Fisiologia II Sbobine AA 2022-2023 PDF
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Summary
These lecture notes cover the nervous system, including sensory systems, stimuli perception, and processing within the central nervous system. They discuss neuronal and glial cells, their functioning, and interactions. The document also delves into the concept of perception and how the body translates external stimuli into nerve signals.
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FISIOLOGIA II Lezione 1, 10/10/2022 SISTEMA NERVOSO 1. SISTEMI SENSORIALI Per parlare di controllo nervoso bisogna fare riferimento agli stimoli, quindi a quello che riguarda l’ingresso degli stimoli fino alla loro percezione e come vengono elaborati da parte del sistema nervoso centrale;...
FISIOLOGIA II Lezione 1, 10/10/2022 SISTEMA NERVOSO 1. SISTEMI SENSORIALI Per parlare di controllo nervoso bisogna fare riferimento agli stimoli, quindi a quello che riguarda l’ingresso degli stimoli fino alla loro percezione e come vengono elaborati da parte del sistema nervoso centrale; c’è un’elaborazione da parte di un network che coinvolge diverse strutture cerebrali e poi viene sviluppato un piano di risposta nei confronti di un effettore che può essere un muscolo, una ghiandola endocrina e quindi una risposta opportuna a seconda dello stimolo che è stato ricevuto. Le cellule avranno un ruolo centrale nella comunicazione (comunicazione intercellulare). Tra le cellule che costituiscono il sistema nervoso distinguiamo i neuroni e le cellule gliali. Le cellule gliali sono presenti sia nel sistema nervoso centrale che nel sistema nervoso periferico. Nel sistema nervoso centrale si distinguono: - Gli astrociti; sono caratterizzati da una serie di ramificazioni che da una parte si insinuano nel neuropilo (tra i neuroni e i loro processi) e dall’altra si espandono in prossimità dei vasi sanguigni (pedicelli terminali) o della superficie del sistema nervoso centrale (glia limitans). Ramificazioni degli astrociti sono presenti anche in prossimità dei nodi di interruzione della guaina mielinica e prendono contatto con l’assone. Gli astrociti sono interconnessi tra loro, nella maggior parte dei casi, mediante gap junctions e alcuni sono connessi anche con oligodendrociti. Si possono distinguere almeno tre tipi di astrociti: o Fibrosi, presenti soprattutto nella sostanza bianca e caratterizzati da processi lunghi e sottili; o Protoplasmatici, situati nella sostanza grigia e connotati da processi brevi e più ramificati; o Radiali, disposti perpendicolarmente all’asse dei ventricoli e di forma allungata. Gli astrociti contribuiscono alla regolazione della composizione dell’ambiente extracellulare nel quale vivono i neuroni e partecipano all’attività sinaptica e alla risposta del sistema nervoso centrale alle lesioni. Gli astrociti svolgono un ruolo importane anche nella captazione dei neurotrasmettitori soprattutto di glutammato e acido γ-aminobutirrico (GABA). o Il glutammato viene captato da 5 trasportatori che, trasferendo il glutammato all’interno dei processi astrocitari, contribuiscono a modulare e a terminare l’azione sinaptica di questo neurotrasmettirore. Gli astrociti contribuiscono attivamente all’attività neuronale: il glutammato viene sintetizzato a partire dal glucosio intraneuronale e dalla glutammina, la quale però non è sintetizzata dai neuroni ma 1 solo dagli astrociti a partire dal glutammato grazie all’enzima glutammina sintetasi. La glutammina viene poi liberata nel liquido extracellulare, captata dai neuroni e nella terminazione assonica viene trasformata in glutammato grazie all’enzima glutaminasi. Il glutammato viene così liberato dai neuroni e, dopo aver attivato i propri recettori, è captato dai trasportatori del glutammato posti sui processi astrocitari. Questo ciclo viene definito ciclo della glutammina o ciclo glutammina- glutammato. o Il GABA, liberato dalle terminazioni assoniche, viene captato dagli astrociti, viene transaminato ed entra nel ciclo di Krebs. - Gli oligodendrociti possiedono un corpo sferico o poligonale dal quale emergono pochi processi primari; ognuno di questi dà poi origine a processi secondari a decorso parallelo che conferiscono a queste cellule la tipica morfologia caratterizzata da numerosi processi paralleli che spesso terminano con strutture anulari. Sono presenti in tutte le aree del sistema nervoso centrale ma la loro morfologia può variare. Gli oligodendrociti si possono trovare nella sostanza bianca allineati tra le fibre nervose e nella sostanza grigia associati a fibre nervose o in stretta associazione con i neuroni. Gli oligodendrociti che si trovano nella sostanza bianca sono responsabili del processo di mielinizzazione degli assoni, mentre quelli che si trovano nella sostanza grigia svolgono funzioni di regolazione del microambiente neuronale. - Cellule della microglia: sono molto numerose. Il ruolo della microglia è fondamentale nella difesa. Nel sistema nervoso centrale dell’adulto, le cellule della microglia si possono distinguere in tre diversi tipi: o A riposo o ramificate che sono presenti nel sistema nervoso centrale non affetto da alterazioni patologiche. o Attivate o reattive che si osservano nel corso di stati patologici; quando c’è un danno tissutale viene liberata ATP che interagisce con i recettori presenti nelle estroflessioni della microglia (c’è una collaborazione tra astrocita che produce ATP e danno tissutale che produce ATP che viene captata dai recettori adrenergici delle estroflessioni della microglia) e la microglia diventa reattiva. o Fagocitiche che hanno assunto le caratteristiche di veri e propri macrofagi. Nel sistema nervoso periferico si distinguono: - Cellule di Schwann che sono suddivise in due tipi: o Incapsulanti che formano invaginazioni nelle quali si localizzano assoni amielinici. Le cellule di Schwann e gli assoni incapsulati sono a loro volta circondati da una lamina basale a propria volta circondati da fibrille di collagene. Questo rivestimento non sembra avere un ruolo nella conduzione degli impulsi nervosi e la sua funzione è ignota. o Mielinizzanti che sono associate ad assoni di maggiori dimensioni di neuroni sensoriali, motori e in alcuni casi del sistema nervoso autonomo. 2 - Cellule satelliti che ricoprono i somi. - Cellule gliali enteriche. Quindi gli stimoli vengono captati da specifici recettori; se sono stimoli esterni si parla di esterocettori, se sono stimoli interni si parla di enterocettori. Si distinguono stimoli sensoriali e stimoli viscerali che vengono elaborati da specifiche strutture, le quali vengono raggiunte dalle fibre afferenti; viene elaborata una risposta che deve essere trasmessa all’effettore grazie alle fibre efferenti che distribuiscono l’elaborato al sistema nervoso somatico (che comprende i motoneuroni diretti ai muscoli scheletrici) o, tramite il sistema nervoso autonomo (utilizzando il simpatico e il parasimpatico) agli organi effettori. Innanzitutto, lo stimolo deve essere percepito. A proposito della percezione, si hanno due correnti di pensiero: 1. La percezione è un processo passivo: addizione di caratteristiche sensoriali semplici (Filosofi empiristi del XVII-XVIII secolo). 2. La percezione è un processo attivo sulla base di proprietà intrinseche determinate a priori, che nell’atto della percezione, vengono modificate dall’esperienza. Si arriva alla teoria predittiva: la percezione origina dal confronto, ai livelli gerarchici superiori del sistema nervoso centrale, dell’attività predittiva sulle informazioni in arrivo (top-down) e delle informazioni sensoriali non previste correttamente trasmesse (bottom-up) dai livelli inferiori. Schematizzando: Si ha un recettore che è sensibile ad un particolare stimolo; il recettore ha il suo corpo cellulare in un ganglio, generalmente si tratta di cellule bipolari che con una terminazione prendono contatto con la periferia e un’altra terminazione si rivolge verso le strutture del sistema nervoso centrale o ad interneuroni → elaborazione dei segnali grazie all’interazione tra i vari organi del sistema nervoso centrale (per esempio grazie all’interazione tra le varie aree associative di integrazione) → contatto con una fibra efferente rivolta all’organo effettore. Lo stimolo è qualunque forma di energia (elettromagnetica, meccanica, termica, chimica) che possa essere raccolta e poi percepita dal nostro organismo. Esistono una marea di stimoli che il nostro sistema nervoso non riesce a raccogliere. Ogni organo di senso possiede cellule specializzate, dette recettori sensoriali sensibili ad uno specifico tipo di stimolo, detto adeguato (per esempio i fotocettori rispondono allo stimolo luminoso; in opportune condizioni di stimolazione, per esempio strofinando gli occhi o se si riceve un pugno, il fotocettore sviluppa una sensazione luminosa -detta fosfene- come se ci fosse un lampo perché trasduce energia luminosa) e veicola una particolare modalità sensoriale. 3 Lo stimolo viene trasformato da energia a segnale nervoso elettrico; questo processo è detto trasduzione. Il segnale nervoso riflette alcune caratteristiche dello stimolo quali il tipo, l’intensità, la durata e la localizzazione. Questo processo di presentazione delle caratteristiche è detto codificazione. La sensibilità è la capacità dell’organismo di rispondere ad uno stimolo. - Lo stimolo può provenire dall’esterno (tatto, temperature, dolore) e si parla di esterocezione. - Lo stimolo può provenire dall’interno del nostro corpo e raccogliere informazioni relative alla posizione e al movimento del corpo e si parla di propriocezione. - Lo stimolo può provenire dai visceri e allora si parla di enterocezione. Esistono vari tipi di recettori: - Recettori per il dolore; - Meccanocettori con le varie sottoclassi; - Propriocettori, i cosiddetti fusi neuromuscolari e gli organi tendinei del Golgi. Per ciascuna delle cinque classiche modalità sensoriali (visione, udito, tatto, olfatto e gusto) esiste un sistema sensoriale dedicato. A queste cinque classi è stato aggiunto il sistema vestibolare, veicolante la modalità dell’equilibrio e il sistema tattile è stato inquadrato in un sistema più articolato, detto sistema somestesico che comprende il tatto, la propriocezione, la termocezione e la nocicezione (anche se quest’ultima viene spesso viene considerata una modalità a sé stante perché veicola segnali di danneggiamento dell’organismo). I recettori in alcuni casi sono organizzati in organi di senso come nel caso dell’olfatto, del gusto e dell’udito e altre volte sono diffusi come i recettori del tatto. Quello che differenzia un recettore dall’altro è il tipo di energia a cui è sensibile: - i recettori del tatto sono sensibili alla pressione; - i propriocettori all’attività dinamica di allungamento e alla lunghezza del muscolo; - i termocettori sono sensibili al caldo e al freddo. I termocettori sono diversi dai nocicettori perché quando diventano silenti finiscono i potenziali d’azione deputati ai recettori della temperatura e inizia l’attività dei nocicettori. Nel sistema sensoriale visivo i recettori sono sensibili alla luce, nel sistema uditivo al suono, nel sistema vestibolare all’accelerazione. Il sistema olfattivo e il sistema gustativo sono dei chemocettori. Il recettore, oltre a raccogliere gli stimoli, deve dare delle informazioni al sistema nervoso centrale, riguardanti: - La modalità, ad esempio stimolando un fotocettore si evoca una sensazione visiva. I nocicettori del dolore seguiranno la propria via andando a distribuirsi in determinate parti del sistema nervoso centrale, quindi si parla di modalità dedicata. 4 Codice di linea dedicata per le modalità (qualità) stimolante: quando qualità stimolanti diverse interessano una data area cutanea, ognuna di esse evoca un’informazione che raggiunge l’encefalo seguendo un proprio percorso. Il tatto seguirà un’altra via afferente di trasmissione, i nocicettori del tatto seguiranno delle vie ascendenti differenti che hanno anche modalità differenti, ecc.… - L’intensità dello stimolo può rispondere a due codici perché la capacità dei recettori di dire quanto è forte uno stimolo dipende da due codici: o Codice di popolazione: facendo una leggera pressione si coinvolgono pochi recettori, facendo una pressione maggiore (quindi uno stimolo più forte) si coinvolgono più recettori (l’aumento della pressione applicata determina l’insorgenza di un maggior numero di potenziali d’azione per il maggior numero di recettori stimolati). Esempio: sovrapposizione dei campi recettivi dei corpuscoli di Pacini. o Codice di frequenza: facendo una debole pressione si determina una data frequenza di potenziali d’azione, mentre se lo stimolo è più forte allora si crea una frequenza di potenziali d’azione maggiore. Se la frequenza aumenta significa che lo stimolo pressorio è forte (l’aumento della pressione applicata determina l’insorgenza di un maggior numero di potenziali di azione). - La durata di una sensazione non coincide necessariamente con il tempo in cui lo stimolo è presente. I recettori infatti presentano la capacità di adattarsi ad uno stimolo, cioè al perdurare di uno stimolo costante corrisponde una progressiva diminuzione della frequenza di scarica. Si distinguono: o Recettori tonici o a lento adattamento: pur diminuendo la frequenza di scarica, restano attivi per tutto il tempo in cui lo stimolo di intensità costante viene applicato e poi terminano la loro attività solo quando lo stimolo viene rimosso. Esempi di recettori tonici sono: alcuni recettori tattili (Merkel e Ruffini; i fusi neuromuscolari informano sempre sulla lunghezza del muscolo), i propriocettori, i recettori 5 vestibolari, i barocettori. In generale si può dire che gli stimoli che attivano i recettori tonici sono parametri che devono essere monitorati continuamente nell’organismo. I nocicettori in quanto il dolore è un segno di allarme quindi deve persistere fin quando c’è il problema. Gli algocettori ad esempio sono a lento adattamento, in quanto l’informazione che proviene da un eventuale danno tissutale non può e non deve essere ignorata. I recettori a lento adattamento sono capaci di registrare la durata temporale di un dato stimolo, essi scaricano per tutta la durata dello stimolo. Questi recettori sono adatti a codificare l’intensità. o Recettori fasici o a rapido adattamento: segnalano l’inizio dello stimolo e restano silenti per tutto il tempo in cui lo stimolo ha intensità costante. In molti casi segnalano anche la fine dello stimolo. Una volta che si è verificato l’adattamento di un recettore fasico, il solo modo per generare un nuovo segnale è quello di aumentare l’intensità dello stimolo eccitatorio oppure di rimuoverlo completamente così da permettere al recettore di resettarsi. Questo tipo di recettori permette all’organismo di ignorare le informazioni che sono state valutate e che non rappresentano una minaccia per l’omeostasi. Il senso dell’olfatto è un esempio di senso che usa recettori fasici: possiamo sentire l’odore del nostro profumo quando lo mettiamo la mattina, ma nel corso della giornata i nostri recettori olfattivi si adattano e non sono più stimolati dalle molecole del profumo; oppure un determinato odore lo avvertiamo entrando in una stanza e poi, uscendo e rientrando lo si riavverte di nuovo per breve tempo perché questi recettori si adattano tanto facilmente quanto facilmente si disabituano. Sono idonei a codificare la velocità di cambiamento. Alcuni dei recettori del tatto (Meissner e Pacini) sono a rapido adattamento tant‘è che dopo aver indossato qualcosa non ci accorgiamo di averla. Per esempio, indossando un orologio, si sente la pressione da esso esercitata solo all’inizio, poi non più e nel momento in cui lo togliamo sentiamo la privazione di questa leggera pressione. - La localizzazione: indipendentemente dal tipo di recettore, quello che è importante per il recettore è il campo recettivo. Il campo recettivo è quell’area all’interno della quale il recettore risponde allo stimolo. Ogni neurone somatosensoriale risponde alle informazioni dello stimolo soltanto entro una regione circoscritta della superficie cutanea che lo circonda. Minore è il campo recettivo in una regione, maggiore è la sua capacità di discriminazione. Un solo campo recettivo stimolato da due punti viene percepito come un solo punto. Per esempio nel caso del tatto una regione circoscritta del polpastrello; più piccolo è un campo recettivo, maggiore è la sua capacità di discriminazione. Se parliamo di tatto i più piccoli campi recettivi li avremo a livello dei polpastrelli o delle labbra, mentre i recettori del tatto nella zona dorsale hanno campi recettivi più grandi: individuiamo dove è la pressione ma non il punto preciso. Inoltre i campi recettivi piccoli sono più vicini ad un altro campo recettivo più piccolo, quindi ci può essere sovrapposizione di campi recettivi e quindi una maggiore accuratezza di arrivo del segnale al sistema nervoso centrale. 6 Un modo per localizzare lo stimolo è la cosiddetta inibizione laterale che consiste nel fatto che esercitando una pressione in un punto specifico viene stimolato un recettore, ma questa via del recettore stimolato crea dei prolungamenti che vanno ad inibire degli interneuroni circostanti; questo comporta che gli interneuroni circostanti alla zona di entrata dello stimolo sono inibiti, quindi l’inibizione laterale fa esaltare la zona di entrata dello stimolo (attorno al punto di ingresso dello stimolo si crea silenzio, mentre nell’esatto punto di ingresso c’è una esaltazione). Questo tipo di inibizione laterale è particolarmente caricaturale nei fotocettori (cellule ON/OFF, cellule centro ON e centro OFF), proprio perché devono esasperare il processo visivo. I sensi con più inibizione laterale sono il tatto e la vista e permettono localizzazioni più accurate. - La densità d’innervazione periferica è il numero di fibre nervose (quindi di recettori) per unità di area. Classificazione di Erlanger-Gasser e di Lloyd-Hunt I neuroni, dal punto di vista anatomico, possono essere classificati in afferenti, se portano informazioni dalla periferia al sistema nervoso centrale, ed efferenti, se portano informazioni dal sistema nervoso centrale alla periferia. Da un punto di vista fisiologico, vengono classificate per diametro e velocità di conduzione secondo la classificazione di Erlanger-Gasser e di Lloyd-Hunt (solo per le fibre afferenti muscolari): Le fibre con cui viaggia l’elaborato dello stimolo sono diverse: - In genere i propriocettori utilizzano fibre Ia. - I meccanocettori le fibre aβ. - I nocicettori utilizzano sia fibre mieliniche, che fibre C amieliniche. La velocità viene calcolata empiricamente moltiplicando per 6 il diametro della fibra. 7 MECCANISMO DI TRASDUZIONE Il meccanismo che permette la trasduzione degli stimoli meccanici e termici è descritto con la sequenza: stimolo → variazione locale della permeabilità → trasferimento di cariche (corrente generatrice) → depolarizzazione locale (potenziale generatore o potenziale di recettore) → potenziale d’azione presente nelle terminazioni nervose. Si possono avere: - Canali sensibili alla distensione che vengono direttamente attivati da stimoli meccanici. Nelle terminazioni possono essere presenti dei canali sensibili alla distensione. Esempio tipico è dato dal corpuscolo del Pacini, il quale possiede il corpuscolo corticale con il ganglio nella radice dorsale e la fibra rivolta verso la periferia dove si perde la guina mielinica e la terminazione si riveste di strati di tessuto connettivo. Non appena si crea una compressione, gli strati connettivali scivolano e creano una deformazione che determina l’apertura dei canali del Na; il Na entra e si ha la generazione del potenziale di recettore; i potenziali di recettori si sommano e se si raggiunge la soglia, si innesca il potenziale di azione. - Canali legati al citoscheletro e/o alla matrice extracellulare: la tensione tra essi determina l’apertura dei canali, per cui quando c’è la pressione che deforma l’ambiente circostante si ha l’apertura dei canali. - Canali accoppiati a proteine G sono sensibili a stimoli meccanici e la proteina deformata dalla pressione, attraverso meccanismi intermedi, determina l’apertura dei canali. La trasduzione recettoriale può essere considerata come costituita da un insieme di stadi successivi: 1. Il primo elemento è rappresentato dalle strutture perirecettoriali: il loro compito è filtrare gli eventi che intercorrono tra stimolo e recettore. 2. Il secondo elemento della catena, è la trasduzione, ovvero, la genesi della corrente generatrice ad opera di terminazioni nervose, cellule recettoriali, e fotorecettori. Negli ultimi due casi, vi è interposta una sinapsi (recettori di II e III tipo) tra secondo e terzo elemento della catena. Uno stimolo sopraliminare, determina una variazione del potenziale di membrana del recettore, questa variazione prende il nome di potenziale generatore (Recettori di tipo I) o potenziale di recettore (Recettori di II e III tipo). 8 L’ampiezza del segnale è proporzionale all’intensità dello stimolo. 3. Il terzo elemento è rappresentato dall’azione codificante della cellula gangliare la quale trasforma la corrente generatrice in potenziale d’azione. 4. L’ultimo elemento della catena, è rappresentato dagli assoni; essi, permettono la conduzione a distanza degli impulsi. 9 2. SOMESTESIA Il sistema somestesico rileva, trasporta ed elabora le informazioni che provengono dal corpo, sia dalle parti profonde (organi interni con le loro membrane di rivestimento, i muscoli, le articolazioni, il tessuto connettivo) che delle parti superficiali (cute). Le sensazioni somatiche e viscerali che provengono da questi distretti sono molteplici e complesse e vanno sotto il nome di somestesia o sensibilità somatica. La sensibilità tattile permette di identificare e descrivere proprietà elementari degli stimoli cutanei. Tutte le caratteristiche sono combinate a livello centrale per dare luogo alla percezione di forma e posizione e caratteristiche degli oggetti che vengono a contatto con la superficie corporea (stereognosia). Esistono diverse submodalità sensoriali: tatto superficiale, pressione, prurito, solletico, flessione dei peli, vibrazione e stiramento. Si distinguono due tipi di sensibilità tattile: - Sensibilità tattile epicritica: molto efficiente sul piano della descrizione dello stimolo, ma senza coinvolgimenti emotivi. Esistono due forme di sensibilità epicritica: o tattile o propriocettiva. La sensibilità propriocettiva rende consapevoli istante per istante della posizione delle parti del corpo sia che siano ferme sia che siano in movimento. - Sensibilità tattile protopatica: pessima capacità descrittiva, ma grande coinvolgimento emotivo. I recettori più superficiali sono: - Corpuscoli di Meissner o corpuscoli tattili; sono recettori a rapido adattamento e sono delle terminazioni nervose specializzate presenti in fondo alle papille dermiche; sono costituiti da 2-6 terminazioni nervose che formano dei dischi sovrapposti e sono molto concentrati nei polpastrelli con campi recettivi piccoli e hanno un’alta densità di innervazione rispetto ai dischi di Merkel. - Dischi del Merkel, sono recettori a lento adattamento e hanno una acuità maggiore; sono terminazioni nervose ramificate di una fibra afferente di grosso calibro che perdono la guaina mielinica e hanno la forma di dischi. Ogni terminazione prende contatto con cellule globose che si comportano come recettori specifici e hanno un’elevata selettività spaziale; sono quindi molto più discriminanti rispetto ai corpuscoli di Meissner. 10 I recettori più profondi sono: - Corpuscoli del Pacini o corpuscoli lamellari sono recettori a rapido adattamento. Hanno un aspetto caratteristico con una capsula a strati concentrici a buccia di cipolla. Si tratta di terminazioni prive di guaina mielinica che si circondano di strati connettivali. A causa della pressione gli strati connettivali scivolano l’uno sull’altro e si crea una deformazione che determinata l’apertura di specifici canali. Questi recettori sono responsabili di una sensibilità dinamica, rispondendo solo quando lo stimolo viene applicato e rimosso. Hanno una soglia molto bassa. - Corpuscoli del Ruffini sono recettori a lento adattamento. Sono singole fibre nervose che terminano in strutture capsulari fusiformi ripiene di liquido di tessuto connettivale. Sono molto grandi tanto che possono misurare anche 1 mm. Sono simili ai recettori presenti nei tendini (organo muscolotendineo del Golgi). Rispondono per tutto il tempo al grado di stiramento. Nella cute provvista di peli esiste un diverso recettore tattile, a rapido adattamento, ovvero l’organo terminale pilifero: una fibra nervosa che si avvolge a manicotto intorno alla radice del pelo. Ogni volta che il bulbo pilifero è messo in trazione si attiva la fibra nervosa e parte uno stimolo sensoriale che arriva al sistema nervoso centrale. Questi sono i recettori più sensibili alla deformazione cutanea. Ogni volta che il bulbo pilifero è messo in trazione si attiva la fibra nervosa e parte uno stimolo sensoriale che arriva al sistema nervoso centrale. Questi sono i recettori più sensibili alla deformazione cutanea. 11 MECCANOCEZIONE Il tatto è rappresentato dalla meccanocezione superficiale, vale a dire della rilevazione di stimoli meccanici applicati alla cute da parte di recettori localizzati nella cute stessa. La meccanocezione si caratterizza per tre qualità: pressione (intensità e tempo), velocità e vibrazione (accelerazione). La meccanocezione permette di porre il corpo in relazione con l’ambiente esterno, di esploralo attivamente e di riceverne passivamente le informazioni. Nell’uomo la parte di elezione per questa modalità del sistema somestesico è la mano, la parte del corpo che permette di esplorare il mondo circostante e di riconoscere gli oggetti; nel topo, invece, questa funzione è svolta principalmente attraverso le vibrisse. La capacità meccanocettiva dell’uomo può essere espressa definendo in termini quantitativi la soglia di riconoscimento di uno stimolo e la capacità di discriminare tra due stimoli che differiscono nell’intensità, nello spazio e nel tempo. La soglia è la quantità di energia minima che deve possedere uno stimolo per determinare una deformazione della cute tale da generare un’esperienza cosciente. È tipicamente influenzata da fattori emozionali e cognitivi. Per questa ragione viene anche definita come soglia assoluta, soglia percettiva, soglia psicologica. È determinata misurando la probabilità che un soggetto rilevi una serie di stimoli della stessa qualità ma di diversa intensità; il valore che corrisponde al 50% di risposte positive è considerato il valore soglia. 12 Si distingue: - Soglia sensoriale: intensità minima dello stimolo capace di indurre una sensazione. - Soglia differenziale: la più piccola variazione d’intensità che può essere percepita. La soglia varia nelle diverse parti del corpo: è più bassa nelle labbra e nelle regioni periorali, seguite dalla mano; è invece più alta nel dorso e negli arti inferiori. Non esistono differenze nei due emicorpi. Le differenze della soglia sono correlate a differenze nella densità dell’innervazione periferica. Nella psicofisica della meccanocezione si definisce anche la soglia fisiologica, ovvero la soglia per l’attivazione delle fibre afferenti e quindi dei recettori. Le soglia fisiologica e la soglia assoluta corrispondono nel caso in cui vengano studiate le regioni cutanee ad elevata densità di innervazione periferica come le labbra e i polpastrelli; in queste zone l’attivazione di un meccanocettore è sufficiente a determinare la percezione dello stimolo. Nelle altre regioni cutanee le due soglie non corrispondono e quindi si devono sommare le attività evocate da più meccanocettori per determinare la percezione. La misura della soglia sensoriale fornisce importanti informazioni sull’integrità del sistema sensoriale, in quanto un suo marcato innalzamento è generalmente segno di alterazioni patologiche a carico delle componenti periferiche e/o centrali. Nel caso del sistema uditivo, il più comune test clinico, ovvero l’audiometria, si basa sul confronto tra le soglie per diverse frequenze di stimoli sonori riscontrate in un determinato paziente e le corrispondenti soglie rilevate nella popolazione. La discriminazione dell’intensità è anch’essa una funzione variabile in relazione alle diverse regioni cutanee. Per i polpastrelli delle dita dei primati essa è correlata pressoché linearmente al grado di infossamento della cute; l’incremento minimo di intensità percepibile è di circa 10%-15%. Nelle altre regioni corporee la relazione non è lineare. Un’importante funzione del sistema meccanocettivo è la discriminazione spaziale, per esempio per il riconoscimento preciso della localizzazione del punto di cute stimolatore per l’identificazione di due stimoli come distinti applicati a due punti separati sulla cute. La discriminazione spaziale permette di identificare la posizione ed il movimento della sorgente di stimolazione; questa capacità è sviluppata in particolar modo nel sistema visivo ma la ritroviamo anche nel sistema somatosensoriale, infatti, in quest’ultimo caso, ci permette di identificare il punto della superficie corporea in cui nasce uno stimolo. La discriminazione dipende dalla grandezza dei campi recettivi, se sono parzialmente sovrapposti o meno, se c’è inibizione laterale, se le fibre sono a rapida azione. La soglia per la discriminazione di due punti come tali definisce l’acuità tattile, nel senso che minore è la distanza alla quale due punti vengono percepiti come tali e maggiore è l’acuità. La maggiore acuità tattile la si ritrova a livello delle dita della mano, nel palmo della mano, nelle zone del volto, mentre nel braccio l’acuità è minore. L’acuità dei recettori tattili è soggetta a fenomeni di 13 plasticità, i quali si sviluppano particolarmente nella corteccia (lo spiegherà successivamente). Fenomeni di plasticità dell’organizzazione corticale possono influenzare la capacità discriminativa La soglia dei recettori nei non vedenti che utilizzano i polpastrelli sarà molto bassa (nei non vedenti la soglia di discriminazione tattile è del 50% inferiore) e questa capacità si sviluppa con l’esercizio tanto che anche i vedenti che li usano per mestiere hanno una maggiore acuità nei polpastrelli. I polpastrelli sono tra le regioni più sensibili per cui la soglia sensoriale è sovrapponibile alla soglia recettoriale (soglia assoluta). Le fibre connesse a questi recettori, generando potenziali di azione, sono in grado di provocare l’attivazione della corrispondente corteccia somatosensoriale primaria. Nel palmo della mano, la soglia sensoriale è decisamente superiore a quella recettoriale: è necessario che più fibre siano attivate (e lo stimolo più intenso) per attivare la via ascendente. Un mosaico recettoriale periferico costituito da un maggior numero di tessere di minore dimensione consente una migliore capacità discriminativa. Le zone del dorso hanno acuità minore rispetto alle dita e ciò dipende anche dai fenomeni di convergenza e divergenza a livello del midollo spinale perché la pelle della schiena ha una convergenza sui neuroni del corno dorsale più spiccata rispetto a quei campi recettivi che vanno ognuno verso il proprio neurone nel corno dorsale, quindi non c’è convergenza e c’è una maggiore discriminazione e acuità. Dove c’è convergenza ci sono meno neuroni per rappresentare parti della cute e quindi c’è una bassa discriminazione, al contrario dove c’è una bassa convergenza sono richiesti molti neuroni per rappresentare un’area cutanea e quindi c’è alta discriminazione. Per quanto riguarda la discriminazione temporale, questa è la capacità di determinare le caratteristiche temporali degli stimoli; diversi sistemi sensoriali mostrano un adattamento della risposta allo stimolo in base alla durata dello stimolo stesso. Questo adattamento è di grande rilevanza per quanto riguarda la sensazione termica, stimoli gustativi ed olfattivi; infatti, se ad esempio uno stimolo olfattivo perdurasse nel tempo, avremo il fenomeno dell’assuefazione; l’unico sistema che fa eccezione in tal senso, è la sensibilità dolorifica. 14 3. PROPRIOCEZIONE La propriocezione comprende tre qualità: il senso di posizione, il senso di movimento (cinestesia), il senso di forza delle varie parti del corpo. La propriocezione mette in relazione il corpo con l’ambiente esterno e le differenti parti del corpo le une rispetto alle altre. Attraverso la propriocezione si è in grado di sapere dove si posizionano gli arti nello spazio, quanta forza viene esercitata nel sollevare un peso, a che velocità viene mosso un arto. La soglia per il riconoscimento del movimento articolare varia nelle diverse regioni: è inferiore nel caso delle articolazioni prossimali, è maggiore per le articolazioni distali. I recettori deputati alla propriocezione sono: - I fusi neuromuscolari, a lento o a rapido adattamento, le cui fibre afferenti sono di tipo Ia e II. Informano costantemente il sistema nervoso sulla lunghezza del muscolo e sulla velocità della variazione della lunghezza del muscolo. Hanno una disposizione adatta allo svolgimento di queste funzioni perché si trovano nelle fibre intrafusali (che costituiscono il fuso neuromuscolare che è un recettore) e sono disposti in parallelo rispetto alle fibre extrafusali, seguendone esattamente l’andamento. Le fibre intrafusali hanno un’innervazione sia sensitiva che motoria, perché devono sia raccogliere che rispondere al comando motorio. Esistono due tipi di fibre intrafusali: o A sacco nucleare hanno una estremità simile a quelle a catena nucleare e una regione centrale dilatata e ricca di nuclei. Questo influenza la capacità di essere meno resistenti ai cambiamenti, infatti la parte centrale è più sensibile alle modifiche di lunghezza. o A catena nucleare, presentano una distribuzione nucleare allungata, concentrata nella regione equatoriale ma estesa alla periferia. Sono più corte e più sottili rispetto quelle a sacco. Dal punto di vista fisiologico si distinguono: o Fibre sensitive che traferiscono al midollo spinale informazioni sullo stiramento del fuso. Possono essere distinte in: ▪ Fibre di tipo Ia a conduzione veloce, dette anche primarie o anulospirali. Sono fibre Aα, mieliniche ad elevata velocità (70-120 m/s), si avvolgono a spirale attorno entrambi i tipi di fuso e sono deputate a dare informazioni sulla componente statica e sulla componente dinamica del muscolo (misurano il grado di allungamento del muscolo e la velocità di stiramento con frequenza di scarica, tanto più elevata quanto più elevata è la velocità di stiramento). La risposta dinamica viene rilevata principalmente dalle fibre a sacco nucleare, proprio per la differenza di viscosità della parte centrale. La porzione polare, contrattile ha viscosità maggiore rispetto alla porzione centrale (sensoriale). Se la fibra viene stirata lentamente la resistenza viscosa resta bassa e l’allungamento si distribuisce a tutta la lunghezza della fibra; se viene stirata 15 rapidamente le porzioni polari oppongono una resistenza allo stiramento maggiore e l’allungamento è maggiormente a carico della porzione centrale. ▪ Fibre di tipo II a conduzione più lenta; sono dette anche secondarie. Sono fibre Aβ, mieliniche e hanno una velocità minore (30-60 m/s) e sono maggiormente dirette alle fibre a catena nucleare. Danno luogo soltanto a risposte di tipo statico sul grado di allungamento del muscolo. Le fibre a catena nucleare statiche non hanno disomogeneità di viscosità per cui non sono sensibili alla velocità dell’allungamento. o Fibre motorie, rispondono ai comandi motori provenienti dal midollo spinale e che devono arrivare al fuso determinando l’accorciamento delle fibre intrafusali del muscolo. Necessarie per mantenere il fuso alla stessa lunghezza della fibra muscolare extrafusale striata cosicché i recettori possono costantemente rilevare le variazioni di lunghezza. Si distinguono: ▪ Fibre motorie γ-statiche, le quali sono dirette ad entrambe, ma soprattutto alle fibre intrafusali a catena nucleare. ▪ Fibre motorie γ-dinamiche, le quali sono dirette solo alle fibre intrafusali a sacco nucleare. È importante che le fibre intrafusali abbiano un andamento motorio uguale alle fibre extrafusali: se non si accorciassero le fibre intrafusali, in base all’accorciamento delle fibre extrafusali, non sarebbero più sensibili alle variazioni di lunghezza e si andrebbero a detendere e i potenziali di azione dei fusi si ridurrebbero. Nel midollo spinale si distinguono due tipi di motoneuroni che danno il comando motorio: gli α-motoneuroni che attivandosi, accorciano il muscolo agendo sulle fibre extrafusali e si distende la porzione centrale dei fusi; i γ-motoneuroni la cui attivazione permette di adeguare la lunghezza della porzione centrale delle fibre intrafusali, permettendo ai recettori di continuare a segnalare la lunghezza del muscolo anche durante la contrazione). - Gli organi tendinei del Golgi, a lento adattamento, le cui fibre afferenti sono di tipo Ib, si trovano in corrispondenza della giunzione tra le fibre muscolari e il tendine; segnalano al sistema nervoso quando la tensione sviluppata dal muscolo è eccessiva. Ogni fascio tendineo è composto da filamenti più sottili intrecciati. Se il tendine viene stirato lo spazio fra i filamenti diminuisce e la terminazione nervosa viene deformata meccanicamente, determinandone l’attivazione. La loro disposizione è in serie rispetto alle fibre muscolari scheletriche, quindi più il tendine subisce una tensione più vengono schiacciate e quindi più vengono stirati, più aumenta la frequenza di scarica. - I recettori articolari, a rapido adattamento. - Altri propriocettori sono: o Localizzati nelle capsule articolari e rilevano l’angolazione delle articolazioni: Recettori simili ai corpuscoli di Pacini e di Ruffini, ma anche terminazioni nervose libere. 16 o Recettori tattili che rilevano la deformazione della cute: Dischi di Merkel e Corpuscoli di Ruffini. Per esempio: recettori nella pianta del piede per i riflessi posturali. Come viaggia l’informazione propriocettiva? Indipendentemente dal tipo di recettore, il soma (sia che ha avuto contatto con la cellula specializzata o che sia la terminazione stessa a fungere da recettore) si trova nel ganglio della radice dorsale, poi prende contatto a livello del midollo spinale e poi inizia la via di conduzione del segnale. Questo meccanismo prende il nome di sistema delle colonne dorsali (lemnisco mediale) e trasmette alla corteccia le informazioni di tipo epicritico, cioè altamente definite con un’elevata capacità discriminativa sia dal punto di vista spaziale che quantitativo. Questo tipo di via ascendenti trasmettono la sensibilità tattile e propriocettiva proveniente dal terzo posteriore della testa e del corpo. Il territorio cutaneo innervato dalle fibre afferenti che entrano nel midollo spinale attraverso una radice dorsale viene definito dermatomero. Il concetto di dermatomero è importante sia dal punto di vista funzionale che clinico. I dermatomeri sono distretti corporei identificati sulla base dell’innervazione somatosensoriale, cioè dalle fibre che entrano in una radice posteriore del midollo spinale. Le informazioni tattili e propriocettive che provengono: - Dal territorio orofacciale raggiungono i nuclei del nervo trigemino (V paio): o Due nervi trigeminali: trasmettono la sensibilità somatica della maggior parte del volto e del cuoio capelluto; o I nervi facciale, glossofaringeo e vago trasmettono la sensibilità del resto del volto e della cavità orofaringea. - Dal collo, dalle spalle e da gran parte degli arti superiori sono innervati dai segmenti cervicali del midollo spinale; - Parte mediale degli arti superiori, torace e addome innervati dai segmenti toracici; - Bacino ed arti inferiori, innervati dai segmenti lombari; - Genitali e perineo, innervati dai segmenti sacrali; I neuroni sensoriali primari si trovano nel ganglio semilunare di Gasser (o trigeminale) e i loro assoni periferici innervano la parte superiore del volto tramite il nervo oftalmico, la parte media tramite il nervo mascellare e la parte inferiore tramite il nervo mandibolare. Sindrome di Brown-Sequard: in questa condizione, nota anche come Sindrome da emisezione del midollo spinale, perché è dovuta alla sezione parziale (destra o sinistra) del midollo spinale, si verifica una dissociazione della sensibilità tattile propriocettiva e termodolorifica dovuta al fatto che nel midollo spinale le vie tattili propriocettive viaggiano ipsilateralmente, mentre quelle termodolorifiche viaggiano controlateralmente. Se, per esempio, si verifica un’emisezione della parte sinistra del midollo spinale toracico, l’arto inferiore sinistro perderà la sensibilità tattile propriocettiva e manterrà quella termodolorifica, mentre il contrario si verificherà per l’arto inferiore destro. 17 Nel midollo spinale c’è una ben precisa organizzazione somatotopica: le varie parti del corpo sono ordinatamente rappresentate nelle varie zone, per esempio nelle colonne dorsali la parte sacrale è più mediale, mentre nelle zone più laterali entrano le parti lombari, toraciche e cervicale (somatotopia in direzione medio-laterale, opposta nel talamo dove abbiamo che le porzioni rostrali del corpo sono rappresentati nell’area mediale, mentre le porzioni più caudali sono rappresentanti nell’area laterale). Le colonne dorsali possono essere suddivise nei fascicoli gracile e cuneato: - Il fascicolo gracile è costituito dalle fibre afferenti primarie originate dai recettori dell’estremità inferiore e della porzione caudale del tronco e pertanto è presente a tutti i livelli spinali; - Il fascicolo cuneato comprende quelle fibre originate dai recettori dell’estremità superiore e dalla porzione rostrale del tronco. Le colonne dorsali si interrompono nel bulbo dove stabiliscono contatti sinaptici con neuroni del nucleo gracile e nucleo cuneato. I neuroni decussano a livello del bulbo e si riuniscono nel lemnisco mediale che prosegue fino al talamo. La principale stazione talamica della sensibilità somestesica è il complesso ventrale posteriore, anatomicamente suddiviso in: - Nucleo ventrale posterolaterale, dove terminano gli assoni del lemnisco mediale originati dai neuroni di proiezione dei nuclei gracile e cuneato; - Nucleo ventrale posteromediale, dove terminano le fibre trigeminotalamiche originate dal nucleo principale del nervo trigemino e dal nucleo spinale del nervo trigemino. - Nucleo ventrale posteroinferiore Nel complesso ventrale posteriore i neuroni che rispondono alla stimolazione di una regione dell’emicorpo controlaterale sono segregati rispetto a quelli che rispondono alla stimolazione di altre regioni corporee. Nel nucleo ventrale posteromediale, la rappresentazione della bocca è situata medialmente, seguita da quella delle regioni cutanee della faccia e del collo, mentre nel nucleo ventrale posterolaterale la rappresentazione della mano è posta medialmente, seguita da quella del braccio, del tronco e dell’arto inferiore. Il complesso ventrale posteriore proietta a due regioni della corteccia cerebrale: l’area somestesica primaria e l’area somestesica secondaria. La corteccia somatosensoriale elabora informazioni riguardanti la sensibilità somestesica e la sensibilità propriocettiva. Ci sono tre regioni deputate all’elaborazione somestesica: S1, S2 e corteccia parietale posteriore: - L’area somestesica primaria (S1) è situata nella circonvoluzione postcentrale del lobo parietale e nel banco posteriore del solco centrale. Riceve la maggior parte delle proiezioni in direzione talamo-corticali. Si occupa di riconoscere il tipo di superficie, di forma e 18 dimensione e del riconoscimento globale degli oggetti. È suddivisa in quattro aree citoarchitettoniche (area 1, area 2, area 3a e area 3b secondo la classificazione di Brodmann): o Area 1, riceve input dalle afferenze fasiche (Meissner e piliferi). Riconoscimento dei materiali. o Area 2, riceve input dalle afferenze toniche (Ruffini). Riconoscimento delle dimensioni e forma degli oggetti. o Area 3a, risponde soprattutto a stimoli propriocettivi dei muscoli e dei tessuti profondi. o Area 3b, risponde soprattutto a stimoli tattili sia di recettori a lento che a rapido adattamento. Le aree 3a e 3b si occupano dell’iniziale elaborazione corticale dell’informazione tattile e propriocettiva e poi inviano alle aree di ordine superiore: area 1 e area 2. L’area 1 e l’area 2 sono più aree di raccolta di un elaborato, tanto che se si hanno dei danni nelle aree 3a e 3b si ha un’incapacità di elaborazione di uno stimolo, mentre i danni che riguardano le aree 1 e 2 comportano il non avere una visione globale (per esempio della forma dell’oggetto o dell’acquisizione nello spazio). - L’area somestesica secondaria (S2) riceve proiezioni dal complesso ventrale posteriore e dall’area somestesica primaria. Si trova nella parte più bassa del lobo parietale, area 40 di Brodmann. Riceve informazioni da diverse aree, sia dall’area somestesica primaria che da altre aree sensoriali (visiva e uditiva) e invia proiezioni ad aree corticali coinvolte nella memoria tattile. In base allo stimolo che si riceve questo va integrato con altre informazioni, come quelle visive, uditive, ecc.… - Un’altra area deputata a questa integrazione è la corteccia parietale posteriore, la quale si trova posteriormente all’area somestesica primaria e comprende l’area 5 e l’area 7 di Brodmann ed è interconnessa tramite il corpo calloso alla corteccia parietale posteriore controlaterale. È definita anche associativa perché svolge funzioni di integrazione tra diverse modalità sensoriali e tra funzioni sensoriali e motorie e quindi ha una funzione ancora più elevata nell’integrazione delle informazioni con le altre parti della corteccia. L’informazione somatosensoriale è quindi mandata all’area 5 della corteccia associativa parietale, dove la composizione e la forma vengono combinate per permettere una identificazione dell’oggetto. È stata fatta una rappresentazione dell’area somestesica: l’omuncolo sensitivo che rappresenta la corteccia somestesica e le varie regioni del corpo di dimensioni differenti. La zona delle labbra e le zona della mano (soprattutto il pollice) sono molto rappresentate a causa dell’elevato numero di recettori e dell’elevata sensibilità presente in queste zone. Ogni regione nella corteccia somatosensoriale riceve input somestesici e propriocettivi da un’area specifica del corpo: l’organizzazione somatotopica della corteccia somatosensoriale primaria (“omuncolo sensoriale”) corrisponde con precisione alla densità di innervazione. 19 Da questo esperimento si evince come diverse aree della corteccia sono accese durante lo svolgimento di un compito. In questo esperimento, durante l’abbassamento di una leva si crea una vibrazione nel polpastrello dell’arto della scimmia e facendo una mappatura funzionale con risonanza magnetica si vede che anche altre parti sono in attività, non solo l’area somatosensoriale primaria e secondaria, ma anche la corteccia frontale. La corteccia frontale si attiva perché riesce anche ad essere predittiva riguardo quello che si deve svolgere, di quello che sta per raccogliere come stimolo; infatti dalle risposte si ha che la corteccia S2 è predittiva limitatamente alla stimolazione (cioè durante la stimolazione riesce ad essere predittiva, a differenza della corteccia S1 che si occupa della raccolta dello stimolo così com’è); la corteccia frontale è predittiva anche durante l’intervallo tra la presentazione dello stimolo e l’inizio dell’attività. Questo significa che la corteccia frontale si mantiene attiva perché associa anche un discorso di memoria, di connessione. Un altro aspetto importante è la plasticità: nella corteccia la plasticità è molto spiccata e dipende dall’uso; per esempio se si ha un’amputazione del terzo dito, viene a mancare l’area deputata all’elaborazione degli stimoli raccolti a livello del terzo dito, la corteccia subisce una riorganizzazione per cui le altre aree si sono allargate occupando lo spazio della corteccia deputato all’organizzazione di quei segnali. Al contrario, se per esempio si ha un utilizzo maggiore del secondo e del terzo dito si allarga lo spazio della corteccia dedicato alla raccolta degli stimoli (questo lo si vede anche nella 20 corteccia motoria; per esempio nel pianista, a causa dei movimenti molto precisi e dettagliati, si può osservare come la corteccia sia soggetta a questi fenomeni plastici). Tuttavia bisogna considerare che la riorganizzazione funzionale non è del tutto precisa, per esempio nel caso della sindrome dell’arto fantasma (dopo l’amputazione di un arto, il soggetto avverte il dolore nell’arto mancante; questo è un difetto delle zone circostanti). 21 FISIOLOGIA II Lezione 2, 11/10/2022 4. TERMOCEZIONE La termocezione si definisce come la percezione cosciente della temperatura esterna e rappresenta la modalità sensoriale attraverso la quale si percepiscono il caldo e il freddo. A livello cutaneo esiste un intervallo di temperature comprese tra 31 e 36 °C, definito come zona di neutralità termica. Esse non evocano alcuna sensazione, né di caldo né di freddo. Al di sopra dei 36 °C compare una sensazione di caldo, fino ad arrivare a circa 43 °C, quando si percepisce una sensazione dolorosa. Al di sotto dei 31 °C compare una sensazione di freddo, fino ad arrivare a 14 °C, che rappresenta il punto in cui si manifesta il dolore da freddo. Dunque, per temperature inferiori a 14 °C o superiori a 43 °C si attivano rispettivamente nocicettori termici per il freddo e per il caldo. TERMOCETTORI I termocettori quindi si distinguono in recettori per il freddo e recettori per il caldo. I recettori per il freddo presentano fibre afferenti primarie di tipo Aδ, mentre i recettori per il caldo fibre afferenti primarie di tipo C. Il picco massimo di scarica per i recettori del caldo si ha a circa 43 °C mentre la massima attività per i recettori del freddo si ha 27 °C. In genere i recettori termici per il freddo sono silenti alle temperature alte (superiori a 40 °C) ma può capitare che una temperatura al di sopra dei 43 °C provochi una loro attivazione transitoria. Questo fenomeno sta alla base della sensazione di “freddo paradosso”, che è appunto un evento transitorio, destinato a risolversi rapidamente. I recettori per il freddo sono da 3 a 10 volte più numerosi rispetto a quelli per il caldo (in genere da 15 a 25 recettori per cm2 sulle labbra; fino a 5 recettori per cm2 nelle punte delle dita e 1-2 recettori per cm2 nel resto del tronco). L’attivazione di tali recettori dipende molto dalla temperatura iniziale e anche dalle variazioni di temperatura. La velocità con cui la temperatura esterna aumenta o diminuisce è cruciale. Per variazioni che siano < 0,1°C/s, aumenta molto la soglia (in maniera più evidente per il caldo). Per variazioni più veloci di 0,1°C/s la percezione di caldo o freddo viene avvertita più distintamente, cioè la soglia si abbassa notevolmente. Relativamente ai limiti entro cui una stimolazione termica produce effetti, è fondamentale l’estensione cutanea interessata (una cosa è mettere un dito sulla fiamma di una candela, un’altra è invece se quel calore interessa l’intera superficie cutanea). Dunque, l’estensione fa la differenza perché giungono più potenziali d’azione contemporaneamente e quindi la percezione è molto più elevata. 22 Un altro punto importante da considerare è la risposta fasica, perché tali recettori sono molto sensibili alle variazioni di temperatura. Quando la temperatura si sta abbassando, il soggetto avverte molto più freddo di quanto potrebbe avvertire ad una temperatura uguale ma costante. Ad esempio, quando usciamo da una vasca da bagno riempita con acqua calda, avvertiamo subito molto freddo. Dopodiché ci adattiamo. Allo stesso modo sentiamo molto più freddo se passiamo da una stanza calda e usciamo fuori al freddo. Se siamo invece già fuori, esposti al freddo in maniera costante, ci adattiamo più facilmente. CANALI COINVOLTI NELLA TERMOCEZIONE I recettori coinvolti nella termocezione sono i recettori-canale TRP (Transient Receptors Potential Channels). Essi rappresentano una famiglia piuttosto varia di canali ionici polivalenti in grado di essere attivati da una varietà di stimoli, tra cui molti agonisti, oltre che dalle variazioni di temperatura. Sono distinti in 3 classi: A, V e M. Si distinguono diversi membri per ogni famiglia, indicati da numeri. - I TRPV 1-4 rispondono all’esposizione al caldo. - TRPA1 e TRPM8 rispondono al freddo. Tali recettori vengono attivati anche da agonisti. Ad esempio, TRPV1 è sensibile a composti chimici come la capsaicina (presente nel peperoncino piccante). Tale stimolazione produce infatti una sensazione di caldo. Allo stesso modo, TRPM8 è sensibile al mentolo, infatti percepiamo una sensazione di freddo quando assaggiamo una caramella al mentolo. Il meccanismo alla base del funzionamento di questi recettori canale è che le variazioni di temperatura modificano la sensibilità al voltaggio, innescando delle correnti cationiche entranti. Esse poi vengono trasmesse utilizzando le stesse vie di trasmissione dei nocicettori (trattate più avanti). Sono presenti dei termocettori anche nell’ipotalamo. Quest’ultimo rappresenta un centro di omeostasi per la termoregolazione. Funge da termostato per il check-point della temperatura ed è più sensibile, per quanto riguarda i suoi termocettori, al caldo. Infatti, i più rappresentati sono proprio i recettori per il caldo all’interno dell’ipotalamo. Esso viene stimolato dall’abbassamento o innalzamento della temperatura nelle condizioni febbrili. 23 5. DOLORE Il dolore, a differenza delle altre modalità sensoriali, è un fenomeno più complesso, che comporta non soltanto la trasduzione di input esterni, che provocano una sensazione dolorifica, ma anche un coinvolgimento di tipo emotivo e cognitivo. Esso è una vera e propria funzione fisiologica dell’organismo, che ha lo scopo di difendere da stimoli nocivi che si trovano nell’ambiente. La dimostrazione più chiara dell’importanza del dolore come funzione fisiologica dell’organismo è data da una neuropatia ereditaria rara, chiamata insensibilità congenita al dolore. I bambini affetti da questa patologia non avvertono dolore e, quindi, sono frequentemente soggetti a mutilazioni di parti del corpo dovute al contatto con stimoli dannosi, come ad esempio un fornello acceso; a volte avvengono delle vere e proprie mutilazioni: il bambino si mangia le unghie e le dita senza avvertire alcuna sensazione dolorifica. Inoltre, non riescono a rispondere a problemi di natura infiammatoria o non riescono a percepire ferite di tipo interno. La difficoltà di regolazione dei comportamenti idonei al contesto può portare il soggetto a contrarre traumi o malattie che vengono riconosciuti con difficoltà a causa proprio della mancanza di dolore. Sono dunque soggetti molto fragili e sottoposti ad un enorme pericolo. La sensibilità dolorifica sta alla base del “sistema d’allarme” dell’organismo ed è fondamentale perché è coinvolta nel riconoscimento dei segnali innocui da segnali pericolosi. Il dolore appartiene alla sensibilità protopatica e comporta quindi una scarsa capacità descrittiva ma un violento coinvolgimento emotivo. In generale si parla di dolore quando si considera l’esperienza globale, risultante dalla somma dei segnali provenienti dal tessuto danneggiato e dai fattori psicologici che li modulano. Diversamente, si parla di nocicezione per descrivere tutti i processi di trasduzione bioelettrica a livello dei recettori dolorifici (nocicettori) e tutti gli eventi nervosi di conduzione dei segnali dalla periferia ai centri superiori. In altre parole, mentre la nocicezione si riferisce a ciò che fa parte della fisiologia oggettiva, il termine dolore fa riferimento alla fisiologia oggettiva più quella soggettiva, cioè all’esperienza globale di sofferenza. CLASSIFICAZIONE DEL DOLORE Un’importantissima classificazione sia fisiologica che clinica riguarda i meccanismi d’insorgenza del dolore. - Con il termine dolore nocicettivo s’intende quello evocato dalla stimolazione diretta dei nocicettori e dalla conseguente attivazione delle fibre afferenti primarie. Il neurone sensoriale primario prende contatto con il midollo spinale. In questo tipo di dolore sono coinvolti i nocicettori superficiali, sparsi nella cute e nelle mucose, ma anche quelli di tipo profondo, che si trovano nelle ossa, nei muscoli o nei visceri (come nel caso, ad esempio, della peritonite); - Con il termine di dolore neuropatico s’intende quello prodotto dal danno a diversi livelli del sistema nervoso centrale e periferico (quindi lesione diretta delle fibre 24 nervose). È quindi un dolore che insorge in seguito alla lesione di un tronco nervoso periferico o del midollo spinale o dell’encefalo. Il dolore neuropatico si distingue quindi in periferico (ad esempio i processi di demielinizzazione), centrale (dovuto ad un danno al SNC, come il dolore post-ictus) e misto (come la nevralgia post-erpetica); - Con il termine di dolore psicogeno ci si riferisce alla sfera della psiche. Può essere circoscritto, come nel caso della tensione muscolare, o può essere plurifocale, come nel dolore allucinatorio. Sulla base del luogo d’insorgenza, il dolore può anche essere suddiviso in somatico e viscerale: il dolore proveniente dalla cute viene detto somatico superficiale; quello proveniente dai muscoli, dalle ossa e dalle articolazioni e dal tessuto connettivo viene detto somatico profondo; quello proveniente dagli organi interni viene detto viscerale. Un esempio di dolore somatico superficiale è un’ustione cutanea, di dolore somatico profondo è un crampo muscolare e di dolore viscerale è una colica renale. NOCICETTORI (NEURONI SENSORIALI PRIMARI) I recettori responsabili dell’inizio dell’informazione dolorosa a livello periferico si chiamano nocicettori e sono rappresentati da terminazioni nervose libere localizzate nella maggior parte delle diverse parti del corpo. I nocicettori sono le terminazioni delle fibre afferenti primarie che portano i segnali nocicettivi al midollo spinale. Sono localizzati praticamente in tutti i tessuti dell’organismo e rispondono a stimoli che causano danno reale o potenziale ai tessuti. La caratteristica morfologica saliente dei nocicettori è la mancanza di strutture corpuscolate. Ciò si traduce nel fatto che essi non possiedono o possiedono in misura limitata barriere che prevengano il contatto con sostanze chimiche presenti nel liquido extracellulare. Nello specifico i recettori di tipo C non le presentano, mentre i recettori di tipo Aδ le possiedono in misura limitata. Questa peculiarità è alla base del meccanismo della trasduzione degli stimoli nocivi, che si basa sul danno tessutale provocato dalla liberazione di alcune sostanze che determinano l’attivazione o la sensibilizzazione dei nocicettori direttamente, per esempio gli ioni potassio, la bradichinina e alcune prostaglandine, o indirettamente, per interazione con altre molecole del liquido extracellulare. I nocicettori si distinguono in: - meccanici, che rispondono a stimoli pressori di elevata intensità, e meccano-termici (che scaricano a temperature > 45 o < 5 °C). Esse sono scariche veloci date da fibre di tipo Aδ; - polimodali, che rispondono a varie tipologie di stimoli, ovvero pressori, chimici e termici. In questo caso si parla di fibre di tipo C; - silenti, ovvero nocicettori con soglia normalmente alta ma che viene abbassata ad esempio da processi infiammatori e da varie sostanze chimiche. Si trovano generalmente nei visceri. 25 FIBRE AFFERENTI PRIMARIE Esistono due tipi di fibre afferenti primarie: di tipo C e di tipo Aδ. Le fibre C sono di piccolo diametro e amieliniche e la loro velocità di conduzione è bassa (circa 0,5-2 m/s). Queste fibre sono attivate principalmente da una classe di recettori chiamati polimodali, in quanto attivati da tre modalità (meccanica, termica e chimica). La risposta di queste fibre cresce all’aumentare dell’intensità dello stimolo, sia esso meccanico, termico o chimico, e il loro campo recettivo è molto piccolo, nell’ordine di pochi millimetri quadrati. Esse trasmettono segnali sordi, persistenti, dolenti. Le fibre Aδ sono, invece, di medio diametro e mieliniche, con una velocità di conduzione rapida (di circa 6-30 m/s) e trasmettono segnali nocicettivi bruschi, pungenti. La soglia di attivazione delle fibre Aδ meccano-nocicettive è più alta della soglia delle fibre Aδ meccanocettive. I meccanocettori, infatti, trasmettono superando una soglia più bassa. Per capire il diverso significato funzionale delle fibre Aδ e C può essere utile un esempio. Se si punge con uno spillo una parte del corpo, per esempio un dito, immediatamente si percepisce un dolore puntorio, acuto, ben definito e localizzato, il cosiddetto primo dolore o dolore iniziale, e dopo 1-2 secondi un dolore urente, non ben definito, diffuso e sordo, denominato secondo dolore o dolore ritardato, che provoca indolenzimento. Il primo dolore, cioè il primo ad essere percepito, è dovuto alle fibre Aδ che conducono rapidamente, mentre il secondo dolore, percepito successivamente, perché le informazioni nocicettive arrivano più tardi al cervello, è mediato dalle fibre C, che conducono molto più lentamente. In presenza delle di fibre Aδ e C si ha la percezione sia del dolore iniziale sia di quello ritardato; in assenza delle sole fibre Aδ si ha la percezione solo del dolore ritardato, mentre in assenza delle sole fibre C si ha percezione solo del dolore iniziale. I nocicettori svolgono due funzioni: 1. trasduzione: una forma di energia di natura chimica, meccanica, o termica viene convertita in un potenziale graduato che può dare origine a PdA che percorre la fibra afferente primaria; 2. trasmissione: l'informazione viene trasferita a quelle strutture del SNC deputate all'elaborazione della sensazione dolorifica. Essi sono: - particolarmente numerosi a livello superficiale (cutaneo, corneale e timpanico); - numerosi in alcuni distretti profondi (polpa dentaria, capsule articolari, legamenti, muscoli, testicoli, e membrane sierose quali pericardio); - presenti in alcuni visceri cavi (tubo digerente, sistema biliare, vie urinarie); - praticamente assenti in alcuni parenchimi (fegato, rene, cervello). Il soma di ciascun nocicettore (che si presenta come una cellula a T) è localizzato in un ganglio delle radici dorsali del midollo spinale o nel ganglio trigeminale, per quanto riguarda il territorio di innervazione del nervo trigemino. Le fibre afferenti nocicettive terminano a livello dei neuroni del 26 corno dorsale del midollo spinale. Più precisamente, gli assoni dei neuroni nocicettivi dei gangli della radice dorsale entrano nel midollo spinale tramite le radici dorsali. Essi si biforcano rostralmente e caudalmente, estendendosi per alcuni segmenti spinali nel tratto di Lissauer. Queste ramificazioni entrano poi nelle corna dorsali del midollo spinale e contraggono contatti sinaptici con i neuroni sensoriali secondari e con diversi tipi di interneuroni. Questi ultimi connettono ad esempio i neuroni sensoriali secondari con i motoneuroni, dando così origine ai riflessi spinali. Gli assoni provenienti dai segmenti sacrali (S) si localizzano lateralmente, quelli dai segmenti lombari (L), toracici (T) e cervicali (C) progressivamente in posizione più mediale. Numerosi mediatori chimici e recettori di membrana sono coinvolti nell’attivazione dei nocicettori. Le stesse sostanze liberate dal danno tessutale e dagli stessi nocicettori sono responsabili dell’iperalgesia periferica. I nocicettori, inoltre, si adattano molto poco rispetto agli altri recettori. La loro scarica infatti può aumentare con il protrarsi dello stimolo. Ciò è importante dal punto di vista fisiologico perché devono dare informazione della presenza di uno stimolo doloroso e quindi devono segnalarlo continuamente. RECETTORI E CANALI DI MEMBRANA I recettori che determinano la stimolazione periferica (quindi delle fibre periferiche del nocicettore) sono: - recettori TRP (Transient Receptors Potential), attivati dal calore oppure da agonisti di vario tipo, come l’anandamide o i suoi derivati, che vengono rilasciati dai tessuti periferici a seguito di danno tessutale. Essi intervengono su tali canali polivalenti determinando un potenziale di recettore; - canali voltaggio-dipendenti per il Na+ (Nav1.7 e Nav1.9). Sono anche espressi nelle fibre nocicettive e sono coinvolti nella genesi e nella trasmissione del PdA. Mutazioni del gene che codifica Nav1.7 e Nav1.9 (SCN9A) ne riducono l’attività e possono determinare l’insensibilità congenita al dolore. In altri casi, altre mutazioni di questo gene per questo recettore ne incrementano l’attività in maniera aberrante e ciò sta alla base dell’insorgenza di sindromi caratterizzate da attacchi parossistici di dolore urente. Questo è causato dal fatto che il recettore continua a scaricare. ALLODINIA E IPERALGESIA Nell’ambito delle modificazioni della soglia per il dolore, possono verificarsi delle condizioni in cui la soglia si abbassa. Con il termine allodinia si intende un dolore spontaneo con soglia molto bassa ed è una percezione dolorosa in risposta ad uno stimolo innocuo (ad esempio una carezza o l’indossare un capo d’abbigliamento). Probabilmente entra in gioco anche la memoria (ad esempio l’insorgenza di una cefalea per avere indossato qualcosa che ha provocato una sensazione dolorosa). Quello che è 27 certo è che lo stimolo non è algogeno di per sé rispetto alla risposta dolorifica che si genera. Per cui stimolo e risposta presentano qualità differenti. La parte psicologica e la parte emozionale sono talmente coinvolte che non soltanto il tatto, ma anche il ricordo, l’udito e la vista possono provocare una sensazione dolorosa. Non è del tutto nota la causa di questa condizione, però si tende a pensare che ci sia una sovrapposizione di segnali somato-sensoriali, tattili, termici che stimolano i circuiti della percezione del dolore. Si parla evidentemente di un incrocio disfunzionale. Diversa è l’iperalgesia, che è invece un’ipersensibilità agli stimoli dolorosi. Di per sé lo stimolo è algogeno, quindi essa si configura come un’aumentata risposta ad uno stimolo che è normalmente doloroso. Diversa è quindi anche la soglia. Lo stimolo e la risposta sono della medesima qualità. Distinguiamo l’iperalgesia periferica e l’iperalgesia centrale. L’iperalgesia periferica è il risultato di tutte le sostanze che vengono liberate dal tessuto infiammato e che rendono la zona con una soglia molto più bassa di sensibilità al dolore. Ad esempio, prendendo il sole e scottandosi, quell’area di cute scottata è particolarmente sensibile al dolore, tanto che il semplice contatto può provocare dolore. Le sostanze in questione agiscono sui recettori di membrana e sui canali ionici dei nocicettori (fibre Aδ e fibre C), abbassando la loro soglia di attivazione e aumentando la loro sensibilità. Esse provocano generalmente un dolore persistente e si parla, dunque, di un indolenzimento generale. I segnali dell’iperalgesia periferica sono infatti il calore, il rossore e l’edema. L’indolenzimento è dovuto proprio alla maggiore produzione di sostanza P (soprattutto da parte delle fibre C), che, a differenza del glutammato, che viene eliminato, continua a persistere nelle zone limitrofe. La sostanza P contribuisce all’edema: - per azione vasodilatatrice sulle venule; - stimolando i mastociti a liberare istamina che a sua volta abbassa la soglia di attivazione dei nocicettori; - aumentando il flusso e la migrazione dei globuli bianchi per le difese. Altre sostanze in gioco sono: - l’ATP, l’acetilcolina e la serotonina, liberate dalle cellule endoteliali e dalle piastrine; - la PGE2, metabolita dell’acido arachidonico, per azione della ciclossigenasi liberata dalle cellule lese. Nelle infiammazioni, infatti, assumiamo l’aspirina per bloccare la ciclossigenasi e quindi la produzione di PGE2 da parte delle cellule lese; - la bradichinina, peptide che provoca dolore sia per stimolazione diretta dei nocicettori sia perché stimola la sintesi e la liberazione di prostaglandine. Possiamo affermare dunque che l’iperalgesia periferica si contrappone all’iperalgesia centrale, nella quale non sono le fibre afferenti primarie (Aδ e C) a essere sensitizzate, bensì i neuroni del midollo 28 spinale. Nell’iperalgesia centrale, infatti, i neuroni delle corna dorsali rispondono in maniera esagerata non solo ai segnali provenienti dai nocicettori Aδ e C, ma anche a quelli provenienti dalle fibre non nocicettive Aδ. Il meccanismo che riguarda l’iperalgesia centrale prende il nome di sensibilizzazione “a molla”: essa consiste in un aumento progressivo del livello di scarica dei neuroni del corno dorsale in risposta all’attivazione ripetuta di afferenze nocicettive a bassa frequenza. Sebbene l’intensità dello stimolo sia costante, l’intensità percepita aumenta ad ogni successivo singolo stimolo. Si verifica anche un’attivazione umorale, in quanto vengono rilasciate citochine dalla microglia che promuovono la trascrizione di COX-2 (ciclossigenasi) e la produzione di prostaglandine nei neuroni del corno dorsale con conseguente aumento dell’eccitabilità. Per quanto riguarda i neuroni nocicettivi del midollo spinale coinvolti nell’iperalgesia centrale, le fibre afferenti nocicettive terminano nella porzione superficiale del corno dorsale ipsilaterale (lamine I e II del midollo spinale). Il principale neurotrasmettitore è il glutammato che agisce su diversi tipi di recettori, tra cui i recettori AMPA (che sono recettori ionotropici, responsabili di una risposta più rapida) e recettori metabotropici del glutammato, collegati a proteine G e quindi più lenti. Altri neuropeptidi liberati (in particolare dalle fibre C) sono la sostanza P, CGRP (Peptide Correlato al Gene della Calcitonina) e BDNF (fattore neurotrofico cerebrale). La sinapsi tra la fibra afferente primaria e il neurone sensoriale secondario nel corno dorsale del midollo spinale è coinvolta in un fenomeno definito come wind up, dovuto all’incremento progressivo della frequenza di scarica dei neuroni sensoriali secondari a seguito della ripetuta stimolazione delle fibre afferenti primarie. Ciò sembra essere alla base della transizione del dolore da acuto a cronico. I recettori NMDA sembrano rivestire un ruolo importante e alcuni farmaci NMDA- antagonisti sono di particolare interesse per prevenire l’insorgenza del wind up. In genere, dopo la guarigione, sia l’iperalgesia centrale che l’iperalgesia periferica si abbassano. Si torna quindi alla normalità. Si può avere comunque un danneggiamento delle fibre più duraturo, come quello che avviene nella sclerosi multipla, ad esempio. In questo caso i processi di iperalgesia possono persistere. È comunque una delle condizioni che porta al dolore neuropatico, che è di pertinenza delle fibre. Si parla quindi di un dolore cronico, più intenso e di più difficile trattamento. DOLORE RIFERITO Le fibre afferenti che provengono dai visceri e quelle che provengono dalle parti superficiali, come la cute, proiettano alla lamina V, convergendo sugli stessi neuroni. Il dolore riferito è dunque dovuto alla convergenza delle afferenze nocicettive somatiche e viscerali sugli stessi neuroni: questo spiega il motivo per il quale il dolore da lesione di un organo interno venga avvertito in altre aree a livello della superficie corporea (ad esempio, un danno interno al diaframma fa insorgere il dolore al livello della spalla). Il perché un dolore viscerale venga riferito a livello cutaneo e non viceversa è oggetto di grande dibattito. Una teoria sull'origine del dolore riferito afferma che i nocicettori localizzati in sedi diverse 29 convergono su un singolo tratto ascendente del midollo spinale. Quando la via viene attivata dai neuroni di un organo interno, il cervello associa comunque il dolore con la struttura cui lo associa di solito, cioè la cute. Quindi, probabilmente, costruendo la rappresentazione del proprio corpo sulle esperienze visive e tattili fin dai primi periodi di vita, viene privilegiato l’aspetto esterno, percependo quindi il dolore a livello cutaneo. Il dolore riferito è spesso utilizzato per diagnosticare patologie degli organi interni. Esempio: nell’angina pectoris si attivano i nocicettori cardiaci sensibili al pH (ASICs) che si aprono in risposta all’aumento della produzione di acido lattico durante l’ostruzione dei vasi coronarici. Viene descritto come un dolore toracico centrale sotto lo sterno. Da non confondere con il dolore riferito è il dolore irradiato. Esso è il dolore originato dalle strutture muscolo-scheletriche e la sua tendenza è proprio quella di diffondere o irradiarsi per distanze considerevoli, a volte per l’intera estensione di un arto. Il dolore irradiato, inoltre, è sempre in continuità con il dolore del punto stimolato. VIE ASCENDENTI Le vie ascendenti del sistema somestesico si distinguono in due gruppi: uno anterolaterale e uno posteriore. 1. Il sistema spino-talamico anterolaterale, anche noto come lemnisco spinale, trasmette alla corteccia cerebrale delle informazioni di tipo protopatico, cioè poco definite da un punto di vista spaziale e quantitativo ma ad alto contenuto emozionale, ovvero la sensibilità termica, dolorifica, solletico, prurito e tatto grossolano. In esso si trovano i tratti spino-talamico, spinoreticolare e spinomesencefalico (o spinotettale). - Il tratto spinotalamico è di gran lunga la via ascendente più importante per la trasmissione dell’informazione nocicettiva, specialmente nell’uomo e nei primati, anche se è necessario sottolineare che in esso viaggiano anche le informazioni termiche. Esso è costituito da: o una parte diretta al talamo laterale, che prende il nome di tratto spinotalamico laterale (o neospinotalamico) che trasmette segnali termici e del dolore rapido; o una parte diretta al talamo mediale, che prende il nome di tratto spinotalamico mediale (o paleo-spino-talamico) che trasmette segnali termici e del dolore lento; Gli assoni dei neuroni sensoriali secondari diretti al talamo si incrociano lungo la linea mediana, sia per il tratto spinotalamico laterale che per il tratto spinotalamico mediale. Più precisamente, il tratto spinotalamico laterale termina nel nucleo ventrale posterolaterale del talamo (VPL), mentre il tratto spinotalamico mediale termina nei nuclei intralaminari. - I tratti spinoreticolare e spinomesencefalico portano informazioni nocicettive alla sostanza reticolare e al mesencefalo. Vi è in essi, inoltre, un’elevata presenza di 30 collaterali che prendono contatto con numerose strutture, tra cui la sostanza grigia periacqueduttale e l’amigdala. In questo modo vengono controllate le risposte avversive al dolore, come lo stato d’allerta e le risposte vegetative (ad esempio la sudorazione). 2. Nel fascio posteriore si trovano invece il tratto spinocervicotalamico e il sistema delle colonne dorsali (o lemnisco mediale). Essi rivestono un ruolo meno importante nella nocicezione, essendo deputati principalmente alla trasmissione delle informazioni tattili (informazioni meccano-sensoriali). Le fibre, dunque, salgono dallo stesso lato fino al bulbo e qui gli assoni dei neuroni del sistema delle colonne dorsali si incrociano e salgono fino al talamo controlaterale. Ciò è clinicamente importante per definire la collocazione di una lesione del midollo spinale. DAL TALAMO ALLA CORTECCIA Per quanto riguarda il tratto spinotalamico laterale, il nucleo ventrale posterolaterale del talamo (VPL) proietta ad una specifica area della corteccia che deve discriminare sull’intensità e la qualità dello stimolo e che prende il nome di area somestesica primaria (S1) ipsilaterale. Le vie ascendenti che passano attraverso i nuclei mediali del talamo (tratto spinotalamico mediale) proiettano, invece, a diverse zone del sistema limbico. Proiettano, infatti, alla formazione reticolare (che è coinvolta nella genesi delle reazioni di allarme), all’amigdala, alla corteccia anteriore cingolata, alla corteccia insulare, all’ipotalamo, al grigio periacqueduttale, al collicolo superiore. Sono quindi delle componenti (in particolar modo la corteccia cingolata anteriore) responsabili della componente affettiva ed emotiva del dolore, cioè di quella sensazione con connotato negativo che fa percepire il dolore come qualcosa di spiacevole da evitare. Le vie ascendenti che attraversano i nuclei mediali del talamo per proiettare diffusamente a diverse regioni del sistema limbico costituiscono nell’insieme il sistema mediale. Quindi possiamo dire che la parte laterale del tratto spinotalamico è responsabile della componente discriminativa del dolore, mentre la parte mediale è responsabile della componente affettiva ed emotiva. Ciò ha un’importante significato clinico. Per esempio, i pazienti che presentano lesioni dell’insula, facente parte del sistema limbico, soffrono di un disturbo che va sotto il nome di asimbolia per il dolore. Sebbene questi pazienti sappiano riconoscere uno stimolo dolorifico e la sua relativa intensità, durata e localizzazione, non percepiscono i connotati negativi spiacevoli tipici del dolore, perciò tollerano stimoli dolorifici intensissimi che possono anche provocare loro lesioni e non mostrano quelle caratteristiche risposte emotive e di difesa che normalmente insorgono durante il dolore. Un altro esempio è rappresentato dall’analgesia indotta mediante ipnosi. L’ipnosi induce una riduzione della componente emotiva del dolore, mentre quella discriminativa rimane immutata. Questo comporta che i soggetti sotto ipnosi sentano dolore, ma lo tollerino meglio e con minore 31 sofferenza. Mediante tecniche di bioimmagine è stato possibile stabilire che, durante l’analgesia da ipnosi, la corteccia cingolata anteriore (sistema mediale) riduce la propria attività, mentre l’area somestesica primaria S1 (sistema laterale) rimane immutata. Un ulteriore esempio è rappresentato da pazienti affetti da demenze. La percezione dolorifica nella malattia di Alzheimer è alterata, ma solo per la componente emotiva, almeno nelle fasi iniziali e intermedie. In altre parole, i pazienti affetti da questa patologia sono in grado di identificare uno stimolo dolorifico, ma mostrano reazioni emotive ridotte. SINDROME DELL’ARTO FANTASMA E DOLORE FANTASMA Dopo l’amputazione di un arto, il paziente ha la sensazione anomala che l’arto mancante sia ancora presente, sensazione, a volte anche dolorifica (dolore fantasma) che tende a persistere per tutta la vita. Questa sensazione non rientra in nessun tipo di problema psichico ed è correlata con la propriocezione. Tale fenomeno dimostra che i meccanismi centrali deputati alla percezione somatica continuano ad operare indipendentemente dalla periferia. Spiegazione: l'area deafferentata dalla rescissione del nervo fa avvertire al soggetto sensazioni riferite all'arto fantasma in seguito alla stimolazione delle aree topograficamente contigue nella rappresentazione corticale. È spiegata in massima parte da una riorganizzazione funzionale delle mappe somatotopiche. In tale sindrome è fortemente coinvolto il fenomeno della plasticità sinaptica: la mappa somatotopica non è ancora rimodulata. SISTEMI DISCENDENTI CHE MODULANO LA TRASMISSIONE DEI SEGNALI ASCENDENTI DEL DOLORE Quando parliamo di dolore non ci riferiamo soltanto alla discriminazione del dolore. Il dolore è il risultato di una modulazione da parte del SNC e del SNP. Sono diversi, infatti, i sistemi discendenti che modulano la trasmissione dei segnali ascendenti. La stessa corteccia va in particolare a stimolare il grigio periacqueduttale, l’amigdala, l’ipotalamo, il nucleo parabrachiale, la formazione reticolare bulbare e quindi il locus ceruleus e i nuclei del rafe. Tutte queste strutture determinano una modulazione dei neuroni delle corna dorsali del midollo spinale. Quindi queste vie discendenti interagiscono con la trasmissione dei segnali ascendenti. Inoltre, esse determinano il fatto che la soglia del dolore sia estremamente variabile tra un soggetto e l’altro. Possiamo affermare dunque che l’esperienza globale del dolore varia in base alla situazione in cui si trova il soggetto. Infatti, uno stimolo dolorifico somministrato ad un soggetto che si trova in uno stato di rilassamento provoca una reazione diversa da quella ottenuta tramite una stimolazione nocicettiva applicata in condizioni di stress. Analogamente, diversi fattori psicologici (come le esperienze pregresse e lo stato d’animo) possono influenzare la percezione del dolore. 32 Tali sistemi discendenti di modulazione del dolore agiscono utilizzando diversi neurotrasmettitori (noradrenalina, serotonina, dopamina, istamina, acetilcolina), modulando così la trasmissione nocicettiva dei neuroni del corno dorsale. SISTEMI ENDOGENI DI MODULAZIONE DEL DOLORE Il dolore è modulato dal sistema oppioide, dal sistema cannabinoide e dai recettori per la colecistochinina. Oppioidi Quando si parla di sistema oppioide si fa riferimento a un complesso sistema neurochimico cui prendono parte i peptidi oppioidi e le strutture recettoriali attraverso le quali essi agiscono. Dal punto di vista chimico, i peptidi oppioidi sono costituiti da brevi sequenze amminoacidiche e svolgono diverse funzioni legandosi a specifici recettori, distribuiti fisiologicamente a livello sia centrale che periferico. Tra gli oppioidi endogeni distinguiamo le encefaline, le endorfine, le dinorfine, che presentano struttura chimica simile alla morfina. I peptidi oppioidi hanno un effetto generalmente inibitorio sull’attività neuronale a livello del midollo spinale e sono efficaci nell’indurre analgesia (soprattutto la β-endorfina). Sono stati identificati tre tipi di recettori specifici per gli oppioidi, accoppiati a proteine G: i recettori μ o MOP, i recettori κ o KOP e i recettori δ o DOP. I recettori µ sono localizzati prevalentemente sulle terminazioni delle fibre afferenti nocicettive di tipo C, mentre i recettori δ sulle fibre Aδ. Gli alcaloidi oppioidi, come la morfina, sono potenti agonisti del recettore µ. Il rilascio di oppioidi endogeni, come l’encefalina, da parte dei neuroni a circuito locale sulle terminazioni nocicettive, impedisce loro di liberare il neurotrasmettitore (sostanza P) ai neuroni di proiezione, riducendo il livello di attività ai centri superiori. Tale fenomeno prende il nome di inibizione presinaptica. Più semplicemente, viene quindi inibita la terminazione nocicettiva che determina l’ascesa della sensazione dolorifica, agendo così sui neuroni delle corna dorsali del midollo spinale. Gli antagonisti reversibili più noti del sistema oppioide sono il naloxone e il naltrexone, la cui azione consiste nel legarsi ai recettori oppioidi, in particolare ai recettori µ, bloccandone la disponibilità. In particolare, l’azione del naloxone è estremamente rapida e ciò lo rende un farmaco salvavita in caso di intossicazione acuta da oppiacei (overdose). Il naltrexone, invece, si lega in modo più duraturo ai recettori e inibisce l’azione di oppio e derivati per un periodo più prolungato: per questo motivo trova impiego nella disintossicazione da oppioidi. I recettori per gli oppioidi si trovano non solo nel SNC ma anche in zone diverse da quelle implicate nella mediazione del dolore, a cui sono dovuti gli effetti collaterali degli oppiacei usati come narcotici. Si trovano, ad esempio, nella muscolatura dell’intestino e nello sfintere anale e possono 33 provocano stipsi. Ancora, si trovano anche nelle cellule del nucleo del tratto solitario del tronco encefalico, dove possono provocare la depressione respiratoria e modificazioni cardiovascolari. Per minimizzare gli effetti collaterali, infatti, la morfina viene somministrata anche localmente nel midollo spinale (intratecale o epidurale) dove la concentrazione dei recettori è molto elevata e l’analgesia prodotta è profonda e duratura con effetti collaterali minimi. Endocannabinoidi Come per i sistemi oppioidi endogeni, sono stati identificati dei recettori a cui si legano sostanze endogene simili alla cannabis, per queste denominate endocannabinoidi. Esse sono sostanze lipidiche derivate dall’acido arachidonico. Il primo endocannabinoide ad essere stato identificato è stato l’anandamide, che è, tra l’altro, il più comune. Esistono almeno due tipi di recettori: CB1 e CB2. Mentre i primi si trovano prevalentemente nel sistema nervoso, i secondi hanno diversa distribuzione periferica, per esempio nel sistema immunitario. Tali recettori presentano attività di modulazione della nocicezione (agendo su midollo spinale e sostanza grigia periacqueduttale) e sono accoppiati a proteine G. La loro attivazione porta all’inibizione dell’enzima adenilato ciclasi, a cui segue l’inibizione dei canali voltaggio dipendenti per il Ca2+ coinvolti nella trasmissione sinaptica, determinando un forte effetto analgesico. Appena prodotti non vengono accumulati ma diffondono localmente con azione paracrina per essere rapidamente degradati. L’inibizione degli enzimi deputati alla loro degradazione può quindi rappresentare un candidato terapeutico potenziale per il controllo del dolore (molti farmaci svolgono tale funzione). Colecistochinina Al contrario dei precedenti, che sono sistemi inibitori, la colecistochinina è un neuropeptide importante per gli effetti di amplificazione del dolore. Esistono almeno due tipi di recettori per la colecistochinina, CCK1 e CCK2. Mentre i primi si trovano principalmente negli organi periferici, per esempio nel sistema gastrointestinale, i secondi si localizzano prevalentemente nel SNC. In generale si può dire che l’attivazione dei recettori CCK2 ha un effetto antioppioide, cioè amplifica la trasmissione dolorifica. Gli antagonisti dei recettori CCK2, come la proglumide, potenzia gli effetti degli oppioidi. I recettori CCK2 si attivano nelle condizioni di iperalgesia in cui diversi fattori psicologici sono coinvolti. Per esempio, l’anticipazione del dolore è una delle situazioni in cui i recettori CCK2 possono essere attivati, inducendo una sensazione dolorifica ben prima che lo stimolo nocivo sia venuto a contatto con una parte del corpo. EFFETTO PLACEBO E ANALGESIA DA STRESS Un altro esempio di inibizione del dolore è rappresentato dall’effetto placebo o analgesia da placebo. Esso viene definito come “effetto terapeutico non specifico indotto dalla somministrazione di un trattamento medico inerte”. 34 Dipende da fattori cognitivi, quali l’aspettativa nei confronti dell’agente analgesico ed è potenziato da meccanismi di condizionamento legati all’esperienza passata e al contesto. Ha addirittura effetto anticipatorio (subito dopo aver preso l’analgesico ci sentiamo meglio). Esempio eclatante di modulazione cognitiva del sistema dolorifico è l’analgesia da stress. Si riscontra in eventi fortemente traumatici, ad esempio, un soldato in guerra, cui scoppia una granata sotto i piedi, tranciandogli una gamba: a volte il soldato riesce a prendere la gamba staccata nelle mani e raggiungere la trincea zoppicando; solo una volta raggiunto un posto sicuro sente dolore al moncone. Analogamente una preda ferita da un predatore non si ferma, ma cerca di scappare e di raggiungere un posto sicuro: solo allora sentirà dolore. Il dolore, quindi, non viene avvertito subito ma solo in una fase successiva, in modo da sopportare delle condizioni particolarmente gravi e metterci in salvo. TEORIA DEL CANCELLO (DI MELZACK E WALL) Negli anni Sessanta è stata formulata la teoria del controllo a cancello che, sebbene non confermata definitivamente, ha avuto un grande impatto dal punto di vista sia scientifico sia clinico. Questa teoria afferma che i segnali nocicettivi sono filtrati e modificati quando arrivano al corno dorsale del midollo spinale, il quale fa appunto da cancello: se questo è aperto i segnali nocicettivi passano, se è chiuso vengono bloccati. Più nello specifico, le afferenze non nocicettive di grosso calibro (Aα e Aβ) “chiudono” il cancello mentre le afferenze nocicettive (fibre C) lo “aprono”. - Cancello aperto: la fibra C blocca l'azione inibitoria dell'interneurone, per cui il segnale doloroso è libero di passare. - Cancello chiuso: la fibra Aβ stimola l'interneurone inibitorio, che va a bloccare la trasmissione dell'impulso dolorifico al cervello inibendo la fibra C. Esempio: quando si sbatte su uno spigolo, la prima istintiva reazione al dolore è massaggiare la parte dolorante, quasi a voler alleviare la sensazione dolorifica. Tale reazione però non avviene immediatamente perché inizialmente si attiva il sistema di “chiusura del cancello” nell’ascesa del dolore, perché il meccanocettore che è stato stimolato determina questo effetto locale in periferia. La teoria del controllo a cancello è il fondamento razionale su cui si basa l’uso delle tecniche di stimolazione elettrica transcutanea (TENS) e di stimolazione elettrica delle colonne dorsali, per alleviare il dolore. Nello specifico, tale tecnica agisce tramite la stimolazione elettrica delle fibre non nocicettive a grosso calibro (Aβ, di pertinenza del meccanocettore) della parte del corpo dolorante, le quali andrebbero ad attivare un circuito neuronale inibitorio nel midollo spinale che bloccherebbe le informazioni nocicettive veicolate dalle fibre Aδ e C. L’efficacia di tale terapia è tuttora oggetto di dibattito. Il dolore è quindi il risultato dell’interazione di due opposti segnali: un segnale ascendente di tipo dolorifico al cervello e un segnale discendente opposto, di natura analgesica che riduce l’intensità dello stimolo dolorifico. 35 Il bilanciamento dei due opposti segnali di tipo dolorifico e analgesico è soggettivo e dipende anche fortemente dalle condizioni emozionali del soggetto (rilassamento, stress, depressione, allegria). Dalle slides: Se evoco dolore si ha un'attivazione diffusa in entrambi gli emisferi. È da notare, tuttavia, che alcune aree corticali sono un po' più attive di altre, indipendentemente dal tipo di dolore o dal punto di applicazione dello stimolo. Le tre aree maggiormente attive sono: - l'homunculus, unica area di corteccia che in questi casi manifesta una lateralità (se io la sigaretta la metto a sinistra evoco impulsi a destra) - il lobo limbico (in questo caso la corteccia si attiva simmetricamente) è l'area che presiede le emozioni e nel dolore c'è un forte coinvolgimento emotivo; - la corteccia prefrontale, coinvolta nei processi cognitivi e in particolar modo nelle funzioni esecutive quali problem solving, capacità di risolvere i problemi, planning, capacità di pianificare azioni, set shifting, ovvero la nostra capacità di cambiare o riorganizzare i nostri piani nel momento in cui cambia qualcosa.