PSICODINAMICA DELLO SVILUPPO E DELLE RELAZIONI FAMILIARI PDF
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2021
Denise Fiore
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This document discusses family therapy, exploring concepts like family structure, transitions, and the interaction between family members and the environment. It delves into the theories of Minuchin, Bateson, and Ortega, covering various topics. The summary also mentions the importance of considering the family context when analyzing individuals, especially in the case of mental health issues.
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2021 PSICODINAMICA DELLO SVILUPPO E DELLE RELAZIONI FAMILIARI PROF.SSA SCHIRONE Denise Fiore 1 INDICE FAMIGLI...
2021 PSICODINAMICA DELLO SVILUPPO E DELLE RELAZIONI FAMILIARI PROF.SSA SCHIRONE Denise Fiore 1 INDICE FAMIGLIE E TERAPIA DELLA FAMIGLIA..................................................................................................................2 I CONFINI NEI CONTESTI RELAZIONALI.............................................................................................................. 29 IL PENSIERO DI WINNICOTT................................................................................................................................. 50 SVILUPPO AFFETTIVO E AMBIENTE..................................................................................................................... 74 ACKERMAN.............................................................................................................................................................106 2 FAMIGLIE E TERAPIA DELLA FAMIGLIA Minuchin COS’È LA TERAPIA FAMILIARE? Insieme di teorie e tecniche rivolte a trattare l‘individuo nel suo contesto sociale, mirando a cambiare l’organizzazione interna della famiglia. Quando la struttura si trasforma allora anche le posizioni dei componenti variano, e ne risulta che le esperienze dei singoli mutino. Il terapeuta può, dunque, far esperienza del modo in cui i componenti si sostengono e si qualificano con gli altri e non solo delle interazioni interiorizzate del ragazzo nei confronti della famiglia. Ricordiamo: la mente umana si sviluppa man mano che il cervello incamera stimoli sia esterni che interni, e la famiglia è un fattore altamente significativo all’interno di questo processo, è il gruppo sociale che regola le reazioni dei suoi componenti. La metafora di Bateson sulla percezione mentale (un uomo sta abbattendo un albero con un’accetta: ogni colpo dell’accetta è modificato o corretto, a seconda della forma del taglio della superficie dell’albero lasciata dal colpo precedente. Questo processo auto correttivo è un sistema analogo alla mente) e l’immagine poetica di Ortega (riguardo l’uomo e la sua storia: un uomo non è se stesso senza fatti che condizionano il suo destino) sono corroborate da esperimenti che hanno dimostrato quanto il contesto influenza, in modo diretto, i processi della mente. LOCAZIONE DELLA PATOLOGIA La troviamo all’interno dell’individuo, nel suo contesto sociale o nelle interazioni. Tre assiomi definiscono la terapia in questo verso: 1. La vita psichica non è un processo totalmente interno. 2. I cambiamenti strutturali della famiglia contribuiscono ai cambiamenti nel comportamento e nei processi. 3. Il terapista lavora con la famiglia nel creare un sistema terapeutico. Questi 3 assunti sono sempre appartenuti al fondamento razionale della terapia, tuttavia, non sono mai diventati centrali nella prassi psicoterapeutica, dato che l’artificiosa dicotomia tra individuo e ambiente continua ad esistere. Un esempio si può ricavare da concetti di modalità di pensiero paranoico, perché è proprio in questo campo che una comprensione del contesto del paziente è essenziale. Goffman ha rilevato che nei primi stadi di sviluppo della malattia il contesto sociale è complementare al paziente che sostiene la propria malattia: si costituisce una vera e propria comunità paranoica. Il pensiero e il comportamento paranoico possono anche essere attivati sperimentalmente mediante esperienze comunitarie. 3 La metafora di Alice nel paese delle meraviglie, che vive l’esperienza di esser gigante o minutissima all’interno di una stanza, ma se quest’ultima si fosse ingigantita o rimpicciolita al pari passo con lei, allora l’esperienza non sarebbe stata particolare. Possiamo dire che la terapia mira a cambiare Alice e non la stanza. A tal proposito è utile parlare dei pazienti con disturbi di pensiero paranoide e badare bene alla differenza che può esserci tra una paranoia interna ed una di comunità. CASO CLINICO: CRISI AMBIENTALE Una signora anziana vedova trasloca, compaiono sintomi paranoici. Un terapista comportamentale capisce che il problema è causato da una crisi ambientale dovuta al trasloco e la aiuta a costruirsi un nuovo guscio, ad adattarsi al nuovo ambiente. Il terapista strutturale della famiglia si occupa del processo di risposta tra l’ambiente e la persona che lo sperimenta, dei cambiamenti imposti da una persona sull’ambiente e del modo in cui la risposta a questi cambiamenti influenza ogni sua reazione all’ambiente. Il terapista si associa alla famiglia con lo scopo di cambiarne l’organizzazione, in questo caso servendosi della matrice familiare. La mutata organizzazione interna della famiglia rende possibili continui rafforzamenti di nuove esperienze che danno una conferma al mutato senso del sé. In questa struttura teorica non si ignora l’individuo. Il presente di un individuo è formato dal suo passato più le condizioni in cui vive. La sfera d’azione del terapista della famiglia Il terapista si associa a questo sistema e poi usa se stesso per trasformarlo. Cambiando la posizione dei componenti del sistema, cambia le loro esperienze soggettive. In questo caso il terapista si basa su certe caratteristiche del sistema familiare: 1. Una trasformazione di struttura produrrà una possibilità di ulteriore cambiamento. 2. Il sistema familiare è organizzato attorno al sostegno, alle regole, alla crescita e alla socializzazione dei membri; dunque, il terapista si associa alla famiglia non per educarla o socializzarla, ma piuttosto per riassettare o modificare il funzionamento interno della famiglia così che possa svolgere al meglio i propri compiti; 3. Il sistema familiare ha proprietà di auto-perpetrazione : i processi iniziati dal terapista all’interno della famiglia saranno mantenuti dai meccanismi di auto-regolazione della famiglia. UNA FAMIGLIA IN FORMAZIONE La famiglia è un’unità sociale che deve affrontare una serie di compiti evolutivi: questi variano a seconda dei parametri culturali, ma hanno radici universali. Una serie di compiti attendono una giovane coppia all’inizio del matrimonio: gli sposi devono maturare un reciproco accomodamento in un vasto contesto di piccole abitudini. Nel processo di reciproco accomodamento la coppia sviluppa una serie di modelli transazionali durante i quali ciascun coniuge al tempo stesso stimola e sanziona il comportamento dell’altro, ed è a sua volta influenzato dalla precedente sequenza di comportamento. 4 La coppia deve anche affrontare il compito della separazione dalle rispettive famiglie e deve negoziare un nuovo rapporto con i propri fratelli, genitori e parenti acquisiti. Le famiglie d’origine devono accettare e sostenere questo taglio con il passato. Nello stesso modo anche i rapporti extra-familiari, come lavoro, doveri, svaghi, devono essere riorganizzati. La nascita di un figlio segna il cambiamento radicale nell’ambito dell’organizzazione della famiglia. Le rispettive funzioni dei coniugi devono differenziarsi per adeguarsi ai bisogni, alla cura e all’allevamento del bambino, ad essere in grado di risolvere le limitazioni imposte al tempo di entrambi. Nell’organizzazione familiare compare un nuovo insieme di sottoinsiemi nei quali figli e genitori hanno differenti funzioni: questo periodo richiede un ri-negoziamento di confini sia con la famiglia estesa, sia al di fuori di essa. In diversi periodi di sviluppo, la famiglia è chiamata ad adattarsi e a ristrutturarsi. I cambiamenti richiedono continuo accomodamento. Appena i figli lasciano la famiglia, ricompare l’unità originaria marito-moglie, ma in circostanze sociali diverse. La famiglia deve affrontare la problematica causata dal cambiamento sia interno che esterno pur mantenendo la sua continuità, e deve sostenere e incoraggiare la crescita dei suoi membri, pur adeguandosi a una società in transizione. Quando due persone si uniscono con l’intenzione di formare una famiglia ci sono vari stadi intermedi, tra l’inizio formale di una famiglia e la creazione di una vera, vitale unione. Uno dei compiti che la nuova coppia deve affrontare è quello di conquistarsi la propria relazione negoziandola con la famiglia di origine di ciascun coniuge. Ogni famiglia di origine deve adeguarsi alla separazione totale o parziale da uno dei suoi membri, all’inclusione di un nuovo membro e all’assimilazione del sottosistema dei coniugi all’interno del sistema già funzionante della famiglia. Se non cambiano le strutture possono costituire una minaccia per i processi di formazione della nuova unità. UN MODELLO FAMILIARE La famiglia ha sempre subito cambiamenti paralleli ai cambiamenti della società, essa risponde a due diversi obiettivi: uno interno, la protezione psico-sociale dei suoi membri; l’altro esterno, l’accomodamento a una cultura e la sua propagazione. La società ha invaso la famiglia, assumendo funzioni che erano considerati doveri specifici della famiglia stessa (scuole, tecnologia, ospizi, ecc.); tuttavia l’uomo moderno aderisce ancora ad un insieme di valori che appartengono a una società diversa, quella in cui i confini tra famiglia e rapporti esterni erano chiaramente delineati. LA MATRICE DELL’IDENTITÀ L’esperienza dell’identità umana si fonda su 2 elementi: un senso di 1. Appartenenza e uno di 2. Differenziazione. 1. Il senso di differenziazione e di individualità si forma con la partecipazione, sia a differenti sottosistemi in diversi contesti familiari, sia a gruppi extrafamiliari. Man mano che il bambino 5 e la famiglia crescono, l’adattamento della famiglia ai bisogni del bambino delimita campi di autonomia che egli sperimenta come differenziazione; 2. Ma il senso di identità di ciascun individuo è influenzato da un senso di appartenenza ai diversi gruppi. La famiglia sebbene sia la matrice dello sviluppo psico-sociale dei suoi membri, deve anche adeguarsi alla società e assicurare una certa continuità alla cultura. Le prese di posizione contro la famiglia sono tipiche di periodi rivoluzionari. Un terapista deve avere uno schema concettuale del funzionamento della famiglia, che lo aiuti ad analizzarla. Uno schema basato sulla visione della famiglia come sistema operante all’interno di specifici sistemi sociali, si fonda su 3 elementi: 1. La struttura della famiglia quale sistema socio-culturale aperto in trasformazione; 2. La famiglia subisce un’evoluzione, passando attraverso stadi che richiedono una ristrutturazione; 3. La famiglia si adatta a situazioni nuove, così da mantenere continuità e assicurare crescita psicosociale a ciascuno die suoi membri. LA STRUTTURA DELLA FAMIGLIA La struttura familiare è l’invisibile insieme di richieste funzionali che determina in modo in cui i componenti della famiglia interagiscono. Una famiglia è un sistema che opera tramite modelli transazionali; le transazioni ripetute stabiliscono modelli su come, quando e con chi stare in relazione. Questi modelli definiscono il sistema. I modelli transazionali, che regolano il comportamento dei membri di una famiglia, sono mantenuti da due sistemi di costrizione: 1. Il primo è generale, perché coinvolge le regole universali che governano l’organizzazione familiare (es. Deve esserci una gerarchia di poteri, una complementarità di funzioni); 2. Il secondo è specifico delle singole famiglie perché comprende le reciproche aspettative dei singoli componenti della famiglia (l’origine di queste aspettative risale ad anni di negoziati espliciti o impliciti tra i componenti della famiglia, riguardo a piccoli eventi quotidiani; spesso la natura dei contratti originari è stata dimenticata, anche perché non possono non essere mai stati espliciti, ma i modelli permangono). Il sistema, così, mantiene sé stesso, fa resistenza ai cambiamenti che superino un certo limite, e mantiene i modelli preferiti più a lungo possibile. Quando insorgono situazioni di squilibrio del sistema è abituale che alcuni componenti della famiglia pensino che gli altri non adempiano ai loro doveri. Allora compaiono appelli alla lealtà e manovre colpevolizzanti. La struttura della famiglia deve essere capace di adattarsi se le situazioni cambiano, senza perdere quella continuità che dà uno schema di riferimento ai suoi componenti. Gli individui sono sottosistemi in una famiglia (diadi come moglie-marito, madre-figlio, ecc.). Ogni individuo appartiene a diversi sottosistemi, in cui ha differenti livelli di potere e dove acquista capacità differenziate. Ognuno si adatta in modo estremamente vario per raggiungere quella reciprocità di rapporto che rende possibile la comunicazione umana. L’organizzazione in sottosistemi di una famiglia fornisce un valido addestramento a mantenere l’ “io sono” differenziato, esercitando, nel contempo, le capacità interpersonali a diversi livelli. CONFINI DEL SISTEMA FAMILIARE I confini di un sistema sono le regole che definiscono chi partecipa e come. 6 I confini hanno la funzione di proteggere la differenziazione del sistema. Affinché la famiglia funzioni bene, i confini debbono esser chiari, debbono essere definiti in modo tale da permettere ai membri del sottosistema di esercitare le loro funzioni senza indebite interferenze, ma debbono permettere il contatto fra i componenti del sottosistema e gli altri. In una famiglia la chiarezza di confini è un parametro utile per la valutazione del funzionamento i cui estremi sono: invischiamento e disimpegno. La maggior parte delle famiglie ha sottosistemi invischiati e disimpegnati (es. il sottosistema madre- figlio può tendere verso l’invischiamento finché i figli sono piccoli e il padre può prendere una posizione disimpegnata. Operazioni agli estremi, tuttavia, indicano zone di possibile patologia: I componenti di famiglie o sottosistemi invischiati, possono essere svantaggiati dal fatto che un più intenso senso di appartenenza richiede una maggiore concessione di autonomia; la mancanza di differenziazione scoraggia l’esplorazione autonoma e il padroneggiamento dei problemi; vengono inibite, soprattutto nei bambini, le capacità cognitive e affettive. I componenti di famiglie o sottosistemi disimpegnati, possono funzionare autonomamente, ma hanno un senso distorto dell’indipendenza; mancano di sentimenti di lealtà e di appartenenza nei confronti della famiglia, della capacità di interdipendenza e di richiedere aiuto e sostegno quando necessario. Quando insorgono meccanismi di adattamento, entrambi questi tipi di relazione provocano problemi alla famiglia: la famiglia invischiata risponde a ogni variazione dell’usuale con eccessiva velocità e intensità; la famiglia disimpegnata tende a non rispondere quando una risposta è necessaria. SOTTOSISTEMA DEI CONIUGI Tale sottosistema ha compiti specifici o funzioni vitali per il funzionamento della famiglia. Le principali capacità richieste sono: complementarità e reciproco adattamento. Quando una coppia si unisce, ogni membro cercherà di organizzare l’unità coniugale secondo le linee di comportamento che gli sono note o preferenziali e farà pressione affinché l’altro si adegui al suo modello. Alcuni modelli vengono rinforzati, mentre altri cadono nel momento in cui i 2 coniugi si adeguano alle scelte preferenziali dell’altro e le fanno proprie. La coppia deve sviluppare modelli in cui: Ciascun coniuge sostiene il modo di agire dell’altro in molti campi, Modelli di complementarità che permettano a ciascun coniuge di cedere senza pensare di essere sconfitto, Entrambi devono cedere parte del loro individualismo per riguadagnarlo nel rapporto di coppia. Il sottosistema coniugale può diventare un rifugio dalle tensioni esterne e la matrice che promuove il contatto con gli altri sistemi sociali. Può favorire apprendimento, creatività, crescita. Le coppie, però, possono anche attivare gli aspetti negativi della personalità dell’uno o dell’altra, ad esempio, possono: Insistere nel “migliorare” o “salvare” il compagno o la compagna, e con questo processo escluderli, invece di accettarli come sono; Possono stabilire modelli transazionali del tipo protettivo-dipendente, in cui il coniuge dipendente rimane tale per fa sì che i sentimenti di quello che si sente protettore siano difesi. 7 Tali modelli negativi possono esistere in coppie normali senza implicare una patologia estesa o cattive motivazioni da parte di uno dei due coniugi. Se un terapista si propone di mettere in discussione un modello divenuto disfunzionale, deve ricordarsi di discutere il processo senza attaccare le motivazioni dei partecipanti. SOTTOSISTEMA GENITORIALE Quando un figlio nasce, devono apparire nuove funzioni: l’unità familiare deve essere modificata per soddisfare le funzioni genitoriali, deve spostarsi dalla coppia alla triade. Si deve tracciare un confine che permetta al bambino di interagire con tutti e due i genitori, escludendolo dal funzionamento specifico della coppia. La funzione genitoriale consiste in un difficile processo di reciproco adattamento che rende il processo educativo molto complesso: I genitori non possono proteggere e guidare senza esercitare allo stesso tempo un’azione di controllo e restrizione; I figli non possono crescere e acquistare individualità senza rifiutare e ribellarsi. Il processo di socializzazione è di per sé conflittuale, quindi la funzione genitoriale richiede la capacità di allevare, guidare e controllare. L’equilibrio tra queste mansioni dipende dai bisogni evolutivi dei figli e dell’abilità dei genitori. Per funzionare adeguatamente, bisogna che sia i genitori che i figli accettino il fatto che l’uso differenziato dell’autorità è un ingrediente necessario del sottosistema genitoriale. Allevare un bambino offre molte occasioni di crescita individuale e rafforzamento del sistema familiare, ma allo stesso tempo è il campo in cui i conflitti coniugali irrisolti sono spostati di peso sull’allevamento del figlio, giacché la coppia non sa separare le funzioni genitoriali da quelle coniugali. Il compito del terapista è aiutare i sottosistemi a negoziare gli uni con gli altri e ad adattarsi reciprocamente. SOTTOSISTEMA DEI FRATELLI È il primo laboratorio sociale in cui i figli possono cimentarsi nelle loro relazioni tra coetanei: si appoggiano, si isolano, si accusano reciprocamente e imparano l’uno dall’altro, imparano a negoziare, a cooperare e a competere. Quando i bambini contattano i loro coetanei del mondo esterno, cercano di operare secondo le linee del mondo dei fratelli. Se la famiglia del bambino ha delle modalità di rapporto molto singolari e precise, i confini tra mondo familiare e mondo extrafamiliare possono diventare inappropriatamente rigidi, il bambino può avere difficoltà a inserirsi in altri sistemi sociali. I figli unici sviluppano precocemente un modello di adattamento al mondo degli adulti, ma allo stesso tempo manifestano difficoltà nello sviluppo dell’autonomia e dell’abilità di condividere, cooperare e competere con altri. I confini del sottosistema dei fratelli dovrebbero proteggere i figli dall’ingerenza dei genitori, in modo da esercitare il diritto alla vita privata, avere campi d’interesse propri ed essere liberi di farsi le ossa mentre esplorano. 8 ADATTAMENTO FAMILIARE Si possono erroneamente diagnosticare come patologici quei processi transizionali di adattamento a nuove situazioni che comportano la mancanza di differenziazione e l’ansia, caratteristiche di ogni processo nuovo. Tuttavia, se ci si concentra sulla famiglia quale sistema sociale in trasformazione si illumina la natura transazionale di certi processi familiari: molte più famiglie che cominciano la terapia saranno viste e trattate come famiglie normali che, in condizioni di transizione, soffrono della difficoltà di doversi adattare a nuove situazioni. Si diagnosticheranno come patologiche quelle famiglie che, sotto tensione, accresceranno la rigidità dei loro modelli transazionali, evitando o opponendo resistenza a qualsiasi esplorazione di alternative. Se le famiglie sono normali, il terapista confida nella motivazione profonda delle risorse familiari e fa di esse il filo da seguire per ottenere la trasformazione. Se le famiglie sono patologiche, il terapista deve diventare un attore all’interno del dramma familiare, inserendosi in coalizioni transizionali per raddrizzare il sistema e sviluppare un diverso livello omeostatico. Le tensioni che incidono sul sistema familiare possono provenire da quattro fonti: Rapporti tesi tra un componente e forze extrafamiliari; Rapporti tesi fra intera famiglia e forze extrafamiliari; Tensioni che emergono in momenti transazionali della famiglia; Tensioni intorno a problemi specifici. UN COMPONENTE E FORZE EXTRAFAMILIARI Una delle principali funzioni di una famiglia è quella di fungere da sostegno ai suoi membri. Quando uno dei suoi componenti è teso, gli altri sentono il bisogno di accomodarsi a questa nuova e mutata situazione. Questo accomodamento può essere circoscritto a un sottosistema oppure permeare l’intera famiglia. Ci possono essere modelli transazionali funzionali (es. attraverso il litigio la tensione del marito viene diminuita per mezzo della transazione con la moglie). Oppure il litigio può anche accrescersi a dismisura fino a che uno dei due coniugi abbandona il campo, provocando una tensione irrisolta nel sottosistema intrafamiliare dei coniugi. Lo stesso tipo di tensione subita da un componente della famiglia può agire al di là dei confini del sottosistema (deviazione sui figli). Oppure il marito può criticare la moglie che allora cerca di formare una coalizione col figlio contro il padre. Il confine intorno al sottosistema coniugale diventa così diffuso. Appare un inappropriato sottosistema trangenerazionale rigido. È pure possibile che un’intera famiglia sia provata da un rapporto extrafamiliare di uno dei suoi componenti (es. il marito perde il lavoro, la moglie potrà assumere più responsabilità per quanto riguarda l’aiuto finanziario e il padre può assumere la funzione di allevare il figlio, oppure la nonna assume le funzioni genitoriali). Se la famiglia risponde alla perdita del lavoro del padre con rigidità, possono comparire modelli di transizione disfunzionali. Quando una famiglia comincia una terapia a causa di un rapporto di tensione extrafamiliare di uno dei suoi componenti, le mete e gli interventi del terapista della famiglia sono orientati dalla sua valutazione della situazione e della flessibilità della struttura familiare. - Se la famiglia ha fatto cambiamenti per adeguarsi e sostenere quel suo componente in tensione e il problema sussiste, l’attività principale del terapista sarà diretta all’interazione tra quei componenti e l’agente di tensione. - Se la famiglia non è stata capace di fare cambiamenti adeguati, l’attività principale del terapista sarà rivolta alla famiglia. 9 Talvolta sono necessari entrambi questi tipi di interventi. INTERA FAMIGLIA E LE FORZE EXTRAFAMILIARI Un sistema familiare può essere aggravato da difficoltà economiche, la tensione può essere provocata da una nuova sistemazione dovuta a un trasferimento o a un cambiamento di città. Gli interventi del terapista dovranno essere orientati dalla valutazione della famiglia. Se analizza l’organizzazione familiare e stabilisce che funziona anche se aggravata dall’accumularsi di molte forze non coordinate, può agire da difensore della famiglia introducendola alle istituzioni e agli agenti sociali adatti. MOMENTI TRANSAZIONALI DELLA FAMIGLIA Nella naturale evoluzione di una famiglia ci sono molte fasi che impongono di negoziare nuove regole familiari, come ad esempio la comparsa di nuovi sottosistemi, nuove linee di demarcazione. I conflitti sorgono inevitabilmente in questo processo e dovrebbero essere, idealmente, risolti tramite negoziati di transizione, così la famiglia finirà con l’adattarvisi con successo. Tuttavia, se non si risolvono, i conflitti transazionali possono dare origine a molti altri problemi. Uno degli elementi scatenanti più comuni è il passaggio dall’infanzia alla pubertà. Quando un nuovo membro si inserisce nella famiglia, questi deve adattarsi alle regole del sistema e il vecchio sistema deve essere, a sua volta, modificato per includerlo. C’è però una tendenza a mantenere vecchi modelli, che creano tensione al nuovo venuto e possono fargli aumentare le richieste. Altre tensioni possono essere causate anche dall’adattamento alla diminuzione del nucleo familiare causata da circostanze quali la morte di un membro, separazione, divorzio, reclusione, ricovero psichiatrico o partenza. PROBLEMI SPECIFICI Un terapista della famiglia deve tenere conto di ogni circostanza ed essere consapevole della possibilità che modelli transazionali disfunzionali compaiano intorno a zone specifiche create da tensioni in seno a una famiglia (es. una famiglia che ha un figlio con ritardo mentale). Problemi specifici transitori possono sovraccaricare di tensione i meccanismi di difesa. In sintesi, lo schema concettuale di una famiglia ha 3 aspetti: Nel corso del tempo una famiglia si trasforma e, nel contempo, si deve adattare e ristrutturare per continuare a funzionare; La famiglia ha una struttura che può soltanto essere vista in movimento; Una famiglia si adatta alla tensione in modo da mantenere all’interno una sua continuità, pur rendendo possibile una ristrutturazione. IMPLICAZIONI TERAPEUTICHE DI UN APPROCCIO STRUTTURALE L’approccio strutturale alle famiglie è basato sul concetto che una famiglia è più della somma delle dinamiche bio-psicologiche individuali. L’osservatore ascolta quello che i componenti della famiglia gli dicono sul loro modo di fare esperienza della realtà, ma allo stesso tempo, osserva come ciascuno di essi stabilisce relazioni con 10 lui e gli altri. Il terapista analizza il campo transazionale in cui lui e la famiglia si incontrano, per fare una diagnosi strutturale. Il terapista, rispondendo alle situazioni che si vengono a creare durante la seduta, fa anche delle osservazioni e pone quesiti. Inizia con l’evidenziare modelli transazionali e confini. La mappa della famiglia è uno schema di organizzazione, è statica (mentre la famiglia è costantemente in movimento), è un potente strumento di semplificazione, che aiuta il terapista a organizzare il vasto materiale che va raccogliendo. Aiuta a formulare ipotesi su settori familiari che funzionano bene, o possono essere disfunzionali e inoltre, aiuta a definire gli obiettivi terapeutici. SONDAGGIO NEL SISTEMA TERAPEUTICO Mentre raccoglie il materiale per la mappa strutturale, il terapista comincia a fare dei sondaggi sperimentali, inoltre, può dare compiti designati a scandagliare aspetti significativi della struttura familiare. Il terapista della famiglia si considera membro che agisce e reagisce nel sistema terapeutico. Allo scopo di associarsi alla famiglia accentua quegli aspetti della sua personalità, della sua esperienza, che sono in sintonia con quelli della famiglia; ma al tempo stesso, conserva la libertà di essere spontaneo nei suoi sondaggi sperimentali. Tale uso di sé stesso è molto diverso da quello di un terapista ad orientamento psicodinamico. Il terapeuta individuale si abitua a controllare le proprie risposte e pone l’accento sull’esplorazione del passato conflittuale e sull’interpretazione del passato nel presente. Nella terapia della famiglia, le premessi del cambiamento sono diverse: il cambiamento è visto attuarsi nel processo di relazione tra il terapista e la famiglia nella ristrutturazione della famiglia in modo attentamente pianificato, al fine di mutare i modelli transazionali disfunzionali. Il terapista non ha bisogno di stare in guardia contro le reazioni spontanee perché saranno probabilmente in sintonia con quel sistema e, se non lo sono, possono avere valore di sondaggi sperimentali. RISPOSTE DELLA FAMIGLIA ALL’INTERVENTO TERAPEUTICO L’unica struttura della famiglia che si presenta immediatamente al terapista è quella disfunzionale. Uno dei compiti che affronta è sondare quella struttura e individuare possibili campi di flessibilità e cambiamento attivando delle alternative strutturali che erano rimaste inerti. In genere la famiglia rigetta sondaggi che non sono in sintonia col sistema familiare, oppure può rispondere in 3 modi: 1. La famiglia può senza difficoltà assimilare l’intervento del terapista, nei suoi passati modelli transazionali (ciò provoca apprendimento, ma non crescita); 2. La famiglia può anche rispondere adattandosi, sia espandendo i suoi modelli transazionali, sia attivando modelli alternativi; 3. Infine, la famiglia può rispondere all’intervento del terapista coma ad una situazione completamente nuova. In questo caso il sondaggio è divenuto un intervento ristrutturante, se la famiglia non lo rifiuta, ci sarà un aumento di tensione nel sistema, l’omeostasi diventerà instabile, dando il via alla trasformazione. Nessun modello di famiglia è intrinsecamente normale o no, funzionale o no. La differenziazione di una famiglia è idiosincratica, secondo la sua composizione, il suo livello di sviluppo, la sua sottocultura. 11 Ogni modello è suscettibile di modifiche, ma ogni modello ha intrinseche debolezze, e possono essere queste le parti che cedono quando la capacità della famiglia di far fronte alle difficoltà è esaurita. FAMIGLIA ESTESA È una forma che ben si adatta a situazioni di tensione e di carenza. Le funzioni in questo modello possono essere ripartite: un componente può occuparsi dei bambini, mentre gli altri adulti lavorano per sostenere l’intera famiglia; i lavori domestici e le altre mansioni possono essere condivisi. La compagnia e le molteplici fonti di aiuto e sostegno disponibili, all’interno della famiglia estesa, le rendono frequentemente l’unica forma di vita possibile, in condizioni familiari economiche precarie. Un’accurata mappa strutturale della famiglia può comunque dimostrare che il sistema funziona adeguatamente. In altri casi, la famiglia estesa può rappresentare problemi a causa della difficoltà di distribuire esplicitamente i campi di responsabilità; ci possono essere numerosi confini non ben definiti, che creano confusione e tensione. CASO CLINICO Madre chiama perché la figlia minore, di 10 anni, non ubbidisce, torna da scuola molto tardi. Nella prima seduta vanno madre e 5 figli, il terapeuta nota che la madre ha problemi di controllo nei confronti di tutti i figli; si scopre poi che la nonna abita con loro e ha più potere della madre. Obiettivo Unire madre e nonna in posizione complementare e di reciproco sostegno, all’interno del sistema genitoriale. Strategie Nonna può andare dietro specchio e osservare la figlia che svolge ruolo di madre con i figli, così da partecipare emotivamente ma senza intervenire; Terapista può lasciare la nonna nella stanza e usare sé stesso come mezzo per bloccare il suo sopravvento; Può fare seduta solo con madre e nonna, includendosi nell’alleanza; Può collocarsi tra adulti e figli, chiarendo i confini tra madre e nonna e, allo stesso tempo, divenire modello del comportamento genitoriale di entrambi i sottosistemi, madre-nonna e figli. FAMIGLIA CON FIGLIO GENITORIALE L’attribuzione del potere genitoriale a un figlio costituisce una soluzione naturale in famiglie numerose, con un genitore solo, in cui entrambi i genitori lavorano. Il sistema può funzionare bene: i figli più piccolo sono curati dal figlio genitoriale, il quale può sviluppare responsabilità, competenza e autonomia maggiori di quelle proprie della sua età. Una struttura familiare con un figlio genitoriale può però incorrere in difficoltà, se la delega dell’autorità non è esplicita o se i genitori abdicano, lasciando che il figlio diventi la fonte principale di guida, di controllo e decisioni. In tal caso le richieste fatte al figlio genitoriale possono essere in contrasto con i bisogni propri della sua età, e oltrepassare le sue capacità di sostenerle. 12 CASO CLINICO Madre delega tutto al figlio genitoriale, di 10 anni, ma le richieste fatte al figlio hanno superato le sue capacità di gestione. Obiettivo Riallineare la famiglia: il confine tra madre e figlio deve essere chiarito. Il figlio genitoriale deve essere ricondotto nel sottogruppo fratelli, pur mantenendo una posizione di guida e di giovane potere esecutivo. FAMIGLIA IN SITUAZIONE TRANSAZIONALE Perdita temporanea Quando uno dei due genitori se ne va da casa, deve venire negoziata una serie di adattamenti che al ritorno devono essere revocati: Le relazioni di coppia sono interrotte e devono ricostituirsi; I rapporti genitoriali cambiano e devono essere rinegoziati; Il genitore che ritorna a casa deve ristabilire nuovi rapporti con i figli. A volte, tali negoziati di transizione possono essere bloccati, allora i modelli transazionali colpiti possono diventare deboli legami. CASO CLINICO Genitori chiamano perché ci sono problemi con i figli, in seduta il terapeuta osserva che vi è una coalizione madre-figli contro il padre: i figli si frappongono nelle transazioni tra i coniugi, e il padre è escluso dalle transazioni genitoriali. Il padre dichiara che 4 anni prima era stato in carcere per 3 anni, quindi, alcuni dei problemi di riadattamento della famiglia alla presenza del padre non sono state risolte. Obiettivo Rafforzare i confini intorno a marito e moglie, escludendo i figli dalle transazioni di coppia e permettendo al padre di assumere le sue funzioni genitoriali. Varie strategie: Terapista può allearsi col padre, accrescendone il ruolo di primo piano nella famiglia; Può bloccare le transazioni madre-figli, sia facendo una terapia solo con i genitori, sia bloccando le mosse della madre in seduta; Può creare una coalizione tra madre e padre, rimproverandoli per la loro disobbedienza oppure può usare la tattica di sottolineare l’incompetenza dei genitori nei confronti dei figli. Divorzio Quando una coppia divorzia, l’uomo di solito è più abile della donna a disimpegnarsi. Le condizioni sociali che decretano che la madre deve prendere i figli, producono la continuazione della sua fedeltà al sistema precedente. CASO CLINICO Coppia divorziata, madre va in terapia con i figli e chiede al terapeuta di prendere in carico, individualmente, il marito, in quanto i figli si rifiutano di avere contatti con lui. 13 Il terapista può stabilire alcune sedute con il padre e i figli, senza la madre, in modo da sviluppare adattamenti e promuovere negoziati che renderanno possibile ai figli e al padre di mantenere un rapporto, sebbene questi sia periferico rispetto al vecchio sistema. Problemi cronici di confini Si tratta del passaggio tensioni in un sottosistema attraverso altri sottosistemi. In una famiglia che funziona bene questo tipo di adattamento è possibile perché il sistema è governato da chiari, seppur flessibili, limiti. Sintomi disfunzionali possono comparire, tuttavia, se un sottosistema si serve sempre dello stesso membro (esterno a quel sottosistema) per diffondere i conflitti coniugali, i confini tra il sottosistema genitoriale e il figlio diventa diffuso: triade rigida (rigida utilizzazione di un figlio nei conflitti tra i coniugi che assume forme diverse). Nella deviazione, un’altra forma di triade rigida, negoziare le tensioni della coppia tramite il figlio, serve a mantenere il sottosistema dei coniugi in un’illusoria armonia. La deviazione dei genitori può prendere la forma di un attacco contro il figlio che viene definito fonte dei problemi familiari; in altre famiglie i genitori possono definire il figlio debole e malato e poi unirsi per proteggerlo oppure la triade rigida può prendere la forma di una stabile e salda coalizione (uno dei genitori si allea al figlio contro l’altro genitore). La famiglia non cambia dopo un unico intervento terapeutico, ma richiede un continuo processo di coinvolgimento nella direzione dell’obiettivo terapeutico. L’obiettivo è ristrutturare tenendo conto del paradigma “genitore-bambino”. Delle possibili strategie prevedono che il terapista si faccia “barriera” tra i genitori ed il figlio; rafforzare i genitori lodando la loro capacità di allevamento oppure ristrutturare i genitori in una coalizione contro il figlio. POSSIBILI TRANELLI DELL’ANALISI STRUTTURALE L’uso dell’analisi strutturale presenta dei tranelli intrinseci: c’è il rischio di non prendere in considerazione il processo di sviluppo o tutti i possibili sottosistemi di una famiglia. C’è anche il pericolo di stabilire un legame e di sostenere solo un sottosistema contro gli altri. Possibili tranelli: Ignoranza del processo evolutivi Ignoranza di alcuni sottosistemi della famiglia Sostengo di un solo sottosistema e associazione a esso LA FAMIGLIA IN TERAPIA Di solito ciò che spinge una famiglia a sottoporsi a terapia sono i sintomi di uno dei componenti, cioè del paziente designato. Il sintomo può essere espressione di una disfunzione all’interno della 14 famiglia; o può essere insorto in un singolo componente della famiglia a causa di specifiche situazioni della sua vita, e poi sostenuto e alimentato dal sistema familiare. In entrambi i casi, il consenso di tutta la famiglia che lui è il vero problema, indica che, almeno in certa misura, il sintomo è rinforzato dal sistema. La famiglia, quale sistema socio-culturale aperto, deve continuamente affrontare richieste di cambiamento annunciate da cambiamenti biologici e psicosociali in uno o più componenti e da vari stimoli provenienti dal sistema sociale in cui è inserita ogni famiglia. Una famiglia che non funziona è un sistema che ha risposto a queste richieste stereotipando il suo modo di funzionare. Le esigenze di cambiamento sono in contraddizione con la struttura familiare che in realtà non si è cambiata. La funzione del terapista della famiglia è di aiutare il paziente designato e la famiglia, facilitando la trasformazione del sistema secondo 3 mosse principali: 1. Il terapista stabilisce un rapporto di guida con la famiglia; 2. Ne fa affiorare la struttura nascosta di cui da una valutazione; 3. Crea situazioni che permetteranno la trasformazione di questa struttura. Il risultato è la trasformazione della famiglia: i cambiamenti riguardano la serie di aspettative che regolano il comportamento dei suoi componenti. Cambiamento e trasformazione in questo contesto hanno significati diversi: la trasformazione, ovvero la ristrutturazione del sistema familiare, porta al cambiamento, cioè ad una nuova esperienza individuale. La trasformazione di solito non cambia la composizione della famiglia; il cambiamento avviene nel modo in cui le stesse persone si pongono in relazione l’una con l’altra. Lo scopo di ogni intervento del terapista è la famiglia, pur ignorando ogni singolo componente, la meta del terapista è di attivare le operazioni dell’interno sistema familiare. La responsabilità di raggiungere questo stato o di fallire nel raggiungerlo è unicamente del terapista. SQUILIBRIO NELLA TRASFORMAZIONE Nell’intento di trasformazione il sistema familiare, il terapista deve intervenire in modo tale da squilibrare il sistema. Vi sono dei tranelli insiti nelle forti alleanze con uno dei componenti della famiglia: la tecnica equilibrante di allearsi prima con l’uno poi con l’altro, può essere d’aiuto in alcuni casi, mentre in altri serve unicamente a cristallizzare la rigidità della famiglia. Il terapista, orientato verso un approccio strutturale della famiglia, può apparire scorretto, insensibile ai singoli componenti. Il terapista manterrà il contatto con i componenti della famiglia, sarà sensibile alle loro dinamiche interne, sosterrà e rafforzerà alcuni aspetti della personalità di ciascuno, perfino quando li squalificherà in altri settori. Dovrà avere la capacità di comunicare e trasmettere alla famiglia il suo forte senso di rispetto nei confronti di ognuno, è estremamente importante che la famiglia abbia fiducia nel terapista. Inoltre, il terapista deve tenere sotto controllo gli effetti della terapia e le situazioni di vita che incidono sulla famiglia: il cambiamento ottenuto per mezzo della famiglia, così come ogni cambiamento che si verifichi in una famiglia, è accompagnato da tensione. Il sistema terapeutico deve essere in grado di affrontarla e di superarla. 15 Nelle famiglie patologicamente invischiate i processi di differenziazione sono ostacolati ed ogni separazione dalla famiglia appare un tradimento. E’ impossibile disimpegnare un componente del sistema a meno che venga impegnato ad un livello diverso. MOVIMENTO IN TERAPIA FAMILIARE Le esperienze delle persone cambiano man mano che le loro posizioni rispetto agli altri si trasformano, ma il dilemma sorge allorché ci si chiede perché i componenti della famiglia accettano una disposizione nuova delle loro posizioni e perché le trasformazioni permangono, quando il terapista non fa più parte dell’unità familiare. Il terapista della famiglia mette in discussione la percezione che la gente ha della realtà, egli tende a sostenere i componenti della famiglia, anche se implica che c’è qualcosa al di là di quanto essi sono in grado di percepire. In realtà sta dicendo “si, ma” o “si, e”, e deve convincerli che sono suggerimenti che scaturiscono dalla loro stessa personalità. La sua posizione di dubbio deve essere sostenuta da affermazioni che i membri della famiglia trovano corrette, in base alle loro esperienze precedenti; deve saper far leva su codici alternativi già noti ai componenti della famiglia. I pazienti cambiano per 3 motivi: Sono sfidati nelle loro percezioni della realtà; Vengono loro offerte possibilità alternative che appaiono sensate; Infine, avendo provato modelli transazionali alternativi, compaiono nuovi rapporti che si rafforzano da soli. LA STRADA È COME LA SI PERCORRE Il terapista deve sapere come tracciare una mappa dei suoi obiettivi, ma deve anche sapere come facilitare i piccoli movimenti che portano la famiglia verso queste mete, deve aiutarla in modo da non farla sentire minacciata da cambiamenti più grandi di lei. È vitale, quindi, fornire sistemi di sostegno alla famiglia per facilitarne i movimenti da una posizione all’altra. Il contenuto di una seduta dipende da molti fattori idiosincratici, quali lo stile transazionale tipico di una famiglia e la personalità del terapista: è strettamente correlato alle effettive esperienze d vita ed è influenzato anche dagli stimoli del terapista. Due terapisti possono arrivare a obiettivi e tattiche di fondo analoghe riguardo ad una famiglia, ma i mezzi usati per raggiungerli saranno profondamente diversi, a causa degli stili dei terapisti, che sono il prodotto delle loro differenti esperienze di vita. FORMAZIONE DEL SISTEMA TERAPEUTICO I metodi usati dal terapista per creare un sistema terapeutico e per porsi come suo leader all’interno, sono detti operazioni di associazione, che costituiscono i pilastri della terapia. Se il terapista non riesce ad associarsi alla famiglia e non stabilisce un sistema terapeutico, la ristrutturazione non può avvenire e qualsiasi tentativo di raggiungere gli obiettivi terapeutici fallisce. ASSOCIAZIONE E ACCOMODAMENTO Sono due modi di descrivere lo stesso processo: 16 Associazione Si usa quando si sottolineano le azioni compiute dal terapista allo scopo preciso di stabilire un rapporto con i componenti della famiglia o con il loro sistema familiare. Accomodamento Si usa quando si pongono in evidenza gli adattamenti compiuti dal terapista per conseguire l’associazione. Per associarsi a un sistema familiare, il terapista deve accettare l’organizzazione e il modo di vivere della famiglia e amalgamarsi con essa. Quando si spinge oltre i limiti della famiglia deve essere conscio dei contro-meccanismi del sistema. Le pressioni fatte dalla famiglia contro di lui sono elementi che gli permettono di conoscerla. Questo processo non è unidirezionale: così come il terapista si “accomoda” per stabilire dei contatti con la famiglia, anche la famiglia deve “accomodarsi” in ugual modo a lui. Le operazioni di accomodamento sono spesso descritte quando si parla di metodi terapeutici, essendo considerate parte intrinseca del processo. Talvolta l’omissione è voluta poiché molti terapisti temono che l’analisi delle tecniche di accomodamento del terapista possano inibire la sua spontaneità. Chiunque si impegni in terapia familiare è sempre colpito dalla tremenda difficoltà di trasformare un sistema familiare: la famiglia cambia solo se il terapista è stato capace di entrare nel sistema in modo sintonico. Il terapista è proiettato verso il cambiamento della cultura a cui si associa ma i suoi obiettivi, le sue tattiche, i suoi stratagemmi dipendono tutti da processi di associazione. Durante la terapia, i suoi interventi più significativi sono rivolti a cambiare il sistema terapeutico in direzione degli obiettivi terapeutici. Il terapista, però, deve anche rispondere a tutti quegli elementi che emergono in ogni singola seduta: queste risposte immediate possono essere in contrasto con gli obiettivi ultimi del trattamento perché, per ristrutturare positivamente, è spesso necessario sostenere quelle strutture che, nel corso del tempo, devono essere messe in crisi. In effetti la terapia si misura su due diverse scale di tempo: Il progresso della famiglia verso gli obiettivi terapeutici è valutato come una serie di movimenti compiuti nell’arco di tempo più ampio; L’associazione e la trattazione di problemi immediati vanno invece valutate come transazioni specifiche nel corso di una singola seduta. Mantenimento Tecnica di accomodamento messa in atto dal terapista, man mano che percepisce, analizza la struttura familiare e le offre un sostegno pianificato. Il sistema può essere mantenuto su tutti i livelli dalla struttura. famigliare, presa nel suo complesso, ai singoli membri che ne fanno parte con tutte le loro caratteristiche individuali. Le operazioni di mantenimento spesso implicano la conferma e il sostegno attivo dei sottosistemi familiari, sia in termini di potenzialità individuali che di posizione occupata da un componente della famiglia (es. può fare commenti su come è perspicace un bambino nel descrivere la situazione; può porre in evidenza la validità di una metafora ben usata da un membro della famiglia, ecc.). Quando il terapista sostiene un sottosistema, altre parti della famiglia possono aver bisogno di ristrutturarsi, al fine di “accomodarsi” a questo sostegno (es. se il terapista appoggia il coniuge più debole, ciò costituisce una richiesta di ristrutturazione rivolta al coniuge più forte. Se il sottosistema dei coniugi è aiutato, ciò potrà comportare ristrutturazioni del sottosistema dei fratelli). 17 Seguire le tracce. Il terapista segue i contenuti delle comunicazioni e del comportamento della famiglia e l’incoraggia a continuare. Nella sua modalità più semplice, seguire le tracce significa fare domande di chiarificazione, commentare approvando, richiedere maggiori delucidazioni riguardo a un argomento. Il terapista si pone come un interlocutore interessato ed operazioni di questo tipo sono caratteristiche di terapisti non invadenti. Seguire le tracce è anche un modo di rassicurare i componenti della famiglia, chiedendo informazioni. Il terapista non inizia un’azione, ma piuttosto guida seguendo, approva la famiglia così com’è, incoraggiando e accettando ciò che essa gli comunica. Sia le operazioni di mantenimento che quelle di seguire le tracce possono essere usate quali strategie di ristrutturazione. Mimesi È un’operazione umana universale. Un terapista usa la mimesi per accomodarsi allo stile e alle modalità affettive di una famiglia. Adotta il “tempo” di comunicazione della famiglia, rallentando il ritmo (es. con una famiglia che fa lunghe pause e risponde lentamente). Le operazioni mimetiche sono di solito implicite e spontanee nel sistema terapeutico. Come gli altri processi di accomodamento possono essere usate per ristrutturare. I processi di accomodamento e di ristrutturazione sono intrecciati. DIAGNOSI È l’ipotesi di lavoro che il terapista trae dalla sua esperienza e dalle osservazioni che gli provengono dall’associazione alla famiglia. Una diagnosi psichiatrica implica la raccolta di dati offerti dal paziente stesso o che lo riguardano, e l’assegnazione di un’etichetta comprensiva di tutto il complesso di informazioni raccolte. In terapia famigliare, la diagnosi implica l’accomodamento del terapista alla famiglia allo scopo di costituire un sistema terapeutico, che scaturisce dalla valutazione delle sue esperienze dell’interazione della famiglia nel presente. Nel valutare le interazioni della famiglia, il terapista si concentra su 6 settori principali: 1. Considera la struttura della famiglia, i suoi modelli transazionali preferiti e quelli alternativi disponibili; 2. Valuta la flessibilità del sistema e la sua capacità di elaborare e di ristrutturarsi, rivelata dal rimaneggiamento delle alleanze e delle coalizioni e dai sottosistemi che rispondono a mutate circostanze; 3. Esamina la risonanza del sistema familiare e la sua sensibilità nei confronti delle azioni individuali di ciascuno tra invischiamento e disimpegno; 4. Riesamina il contesto ambientale della famiglia analizzando le fonti di sostegno e tensione nell’ecologia familiare; 5. Esamina lo stadio di sviluppo e la messa in atto di compiti appropriati a quello stadio; 6. Esplora i modi in cui i sintomi del paziente designato vengono usati per mantenere i modelli transazionali preferenziali della famiglia. Una diagnosi interazionale si raggiunge tramite un processo rivolto a raccogliere diversi tipi d’informazione: ciò che le persone dicono, organizzato in sequenze logiche in termini del significato 18 del materiale presentato; indicazioni non verbali, come tonalità della voce o esitazioni frequenti; ordine in cui vengono fatte le osservazioni: chi parla, a chi parla e quando. Solo allora il terapista può raccogliere le informazioni sui modelli transazionali alternativi. La diagnosi internazionale cambia di continuo, man mano che la famiglia assimila il terapista, si accomoda a lui e si ristruttura o oppone resistenza ai suoi interventi ristrutturanti: altra differenza con la diagnosi psichiatrica tradizionale. Diagnosi e terapia sono inseparabili; questo genere di diagnosi è anche inseparabile dalla prognosi. CONTRATTO TERAPEUTICO Sia la famiglia che il terapista devono accordarsi sulla natura dei problemi e sugli obiettivi del cambiamento. Questo contratto può non avere una fisionomia esplicitamente definita, ma deve esserci, anche se inizialmente può essere molto limitato, poi si espanderà e cambierà col tempo. Il contratto terapeutico implica una promessa d’aiuto alla famiglia riguardo al problema che ha portato in terapia; esso specifica anche la logistica della terapia (studio medico, a casa, a scuola, ecc.); il terapista può trattare unicamente problemi intra-familiari, o può aiutare la famiglia che ha difficoltà in ambiti diversi. Il contratto terapeutico specifica la frequenza e la durata delle sedute. Tutte queste cadenze possono cambiare nel corso della terapia ma, fin dall’inizio, bisogna essere abbastanza espliciti. ASSOCIAZIONE AI SOTTOSISTEMI In generale, l’associazione a un sottosistema costituisce già un intervento ristrutturante, perché gli altri componenti della famiglia debbono raggrupparsi di nuovo per assorbire il colpo dell’alleanza contratta dal potente terapista con un altro sottosistema. Un’abilità terapeutica spesso trascurata è quella di trascurare l’accomodamento ai bambini, mentre bisogna essere in grado di accomodarsi al linguaggio dei bambini. Una tecnica utile può essere quella di servirsi di diversi sottosistemi familiari. Alcuni terapisti raccomandano che le sedute si tengano alla presenza di tutti i componenti della famiglia, per assicurare comunicazioni esplicite e impedire lo sviluppo di segreti e di fantasmi della famiglia. Tuttavia, ci sono casi in cui lavorare separatamente con i sottosistemi può essere un espediente ristrutturante molto valido, ad esempio nella famiglia fortemente invischiata la fragilità dei confini di un sistema ad alta risonanza è patogena. Includere o escludere alcuni componenti dell’unità terapeutica presa in osservazione è strategia molto efficace perché permette di esplorare come i sottosistemi funzionano in contesti che cambiano. ASSOCIAZIONE E RISTRUTTURAZIONE L’Unità terapeutica è in movimento continuo, e i processi di associazione, sondaggio, osservazione, aiuto, stipulazione di un contatto terapeutico e stimolo della trasformazione, si presentano ripetutamente in sequenze caleidoscopiche (es. lo sviluppo della diagnosi della famiglia, fa parte del processo di associazione ad essa). L’intrecciarsi dell’accomodamento e della ristrutturazione è interessante quanto complesso: si possono persino raggruppare i terapisti della famiglia a seconda della loro dichiarata abitudine di praticare le operazioni di accomodamento e di ristrutturazione: 19 Nei gruppi improntati sul transfert, non ci si aspetta che il terapista stabilisca dei rapporti associativi con la famiglia: i processi di accomodamento alla famiglia sono casuali e si debbono controllare solo se diventano di contro-transfert; Il processo di ristrutturazione della famiglia è visto come risultato delle interpretazioni del terapista dalla sua posizione distaccata. Il terapista è un osservatore che guarda dall’esterno. Nel gruppo “esistenziale”, sia il terapista che la famiglia si accomodano l’uno all’altro; le strategie e le operazioni di ristrutturazione sono rifiutate in quanto manipolative e perché inibiscono la crescita. Il terapista opera dall’interno senza distacco. Nell’approccio “strutturale”, tutti e due questi tipi di operazioni sono considerati essenziali alla terapia: i processi di accomodamento servono al terapista per avere una conoscenza soggettiva dei modelli transazionali della famiglia e si pone quale guida del sistema terapeutico; Le operazioni di ristrutturazione richiedono cambiamenti specifici dell’organizzazione familiare. Il terapista oscilla tra la posizione di coinvolgimenti tipica dell’approccio “esistenziale” e quella distaccata propria dell’esperto. Tuttavia, il comportamento di ogni terapista potrà essere profondamente diverso dalla posizione teorica da lui asserita. RISTRUTTURAZIONE DELLA FAMIGLIA Le operazioni di ristrutturazione sono gli interventi terapeutici fatti per affrontare e per sfidare la famiglia, nel tentativo di imporre un cambiamento terapeutico. Si distinguono dalle operazioni associative per la sfida che pongono. Le operazioni di associazione non sfidano: diminuiscono la distanza tra la famiglia e il terapista, aiutandolo ad amalgamarsi con essa. Tuttavia, sia le operazioni di ristrutturazione che quelle associative sono interdipendenti: la terapia non si può fare senza associazione e non avrebbe successo senza ristrutturazione. L’associazione viene usata per ristrutturare, senza che vi sia un confronto diretto con la famiglia. Servendosi di operazioni di associazione per ristrutturare, il terapista usa i movimenti stessi della famiglia, allo scopo di spingerla nella direzione degli obiettivi terapeutici. Nelle operazioni associative il terapista diventa un attore del dramma familiare, in quelle ristrutturanti opera come regista oltre che come attore. Le operazioni ristrutturanti sono i pilastri della terapia, il loro successo dipende dall’unità terapeutica che si è saldamente instaurata. Quando questa è solidamente formata, le operazioni di ristrutturazione debbono essere pianificate per consentire periodi di consolidamento e di ridistribuzione dei gruppi, man mano che la famiglia cambia., Quando il terapista si associa alla famiglia deve svolgere principalmente 2 compiti: deve accomodarsi alla famiglia, ma deve nel contempo mantenersi su una posizione di guida, non deve lasciarsi risucchiare nel sistema familiare. Se un terapista cede alle pressioni della famiglia ad associarsi a essa in modi che integrano e perpetuano l’organizzazione familiare, può perdere la sua libertà d’azione. Diventa incapace di imporre i suoi interventi ristrutturanti. Il terapista può mantenere le sue capacità di manovra e la sua libertà di manipolare tanto sé stesso quanto la famiglia, solo se opererà come guida. Compito del terapista è manipolare il sistema familiare in vista del cambiamento pianificato. Il contratto terapeutico deve riconoscere la posizione del terapista come esperto di manipolazione sociale sperimentale. 20 Ci sono 7 categorie di operazioni ristrutturanti: 1. Far agire i modelli transazionali della famiglia; 2. Demarcare i confini; 3. Accrescere tensioni; 4. Assegnare compiti; 5. Utilizzare sintomi; 6. Manipolare umori; 7. Sostenere, educare o guidare. ATTUAZIONE DI MODELLI FAMILIARI TRANSAZIONALI Sebbene il terapista debba mantenere la sua pozione di guida, deve anche evitare il pericolo di questa sua posizione, vale a dire il rischio di diventare troppo centrale. Una famiglia inizia una terapia per ricevere aiuto da un esperto, perciò tende a rivolgersi solo a lui. Se il terapista non controlla questa tendenza, la seduta può essere programmata in modo tale che egli rimanga centrale, anche quando tace (es. può trovarsi costantemente partecipe di diadi, incapace a disimpegnarsi per poter osservare). Risultato di ciò è che la seduta può essere guidata dalle supposizioni e dalle sensazioni del terapista; oppure può seguire le linee indicate da quel componente della famiglia che è più attivo nel contesto della sua seduta terapeutica. Un altro pericolo consiste nel permettere che la seduta si limiti alle descrizioni fatte dalla famiglia, dato che i reali modelli transazionali possono essere totalmente al di fuori della coscienza che questa ne ha. Per avere un quadro reale, il terapista deve spingersi al di là dell’autoritratto verbale della famiglia. Di conseguenza, il terapista osserva i segnali non verbali che confermano o contraddicono quanto la famiglia gli va dicendo. Agire modelli transazionali Il terapista deve aiutare i membri della famiglia a interagire in sua presenza, in alcuni dei modi in cui essi sono soliti risolvere i conflitti, sostenersi l’uno con l’altro, stringere alleanze e coalizioni o diminuire la tensione. Le istruzioni devono essere esplicite (es. “Parlane con tuo padre”), ciò riduce la tendenza a rendere centrale il terapista e aiuta i componenti della famiglia a sperimentare le loro stesse transazioni con accresciuta consapevolezza. Ricreare i canali di comunicazioni Questo processo può essere bloccato da una famiglia che insiste ad usare il terapista come ascoltatore. Il terapista, quindi, deve disporre di un certo numero di tecniche per incoraggiare le comunicazioni intrafamiliari in seduta: può insistere che le persone parlino tra di loro, può evitare di guardarle, può spostare indietro la sedia, può rifiutarsi di rispondere incaricando un altro membro della famiglia, può perfino lasciare la stanza per osservare dallo specchio unidirezionale. Dopo aver usato più volte queste tecniche, i componenti della famiglia, accetteranno, quale regola imposta dal sistema terapeutico, di parlare tra di loro. Manipolare lo spazio La collocazione può essere una metafora che indica vicinanza o distanza tra le persone. Quando una famiglia viene per la prima volta in terapia, il suo modo di disporsi può dare indicazioni di alleanze e coalizioni, centralità e isolamento. La disposizione spaziale operata dal terapista può anche essere una tecnica per incoraggiare il dialogo. La collocazione può essere un modo efficace di lavorare con i confini: 21 se il terapista vuole creare o rafforzare un confine, può portare dei componenti di un sottosistema al centro della stanza e far si che altri componenti spostino indietro le proprie sedie in modo da poter osservare senza interrompere. se vuole bloccare il contatto tra due persone, può separarle oppure frapporsi a esse, agendo come mediatore. La manipolazione speciale è efficace perché è semplice. Demarcazione dei confini Per funzionare in modo sano, una famiglia deve proteggere l’integrità di tutto il sistema e l’autonomia funzionale delle sue parti. Ogni componente della famiglia e ogni sottosistema familiare deve negoziare l’autonomia e l’interdipendenza del suo sostrato psicodinamico. Il terapista cerca di aiutare la famiglia a creare uno scambio flessibile tra autonomia e interdipendenza, alloscopo di promuovere la crescita psico-sociale dei suoi membri nel migliore dei modi. Obiettivo raggiungere un livello corretto di permeabilità di confini. Delineazione dei confini individuali L’autonomia di ogni individuo può essere protetta e stimolata per mezzo di semplici regole imposte come facenti parte delle regole generali che governano tutta l’unità terapeutica (es. prestare ascolto a quanto un componente della famiglia dice e tener conto di quanto comunica; i membri della famiglia dovrebbero parlare l’uno con l’altro e non l’uno dell’altro; non dovrebbero rispondere a domande fatte a un altro, ecc.). Se qualcuno comincia a rispondere a domande fatte a un altro il terapista può farlo tacere con un gesto, ciò si può fare con gentilezza ma anche con durezza. In una famiglia i bambini devono essere differenziati per avere privilegi e diritti individuali secondo l’età e il posto che occupano nella famiglia. Il terapista può anche osservare come un bambino risponde alle domande che gli vengono rivolte. Alcuni bambini rispondono autonomamente, altri guardano uno dei genitori prima di parlare o rinviano la domanda al genitore. Confini del sottosistema I confini del sottosistema della coppia dovrebbero essere abbastanza chiari per proteggerla dall’intrusione dei figli o di altri membri adulti della famiglia estesa. La famiglia deve avere un sottosistema esecutivo che prenda decisioni soprattutto per quanto riguarda l’educazione dei figli. Anche il sottosistema dei fratelli ha bisogno di confini protettivi per poter esercitare le sue funzioni, ossia per offrire ai figli: l’opportunità d’imparare a collaborare, a essere competitivi, a schivare o a cedere, a vincere o a perdere un’alleanza, acquisire altre capacità di vita con i propri coetanei. I genitori devono rispettare quest’opportunità di crescita senza il loro aiuto o la loro interferenza. Con una triade rigida è molto difficile tracciare confini. Quando un modello transazionale intergenerazionale, che di solito comprende i genitori e un figlio, si racchiude in un confine rigido, genera modelli transazionali disfunzionali. Il terapista deve lavorare per ridelineare i confini potenziando quelli del sottosistema della coppia, sicché i coniugi possano negoziare i loro problemi di coppia senza coinvolgere un terzo membro. Appena i confini del sottosistema sono rafforzati, quel sottosistema lavorerà meglio. Con altre famiglie sono necessarie o di aiuto separazioni più nette. 22 Un sistema può diventare più conflittuale non appena il numero delle persone che lo compongono aumenta. Cambiamenti nel numero dei membri di un sistema possono di per sé portare a una sua significativa trasformazione. Talvolta, l’eliminazione della persona portatrice del sintomo non fa altro che spostare un conflitto non risolto su un altro componente della famiglia, che accusa anch’esso un sintomo; ma altre volte i cambiamenti avvengono semplicemente durante il processo di separazione di un membro della famiglia dalla famiglia stessa. Brevi periodi di ricorderò di un membro della famiglia durante un periodo acuto di tensione familiare, possono essere non soltanto un necessario palliativo, ma anche parte essenziale del processo di cambiamento del sistema famigliare. l terapista può imporre confini lavorando selettivamente con diversi sottosistemi di una famiglia. Comincia a lavorare vedendo tutti i membri della famiglia nucleare, ma appena ne traccia una mappa, può individuare un settore in cui può essere utile accrescere o diminuire il numero di membri dell’unità terapeutica. Alcuni terapisti preferiscono lavorare solo con le coppie o con i genitori; altri preferiscono lavorare il più possibile all’interno della rete dei rapporti sociali della famiglia, altri ancora con più famiglie insieme. Minuchin preferisce lavorare con la famiglia nucleare, cambiando talvolta la composizione del gruppo: quando lavora con adolescenti fa sempre delle sedute individuali con loro; quando lavora con le famiglie numerose lavora sempre con sottosistemi; inoltre, con alcune famiglie è importante lavorare con componenti significativi della famiglia stessa. Aumento di tensioni Le famiglie che iniziano una terapia, di solito, hanno sviluppato dei modelli transazionali disfunzionali per affrontare le tensioni. Il paziente designato è al centro di tali modelli. La famiglia è di frequente bloccata e incapace di sperimentare modalità di rapporto alternative. Il terapista che si associa alla famiglia nel sistema terapeutico, deve: esplorare ogni comportamento alternativo che l’organizzazione familiare possa permettere; deve sperimentare e sondare sia la flessibilità del sistema familiare, sia le sue capacità di ristrutturarsi e crescere con il suo aiuto. L’abilità del terapista di produrre tensioni in parti diverse del sistema familiare darà a lui, e talvolta anche agli stessi membri della famiglia, il sentore che essa ha la capacità di ristrutturarsi, se le circostanze cambiano. Blocco dei modelli transazionali La manovra più semplice che un terapista può usare per produrre tensione è arginare il flusso di comunicazione lungo i canali abituali (es. figlio genitoriale assume il ruolo di tradurre le comunicazioni materne agli altri figli e le loro alla madre. Il terapeuta interviene dicendo “Scusami, Morris” e “prosegui”, al figlio che è stato interrotto. In questo modo, bloccando l’intervento del figlio genitoriale, si permette una maggiore contatto tra madre e figli separati a causa di Morris. Dopo un po' la flessibilità dell’organizzazione familiare si rende manifesta: quando Morris interviene per spiegare alla madre quello che vuole dire la sorella, la madre, imitando il terapista, gli dice di non intromettersi). Sottolineare le differenze Un terapista può produrre tensione evidenziando le differenze che la famiglia non vede. È in sintonia con i modi in cui i componenti della famiglia qualificano le asserzioni dell’uomo o dell’altro. Può ascoltare l’opinione di uno su un certo argomento e poi chiedere a un altro che ne pensa, oppure chiedere di discuterne. Esplicitare i conflitti impliciti I metodi usati da una famiglia per espandere i conflitti, operano velocemente e in modo automatico. 23 Il terapista costringe la coppia a mettersi in contatto se ad es. il marito usa l’auto denigrazione per evitare il contatto e quindi il conflitto con la moglie; oppure lavora per distruggere i meccanismi disfunzionali rivolti a sviare il conflitto, bloccando l’interferenza del figlio nelle triadi rigide. Associazioni in alleanze o coalizione Il terapista può produrre tensione, associandosi temporaneamente a un membro della famiglia o a un sottosistema; ciò richiede una pianificazione accurata e la capacità di disimpegnarsi in modo che il terapista non sia risucchiato nelle lotte familiari. Può associarsi a diversi componenti della famiglia uno dopo l’altro, distribuendo equamente i suoi favori e provocando successive tensioni in diverse parti del sistema familiare. Il terapista deve anche sapere quando e come associarsi a un componente della famiglia per un periodo più lungo (4-5 sedute). Questo approccio è particolarmente necessario con famiglie che negano rigidamente o evitano il conflitto, e con famiglie che rifiutano insistentemente l’idea che la famiglia nel suo complesso è un problema. (CASO: in una famiglia il conflitto della coppia è evitato facendo assumere al figlio il ruolo di caprino espiatorio. La moglie affronta il marito perché non guadagna di più, lui si rivolge al figlio correggendone il comportamento e ristabilendo il proprio senso di competenza minacciato; quando il marito sfida la moglie perché la casa è poco pulita, lei comincia a parlare del cattivo comportamento del figlio. Il terapista si associa al marito, sostenendo la sua richiesta di maggiore pulizia. Questa tecnica provoca immediatamente l’insorgere del conflitto tra i coniugi che viene negoziato nel sottosistema coniugale, tenendo fuori il figlio). Quando il terapista si associa a un membro della famiglia, deve essere acutamente conscio dei limiti di tenuta del suo alleato e anche di quelli degli altri, altrimenti corre il forte rischio di alienare quella persona e l’intera famiglia. È importante dare un certo sostegno anche alla persona che è bersagliata, anche quando la si sta attaccando: se il terapista lavora con un co-terapista, egli può sostenere il bersagliato; se lavora da solo, deve dare la sensazione di riconoscere il contributo d’altro dalle persone in discussione. Quando una particolare sequenza ha fine o perché l’obiettivo è stato raggiunto o perché si sono raggiunti i limiti di sopportazione, il terapista deve cambiare la sua posizione e coalizzarsi con quella persona che in precedenza era stata il bersaglio. Rischio: il membro della famiglia che subisce l’attacco, può contrattaccare non il terapista, ma il componente della famiglia con cui è alleato. Il fine ultimo del terapista è che tutta la famiglia migliori e se ne renda conto. Se si coalizza contro alcuni, costoro devono rendersi conto che è solo uno stadio transitorio e soprattutto che egli è alleato con tutta la famiglia nel sistema terapeutico. Assegnazione dei compiti I compiti creano l’ambito entro cui ciascun membro della famiglia deve funzionare. Il terapista può usarli per evidenziare e lavorare concretamente su un campo d’esplorazione che non è stato sviluppato naturalmente nel corso delle transizioni familiari; oppure può mettere a fuoco un settore in cui la famiglia può aver bisogno di lavorare. In seduta Assegnando i compiti in seduta, il terapista evidenzia la sua posizione di datore di regole. I compiti possono semplicemente: indicare come e con chi i membri debbono comunicare, oppure possono anche riguardare la manipolazione dello spazio (es. gira la sedia, sedetevi vicino a prenda la mano di sua moglie quando è ansiosa, ecc.), oppure si possono usare per drammatizzare le transazioni familiari e suggerire cambiamenti (es. delega il padre di impedire al figlio di interrompere la madre durante la seduta; con madre 24 dominante e padre periferico, insiste che il padre esponga i problemi dei figli, se la madre vuole intervenire deve chiedere la marito se può, ecc.). Compiti a casa Il terapista può anche assegnare compiti da eseguire a casa: se la famiglia risponde svolgendo il lavoro che le è stato assegnato, porta il terapista a casa con sé. Egli diventa colui che pone le regole anche al di là della struttura della seduta (es. coppia dove lei controlla molti aspetti della vita del coniuge, l’ora in cui va a dormire, quando si lava, cosa mangia. Terapista richiede al marito di comprarsi vestiti da solo per la prima volta, mentre alla moglie richiesto di continuare a criticare, questo perché lui ha bisogno di aiutarla sfidando la sua irragionevole autorità). L’uso dei compiti presenta molti vantaggi. Obiettivo costringe il terapista a lavorare con la struttura familiare e con i modelli transazionali, piuttosto che con le caratteristiche particolari di ciascun individuo. I compiti indicano nuove possibilità di ristrutturazione della famiglia e formulandoli, il terapista deve chiarificare la sua mappa e stabilire tanti obiettivi specifici, quando stadi specifici in questa direzione. I compiti sono anche un valido modo per verificare la flessibilità della famiglia. Nell’assegnare un compito, il terapista fa un sondaggio della famiglia, perché non sa se la famiglia sarà capace di affrontarlo. Talvolta, la famiglia accetta un compito e scopre che i comportamenti alternativi scaturiti da esso sono preferibili a quelli vecchi, quindi che può funzionare meglio; mentre altre volte i componenti della famiglia modificano il compito, lo contraddicono e lo evitano. Utilizzazione dei sintomi Un terapista che lavora entro una struttura familiare, vede i sintomi di un individuo come espressione del problema di contesto. Può fare due cose: combattere la tendenza della famiglia di concentrarsi esclusivamente sul portatore dei sintomi, oppure può scegliere di lavorare direttamente col problema emergente (talvolta, il sintomo è cos acuto e pericoloso che diventa primario). Concentrarsi sul sintomo La strada più spedita per diagnosticare e cambiare i modelli transazionali disfunzionali di una famiglia è quella di lavorare con i sintomi del paziente designato, che rappresentano un concentrato delle tensioni della famiglia. Il terapista non contrasta immediatamente la formulazione che la famiglia dà del problema, ma segue piuttosto la strategia di influenzare il resto della famiglia per operare al fine di aiutare il paziente designato, concentrandosi sul sintomo. Questa tragedia (dura circa un mese) serve ad esplorare l’uso del sintomo da parte della famiglia e rivela una serie di disfunzioni familiari che sottendono il sintomo. Esagerazione del sintomo Un terapista può usare il suo potere per rinforzare il sintomo del paziente identificato, accrescendone l’intensità tecnica diventa manovra ristrutturante. (CASO: famiglia in cui problema emerge riguarda il figlio che tuba. Questa situazione viene definita dal terapista come una reazione alla mancanza di effettivo controllo nella famiglia, quindi do al figlio l’istruzione di continuare a rubare, persino al padre. Questo stratagemma ricolloca il comportamento anti-sociale all’interno di una situazione immediata che mobilita le funzioni esecutive di controllo della famiglia. Il comportamento di un componente diventa un problema di regole interpersonali della famiglia.) De-enfatizzazione del sintomo Talvolta è possibile usare il sintomo come una strada per allontanarsi dal paziente designato. (CASO: famiglia formata da padre, madre e 3 figli, padre è paziente designato perché ha vomito psicogeno. La moglie non vuole partecipare alla terapia perché insiste col dire che il problema è del 25 marito. Moglie va solo alla prima seduta di coppia e si vede che è il capo della famiglia, il marito è condiscendente, tranne quando vomita. La figlia preoccupata che il padre muoia, il figlio minore prende in giro il padre quando vomita. Terapista offre alla coppia diverse scelte: o di vomitare in silenzio, di smettere, tutto ciò però non potrà aiutare la coppia ad acquisire rispetto reciproco, a far diventare i figli autonomi, dato che il conflitto genitoriale invade la loro vita.) Spostamento verso un nuovo sintomo Il concetto sistemico della funzione di un sintomo nella famiglia rende possibile sviluppare una strategia per attaccare il problema identificato, spostando temporaneamente l’obiettivo della concentrazione terapeutica su un altro membro della famiglia. Ridefinirete il sintomo Una ri-concettualizzazione del sintomo in termini interpersonali può aprire nuove vie al cambiamento (es. anoressia di una ragazza è ridefinirà da una parte come disubbidienza, dall’altra come incompetenza dei genitori). Cambiare l’effetto emotivo del sintomo Può essere utile cambiare l’effetto emotivo delle transazioni che avvengono intorno al sintomo. Manipolazione degli umori Molte famiglie dimostrano un sentimento predominante: aderiscono a un modello ristretto di umori, quale che sia il contenuto dei problemi che stanno discutendo. L’atteggiamento emotivo è un indizio del livello di disponibilità di una particolare famiglia saper cogliere e seguire questo atteggiamento emoticon è un’operazione associativa, ma può anche essere ristrutturante. Il terapista può servirsi di un’imitazione esagerata dello stile famOliare per far scattare i meccanismo controdevianti della famiglia. Alcune famiglie sono tanto abituate a situazioni d’emergenza da non presentare più una gerarchia di problemi: quando una crisi insorge, il suo impatto è minimizzato. Il terapista può dover assumere un atteggiamento drammatico per far rispondere appropriatamente una famiglia a una situazione di cui la famiglia stessa deve comprendere la gravità. Elementi emotivi possono essere usati per manipolare la distanza (es. marito accusa moglie di essere infantile, lo fa anche il figlio, associandosi al padre. Il terapista, indignato, dice al padre che non dovrebbe tollerare la mancanza di rispetto del figlio nei confronti della madre. In questo modo il terapista ‘dà in prestito’ indignazione al padre, inducendolo a biasimare il figlio). Sia indignazione che biasimo producono distanza e aiutano a rafforzare i deboli confini della famiglia.Può anche essere utile ridefinire un atteggiamento emotivo predominante (es. se madre ha un supercontrollo, il terapista può usare la tecnica di definire queste sue operazioni di super controllo ‘interesse’ verso i figli. Tale ridefinizione spesso è solo un modo per evidenziare aspetti sommersi dei sentimenti della donna verso i figli. In questo modo stabilisce rapporto di simpatia con la madre, che facilita l’apparizione di nuove transazioni tra madre e figli). LA PRIMA INTERVISTA Una seduta iniziale ha la caratteristica esclusiva di un incontro tra 2 gruppi sociali formati da estranei. La preoccupazione principale del terapista è di sviluppare l’unità terapeutica, ma deve anche cominciare a: tracciare una mappa della struttura della famiglia, 26 ampliarne l’obiettivo, sviluppare per lo meno un contratto terapeutico provvisorio La seduta iniziale può essere divisa in 3 fasi: 1) il terapista si attiene alle regole culturali dell’etichetta; 2) chiede già a ciascun componente quali pensa che siano i problemi della famiglia; 3) esplora la struttura della famiglia aiutandola ad agire i propri drammi. Il contatto iniziale con una famiglia può essere visto come un rapporto del tipo invitato-ospite. I componenti della famiglia: si sentono a disagio; non conosco le regole del gioco né il terapista; presumono soltanto che sia un esperto. Premura del terapista è: Mettere la famiglia a suo agio; si presenta e aiuta la famiglia a presentarsi; se ha già saputo i loro nomi grazie a una conversazione telefonica o dagli appunti lasciati dalla segretaria, associa i nomi a ogni componente della famiglia questo mostra che si è preparato per riceverla. Quando la famiglia si è accomodata, il terapista dovrebbe osservare come i suoi componenti si sono disposti, poiché spesso la loro disposizione può dargli alcune indicazioni sulle associazioni familiari. Il terapista può dedicare i primi minuti a una piccola chiacchierata e se è in funzione un’attrezzatura per registrare dovrebbe spiegarla. Stabilire contatti terapeutici Appena la famiglia si sente a suo agio, il terapista chiede quali problemi l’hanno portata in seduta. La risposta della famiglia è di per sé un’indicazione di come la famiglia negozia i propri confini col mondo esterno e anche di ciò che essa vuole proiettare come immagine. La famiglia costituisce un ambiente artificiale che si incontra con un terapista che è un estraneo, per questo si comporterà secondo modalità ‘ufficiali’. Una famiglia con confini deboli può cominciare subito a coinvolgere il terapista nei propri conflitti e nelle proprie lotte; altre famiglie si proteggeranno, dando una versione ufficiale di sé stesse e aprendosi con il terapista soltanto quando questi si sia associato a loro in un sistema terapeutico. La prima domanda del terapista è posta in termini generici e non è chiaramente diretta in particolare a nessun membro della famiglia; talvolta la prima domanda è determinata dai valori culturali della famiglia o da un sistema di valori condiviso (es. potrebbe rivolgersi prima al padre, ecc.), poi il terapista comincia a estendere i suoi contatti con gli altri membri. Il terapista presta particolare attenzione alle somiglianze e alle differenze con le quali ciascun genitore presenta i problemi. La natura della qualifica o perfino l’inflessione di voce, può stimolare il terapista a esplorare questo campo. Mentre fa sondaggi, il padre può dire che il figlio ubbidisce a lui, ma che la moglie è troppo debole, trovandosi ben presto in un conflitto tra coniugi. La mossa successiva dipenderà dalla sua valutazione della famiglia: può permettere o perfino incoraggiare il conflitto tra i genitori, sviluppandolo come strategia per togliere al figlio l’etichetta di ‘problema’, e per esplorare un possibile sottosistema disfunzionale tra marito e moglie. Deve però stare attento a non toccare zone di tensione prima che il sistema terapeutico si sia sviluppato al punto da permettergli di sostenere i componenti della famiglia che sono sotto tensione. Se tale conflitto tra i coniugi si manifesta troppo presto nella prima seduta, il terapista può registrarlo come campo d’esplorazione futura e rendere innocuo l’argomento spostando l’attenzione su un altro membro. 27 Il terapista ascolta il contenuto della presentazione del problema fatta dalla famiglia, ma osserva anche il modo in cui la famiglia si comporta; su un piano non verbale essa è meno controllata e il suo comportamento è più simile al modello abituale. Infine, il terapista dovrà sapere in che modo avvengono le transazioni della famiglia e come essa risponde a situazioni di tensione al suo interno. Dopo che il terapista della famiglia ha ottenuto la presentazione del problema da parte dei genitori, chiederà l’opinione di un terzo membro generalmente, questo non dovrebbe essere il paziente designato, altrimenti si potrebbe pensare che stia accettando la condizione di ‘malato’. Contattare per primo un altro membro della famiglia può consentire l’apparizione di un diverso punto di vista del problema, e aprire così un nuovo settore di problemi familiari. A un certo punto, il terapista dovrebbe stabilire un rapporto con ciascuno dei componenti presenti della famiglia, inclusi i figli minori. Non è essenziale che ogni componente sia contattato uno dopo l’altro, di modo che il terapista non provvede fino a che ciascuno sia stato contattato; ma nelle prime sedute è importante che ciascun componente senta di partecipare insieme al terapista all’esplorazione del problema. Esplorazione della struttura familiare I membri della famiglia si sono rivolti al terapeuta come un esperto, che: ha fatto emergere i loro commenti in spedizioni di sondaggio, ascolta quanto dicono, ma la sua preoccupazione principale è cercare di capire il modo in cui la famiglia funziona, osserva come i membri della famiglia si pongono in relazione l’uno con l’altro. Al tempo stesso il terapista sta programmando la sua prossima mossa, pensa a strategie che possono spingere la famiglia a rivelare sé stessa; ha fatto una mappa di certi aspetti della struttura familiare e si è servito di manovre associative. Per osservare meglio la famiglia, la divide in sottosistemi: quando i membri del sottosistema scelto si parlano e transazionano negoziati, il terapista familiare può usare lenti più ampie: non ha bisogno di intervenire. A questo punto il terapista della famiglia funziona come un regista: guida certi membri a parlare l’uno all’altro, verifica le sue impressioni sul modo di funzionare della famiglia; sonda i campi di disaccordo; osserva come il disaccordo è affrontato e anche come la famiglia affronta il problema; raccoglie informazioni per la sua prossima strategia, che può includere un altro i componenti nelle negoziazioni in atto; cerca di delineare i confini e la flessibilità, cerca i sistemi disfunzionali. Allargamento della visuale La tecnica di organizzare la famiglia in sottosistemi aiuta ad ampliare la visuale del problema, poiché spesso la famiglia arriva in terapia con un paziente designato, quindi si è organizzata in modo da centrare l’obiettivo su di lui; mentre il terapeuta ha una finalità diversa presuppone che il paziente designato risponde ad aspetti disfunzionali delle transazioni familiari e che il miglior modo di affrontare i problemi sia mettere in luce o cambiare aspetti disfunzionali. 28 Il terapista può usare molte strategie per allargare il campo d’osservazione: può scegliere un altro paziente su cui concentrarsi; può discutere altri problemi; può esplorare altri campi che sono in relazione con esso. La prima intervista rappresenta una sintesi di quanto avverrà con la famiglia durante la terapia. I punti di tensione devono essere esplorati, ma il terapeuta deve tenere conto del grado di tensione che la famiglia può sopportare. Quando non è più a suo agio, il terapista deve fare marcia indietro, usando operazioni di mantenimento, fino a che la famiglia di nuovo si sentirà a suo agio. Il terapista e la famiglia devono sempre adattarsi a vicenda per sviluppare insieme un sistema terapeutico. 29 I CONFINI NEI CONTESTI RELAZIONALI Rossi e Travaglini INTRODUZIONE Nel confine sono presenti due concetti: 1. Distinzione 2. Transizione. La differenziazione rappresenta una conquista, il passaggio è la metafora del transito dell’individuo nelle diverse fasi del ciclo della vita, produce ferite e cambiamenti che hanno bisogno dell’elaborazione della perdita. La demarcazione tra me e non-me provoca angoscia, il bambino ha bisogno di riempire il vuoto lasciata dalla perdita della simbiosi con l’introiezione dell’oggetto d’amore, grazie alla presenza di una madre attenta. All’inizio non esiste distinzione tra la psiche ed il corpo. Quando l’ambiente è sano si può acquisire la capacità di essere soli. La famiglia detta regole e confini. L’individuo fin dall’infanzia è immerso nell’ambivalenza tra dipendenza dall’altro ericerca della propria indipendenza (la consapevolezza di questa dualità creerà la nascita del Self). Se il soggetto non si è individuato a causa dei fallimenti ambientali questa condizione non può essere vissuta in modo sano e si può produrre un irrigidimento, in cui interno ed esterno saranno in perenne contrasto, non riusciranno ad interagire armonicamente. In terapia… Anche il campo della relazione analitica ha dei confini; infatti, l’analista salvaguarda i confini di entrambi. Anche la dimensione del tempo nella cura ha dei limiti. Così come per il bambino, anche per il paziente il tempo e il tipo di relazione permettono la trasformazione delle frustrazioni. Durante la cura la difesa estrema al cambiamento del paziente è un limite, invalicabile, che però è anche l’elemento di congiunzione tra il sé e l’altro, che consente al soggetto di uscirne arricchito, entrando a contatto col il proprio sé senza uscirne annientato, in questi termini il clinico dovrà esser capace di perdersi nel mondo dell’altro (tramite l’empatia) e poi ritornare al di là dell’argine e fornire le interpretazioni adeguate. L’analisi consiste nell’attraversamento dei propri spazi, ma contemporaneamente la ridefinizione dei confini. Il setting, con le sue regole, fornisce contenimento, limite ma anche apertura. VERSO UN’EPISTEMOLOGIA DELLA COMPLESSITÀ IN PSICOTERAPIA 30 In psicologia la psiche è allo stesso tempo sia oggetto di indagine sia strumento del conoscere (la psiche non fa che conoscere sé stessa). Il paradosso è proprio che dimensione universale e individuale convivono. W. Windelband e H. Rickert distinguono tra: Scienze naturali, che cercano la legge a cui obbediscono i fatti, sono scienze nomotetiche, hanno come scopo il riconoscimento dell’universale e sono scienze di leggi; Scienze storiche, che hanno di mira l’unico, sono scienze idiografiche, hanno come scopo il riconoscimento dell’evento singolo e sono scienze di eventi. Uno stesso oggetto può essere studiato da entrambi i tipi di scienza, sia come natura sia come storia. Lo studio dell’oggetto è diviso in due momenti: 1. Individualizzante. Valuta le singolarità dell’oggetto; 2. Generalizzante. Valuta le componenti generali dell’oggetto. La psicologia contempla sia il metodo generalizzante sia quello individualizzante. La terapia consiste nell’isolare gli aspetti psicopatologici favorendo una trasformazione in aspetti normali e integrabili nella realtà psichica del paziente. Questa innegabile polarità tra individuale ed universale, singolo e generale fanno della psicoterapia una scienza della natura, ma anche della cultura. SCIENZE NATURALI E DI SPIRITO Con Wilhelm Dilthey parliamo di diversità tra l’oggetto della Scienza naturale e Scienza dello spirito con scopo quello di riconoscere l’individuale nella realtà storico-sociale e descrivere come la società influenza l’individuo stesso. La differenza principale sta nel fatto che nelle scienze dello spirito l’oggetto non è colto, come l’oggetto naturale, tramite l’esperienza esterna, ma attraverso l’Erlebnis, ovvero l’esperienza vissuta. Dilthey inoltre distingue tra “comprendere” (Verstehen) e “spiegare” (Erklaren). La base conoscitiva delle scienze dello spirito (in seguito chiamate scienze storiche o della cultura) è il “comprendere”, mentre quella delle scienze naturali è lo “spiegare”. Nella psicoterapia entrambe le modalità del conoscere sono presenti e operanti. “Spieghiamo la natura e comprendiamo la vita psichica” = Spiegazione scientifica (Erklaren) + Comprensione empatica (Verstehen) Nell’incontro terapeutico vi è una relazione che dal piano conscio sconfina in quello inconscio complessificando la conoscenza tra il soggetto indagante e l’oggetto indagato. La conoscenza dipende dall’interazione tra fattori quantitativi, percettivi, emotivi, cognitivi del terapeuta e del paziente attivati dal dialogo. Il “comprendere” applicato alla psicoterapia non è in grado solo di esprimere la complessità della relazione tra le due soggettività, occorre infatti una comprensione empatica, l’altro viene compreso attraverso un “sentire”, una percezione interiore,che richiede una corrispondenza tra il mio essere e l’essere dell’altro. Opposta e complementare alla comprensione empatica è la cognizione generalizzante proposta da Rickert che riporta l’oggetto indagato a categorie universali e modalità riproducibili. 31 La soluzione all’antitesi individuale-generale consiste in un’alternanza che va dai fattori generali alla totalità individuale unica. Il terapeuta si sposta continuamente da conoscenza immediata a interpretazione costruttiva ed elaborazione di un modello, per fare questo si avvale di uno schema interpretativo. Tuttavia, il modello è continuamente messo alla prova e messo in crisi dall’esperienza. La circolarità tra esperienza immediata e modello comprende scienze della natura e scienze della cultura. La circolarità comporta ostacoli interpretativi. La conoscenza psicoterapeutica si basa su cognizione soggettiva e spiegazione oggettiva, comprensione empatica e cognizione generalizzante. In terapia si parla di una rappresentazione dell’alto come fonte di preoccupazione empatizzante, ovvero una preoccupazione per l’altro in cui è coinvolta tutta la personalità del terapeuta. L’intenzionalità di questo rapporto è una condizione “interumana”, in cui tutto il mio essere, la mia totalità, la mia realtà psichica viene messa a vantaggio dell’altro nel progetto psicoterapeutico. La mia psiche è non solo dispositivo di conoscenza, ma anche dispositivo intersoggettivo di terapia. La psiche trasformando sé stessa diventa strumento di trasformazione. L’interesse comune della coppia terapeutica non è un ipotetico paziente oggetto di passiva contemplazione, ma il fattore interumano, il rapporto. Si passa dal rapporto monadico al rapporto diadico. Con la modalità di comprensione empatica il rapporto è vissuto dall’interno, con la modalità di cognizione generalizzante si ha una distanza neutrale dal rapporto, come se il clinico diventasse testimone estraneo e imparziale. Questo distanziamento è un ideale, ma non potrà mai essere realizzabile, poiché non è possibile una conoscenza distaccata dal rapporto. Vi è un costante spostamento nella terapia tra due tempi: individualizzante e generalizzante, ovvero tra comprensione empatica e giudizio generalizzante. Questi non sono momenti separati e divisi, ma composti in una relazione di complementarietà. La comprensione empatica rimanda al giudizio generalizzante e viceversa, in una circolarità creativa senza fine. PROBLEMATICHE APERTE NELLA RICERCA IN PSICOANALISI La ricerca in psicoanalisi crea dialogo e confronto con tante discipline collegate. Per quanto riguarda la ricerca concettuale se ne sono occupati l’Indice psicoanalitico di Hampstead, la scuola di Francoforte e, negli anni ’80, un’unità di lavoro di ricerca concettuale presso il Sigmund-Freud- Institut di Francoforte. A. Green era contro la moda della ricerca empirica in auge sin dagli anni ’70 per la sua eccessiva semplificazione e inadeguatezza. Se i concetti analitici vengono ricompresi nella ricerca empirica si comprende solo uno dei diversi aspetti di un concetto analitico, rischiando un appiattimento dei concetti stessi. Il diverso utilizzo di uno stesso concetto è una pratica comune. Chi tenta di descrivere, comprendere o comunicare agli altri ricorre all’uso del linguaggio e quindi dei concetti. Il linguaggio ha una doppia funzione: 1. Funzione di linguaggio comune; 32 2. Funzione di linguaggio scientifico. I concetti sono “elementi di mediazione” tra teorie ed esperienza clinica. I loro significati non sono fissi ma mutano con il tempo. Il gruppo di lavoro di Francoforte guidato da Sandler si è proposto di sviluppare un modello per studiare l’uso di un concetto tra clinici esperti, l’idea era che la ricerca concettuale potesse contribuire al dialogo all’interno delle diverse culture analitiche. Attualmente i concetti analitici sono sempre più inc