dal sarto ma proposto dal gruppo Facis attraverso abiti pronti. Il messaggio è quello di capo prodotto in serie ma che mantiene caratteristiche e qualità, nonostante la serializzazione del capo porta ad una diminuzione di questi aspetti, facendo ridurre il prezzo e rendendolo disponibile anche a fasce meno abbienti. Spot Marzotto “Un nuovo modi di vestirsi” 1955, Sella: Qui abbiamo un carosello che ci porta all’interno della fabbrica, serio e meno ironico. Viene rappresentata un’industrializzazione massiva e verticalizzata e ad un certo punto viene aQermato che il 50% del lavoro è realizzato artigianalmente. Un modo per rimanere al passo con i tempi ma voler continuare a mantenere la tradizione sartoriale italiana. Si ha una democratizzazione della moda, la massa inizia a far parte della moda, questo in modo sempre più maggiore. Questa immissione delle principali aziende all’interno dei negozi rende il processo di diQusione della moda molto più veloce (trickle down). La democratizzazione della moda passa sicuramente attraverso l’accessibilità degli abiti, ma anche grazie al fatto che avviene attraverso canali accessibili e con un ampio pubblico. E’ un processo che possiamo ormai considerare irreversibile in quanto l’accessibilità può avvenire in vari modi e da parte di tutti. Patrizia Calefato parla di mass moda proprio perché come i mezzi di comunicazione, anche la moda ormai ha una riproduzione seriale, da strumento per pochi diventa per molti. -foto slide La mediatizzazione della moda è come nel corso del tempo, essendo in grado di comunicare, la moda diventa un media. La modalizzazione dei media invece si rifà al fatto che i media siano diventati – Lezione 3 – 21 Novembre ‘24 STORIA DELLA MODA NEI MEZZI DI COMUNICAZIONE Moda non come pubblicità ma come qualcosa attorno a cui nascono degli immaginari culturali e artistici. Moda ed editoria Propagare la moda attraverso la stampa sicuramente ci fa pensare all’aumento delle vendite ma l’aspetto importante sta nel vederlo dal punto di vista. La prima pubblicazione a riguardo è Mercure Galant (dal 1672), che non può essere definito il primo magazine di moda poiché è una pubblicazione legata ad aspetti sociali. Ciò è importante perché ci fa capire come la moda diventa un aspetto sociale. Tra la fine del 600’ e l’inizio del 700’ anche grazie alle innovazioni legate alla stampa iniziano a prendere piede delle pubblicazioni con aspetti legati alla moda illustrati. Dal 800’ in poi ciò aumenta portando alla creazione di Harper’s Bazaar negli USA nel 1867 e Vougue sempre negli USA nel 1892. Analizzando le due copie possiamo notare come: - Harper’s Bazaar: In alto si ha una sorta di - Vogue: In alto si hanno due figure che La tastata Top (1996-1980) di Zegna, non fu una rivista acquistabile nelle edicole ma nasce come house-organ di Zegna, rivista della casa di produzione, accessibile dunque solo da chi ruota attorno l’azienda. A partire dalla fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000’ l’editoria maschile si diQonde, creando un’esperienza dedicata anche al genere maschile. Top presuppone infatti un pubblico maschile, dedicato agli uomini interessati alla moda, e comprende non solo immagini ma anche articoli e saggi. Un altro esempio di house-organ è Six (1988-1991) di Commes des Garcons, completamente diverso da Top. Fu una rivista di doppia pubblicazione annuale, che si propone come prosecuzione dell’deale, su carta, dell’universo immaginativo della fondatrice. E’ caratterizzato dall’uso di volumi particolari, dal colore nero, sullo stile del non concluso. Non vi sono elementi scritti se non brevi didascalie, immagini surrealiste e particolari, e soprattutto, l’abito manca quasi completamente. Six funge da moodboard, un insieme di sensazioni e di immagini. La moda, gli abiti, infatti partono da moodboard che ispirano la creazione dell’abito. Campagna pubblicitaria di Versace fall/winter anni 2000 di Stven Meisel: questa campagna. Ci aiuta a capire come il percorso non segua esattamente un filo cronologico. Negli anni 2000 questa immagine si poteva ritrovare nelle riviste e nell’editoria di moda, riesce a rimanere fino ai giorni d’oggi anche attraverso ad altri mezzi di comunicazione ad esempio il cinema. Stiamo parlando di editoria di moda consapevole del fatto che il cinema abbia un potere e potenzialità di fabbrica dei sogni che la moda può sfruttare tantissimo. Versace sicuramente immaginava di ricostruire un immaginario di un certo tipo, l’abito non spicca ma spiccano gli elementi e l’ambiente attorno, che riportano a uno stile di vita, un’idea. Questo è uno dei tanti modi che la moda ha di pubblicizzarsi, in questo caso l’ambiente circostante ci rimanda all’idea e allo stile della collezione. Parliamo di potere evocativo, l’ambiente e gli elementi riportato alla narrazione voluta. M.L. Frisa in “Le forme della moda” dice: “La seduzione delle immagini di moda agisce attraverso quello che nel linguaggio del marketing viene indicato come dream factor, la costruzione di narrazioni in cui vero, verosimile, falso si confondono. Si evocano immaginari che rimandano a stili di vita fusion. Uno stile internazionale che deve entrare nell’immaginario della gente come deragliamento della banalità del quotidiano.” Moda e televisione S. Segre Reinach in “La moda” del 2010 aQerma: “La televisione è ancora poco utilizzata dal settore moda. È un mezzo molto costoso e molto aQollato. la presenza massiccia di merceologie poco “nobili” ha contribuito alla latitanza della moda che non vuole essere confusa con formaggini e detersivi” La televisione non è una vetrina di moda, ci sono poche presenze nel quale l’abito è centrale o comunque vi è una messa in scena e messa in quadro dell’abito, un esempio di queste poche occasioni è Sanremo, nel quale l’abito viene anche commentato. La moda in televisione trova poco spazio, è un mezzo molto costoso e aQollato. Nella storia della televisione, l’ultimo tassello è quello della creazione di canali dedicati, e ne esistono alcuni dedicati alla moda, ma sono spazi limitati sulla riflessione della moda. Possiamo trovare delle case di moda che si vedono in televisione, ma parliamo di spot legati a profumi e non abiti, questo si rifà ad una questione economica, i profumi, il make-up sono più accessibili rispetto ad un abito firmato da case di alta moda. Vengono mostrati prodotti accessibili e a basso impatto economico. Se analizziamo alcuni spot pubblicitari di profumi possiamo notare come si rifanno ad un ideale che la casa di moda vuole incarnare. È importante capire la diQerenza tra spot e fashion film, la prima caratteristica è che i primi sono mostrati in televisione mentre i secondi attraverso canali diversi e ben precisi. Inoltre, in questi ultimi, l’abito viene mostrato. Spot pubblicitario Acqua di Gioia, 2013, Giorgio Armani: La modella è vestita ma non è riconoscibilmente vestita in capi Armani, si ha un abito semplice, che rispecchia lo stile della casa di moda. Viene suggerita una femminilità nella quale sensualità non si ha attraverso l’abito ma si rifà al naturale, alla natura, al corpo come prodotto della natura. Anche il chiamare il profumo “acqua” rimanda alla semplicità. Non potendo essere trasmesso tramite l’olfatto il profumo si rifà a figure retoriche, le caratteristiche vengono descritte attraverso le immagini, in questo caso abbiamo un modo leggero, semplice, legato ai toni del blu. La messa in quadro e in scena non comprende molti elementi. La struttura narrativa è debole, quasi mancante Spot profumo Valentina, 2012, di Valentino: Personificazione del profumo attraverso la ragazza. La dimensione sonora è diversa dallo spot precedente, abbiamo voce, suoni ambientali e artificiali, brano noto. La costruzione dell’immagine e il montaggio è complesso, si ha una narrazione consistente. Abbiamo un modo diverso di sfruttare l’eritage nazionale, si fa riferimento ad una ricchezza urbana, musicale e situazionale tipicamente italiano. Il dream factor che questo spot ci vende è un sogno di libertà, immediata dal punto di vista di immedesimazione. Rapporto retorico più immediato in questo caso in quanto si rifà a una situazione più comune e realistica, meno primordiale rispetto al primo spot. La struttura narrativa è complessa. Spot profumo Gabrielle, 2017, Chanel: Meta via rispetto i due spot precedenti per quanto riguarda la narrazione. Si ha una dimensione performativa e si è su un set, infatti abbiamo un’attrice e non una modella, scelta fortissima. Chanel sceglie attori e non figure femminili comuni, scelta che riporta e omaggia Coco Chanel come creatrice del marchio. Il profumo Gabrielle è il primo profumo dopo quindici anni, è un momento importante per l’espressione del marchio, il nome si rifà al nome di battesimo della fondatrice della casa. Per questa occasione importante si sceglie dunque una performer. La narrazione si rifà alla storia di Coco Chanel e l’attrice è in grado di riportare dei significati valoriali al prodotto. La scelta musicale, apprezzabile o meno, è riconoscibile anche in questo caso. L’idea di fragranza non viene data mentre nel primo spot di Armani e in quello di Valentino si. Spot profumo Kenzo World, 2016, Kenzo: Sembra un fashion film ma non lo è nonostante la lunghezza e il fatto che sia diretto da un regista possono farcelo pensare. La versione lunga dura, infatti, quattro minuti e utilizza un interprete che hai tempi non era nota come attrice bensì come ballerina. È uno spot che vuole infrangere la continuità che abbiamo guardando gli spot in televisione, vuole colpire il pubblico. La boccetta ha la forma di occhio, e nel finale della pubblicità abbiamo la protagonista che passa attraverso un occhio creato con una struttura floreale. È evidente che attraverso le movenze Margaret Kelly voglia rompere un po' la femminilità del tipo corpo femminile, l’armonia c’è ma vuole essere infranta. L’inizio dello spot è perfettamente narrativo, non immaginiamo che questa narratività prenda poi un susseguirsi diverso. Lezione 4 – 22 Novembre ‘24 Moda e cinema Il rapporto tra moda e cinema presenta delle complessità rispetto al rapporto tra moda e altri media. Ci sono molteplici modi di vedere questo tipo di rapporto, il primo è sicuramente legato al marketing, il secondo invece prende in considerazione le possibilità di dream factor del cinema, la sua capacità intrinseca di propagare un immaginario di riferimento. Questa seconda possibilità si rifà anche all’argomento del costume di scena. Per quanto riguarda il rapporto moda cinema dal punto di vista del marketing, possiamo sottolineare come il cinema sia un contenitore di moda in quanto l’abito in questo contesto è in vetrina, questo perché quando noi vediamo qualcosa al cinema la vediamo meglio che nella vita reale, ha un grado di visibilità maggiore, non solo perché si vede in uno schermo grande ma perché si hanno gli elementi inseriti all’interno di una cornice. Il cinema crea un mondo estremamente immersivo di vedere l’essere umano, il cinema è una realtà aumentata in quanto incorniciata. L’abito indossato da un attore ha un valore completamente diverso non solo perché visto attraverso lo schermo ma perché gli occhi che lo guardano sono più attenti e impressionabili rispetto a degli occhi che guardano una vetrina. Esistono tre aspetti diversi della moda pubblicizzata attraverso il cinema: - Accordo tra case di moda e case di produzione: viene fatto un film e il brand o la casa di moda accorda l’utilizzo di abiti da loro confezionati. Un esempio si ha in “American Gigolo” in accordo con Giorgio Armani che vestirà soltanto il protagonista. L’abito aiuta a determinare il personaggio e ha una funzione molto importante che può avere una valenza massima o zero. - Product placement: accordo nel quale ci sono delle specifiche visibilità che vengono date al marchio, non è un accordo semplice come quello precedente, in questo caso sono delineate le scene, inquadrature... - Importanza dello star system: la moda viene comunicata per aQinità con chi la indossa. L’utilizzo delle star ad Hollywood è previsto e sistematico a livello industriale, lo star system fa crollare lo studio system. È un sistema in quanto le star rispondono a delle specifiche caratteristiche, che possono essere veicolate dall’abito, l’abito però può prendere lui stesso le caratteristiche del divo. Parlando di accordi tra case di moda e case di produzione, nel film “American Gigolo” non abbiamo un semplice product placement di Armani ma è la vera e propria possibilità di creare il personaggio. Vestendo un gigolò con i colori di Armani abbiamo l’immagine maschile semplice che in genere non si rifà a quel tipo di persona. Il film è ambientato negli anni 80’, anni detta società somatica, anni in cui il corpo torna al centro con una centralità nuova. Si nota già dalle prime scene un immaginario ben specifico, abbiamo la messa in quadro del corpo sia vestito che svestito che ci permettono di definire il personaggio. Ha una nudità attraente e avvenente che attrae allo stesso modo sia lo sguardo femminile che quella maschile, ciò è una caratteristica estremamente nuova. Gli abiti e i colori che Julian indossa determinano un ruolo rispetto al personaggio stesso. La centralità dell’individuo va da sé che porti alla centralità dell’abito. In questo caso, questi ultimi, delineano un’eleganza discreta del personaggio in maniera inaspettata dato il suo mestiere. L’abito nel rapporto con il cinema è un veicolo di espressione non solo per quanto riguarda l’interpretazione del personaggio ma interagisce con il personaggio attivamente, aiutandolo a delinearlo. Notiamo come nel momento della vestizione si poteva operare un product placement date le varie camice Armani ma ciò non viene fatto. L’influenza reciproca è un punto sul quale dobbiamo porci delle domande. E. Paulicelli in Moda e Cinema in Italia del 2020 aQerma e mette a fuoco il rapporto di sinergia tra moda e cinema: “Il cinema e la moda hanno da sempre avuto un rapporto sinergetico. In entrambi, l’atto del vestirtisi e dello scegliere cosa indossare implicano un rapporto con la tecnologia; il vestito non solo riveste il corpo e la sua soggettività ma li trasforma. Quindi il vestito e la moda sono sia una tecnologia del corpo sia un’arte dell’assemblaggio estetico”. Paulicelli indica dunque similitudini tra moda e cinema da un punto di vista tecnologico e di gestione del dispositivo, cinema e moda non sono solo arti e tecnologie, hanno dimensione artistica ma con pesante ripercussione materiale. Entrambe hanno a che fare con il corpo e con ila sua gestione, oltre il fatto di avere a che fare con l’assemblaggio. L’estetica della moda è legata a quella del cinema da questa comune necessità tecnologica. Il film narrativo è il mondo nel quale la moda non solo viene messa in mostra ma aiuta a costituire un elemento di significazione e diQerenziazione. Il tubino nero in “Colazione da Ti?any”, indossato da Audrey Hepburn conferisce un’identità alla protagonista, vi è una reciprocità, Hepburn da un significato all’abito anche se già di fatto è noto come simbolo di rottura e di modernità. Lo stesso avviene attraverso gli abiti di YSL nel film “Bella di Giorno” del 1967, che hanno significati e una funzione narrativa contrastiva rispetto alle prostitute presenti in scena (molto frigidi, abbottonati fino al collo e capelli eleganti). Nel momento in cui entra nella casa toglie questi abiti ed è come se diQerenziasse il suo essere con il lavoro di prostituta. B. Balàzs in “Estetica del film” del 1930 aQerma: “Il cinema ha certamente rivelato un nuovo mondo, che era rimasto finora nascosto ai nostri occhi [..] Ma il cinema non ha soltanto scoperto una materia nuova nel corso del suo sviluppo. Esso ha fatto qualcosa di decisivo. Ha abolito la distanza fissa dello spettatore, quella distanza che finora ha fatto parte dell’essenza delle arti visive. Lo spettatore non si trova più al di fuori di un mondo dell’arte chiuso in sé stesso e incorniciato nell’immagine o sulla scena. Nel cinema l’opera non è un mondo separato, che appare come un microcosmo e come un simulacro, in un altro spazio a cui non abbiamo accesso, La cinepresa prende con sé il mio occhio, e lo conduce nel mezzo dell’immagine. Io vedo le cose nello spazio del film. Sono accerchiato dalle forme del film e imbrigliato nella sua trama, che vedo da ogni lato.” Questa cultura visuale non sono solo le immagini che descrivono la contemporaneità ma fa proprio riferimento ad un orizzonte di senso, è intesa come quelle immagini che compongono la quotidianità che sono caricate di un portato valoriale. Per il cinema la questione della cultura visuale è insidiosa. Balazs parla di come il cinema abbia sbloccato un nuovo organo di percezione dell’essere umano. Per l’autore quello che vediamo in uno schermo assume un valore più importante, c’è qualcuno che ci sta indicando qualcosa di specifico, le arti visive determinano una distanza con lo spettatore, nel cinema l’opera non è un mondo separato da noi, la cinepresa cattura il nostro occhio all’interno dell’immagine. Il cinema ha un potere immersivo nei confronti dello spettatore, e lo ha solo il cinema, tutto il resto dell’arte è escludente, non governato. L’immagine del cinema non è fissa o in movimento e separata dallo spettatore, ma la cinepresa mi fa vedere un campo totale che si avvicina al personaggio, mi fa entrare in diretto contatto con quello che sta avvenendo nella cornice, direziona il mio sguardo. Il cinema è una necessità meramente tecnologica, nella sala cinematografica è buio sin dall’inizio e riporta ad una dimensione onirica. Il cinema appare per la moda come un territorio di destinazione ideale per l’abito, perché quel tentativo che vediamo nelle riviste di moda del Settecento, ossia tentativo tramite immagini o parole di creare un immaginario di riferimento, il cinema lo ha insito nelle sue capacità, crea un immaginario senza essere irrobustito dalla didascalia. In Vogue invece, abbiamo bisogno della didascalia, il cinema ne può far a meno di queste informazioni in quanto può riportarmi l’immagine dell’abito reale. Lezione 5 – 28 novembre ‘24 Continuando il discorso su moda e cinema, abbiamo già visto con American Gigolo come la moda sia vista e performante nel film, la moda aggiunge senso ed è un’entità sensiente. Il made in Italy entrerà in voga e gli attori vestiranno abiti di questo tipo, assumendo caratteristiche che hanno una valenza italiana o comunque particolare. Ciò non è una prassi, i costumi – Il costumista è un lavoro che si accorda ad una struttura preesistente ad uno stato avanzato, ogni produzione è a sé ma tendenzialmente il costume viene scelto in seguito e non a monte, ciò non avviene nel film American Gigolo. La moda a valenze diverse se fatta da un costumista o da uno stilista. Parlando di costumisti si può prendere come esempio: - Sandy Powell e il lavoro per il film Hugo Cabaret di Scorsese - I costumi dei bambini in Sciuscià di De Sica - Anna Sheppard per il film Oliver Twist di Polanski D’Aloia e Pedroni nel libro “La mediatizzazione della moda e la modalizzazione dei media” parlano di due modi nel quale può essere considerato il rapporto tra moda e media: - Moda dei media: indica tutte quelle occasioni in cui la moda viene utilizzata come risorsa dagli altri media, un esempio concreto è l’utilizzo dei costumi in film con costumi di scena, pensiamo a The Crown. - I media della moda: indica una sorta di appropriazione della moda – Con Barthes, come abbiamo già detto, la moda si appropria della fotografia nonostante abbia delle peculiarità e caratteristiche diverse. Un ulteriore esempio sono i fashion film che utilizzano il cinema per creare dei prodotti originali, oppure la sfilata, evento che sfrutta elementi di visualità e sonori che al tempo stesso creano un format di moda, un medium inventato da quest’ultima per veicolarsi. È diQicile notare subito questa distinzione, bisogna guardare a chi ha creato il prodotto e quale era il suo scopo per capire se si parla di moda dei media o di media della moda. Il fashion film è esso stesso un modo di creazione artistica e di evoluzione del marchio, non è solo un modo di veicolare lo stile della casa di moda, è uno strumento di sperimentazione che permette anche di creare nuovi messaggi. Ciò si rifà al concetto di mediatizzazione della moda, che indica la condizione attuale nel quale la moda non si fa solo nello studio del designer ma anche attraverso i media. Un esempio pratico sono i fashion blog o i social network in generale in quanto mezzi di creazione e non solo di propagazione, le tendenze si delineano, si riconfermano. La sfilata-- Il concetto di modalizzazione dei media è un concetto molto recente è si rifà all’idea che i media pian piano si stiano modalizzando, un esempio è la corsa al nuovo iPhone, la fila fuori dai negozi per avere per primi qualcosa restituisce l’idea di tentativo di appropriarsi per primi gli strumenti mediali così come nella moda chi per primo crea un abito viene invidiato. La situazione che si crea è identica, chi per diQerenziarsi vuole qualcosa per primo nel momento in cui viene raggiunta da tutti vuole cambiare per diQerenziarsi (Simmel). Fashion film I Fashion Film sono film che permettono alla casa o rivista di moda di veicolare in maniera chiara, completa e non didascalica la propria idea di mondo e di moda, la propria idea artistica. Ciò è possibile attraverso l’adattamento della narrazione del cinema. Parliamo di vere e proprie esperienze di piacere, ogni elemento che fa parte di un fashion film si rifà all’identità artistica del marchio, non solo gli abiti ma tutti gli elementi sono determinati dal gusto della maison. Si sfrutta la potenzialità del cinema in modo completamente nuovo. I fashion film possono avere una narrazione e nel caso può essere forte o debole. Il fashion film di Chanel ha una narrazione debole, non impieghiamo molto tempo ha descrivere o citare gli snodi narrativi. Esiste anche l’anti narrazione, che contrasta l’idea di trama Fashion Film “Once Upon a Time” - 2013, Karl Lagerfeld, Chanel: La regia, come quella dei due successivi facenti parte di una trilogia, sono diretti da Karl Lagerfeld, fotografo e direttore creativo. Lo stile di Chanel rappresenta alla sua fondazione lo stile vestimentario complesso della belle époque. Si ha un gusto legato al classico, alla sintesi, alla pulizia e alle linee dritte. Lo stile di Chanel si lega ad una semplicità che punta al classico. Chanel è una delle prime case di moda che aderisce ai fashion film anche perché ritiene poco importante il valore intrinseco degli elementi materiali, si vuole soQermare di più sull’aura, sul significato. È una delle prime case di mode a concepire la moda come qualcosa di rappresentativo, un capo Chanel adotta anche delle linee più economiche oltre al discorso sui materiali. Non punta sulla preziosità intrinseca dell’abito ma più sulla preziosità del marchio. Il rapporto che Chanel instaura con lo star system è importante in quanto la prima a instaurare legami collaborativi con le celebrità. Il fashion film è ambientato nel 1913 e realizzato nel 2013, è chiaro ed interessante l’intento celebrativo partendo dalle origini. Viene nominato P. P., che incarna la belle epoche, uno stile sfarzoso con influenze orientali, molto lontano e diverso da Chanel, infatti, nel video, il personaggio che incarna Coco Chanel dirà che a lei non piace. Vengono rappresentati molti personaggi che ruotavano intorno alla maison come attrici, ballerine, che ci fanno capire a chi volesse far riferimento, non era interessata ad attirare nobili ma celebrità. Una considerazione generale su questo fashion film si ha nell’idea di Lagerfeld di voler far entrare lo spettatore nel primissimo store di Chanel nel quale è lei stessa che ti assiste, si hanno molti dettagli e questo è un aspetto importantissimo. L’espressione “Chissà tra 100 anni…” vuole sia riferirsi alla strada che stava facendo Coco Chanel, sia al fatto che nonostante siano passati cento anni quel tipo di stile sia rimasto ancora ad oggi. Questo principio di fedeltà ha un po' imposto che la produzione di questo film sia stata abbastanza chiusa, non è stato dato spazio d’azione da un altro regista ma dallo stesso direttore creativo. Viene scelto il bianco e nero e si ha un fashion film che possiamo considerare narrativo (narrazione debole) e per niente sperimentale da un punto di vista filmico. Il secondo capitolo della trilogia, intitolato “The Return” parla del ritorno sulla scena parigina di Chanel nel 1953. L’ultimo “Once and Forever”, prodotto nel 2015 è ambientato nella contemporaneità, parla di una troupe che vuole realizzare un film su Coco Chanel, abbiamo un meta film e infatti due attrici che la interpretano. Fashion Film “Le Mythe Dior” – Dior - 2020, Matteo Garrone – Maria Grazia Chiuri: Si ha un gesto molto più forte rispetto a quello attuato da Chanel, viene dato il compito di regia a un regista famoso, Matteo Garrone. Può essere considerato un fashion film a narrazione debole, ancor di più rispetto a quello della maison precedente, l’immagine diviene l’aspetto centrale. Se in quello precedente avevamo un inizio nel quale avevamo tutti i dettagli e le informazioni temporali e spaziali per capire dove ci troviamo e cosa sta succedendo, in questo caso no. Nei titoli di coda di Chanel non abbiamo ciò che troviamo qui, nel primo caso si aveva una valenza celebrativa mentre in questo caso per evidenti necessità si aveva bisogno di mostrare la collezione autunno- inverno 2020/2021, dunque nei titoli di coda vengono presentati i capi oltre che durante il film stesso. Gli attori in questo caso non sono noti, non ci sono volti riconoscibili da poter associare al marchio a diQerenza del caso Chanel. Ci si vuole aQidare alla fama si di qualcuno, ma di qualcuno di non esistito. Non si vuole avere riconoscibilità da parte di persone mondane bensì ciò avviene attraverso l’irreale, il mito. I due video backstage sul profilo YouTube di Dior ci mostrano due punti di vista, quello del regista e quello della stilista. Maria Grazia Chiuri ha scelto Garrone selezionandolo sulla base dell’aQinità degli intenti e del gusto, aQidandoli la presentazione della collezione 2020-2021. Non viene raccontata l’origine degli eventi, ma un pezzo della moda parigina, in particolare ci si rifà al teatro della moda che girava il mondo. Il teatro della moda fu un’esposizione fatta nell’immediato dop guerra in Francia con la collaborazione di celebri stilisti (es. Balenciaga) per rinfrancare la moda parigina, il desiderio di rinascita dopo il conflitto, tutto ciò attraverso delle miniature vestite, si utilizzarono le miniature anche a causa della poca stoQa disponibile in quel periodo storico. Il fatto che all’interno del fashion film siano per lo più presenti figure femminili denota anche un riferimento ai pensieri di Maria Grazia Chiuri oltre che a quelli del regista, pensiamo ad esempio all’attivismo legato al femminismo caratteristico della stilista. Lezione 6 – 29 novembre ‘24 Definizioni fashion film Fashion film definizione Amaducci e Manca in “Fashion film. Nuove visioni della moda”: “Il fashion film è un genere audiovisivo nato e diQuso con questo termine all’inizio degli anni Duemila. Si tratta di produzioni, largamente realizzate in formati digitali, che hanno come tema la moda: un brand, una collezione, uno stilista, un modello o una modella. I fashion film non sono strutturati come semplici spot pubblicitari, nonostante abbiano uno scopo promozionale, ma come opere dalla durata variabile che visualizzano la moda utilizzando un linguaggio audio visivo innovativo.” Viene sottolineato il termine “fashion film” dal momento in cui all’inizio si utilizzava anche il termine fashion movie. Fashion movie rimanda all’idea di film, prodotto che sfrutta il movimento mentre il fashion film si rifà all’idea di film, di autoritarietà, un prodotto di nicchia. Con Amaducci abbiamo l’idea di rivolgersi ad un panorama fortemente digitalizzato, ma ciò non è valido in ogni fashion film allo stesso modo, in molti possiamo notare un innovamento linguistico che si rifà più alla sperimentazione visuale piuttosto che alle caratteristiche delle maison, in altri no. “Fahion Film” – 2013 - Matthew Frost: è un meta fashion film non commissionato da una casa di moda, un video anche abbastanza divertente che riflette sulla diQicoltà di definire cosa sia un fashion film. Ha tutte le caratteristiche estetiche di un fashion film nonostante sia un commercial. L’ironia è giocata su una presunta maggiore altisonanza del concetto di fashion film rispetto al commercial. Questo meta fashion film viene citato come apertura del saggio di N. Rees-Roberts “Fashion Film”. All’interno di questo libro si ha una definizione del termine: “From Hollywood stars to below-the-radar promos, from industry documentaries to big-brand entertainment, the fashion film is a slippery signifier, used to denote diQerent types of filmmaking in diQerent contexts [.] By interweaving short-form commercial film with narrative feature film, argue that the standard definition of fashion film [...I has been challenged by the expansion of digital media convergence and the increasing importance to fashion brands of an online social media video content [...]. Superseding an analog understanding in which the presentational display of the garment was the focal point, a contemporary digital reconceptualization of fashion film in its multiple guises-as both media image and cultural representation— must account for the popular discourses of the global entertainment industry along with the branded communications of the luxury-designer industry” Dunque, il fashion film, nel definirlo, dobbiamo tener presente che la sua nascita si colloca anche in un periodo in cui vi è un’espansione dei media digitali, per cui si hanno complicazioni sulla locazione di questo tipo di prodotti. Si ha una crescita non solo dei media digitali ma anche dei brand in generale. I fashion film supera la concezione logica dell’abito come focus principale, e porta avanti l’idea sulla moda immaginata, informa questo tipo d’orizzonte. Il fashion film deve inoltre porsi tra il discorso globale dell’intrattenimento e anche tener fede dei nuovi strumenti di comunicazione dei brand di lusso. Roberts aQerma che possiamo provare a definire il fashion film ma in generale non è possibile trovare una definizione unanime, non èancora possibile. Inoltre, ci dice che i fashion film devono continuamente negoziare il proprio statuto e tenere il passo con gli strumenti digitali ma anche tener fede al brand. Il fashion film si pone costantemente tra questi due stati. Sempre Rees- Roberts aQerma: “To begin, here is a broad definition: fashion film is primarily understood by those within the fashion industry to refer to the production of digital video content and branded entertainment commissioned by designer labels and fashion houses as a promotional tool. It is seen as an integral component of today's networked culture as a type of "spreadable" media content. This type of fashion film tends to be produced by designers, brands, media, or retailers Si ha una definizione generale, il fashion film viene inteso principalmente da coloro che fanno parte dell’industria della moda per riferirsi ai contenuti commissionati da case di moda come strumento promozionale. Ha un contenuto mediatico spreadble , è un prodotto di moda che tende ad essere diQuso da stilisti, case di moda, designer. Per cui il consumatore, spettatore ha bisogno di immergersi completamente all’interno di un mondo che gli racconti quel mondo specifico. Dunque, i fashion film da un lato mantengono l’immersionalità ma dall’altro ragiona anche secondo la fruizione veloce del web. Questa definizione è diversa da quella di Amaducci e Manca che portano un discorso puramente estetico. In questo caso però, quando parliamo di film non parliamo solo di estetica ma anche di valore produttivo e di economia. Roberts propone una definizione che si rifà al punto di vista “come i fashion film si integrano nella dimensione commerciale della moda”. Per questo autore i fashion film non si appropriano del marketing persuasivo bensì del marketing immersivo, si punta ad una dimensione commerciale promozionale che conquista lo spettatore, lo immerge, lo coinvolge. Ciò lo possiamo notare nei negozi che ci sono oggi, pieni di schermi verticali, non orizzontali in quanto la percezione è dall’alto verso il basso non in orizzontale dove vi era solo il cinema. Proprio riguardo questo ultimo aspetto S. Bu?o in “Fashion film and Net-aestetics” aQerma: “Involving insead of persuading” L’operazione della moda non è più quella di creare slogan ma va al di là, vuole farci vedere un mondo nel quale esiste. Anche gli spot pubblicitari cercano di avvicinarsi e imitare le modalità degli spettatori, ad esempio attraverso la serialità. (Non siamo abituati a considerare il fattore produttivo in quanto siamo abituati al discorso legato alla letteratura. Questo ci fa capire perché i documentari sono principalmente prodotti dalle donne mentre i film dagli uomini, per una questione economica, i documentari costano di meno e il ruolo della donna è ancora secondario.) Moda e metaverso: Oggi abbiamo anche la possibilità e un’estensione del mercato della moda attraverso il metaverso, i vestiti diventano digitali, si pensi a Prada, Adidas o Balenciaga. Prada propone ad esempio anche dei fashion show oltre al mercato commerciale digitale. Se pensiamo ad un utente che compra un abito online che verrà utilizzato da un avatar, possiamo considerare ancora di più il valore simbolico del brand, che viene scelto anche in una realtà smaterializzata. Classificazione dei fashion film Attualmente sono state accennate delle classificazioni per i fashion film ma non ne esistono di certe. Abbiamo degli aspetti che ci aiutano a classificare i fashion film, ma ne si possono creare altri: - Contenuto – stile: possiamo parlare di un contenuto drammatico, inteso in modo etimologico, di azione, dunque un contenuto narrativo oppure possiamo parlare di un contenuto di sperimentazione formale, dunque sono puramente legati all’aspetto visuale. Un esempio di fashion film di contenuto drammatico è sicuramente quello di Chanel mentre un esempio di fashion film di sperimentazione formale è quello di Moncler “A night a the museum” – 2021 – Byron Rosero, in questo caso non abbiamo una storia narrata ma una sperimentazione, abbiamo una performance più che una trama, una ricerca tecnica che vuole associare immagini a circuito chiuso e immagini cinematografiche. Si ha anche una ricerca cromatica, tipica anche del brand. Un ulteriore esempio di questa categoria è il fashion film di Comme des Garçons “Floriental” – 2015 – Nick Knight, viene ideato per il lancio del profumo Florenrial ma non è uno spot. Siamo di fronte a una pura astrazione di immagini attraverso l’utilizzo di pixel in libertà che partono da immagini riconoscibili e materiali. Si ha una prospettiva di smaterializzazione, si ha una rinuncia alle forme tradizionali, uno sguardo verso l’incompiutezza e la distruzione. - Regia: direttore artistico, regista film, altri possibili professionisti (fotografi, studi specializzati...). Il fashion film può essere diretto da un regista cinematografico, però l’aspetto registico è rilevante e distintivo nel panorama dei fashion film, è una caratteristica propria dei fashion film la regia. Un fashion film girato da un regista cinematografico rispetto, a quello girato da un direttore artistico darà un risultato molto diverso del contenuto fashion film (Chanel vs Dior). Ad esempio, Garrone contempla l’uso fantasioso della macchina da presa ma non ha l’occhio stilistico di moda (sperimenta poco) mentre Nick Knight sperimenta tantissimo. Dunque, capire chi ha diretto il film è molto rilevante in un fashion film, ci può aiutare ad avere una chiave di lettura. Il regista cinematografico può immettere la sua arte all’interno del fashion film. Un esempio è il fashion film “De Djess” aQidato ad un regista Alice Rohrwacher commissionato da MiuMiu nel 2015, MiuMiu è la linea più irriverente di Prada, è una linea diversa che esprime più spiccatamente la personale visione della femminilità di Miuccia Prada. Possiamo considerarlo a metà tra narrazione e sperimentazione formale, ha una storia però gioca molto sullo stop motion e sperimenta molto anche a livello tecnologico. Questo fashion film tenta di dare una rivoluzione linguistica, il titolo “De djess” ci ricorda il vestito però è una lingua inventata. I protagonisti parlano in una lingua inventata, che per assurdo noi capiamo, grazie al tono e ad altri elementi riusciamo a capire la dinamica. Miuccia Prada aQida la regia ad una regista sperimentale che ha una traccia ri1conoscibile. Il warning iniziale avverte che il fashion film è stato girato in lingua inventata, abbiamo dunque un manifesto linguistico). In questo fashion film l’abito prende vita mentre le modelle sono manichini. È un fashion film narrativo ma, è diQicile non riconoscere una dose di sperimentazione formale, pensiamo all’uso dello stop Motion, alle fotografie che si susseguono dando vita a movimento. La regista ha la volontà di discostarsi dai binari narrativi tradizionali, e mette in crisi la nitidezza narrativa. Questa sperimentazione è esclusiva per l’abito, e la nostra attenzione è catalizzata su esso che ci dà una visione particolare. È il vestito che decide da chi essere indossato, il vestito è senziente con emozioni e capacità decisionali. Miuccia Prada ci vuole dire questo, ossia che l’abito ha quella possibilità di significare ed essere incarnato e incarnare una femminilità particolare. L’abito non sceglie la diva sciocca ma un modello di femminilità più interessante e meno scontata. Vuol far vedere che tipo di donna MiuMiu vuole vestire. È un fashion film nel quale si ha la convivenza tra l’istanza narrante e quella sperimentale della forma, la recitazione è interessante in questo caso, la presenza umana non è essenziale in generale ma quando c’è bisogna considerarne la scelta. La scelta in questo caso vuole mettere insieme degli attori professionisti e dei non professionisti, si può dire di avere una sperimentazione in ambito. Si ha la ricerca di una femminilità fuori dagli schemi del divismo dell’epoca. - Ideatore -committente: parliamo di ideatore non legandoci alla figura dello scrittore ma più da quello del committente, che può essere una casa di moda, un’agenzia, un magazine di moda o altro. “Behind the courtain” è un fashion film commissionato dalla camera nazionale della moda. Il committente è importante da citare per capire anche quello che è lo scopo del fashion film. - Scopo: quando parliamo di scopo possiamo avere molti obbiettivi contemporaneamente, può avere uno scopo promozionale, celebrativo, riflessivo e politico. “De Djess” è un film celebrativo, ma anche riflessivo in quanto considera il vestito come entità senziente e riflette su ciò che la moda rappresenta rispetto al corpo, inoltre è sicuramente un fashion film polito in quanto ci mostra uno show business da un lato e dall’altro un ruolo diverso, quello della cameriera, due ruoli sociali diversi, in contrasto tra pelle bianca e nera. Dunque, all’interno di un fashion film possono convivere più scopi, ma anche focalizzarsi su uno scopo ben preciso. Se guardiamo i fashion film di Gucci, possiamo vedere come il fashion film “Aria” di Alessandro Michele abbiamo uno scopo puramente celebrativo mentre ““Overture of something that nere ended”” ha uno scopo politico. Fashion Film “Aria” – Alessandro Michele- Gucci - 2021: in questo caso non si ha una concessione totale della committenza da parte della casa di moda, si ha una co-produzione tra Alessandro Michele e Floria Sigismondi. Il film è stato creato durante l’anno del centenario di Gucci e sfoglia le pagine della maison riflettendo in modo del tutto personale sulla mitologia che avvolge il nome del brand. L’incipit si ha con l’ingresso al Savoy Club, che si rifà al Savoy Hotel dove Guccio Gucci lavorava come fattorino. Per lunghissima parte abbiamo una sfilata che vuole celebrare il centenario della maison, in modo diverso da Karl Lagerfeld con il fashion film di Chanel. In questo caso l’intento celebrativo è ambientato in un contesto tecnologico e illuministico futuro rispetto al contesto antico e storico di Chanel. All’interno della passarella verranno mostrati abiti che rivisitano la storia, abbiamo un balzo di tigre che si rifà alla storia ma rivisitati in modo personale. Il direttore creativo non si è nascosto dietro al marchio ma ha mostrato la sua linea estetica. Ci sono dei look che riprendo Tom Ford, che riprendono l’apporto di vecchi direttori artistici, sempre rivisitati da Alessandro Michele. Si ha una rievocazione dello stile equestre, universo tipico dell’immaginario di Gucci. Viene celebrata la libertà della moda come arte e non come commercio in modo molto rilevante, lo notiamo anche dall’incursione dell’aggiungere il marchio Balenciaga nonostante sia un film celebrativo della maison. Entrambi i direttori artistici delle due maison hanno creato una vera e propria rottura e liberazione rispetto ciò che vi era prima. Fashion film “Overture of something that nere ended” – Gucci – Alessandro Michele – Gus Van Sant- 2020: fashion film con intento commerciale in quanto si presenta una collezione di moda ma ancor di più si ha un intento politico. E’ una serie formata da più episodi che svelano la collezione Gucci per Alessandro Michele del 2020, quello che esamineremo è il primo. Siamo nel periodo del covid e dunque impossibilitati nel creare delle sfilate si punta sui fashion film. Non è diverso da “Aria” solo per quanto riguarda lo scopo ma anche da un punto di vista estetico. La location domestica si rifà molto allo stile della collezione e al gusto di Alessandro Michele. La scelta della regia è legata ha una figura aQermata e di un certo tipo, la protagonista è l’attrice Silvia Calderoni, attrice di teatro contemporaneo e sperimentale, il suo sembiante è androgeno, quasi sovrannaturale, che rifà al tema del genere rimarcato in questo fashion film. Non siamo di fronte ha un film narrativo, le scene che si susseguono sono quasi sospese, si hanno due parti, la prima è quella del risveglio della protagonista mentre la seconda è il momento nel quale si prepara e guarda fuori dalla finestra, abbiamo qui una sfilata, una catwalk nella sidewalk, la passerella è il marciapiede. Questi due momenti diversi li possiamo riconoscere da un punto di vista filmico, la prima parte ha uno stacco sui pesci susseguita da un long tape, nella seconda parte abbiamo un montaggio più frammentato. Nella prima parte possiamo riconoscerci, successivamente si ha il momento sparti acque che si rifà all’intervento televisivo di Paul Presiado, attivista contrario al binarismo e al suo superamento, che ad un certo punto richiama la protagonista, da quel momento si ha la seconda parte, la protagonista si attiva. La base teorica di questo fashion film si rifà all’intervento di Paul Presiado, gli attori hanno figure particolari che non si rifanno pienamente ad un genere, ciò viene superato anche nella collezione di Alessandro Michele, che propone la collezione genderless. Il genderless è un concetto che si rifà all’assenza di genere, diverso da quello di unisex che vuole unire i due generi, anche se nel genderless di Alessandro Michele si ha un sincretismo tra femminile e maschile, si hanno entrambe le componenti, mentre nell’unisex si tende a eliminare entrambi. Tutto quello che avviene dopo l’ingaggio di Presiado è più diQicile da descrivere e assume un andamento più complesso, ci sono diversi elementi, la scena finale, abbastanza criptica, si rifà alla considerazione sull’amore di Presiado. Il contenuto e lo scopo di questo fashion film è quello di mandare un messaggio politico, sociale, dunque abbiamo uno scopo politico, oltre alla sfilata e agli attori che vestono l’ultima collezione che si rifanno ad uno scopo commerciale. La collezione Gucci ha un intento sociale, descrive il mondo della maison e le idee del direttore creativo, si riflette molto sull’abito ma anche sul corpo. Fashion film “It’s Versace not Versachee!” - Versace Fall-Winter – 2018 Ferdinando Verderi: ha uno scopo puramente commerciale, si mettono in mostra tutti I capi della collezione in una lunga carrellata laterale. Si ha una riscrittura per sottrazione della sfilata, si è su un set di moda con sfondo bianco non allestito. Versace lascia parlare solo i vestiti, totalmente diverso dalla modalità utilizzata nella promozione del 2000. La macchina da presa sfila secondo un movimento laterale i corpi, che risaltano sullo sfondo bianco, si rifanno quasi all’editoria. Si ha una riflessività, in questo caso sul marchio, Versace si rifà a sé stessa, si ha un autorefenzialità. Lo scopo promozionale si inserisce in maniera intelligente in una promozione del marchio, che adotta un modo sottovalutato, quello dello slogan, che nell’orizzonte pop di alcune collezioni è più che comprensibile, istituzionalizza, da una coordinata. - Durata: nei fashion film la durata è rilevante, molto di più che nei film veri e propri, permette di avere e riportare risultati diversi, può far immergere o catturare la nostra attenzione, può durare mezzora o due minuti. La durata ci serve per capire l’eQetto che vuole dare il fashion film. Lezione 7 – 6 dicembre 2024 e Lezione 8 -7 dicembre 2024 Profilo storico fashion film È complesso storicizzare i fashion film in quanto prodotto nato da poco, dal duemila in poi, ma per comprendere meglio sotto aspetto questo fenomeno dobbiamo anche guardare indietro, facendo riferimento e osservando prodotti simili. Chanel n.5 – “Le film” – 2004, Baz Luhrmann: filmato che ci consente di fare la premessa secondo cui per definire i fashion film è diQicile sottolineare la distinzione tra questi ultimi e gli spot. Il concetto di pubblicità come di filmato di lunghezza consistente si rifà all’archeologia della televisione, all’inizio degli anni due mila, con la nascita dei fashion film, lo spot però è breve. Raramente lo spot pubblicitario hai tempi è prodotto da registi noti e non presenta come attori divi di Hollywood. Nel 2004 succede che in televisione si veda lo spot pubblicitario al quale stiamo facendo riferimento, pubblicità del profumo Chanel n.5. Il volto dello spot è Nicole Kidman e il compito di regia è aQidato a Baz Luhrmann, già molto famoso, che richiama il suo film Mulin Rouge. Guardandolo in televisione, era diQicile capire cosa fosse, sembrava il trailer di un film, questo per via della durata, più lunga degli spot classici, l’utilizzo di star e la struttura narrativa. Questo spot è un prodotto che ha complicato e ha reso complesso agli albori del fashion film capire cosa si stesse guardando. Con l’archeologia dei fashion film, alcuni studiosi considerano che questo fenomeno sia nuovo ma che può essere riallacciato a prodotti passati che sono importanti da inserire nella stessa linea produttiva dei fashion film, ovvero prodotti che non possono essere considerati tali ma che sono precedenti a questi, hanno come tema la moda e presentano una finezza estetica degna di nota. Un esempio possono essere i cinegiornali. Per quanto riguarda l’archeologia dei fashion film, M. Uhlinova nel saggio “100 years of the fashion film” dimostra come i fashion film siano esplosi nell’era digitale ma la loro forma può essere rintracciata fin dagli esordi del cinema e ovviamente prima dell’era digitale. Sappiamo che i fashion film siano i contenitori della moda, gli abiti in movimento aiutano ad enfatizzarne le loro caratteristiche e ciò avviene nel cinema. La modellizzazione dell’abito su un corpo è importa ma è importante anche il movimento. “It is worth considering how time, movement, and change have been vital to the presentation and representation of fashion since before the beginning of cinema, and throughout the twentieth and early twenty first centuries” Come conseguenza di questa comprensione precoce delle case di moda e di chi faceva i vestiti che la messa in mostra dell’abito in movimento potesse far diventare tutto ciò più attraente, le case di moda, negli ulti anni dell’Ottocento e con l’avvento del cinema, puntano subito ad utilizzare questo metodo per i loro accordi ed esigenze Infatti, sempre M. Uhlinova aQerma: “Film’s potential to promote fashion began to be exploited very early on” Filmato Watner Corset Advertisemnet – 1910: Il video inizia con un cartello che aQerma le caratteristiche del corsetto, successivamente vi è una parte narrata nella quale si mostra come queste caratteristiche eQettivamente vengano rispettate. Il product placement è già ben presente e posizionato. In questo filmato abbiamo ciò che vediamo anche nei filmati contemporanei, vi è un frammento di quotidianità e la messa in prova delle qualità del prodotto. All’inizio abbiamo l’esibizione del capo indossato dal momento in cui la bambina prova a indossarlo, la narrazione è meno serrata rispetto a quella di oggi, gli spot attuali hanno un montaggio e una regia ben delineata mentre in questo video si mantiene una regia cinematografica. Possiamo consideralo uno spot proiettato prima di un film al cinema data la sua narratività o un filmato commerciale destinato a dei distributori secondari, professionisti. Fashions à la Parisienne – 1920: Dall’inizio capiamo che gli abiti che vengono mostrati sono mostrati a scopo commerciale. È meno filmografico rispetto al video precedente ma abbiamo uno dei primi esempi di sfilata virtuale, di tentativo di spostare sul film ciò che solitamente avviene durante le sfilate. Le modelle è vero che assumono delle pose ma è vero anche che si trovano in stanze o angoli arredati, circondati da situazioni non sviluppatissime ma sviluppate che rimandano all’immaginario di Paul Poiret. Il filmato presenta una descrizione dell’abito susseguito dalla messa in mostra di questo. In entrambi i video, pur essendo lontani un centinaio di anni dai giorni d’oggi, possiamo ritrovare delle similarità. Nei tardi anni Venti si ha la creazione dei cinegiornali, che contengono riprese con intento celebrativo, commerciale di varie parti del mondo, che nel periodo nella quale la televisione non stava nelle case delle persone, aggiornavano gli spettatori di cinema, prima dei film, di notizie del monto, servizi di costume ecc.., un po’ come i telegiornali attuali. In Italia viene associato molto al fascismo, come strumento di propaganda, in realtà la loro pratica era diQusa in tutto il mondo. Il fascismo creerà l’istituto LUCE, che gestirà i cinegiornali italiani. Filmato Moda Italiana a Milano – 1929 – giornale LUCE: Lo scopo era quello di mostrare che la moda italiana non aveva nulla da invidiare a quella degli altri paesi, l’alta moda italiana inizierà negli anni ’50 quindi non era scontato a quell’epoca un riconoscimento in ambito moda. Il filmato inizia con la frase “la moda italiana non ha nulla da invidiare a quella francese” seguita da una sfilata dei tempi. Il movimento non è operato dalla macchina da presa in quanto ci troviamo in uno spazio interno, ciò sembra crearci diQicoltà in quanto bisognava mostrare degli abiti in movimenti, la macchina da presa viene sostituita da pedane in movimento o dal movimento stesso circolare della modella. È un prodotto meno prestigioso e raQinato rispetto ai video precedenti ma abbiamo comunque un tentativo italiano nel produrre dei filmati legati alla moda. Filmato Torino come si orienta la moda italiana – 1934 – giornale LUCE: notiamo dal punto di vista del linguaggio filmico, diversamente al video precedente, le inquadrature e la macchina da presa si posiziona in modo più sapiente, abbiamo anche delle soluzioni visive più ardite, delle dissolvenze incrociate ad esempio. Si iniziano ad avere e a distinguere delle strategie sul movimento intervenendo sul montaggio, attraverso ad esempio raccordi sul movimento o dissolvenze incrociate. Nel capitolo di E. Sforza “Il fashion film, una prospettiva archeologica” distingue tra cinegiornale, legato all’alta moda e film pubblicitario, legato alla moda confezionata. I fashion film non pubblicizzano la moda confezionata. E. Sforza parla di utility films, in quanto hanno una funzione utilitaria per quanto riguarda il commercio e la pubblicità, questo anche per non utilizzare il termine fashion film nato negli anni 200. Alcuni esempi: Spot Facis – Per una naturale eleganza – Montecarlo, 1963: abbiamo una brevità diversa rispetto ai film precedenti, ha l’aspetto di uno spot e rientrano diQicilmente, confluendo nel contenitore del carosello. Carosello – La moda allegra dei giovani - LUBIAM, fine anni 60’: sketch pubblicitario che rientra all’interno di carosello. All’interno dei firmati del carosello veniva raccontata una storia e il nome del marchio poteva essere nominato poche volte, vi erano delle regole, la pubblicizzazione dell’oggetto doveva rientrare in una piccola porzione del filmato ecc. Per questo motivo possiamo definirle come opere indipendenti. Il filmato visto è un carosello, un prodotto narrativo, di animazione, della ditta LUBIAM e vuole vendere abiti. La parte pubblicitaria è ridotta, la troviamo in 2 minuti e 22 solo nei 20 secondi finali. Dal punto di vista storico è molto importante, dipinge una realtà, una condizione sociale dell’epoca, narrativamente si ruota attorno ad uno scontro generazionale. Un atro aspetto interessante è il voler dare una risposta e soluzione al problema, che in questo caso è l’abito. A questa altezza cronologica è più fattibile creare un carosello per l’abito in quanto non vi era ancora un boom del settore moda che assume il valore in marchio, arriverà negli anni 80’ – 90’. Lezione 9 – 12 dicembre ‘24 Storia dei fashion film I fashion film nascono degli anni 2000, il pioniere è Nick Night, fotografo che ha lavorato per Chanel e Mcqueen, che nel 2000 lancia il suo studio dedicato ai fashion film SHOWStudio. È considerato il pioniere in quanto primo a intuire che il film deve essere utilizzato dalla moda come strumento di creazione, per questo motivo, il fashion film è sempre un contesto di sperimentazione creativa. Più che il risultato, il mostrare gli abiti, è importante mostrare il mentre, la creazione della concezione all’interno della mente dell’artista, la permormace deve essere dedicata alla creazione. “There were certain things that I believed in when we started Show studio. One was process, the second was performance and the third moving fashion.” La visione del fashion film secondo Showstudio è il dialogo tra la moda e la dimensione digitale. E’ interessante come generalmente, parlando di case di produzione, venga utilizzata la parola house, in questo caso, per quanto riguarda Showstudio, ci si rifà alla parola home. Born this way – Lady Gaga (direct by Nick Knight): L’idea centrale dal punto di vista narrative è il concetto di nascita, di rigenerazione, creazione mostrata anche come gestazione, ciò è anche un po' il filo rosso delle creazioni di Nick Knight. Sweet – 2000 – SHOWStudio: Anche in questo caso abbiamo il concetto della creazione, Nick Knight utilizza molto il rendering. In questo fashion film l’abito viene trattato come un organismo vivente, ed è un po' l’estremizzazione del concetto di film come unico mezzo per mostrare l’abito in movimento. In questo caso il corpo viene tolto, l’abito in movimento è da solo, prospettiva quasi fetish. L’idea del far muovere gli abiti, il fatto che non ci sia distinzione tra un abito e il corpo in senso di creazione legato ad esso, la modificazione degli abiti in movimento sono aspetti che per essere negli anni 2000’, fanno capire quanto Nick Knight fosse un visionario. “I wanted to show how much eQort, and even pain, goes into making a single dress. I wanted each garment to seem precious, like an art from.” Come termine ultimo della storia dei fashion film è interessante osservare i fashion film festival. La nascita di un film festival fa capire quanto in quel luogo vi sia un’attenzione specifica verso la cinematografia e soprattutto verso un tema specifico. A Milano, Il Fashion Film Festival nel 2024 è arrivato alla decima edizione ed è interessante osservare le varie categorie di premi: musica, editing, production, styling, director, best fashion film, best new italian fashion film, best new designer, best green fashion film, best experimental fashion film, E’ molto interessante notare come nelle categorie dei festival sui fashion film non vi sia un premio dedicato agli attori, questo ci fa ricollegare al cinema delle origini e al proto cinema. I festival di questo tipo si rifanno molto di più alla moda che al cinema, raccolgono in torno a loro esperti di moda, non esperti di cinema, questo ci fa capire come i fashion film non siano dei sottogeneri del cinema, è la moda che colonizza i cinema. About fashion film nasce da un festival da cui verrà poi creato un sito: Fashion film o Film? Rapporto tra film e fashion film The straggering Girl – 2019 – Luca Guadagnino: Potrebbe mandarci in diQicoltà nel capire se si parla di un film o di un fashion film, i produttori sono Piccioli, direttore creativo di Valentino e Guadagnino. La durata è limitata, è un medio metraggio e il regista dichiara di essersi ispirato alla collezione d’alta moda Valentino by Piccioli. Capiamo che non è un fashion film in quanto è stato presentato al Festival di Cannes e nella locandina si scorge il logo di rai cinema e non di una casa di moda. Oltre queste caratteristiche abbiamo anche quelle legate all’intento e al linguaggio, il senso narrativo e conchiuso, la sperimentazione non si piega alla messa in mostra degli abiti ma si inserisce nello stile del regista. Non vi sono inoltre scopi commerciali. Il rischio è quello di pensare che sia un film che parla di moda, i film di questo tipo non sono fashion film, pensiamo per esempio al “Diavolo veste Prada”. I fashion film sono diversi dai film sulla moda, le di?erenze sono: - Destinazione di pubblico, e di collocazione, oltre che la durata: se un film è dedicato a un certo tipo di festival, la durata può aiutarci, non ci sono fashion film lunghi quanto un medio metraggio - Intenti: chiamiamo film sulla moda qualsiasi prodotto volto all’intrattenimento mentre i fashion film non sono prodotti di intrattenimento, hanno sempre un intento promozionale raQinato. - Linguaggio: i film sulla moda possono avere connotazioni all’avanguardia e non di semplice lettura, ma tutto ciò è volto all’aspetto cinematografico, mentre nei fashion film la sperimentazione è legata al prodotto di moda, sono dedicati alla loro messa in mostra. Classificazione dei film sulla moda (no fashion film) Questa classificazione ci aiuta in quello che è il rapporto tra media e moda e anche nel saper riconoscere meglio se un prodotto è un fashion film o meno, partendo dal fatto che se è un film sulla moda, non può essere un fashion film. Questa classificazione non è sul cinema bensì sulla moda, le classi sono legate a caratteristiche di quest’ultima non dal punto di vista del cinema. 1. Film sull’industria di moda: film che sondano un aspetto peculiare della moda come sistema industraile e/o come realtà culturale/economica. Esempi: - “Il diavolo veste Prada” - 2006: è un film che ci parla di editoria di moda nonostante la narrativa, vediamo la frenesia dei contenuti, ci parla di un’industria economica e culturale. Nel monologo sul ceruleo abbiamo quello che è il meccanismo del trickle-down. - “The True Cost” – 2015 – Andrew Morgan: è un documentario d’inchiesta sul fenomeno del fast fashion molto importante, presentato al festival di Cannes nel 2015 e indaga le cause del fenomeno del fast fashion e i suoi eQetti nocivi ambientali, sociali, economici e sanitari. Anche in questo caso abbiamo un film che parla di moda in senso di sistema industriale, di realtà economica e culturale - “Funny Face” – 1957 – Stanley Donen: nel periodo storico nel quale esce questo film, con l’arrivo della televisione, le persone iniziano a non andare più al cinema, per questo motivo si cercano di creare prodotti dotati di sviluppi, come il colore. Il film si inserisce in questa categoria perché parla di editoria, vediamo l’agenzia, la produzione, ciò che succede al suo interno. Lezione 10 – 13 dicembre 2024 2. Film sui protagonisti della moda: ovvero film che ripercorrono la carriera o la biografia di personalità importanti del mondo della moda. Non sono prodotti che cercano di vendere abiti di queste maison ma vogliono raccontare una storia. Esempi: - “Valentino l’ultimo imperatore” – 2008 – Matt Tyrnauer: documentario su Valentino, che segue Valentino, una sorta di reportage che si serve anche di filmati di repertorio - “Yves Saint Laurent” – 2014 – Jalil Lespert: è un vero e proprio film, un biopic, un film di finzione che si prende delle libertà ma segue e si basa sull’autobiografia di Yves Saint Laurent. - “Gianni Versace. L’imperatore dei sogni” – 2023 – Mimmi Calopresti: film che coniuga una parte documentaria (video, foto, interviste) con una parte di finzione e che vuole raccontare la parte lavorativa di Versace ma anche quella privata. - “McQueen” – 2018: è un documentario classico, immagini di repertorio, indagini. 3. Film sul rapporto soggetto/corpo e moda: film di generi diversi che indagano il rapporto fisico e metafisico che il soggetto umano instaura con l’abito. L’elemento di riconoscibilità di questi film è l’abito e il rapporto tra abito e corpo. Parliamo di fisico perché solitamente c’è un rapporto tangibile, parliamo anche di metafisico perché il rapporto con l’abito stimola una presa di conoscenza, un punto di svolta. Il personaggio umano serve per giudicare, per paragonarci, l’abito può avere una consistenza particolare in quanto elemento del film, pensiamo all’abito in American gigolò nel quale assume una connotazione senziente. L’abito è importante, anche l’laddove sottolinea delle caratteristiche già presenti nel personaggio Esempi: - “Personal Shopper” – 2016 – Olivier Assayas: film ambientato in Francia, a Parigi, con protagonista assoluta Kristen Stewart nei panni di una personal shopper. E’ interessante vedere come nel film la protagonista sia vestita in un certo modo, che ricorda anche i suoi abiti nella vita di tutti i giorni da non attrice, mentre nella scena vista in aula in modo completamente diverso. Si ha una sorta si escalation tattile del personaggio, si appropria inizialmente di spazi domestici non propri e questo suo toccare culmina nell’autoerotismo, anch’esso esperienza tattile. Si hanno molte riprese delle mani, forse per riprendere la ricerca di un rapporto tangibile con il mondo circostante da parte di Maureen, la protagonista. In “Irma Vep” – 2022 e “Mrs. Harris goes to Paris” si nota quanto l’abito può avere una consistenza particolare all’interno del film, è molto importante, perché aiuta a dare le caratteristiche del personaggio nel minor tempo possibile. - “Irma Vep” – 2022 – Olivier Assayas: si nota come indossando l’abito (tutina nera) la protagonista inizia a comportarsi come Irma Vep (una ladra), si aggira sui tetti, fa irruzione in una camera d’albergo. Nella serie viene citato Paul Poiret che vestiva Musidora, l’attrice originale di Irma Vep del 1915 di Feuillade. Dal momento in cui la protagonista indossa la tuta nera, inizia a sembrare quasi “non vista” e fa dei movimenti particolari da ladra, lei è entrata nel personaggio; dunque, stiamo assistendo a qualcosa di diverso rispetto a prima. Questa scena ci fa notare bene come l’abito aiuti tanto l’attore ad entrare nel personaggio - “Mrs. Harris Goes To Paris” – 2022 – Anthony Fabian: parla di una donna che lavora come governante in una casa, mentre lavora in una casa si imbatte in un abito di Dior e si innamora. Questa donna da quel momento decide di risparmiare per andare a Parigi e potersi permettere quell’abito, e l’abito diventa il motore narrativo principale. La donna si accorge delle potenzialità di quell’abito nel momento in cui lo appoggia al proprio corpo. L’etichetta che si vede del vestito di Dior ha una funzione narrativa e, non di product placement. L’esperienza tattile e in generale sensoriale è sempre il primo passo per svelare le potenzialità dell’abito (le mani anche nel film Personal Shopper). Lezione 11 – 19 dicembre 2024 4. Film diretti/prodotti/ideati da personalità del mondo della moda: per il caso specifico tra moda e cinema vedere che prodotti cinematografici vengono creati da personaggi legati alla moda è interessante. Stato embrionale dei fashion film. Questi film avendo tra i produttori o registi uno stilista, volenti o no, recano un’estetica che rimanda alla casa di moda o direttore creativo che gli ha composti. Esempi - “The straggering girl” – 2019: sinergia tra regista e direttore creativo nell’ideazione del film, diretto da Luca Guadagnino e Piccioli, direttore creativo di Valentino. Siamo in una fase zero di un film che nasce in un contesto di moda. - Saint Laurent Production: casa di moda che si lancia nella produzione di film creando un comparto dedicato, i prodotti creati sono tendenzialmente sempre co-prodotti. (direttore creativo Anthony Vaccarello). “Strange way of life”: regia di Pedro Almodovar, produzione di El Deseo, Yves Saint Laurent del 2022/2023 lanciato al festival di Cannes del 2023. La scelta dei costumi è di YSL. La trama western è disarticolata dall’interno, i due protagonisti sono legati da un sentimento romantico. Una disarticolazione ulteriore si ha in quanto il western è contaminato dallo stile melodrammatico di Almodòvar. Da un punto di vista estetico la moda è presente e messa in quadro con soluzioni visive tipiche del western (rettangolo orizzontale). Alcuni dettagli, come il primo piano al cassetto delle mutande o il dettaglio del cappello e della giacca verde sono attenzioni che sottolineano la componente vestimentaria. - Il caso Tom Ford – uno stilista prestato al cinema: Il cinema di Tom Ford non è un cinema sulla moda, le sue produzioni sono mature nonostante non nasce come regista. Il suo primo film, del 2009, “A single man” fa capire il doppio talento e capacità multipla nell’agire con completezza nelle forme d’arte. Tom Ford nasce in Texas nel 1961, studia design e dopo la vendita di Gucci nel 1993 a dei nobili e ricchi arabi, viene scelto per la direzione creativa della maison fino al 2004, riportando il brand al successo internazionale. È considerato un designer-star in rapporto con gli artisti newyorkesi e le star hollywoodiane. Un aspetto importante, il suo marchio di fabbrica, può essere considerata la sensualità, non tutti i direttori creativi hanno delle caratteristiche che li rendono riconoscibili. Nel caso di Tom Ford si ha una convivenza tra il gusto netto (linearità, pulizia, forma) e tra la spiccata sensualità. Il vedo non vedo non si delinea nelle trasparenze o nei pizzi ma si declina attraverso degli stralci, tagli, in abiti totalmente classici, semplici e lineari. I tagli lo rendono sensuale, quasi erotico, disinibito senza sforzi o ricerche di trasgressioni evidenti. Questi elementi fanno parte anche del suo modo di far cinema, il nostro occhio è appagato, abbiamo degli shock dal punto di vista narrativo e visivo. Lezione 12- 20 dicembre 2024 Entrambi i film di Tom Ford sono drammatici e si rifanno all’uso visivo del sangue mostrato con compiaciuta vividezza. Questa vividezza nei confronti del sangue e delle pulsioni umane fa dedurre alla sensibilità umana del corpo appartenuta, si vede che è un regista che ha lavorato con il corpo umano e la sua messa in mostra, lo notiamo dalle posizioni, i gesti. Questo interesse verso il corpo ha un carattere sia della messa in quadro che delle modalità di narrazione, si ha anche l’esasperazione del corpo, che sia dettata dalla morte ma anche all’esibizione di corpi non confromi. “A Single Man” – 2009 – Tom Ford: La bellezza eccessiva al cinema è un problema, in questo caso l’oggetto del desiderio di questo film è così bello da diventare disturbante, disturba l’attenzione, la cornice narrativa portandoci ad un mondo di esibizione di moda, il volto è bello, un bello fotografico però. Andy Warhol fu un’ispirazione per Tom Ford e nello sbilanciamento cromatico che vediamo in alcune scene si ha un’idea di falsificazione. A questa influenza se ne aggiungono di molteplici e si deve far riferimento anche alla posizione geografica, generalmente e fortemente americana. I personaggi di Tom Ford si rifanno a dei romanzi americani nonostante si a lui a scrivere i film, rielaborando personaggi letterali. “Animali notturni” – 2016 – Tom Ford: Il film inizia con l’esibizione rallentata di un corpo non conforme, questo ci fa riprendere il concetto legato alla figura del regista di interesse verso la messa in mostra di un’esasperazione del corpo. Le immagini iniziali sono estremamente grottesche e controverse, ispirate alla cultura americana generale considerata “total junk”. I corpi presentano cicatrici, obesità, mentre si dimenano come magiorette e sono riprese a rallentatore, portando ad uno shock iniziale da parte di chi lo guarda. Il rallenty ha una funzione di accentuazione del grottesco in quanto la durata complessiva è maggiore e mette in mostra con più dettaglio le caratteristiche di questi corpi. Tom Ford su “Animali notturni”: «I don't like a movie that's about the art world that doesn't have real art [...] I've lived in Europe for the last 27 years, so I thought, What do I want to say if I'm having a gallery show in America? Politics being what they are right now, l want to make a statement about America. And I remembered that great poster that I had hanging in my room when I was a kid, when I thought I was straight, of Farrah Fawcett in that red bathing suit. America was always tan, beautiful teeth, tits and ass. So, guess what? I want to talk about America today: Gluttonous, overfed, aging, sad, tired.» Abbiamo un punto di vista estetico che Tom Ford utilizza avendo vissuto in Europa per osservare il proprio paese, la visione della contemporaneità e la rabbia legata ad essa è uno dei fulcri di questo film. “A single man” non è un film disturbante come questo, è più malinconico e triste, non vuole provocare o estremizzare i limiti del corpo come “Animali notturni”. Si ha una continuità cronologica che parte dal primo film, che è chiave per capire l’ estetica. Il primo film è ambientato negli anni 70’, anni ricordati con bellezza e gioia, mentre nel secondo film si ha un’ambientazione estremamente moderna, nonché destinazione narrativa di Tom Ford. Si ha prima una visione legata al sogno e poi una legata all’horror, il primo film ha inoltre una narratività lineare cosa che non si ha nel secondo. Si ha una sorta di evoluzione, involuzione. Nel primo film Tom Ford vede la produzione come un contenitore ideale nel quale poter inserire i propri sentimenti e la propria estetica mentre le secondo film, si confluisce un estro maggiore, una spericolatezza maggiore, pur patendo da questioni legate alla figura del regista. “Straggering Girl” DiQicoltà nel trovare i confini tra film e fashion film L’influenza del direttore creativo sulla realizzazione finale non è stata operativa ma è stata comunque un’esperienza visibile, sensibile. La danza bucolica finale può avere una valenza narrativa ma si ha anche l’esibizione di una collezione. L’abito ha una sua importanza per tutto il film pur non essendo il fulcro della narrazione. La connessione tra cinema e moda emerge chiaramente nelle parole del regista e del designer. Pierpaolo Piccioli descrive le sfilate come una forma di cinema: gli abiti diventano protagonisti e le modelle li interpretano, dando vita a un racconto. Per lui, i vestiti devono esprimere un mondo profondamente personale, rendendo la moda una sorta di "film interiore". Dall’altra parte, Luca Guadagnino vede nel lavoro dei designer una grande fonte di ispirazione, considerandone le sfilate come un viaggio interiore. Abbiamo dunque un incontro tra i due linguaggi, quello del cinema e quello della moda. Rees Robert in “Fashion film” – 2018, si interroga sulla confusione tra gli elementi diversi: film, spot e fashion film, si chiede se questa possa essere una spia per la fine della breve vita dei fashion film. “In what sociologist Celia Lury called the “stylization of consumption”, by which she meant the aesthetic commodification of art and culture through fashion, lifestyle, and design, consumers of all types of fashion- moving image are routinely asked to blend art with commerce and to blur the boundaries between creative production (such as art and entertainment cinemas) and commercial culture (such as viral films, behind the scenes footage, and ad campaign imagery). As documented in films by director such Wes Anderson, Luca Guadagnino, Tom Ford, Sofia Coppola, and Olivier Assayas, certain types of contemporary cinema are now inextricably bound up in the high stylization and commodity aesthetics of fashion. So, where to now? Have we arrived at the end of fashion film, or is this just the beginning of the digital revolution in fashion and moving-image culture?” Rees Robert, nota come la produzione dei registi citati precedentemente sia l’esito della richiesta costante di mostrare prodotti, portando a legarsi al lato commerciale, tutta quella ricerca di creazione e sperimentazione, la purezza originaria sembra essersi confusa negli anni sempre di più fino a rendere diQicile il riconoscimento tra un fashion film couture e uno commerciale. I fashion film non sono più ambiti di sperimentazione, e arte, ma campi di promozione commerciale.