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CleanlyOphicleide1823

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Università degli Studi del Piemonte Orientale 'Amedeo Avogadro'

Francesco Dondero

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ecology energy ecosystems biology

Summary

These ecological notes detail energy and energetics in ecosystems. The document uses graphs and charts to illustrate relationships between factors like precipitation, temperature and primary productivity. The specific case of temperate, deciduous forests, is discussed, along with the factors affecting the ecological energetics.

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Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 LEZIONE 5b: energia ed energetica degli ecosistemi Nell’immagine a sinistra viene ra...

Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 LEZIONE 5b: energia ed energetica degli ecosistemi Nell’immagine a sinistra viene rappresentata una metanalisi che raggruppa differenti studi in cui è stata valutata la produttività primaria di differenti ambienti boscati lungo la costa orientale degli Stati Uniti secondo un gradiente di latitudine. I dati mostrano che c’è una tendenza all’aumento della produttività primaria in funzione della durata del periodo fotosintetico→ infatti gli ecosistemi campionati negli stati più a sud come Carolina e Tennessee beneficiano di una durata del ciclo replicativo della pianta maggiore rispetto degli stati più a nord. In questo caso c’è da ricordare che si sta prendendo in considerazione di ecosistemi temperati e decidui cioè di quegli ecosistemi boschivi che interrompono il ciclo vegetativo con il sopraggiungere della stagione invernale. Gli stati più meridionali beneficiano di temperature più miti e quindi la pausa vegetativa comparirà più avanti rispetto agli stati più a nord. È stato preso in considerazione il periodo fotosintetico ovvero la durata dei giorni in cui la pianta presenta le foglie ancora attaccate (in modo che il processo fotosintetico possa avanzare). La produttività nel grafico è stata espressa in Mt ha-1 anno-1 (dove ha=ettaro). Ogni punto del grafico rappresenta un sistema boschivo considerato nell’analisi (è una metanalisi perché raggruppa differenti studi che sono stati considerati in momenti successivi ma confrontabili). I fattori chimico-fisici che a parità di lunghezza del periodo fotosintetico influenzano la produttività primaria della pianta sono due: Disponibilità di precipitazione meteorica (piovosità di una regione) Temperatura I due grafici sopra sono delle metanalisi tratta da differenti studi e quindi anche in questo caso ogni punto tratta di un diverso ecosistema. 37 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Nel grafico azzurro è stato messo in relazione il livello di precipitazioni con la produzione di sostanza organica secca→ la piovosità mostra una relazione logaritmica con la produttività primaria. Nel grafico arancione è stata messa in relazione la temperatura con la produttività primaria→ si ha un andamento sigmoide. Il diverso andamento delle curve indica un diverso meccanismo per cui i due fattori fisici determinino un’influenza sulla produttività primaria. Le precipitazioni influenzano positivamente la produttività primaria perché la maggiore disponibilità di precipitazioni determina una maggiore apertura degli stomi in quanto la pianta per traspirare (ovvero trasportare acqua dalla radice alla foglia) deve aprire gli stomi per una questione di capillarità→ > precipitazioni > disponibilità dell’acqua > livello di traspirazione > possibilità di assorbire CO2 attraverso la fotosintesi. La temperatura accelera ogni reazione biologica/enzimatica (ad esempio i rettili e gli animali a “sangue freddo” sotto un certo livello di T presentano una scarsità di attivazione metabolica diventando praticamente inerti) a livello molecolare; inoltre maggiore è la temperatura maggiore sarà la luce disponibile (c’è una relazione stretta tra irraggiamento, potenza di irraggiamento e temperatura) necessaria per la fotosintesi→ > temperatura > fotosintesi. Associato alla maggiore disponibilità di precipitazione si ha un aumento della produttività molto efficace infatti è possibile descrivere quantitativamente il livello di produttività sulla base della conoscenza del tasso di evapotraspirazione reale (evapotraspirazione = combinazione del processo di traspirazione e evaporazione della pianta). L’evapotraspirazione reale (ET) è il processo combinato di evaporazione dell’acqua dalle superfici terrestri e traspirazione delle piante, che trasferisce l’acqua dal suolo e dalla vegetazione all’atmosfera. Questo processo è fondamentale per il ciclo idrico e influenza il clima, la disponibilità di acqua, e la crescita della vegetazione. Componenti dell’ET: 1. Evaporazione: l’acqua presente sulle superfici (come suolo, corpi idrici, foglie) evapora direttamente nell’atmosfera. 2. Traspirazione: le piante assorbono acqua dal suolo, che passa attraverso il loro sistema vascolare e viene rilasciata nell’atmosfera attraverso gli stomi nelle foglie. L’evapotraspirazione reale svolge un ruolo chiave nell’equilibrio energetico e nel bilancio idrico degli ecosistemi. Controlla il ricircolo dell’umidità nelle aree con vegetazione densa e umida, come le foreste tropicali, e ha impatti sulle precipitazioni locali e regionali, poiché l’acqua rilasciata nell’atmosfera può ricadere come pioggia. L’ET varia con fattori come la radiazione solare, la temperatura, l’umidità e la disponibilità di acqua nel suolo, rendendola altamente sensibile ai cambiamenti climatici e ambientali. I tassi di evapotraspirazione reale (ET) variano significativamente tra i biomi, rispecchiando le diverse condizioni climatiche e coperture vegetative. Ecco alcuni valori tipici: I tassi di evapotraspirazione reale (ET) variano significativamente tra i biomi, rispecchiando le diverse condizioni climatiche e coperture vegetative. Ecco alcuni valori tipici: Foreste tropicali come l’Amazzonia mostrano i tassi annuali di ET più elevati, variando tra 1000 e 1500 mm (media annuale) a seconda della densità della vegetazione e delle precipitazioni locali. 38 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Foreste temperate e foreste di conifere tendono a raggiungere valori medi annuali tra 500 e 800 mm, a seconda delle stagioni e della presenza di copertura nevosa che limita l’evapotraspirazione in inverno. Praterie e savane mostrano tassi più variabili, generalmente tra 300 e 600 mm all’anno, con picchi in estate o durante la stagione delle piogge nelle regioni tropicali e subtropicali. Deserti e tundra hanno valori di evapotraspirazione molto bassi, spesso inferiori ai 200 mm annuali, a causa della scarsa vegetazione e delle basse precipitazioni. Questi valori indicano come la foresta tropicale abbia i tassi più alti di evapotraspirazione, facilitando un ciclo idrico intenso e costante, mentre biomi più aridi e freddi mostrano tassi nettamente più bassi. Foreste tropicali come l’Amazzonia mostrano i tassi annuali di ET più elevati, variando tra 1000 e 1500 mm (media annuale) a seconda della densità della vegetazione e delle precipitazioni locali 1. Foreste temperate e foreste di conifere tendono a raggiungere valori medi annuali tra 500 e 800 mm, a seconda delle stagioni e della presenza di copertura nevosa che limita l’evapotraspirazione in inverno (https://essd.copernicus.org/articles/13/447/2021/). Praterie e savane mostrano tassi più variabili, generalmente tra 300 e 600 mm all’anno, con picchi in estate o durante la stagione delle piogge nelle regioni tropicali e subtropicali (https://www.mdpi.com/2072-4292/14/11/2526). Deserti e tundra hanno valori di evapotraspirazione molto bassi, spesso inferiori ai 200 mm annuali, a causa della scarsa vegetazione e delle basse precipitazioni. Figura 1. Relazione tra tasso di evapotraspirazione reale e produttività primaria del soprassuolo. Pannello Sn, relazione bi-logaritmica; pannello Dx, relazione lineare mostrante una tendenza esponenziale tra le due variabili. Il grafico a sinistra mostra la relazione tra ET e produttività primaria netta del soprassuolo. Attenzione perché non è una relazione lineare in quanto è un grafico bilogaritmico, infatti, sia le ascisse che le ordinate sono in scala logaritmica. Dopo aver trasformato i due assi in modo logaritmico il rapporto tra evapotraspirazione e produttività primaria appare molto chiara. 1 https://essd.copernicus.org/articles/13/447/2021/; https://www.mdpi.com/2072-4292/14/11/2526 39 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Ogni punto rappresenta un bioma (concetto che verrà presentato più avanti ma in generale rappresenta ampie regioni geografiche che sono caratterizzate da una tipologia di produttore primaria), ad esempio il punto più in basso del grafico rappresenta ambienti desertici ad arbusto. È più corretto parlare di biomi e non di ecosistemi in quanto ciascun punto sul grafico in realtà rappresenta una vasta regione caratterizzata da una uniformità ecosistemica in cui si ha la dominanza di un certo tipo di vegetazione. Il bioma meno produttivo è quello desertico; esistono ambienti desertici con produttività quasi pari a zero. Sebbene vi sia una comunità biologica, essa è spesso criptica e xerica. “Xerico” si riferisce a habitat caratterizzati da condizioni di estrema aridità, dove le specie sono adattate a vivere con quantità d’acqua minime. Tuttavia, i deserti non sono tutti uguali; esistono diverse tipologie, come i deserti pietrosi, che possono ospitare specie vegetali xerofile come arbusti o cespugli – ad esempio, il creosoto. 40 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Figura 2. Larrea tridentata in un deserto pietroso nello stato della California,USA (Fonte Wikipedia, Wikicommons). Nel grafico si ha un aumento della produttività se si considerano ambienti tundrici (tundra artica→di latitudini estreme, al di sopra dell’ottantesimo parallelo; tundra alpina→ presenza di ghiacci semiperenni). Il bioma implica una predominanza specifica di vegetazione; nel caso dell’ambiente tundrico artico si hanno equiseti, muschi e licheni (che non sono attivi in tutto il periodo dell’anno ma solo quando avviene il disgelo 41 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 nel periodo estivo) mentre nel caso di ambienti tundrico alpini si hanno specie erbacee talvolta diverse da quelli della tundra artica. Nella tundra artica e nella tundra alpina troviamo piante adattate a condizioni estreme, con temperature basse, breve periodo vegetativo, e limitata disponibilità di acqua dovuta alla presenza di ghiaccio e permafrost. Vediamo le caratteristiche e alcune specie tipiche di entrambi questi ecosistemi: Tundra Artica La tundra artica si trova principalmente nelle regioni settentrionali del pianeta, con piante basse e adattate a terreni freddi e ghiacciati. Alcuni esempi di specie includono: Muschio e licheni (Sphagnum, Cladonia rangiferina): non sono piante vascolari, ma giocano un ruolo fondamentale, formando tappeti densi che trattengono l’umidità. Salici nani (Salix herbacea, Salix arctica): sono arbusti molto bassi, resistenti al freddo e alla carenza d’acqua. Camemoro (Rubus chamaemorus): una pianta erbacea con piccoli fiori e frutti, adattata al clima freddo. Lupino artico (Lupinus arcticus): pianta erbacea con fiori caratteristici, resistente al clima rigido. Tundra Alpina La tundra alpina si trova ad alta quota, con condizioni simili alla tundra artica ma con specie erbacee adattate all’altitudine, che variano a seconda della regione geografica: Genepì (Artemisia genipi): pianta erbacea alpina tipica delle Alpi europee. Stella alpina (Leontopodium alpinum): una specie iconica dei pascoli alpini, resistente alle basse temperature. Carici (Carex spp.): erbe adattate alle zone umide e fredde, presenti sia nelle Alpi che in altre catene montuose. Ranuncolo glaciale (Ranunculus glacialis): si trova nelle zone alpine e vicino ai ghiacciai, adattato a suoli rocciosi e freddi. Adattamenti e Bassa Produttività Le piante della tundra artica e alpina presentano tratti simili, come le dimensioni ridotte e la crescita a livello del suolo per evitare il vento e mantenere il calore. Tuttavia, le specie della tundra alpina variano di più, adattandosi alle specifiche condizioni locali delle montagne. Cause della bassa produttività: 42 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 1. Bassa evapotraspirazione: l’acqua è scarsa, spesso congelata, e l’evapotraspirazione è limitata. 2. Breve periodo vegetativo: le stagioni di crescita sono brevi, limitando la biomassa prodotta. 3. Presenza di ghiacci: il permafrost e i ghiacci superficiali limitano la profondità del suolo disponibile per le radici. Questi fattori contribuiscono a una produttività limitata in entrambi gli ambienti, ma le condizioni di maggiore variabilità altitudinale della tundra alpina permettono una lieve diversità in più nelle specie erbacee rispetto alla tundra artica. In ogni caso l’evapotraspirazione tiene conto di tutti gli aspetti citati (ATTENZIONE! Non inganniamoci sul fatto che la disponibilità di luce sia più importante della disponibilità dell’acqua). La luce è una risorsa non risorsa, è disponibili in livelli discreti e a seconda degli adattamenti, questi pacchetti di luce sono sufficienti a garantire il livello di produttività atteso. Ambienti temperati o mesici hanno una buona disponibilità d’acqua come praterie, bosco di castagno e quercia, foresta mista, faggio e acero, diverse tipologie di pineta. La pineta temperata, ad esempio quella del Tirreno, gode di una grande produttività primaria sia per la lunghezza del periodo vegetativo che per il fatto di trovarsi in ambienti sufficientemente piovosi. La pineta boreale è invece meno produttiva in quanto sebbene l’ambiente boreale sia caratterizzato da un ciclo vegetativo perenne (in quanto pianta sempreverde) si ha una disponibilità d’acqua che è inferiore e una temperatura rigida. Al top dei livelli di produttività primaria terrestre abbiamo la foreste tropicale, pluviale (come l’Amazzonia) o Atlantica. I valori di una foresta pluviale possono superare i 2000 g di materia secca per m2 per anno. Questi valori indicano come la foresta tropicale abbia i tassi più alti di evapotraspirazione, facilitando un ciclo idrico intenso e costante, mentre biomi più aridi e freddi mostrano tassi nettamente più bassi. Per riassumere: qual è il fattore che influenza in maniera assoluta o univoca la produttività primaria?/come è possibile predire con un solo fattore la produttività primaria terrestre? Attraverso la stima del tasso di evapotraspirazione reale. In un ecosistema terrestre, la luce è un fattore limitante? No, perché è una risorsa infinita per definizione (attenzione nei sistemi acquatici è l’esatto contrario). I biomi possono essere definiti come “super-ecosistemi” in quanto in una scala gerarchica della complessità della natura il bioma può essere collocato al di sopra dell’ecosistema→ si tratta infatti di una combinazione di ecosistemi uniti territorialmente, anche paesaggisticamente. 43 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Nell’immagine a lato sinistro si mostra la rappresentazione dei biomi su un planisfero. È evidente nel planisfero la continuità geografica dei biomi. Ci sono differenti definizioni di bioma; alcune sono più legate all’aspetto del territorio o all’aspetto dell’ecosistema, ci sono anche diverse classificazioni o sottoclassi. Nel planisfero a lato sono rappresentati nove biomi (in altre trattazioni si possono trovare biomi fusi assieme). Per bioma, da un punto di vista ecologico più che geografico, si intende un “superecosistema” dotato di continuità regionale in cui è evidente la dominanza da parte di una tipologia di vegetazione. A questa tipologia di vegetazione si può associare, in una trattazione ecologica, anche un livello di produttività primaria. Nonostante la divisione dei biomi dipende dal tipo di classificazione che può variare leggermente tra autore e autore, si può considerare circa una decina di biomi se si tiene conto di ogni caratteristica peculiare di foresta. In questo corso ci baseremo sulla trattazione a otto biomi: foresta tropicale, foreste temperate- decidue, foreste boreali (chiamate anche taiga; principalmente formate da conifere), praterie temperate, savane, scrub forest (o macchia), tundra e infine il deserto. In altre trattazioni praterie e savana vengono unificate in quanto la savana è una prateria caratterizzata sia a livello di latitudini (prateria più meridionale, presente in zona tropicale-equatoriale rispetto alle praterie temperate), sia a livello di stagionalità (soggetta a periodi molto secchi e periodi in cui le piogge sono molto concentrate) e dove è presente una maggiore evapotraspirazione. Il grafico a lato sinistro rappresenta la distribuzione dei biomi terrestri in relazione a temperatura media annuale e precipitazioni medie. Temperature basse con precipitazioni basse portano ad un ambiente tundrico. Le stesse precipitazioni basse ma con temperature più alte danno un ambiente desertico. Ciò fa intuire che non basta la latitudine→ ad esempio il deserto è in una porzione tropicale- equatoriale alla stessa latitudine della foresta pluviale quindi ha la stessa temperatura ma varia il tasso di precipitazioni (il deserto è confinato da longitudini continentali quindi lontano dal mare) la temperatura non riesce a garantire la stessa produttività primaria. Nella tabella 20.1 (slide o libro Smith) sono rappresentati i livelli di produttività primaria dei biomi terrestri; sono infatti indicati: i valori in unità di superficie, la quantità di superficie che il bioma rappresenta a livello 44 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 globale, la produttività netta globale (non è più una misura che viene data in unità di superficie ma bensì rappresenta il valore di quel determinato ecosistema per la produttività a livello globale quindi a livello di biosfera), la biomassa per unità di superficie e infine la produttività netta e relativa (la produttività primaria netta media sulla biomassa media per unità di superficie). Bisogna conoscere il valore della produttività netta per unità di superficie dei principali biomi terrestri e acquatici (fai attenzione alla seconda colonna!!). Si ha una produttività primaria netta media per unità di superficie pari a 2000 g*m-2*anno-1 per la foresta tropicale pluviale. La foresta temperata di conifere (secondo ambiente più produttivo a eccezione dei due ambienti tropicali) con un valore di 1300 g*m-2*anno-1 è più produttiva della foresta temperata decidua perché è una foresta di pianta sempreverdi→ si ha lo stesso valore di luminosità, piovosità e lo stesso tasso di evapotraspirazione nella foresta temperata di conifere e in quella decidua ma varia la durata del ciclo vegetativa. La taiga ha minore luminosità e minore durata del fotoperiodo. Nella foresta boreale si hanno le conifere collocate a latitudini maggiori di quelle temperate o sub-polari quindi si ha un fotoperiodo più complesso in quanto si ha un lungo inverno boreale, inoltre la temperatura più rigida comporta una riduzione della fotosintesi (questo ambiente è quindi meno produttivo→ 800 g*m-2*anno-1. Le savane (praterie continentali presenti soprattutto nel territorio africano) sono molto più produttive di una prateria temperata anche per la presenza, nella savana, di bosco (ad esempio sono presenti arbusti con frequenza maggiore delle praterie ad erba alta tipiche del clima continentale americano o di praterie europee)→ una prateria temperata ha una produttività di 400-500 g*m-2*anno-1 mentre la savana di circa 700 g*m-2*anno-1. Viene riportata anche la produttività primaria di un ambiente artificiale cioè di una terra coltivata. Ambienti come roccia, ghiaccio e sabbia sono molto poco produttivi e la loro produttività è molto stagionale (periodo in cui si concentrano le piogge). 45 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Due ambienti acquatici presenti in tabella sono: palude/stagno, lago/torrente. Il mare aperto ha una produttività netta che è molto bassa, apparentemente è un deserto confrontato a un bioma terrestre ma se consideriamo la produttività netta globale (che tiene conto della superficie di centinaia di milioni di km2) si ottiene un valore maggiore alla produttività globale di tutti gli altri ecosistemi, compresi quelli globali che sono gli ambienti maggiormente produttivi in ambito terrestre→ l’oceano aperto con la sua peculiarità ovvero bassa produttività per m2 ma con una superficie molto ampia e con produttori primari morfologicamente atipici rispetto a qualsiasi altro bioma (come alghe microscopiche e batteri) fa capire quanto esso sia un ambiente fondamentale in termini di produttività globale e servizi ecosistemici. Le praterie marine e di coralli sono il massimo di produttività di un ambiente marino costiero seppur molto diverse. Le praterie marine presentano piante fanerogame marine ovvero vere e proprie piante che fanno fiori e frutto come la Posidonia oceanica→ ottimo produttore di servizi ecosistemici come detriti rientrando in questo modo nel ciclo biogeochimico dei macronutrienti fondamentali come azoto e fosforo (in quanto siamo in acque basse) e fornisce ossigeno fondamentale per ossigenare l’ambiente sottomarino. Le barriere coralline sono presenti a basse profondità, molto illuminate (la luce può raggiungere il fondo), non sono presenti alghe microscopiche o fanerogame marine ma invece sono presenti simbiosi ad esempio il dinoflagellato Symbiodinium che è un protozoo fotosintetizzante alla base della simbiosi obbligata con il corallo (cnidario). Da un punto di vista ecologico sia le praterie marine che i coralli sono ambienti molto interessanti per vari motivi; essi non sono solo produttivi ma forniscono habitat ovvero sono ecosistemi che forniscono rifugio ad altri animali e forniscono siti di nidificazione. Il contributo globale di queste due è molto minore rispetto all’oceano aperto in quanto la superficie globale di praterie e coralli è molto poco estesa. Gli estuari sono ambienti molto produttivi perché arriva molto detriti (non è una produzione primaria ma appunto principalmente trainata dal detrito). Le zone upwelling sono ambienti in oceano aperto collocate in alcune fasce come la fascia pacifica centro- meridionale (all’altezza del Perù) in una zona pressoché equatoriale dove si concentrano delle correnti di risalita (upwelling = risalita) ovvero correnti che portano l’acqua fredda ricca di nutrienti (sottoforma di N, P, Fe) in superficie→ fa sì che in queste zone si concentri la catena alimentare che parte dal blu malgale (fitoplancton) al zooplanton fino a tutta la rete trofica che passa per pesci che sono planctofagi, predatori terminali, addirittura cetacei (si ha quindi una concentrazione maggiore di fauna ittica dovuta ai fenomeni di risalita che hanno infatti una notevole influenza nel ricircolo di acque ricche di plancton). Un esempio di zona di upwelling è quella del Perù alimentata anche dalla corrente australe-pacifica detta anche corrente di Humboldt (si verifica quando non è presente El Niño); quando non arriva questa corrente e quindi non si ha upwelling (e quindi non si ha ricircolazione dell’oceano) cala la produttività di questa regione del pacifico e quindi anche le economie di questi paesi come il Perù. Le piattaforme continentali sono ambienti costieri mediamente produttivi ma in termini di area sono molto estesi pertanto contribuiscono alla produttività globale degli ambienti marini. Sono ambienti produttivi 46 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 perché la piattaforma continentale riduce la profondità dell’oceano creando il moto ondoso fondamentale per il rimescolamento della colonna d’acqua→ il rimescolamento significa portare nutrienti verso la superficie e pertanto garantire la catena alimentare del mare (basata su alghe microscopiche e sui cianobatteri fotosintetici). Gli ambienti acquatici continentali come palude e stagno sono estremamente produttivi, non solo per quanto riguarda la produttività primaria. Il lago si può comportare in maniera simile ad un ambiente acquatico oceanico con una fascia fitoplanctonica ovvero una fascia fotica e una fascia non sintetizzante o bruna (quella del sedimento). La produttività globale è la somma della produttività di tutti gli ecosistemi o la somma dei prodotti delle produttività primarie nette per unità di area per l’estensione superficiali di questi ambienti. Il primo studioso che ha trattato in maniera sistematica e organica l’aspetto della produttività globale fu Whittaker; nel 1975 egli pubblicò un libro dove descrisse la produttività dei vari ecosistemi facendo anche una stima di quella globale. Generalmente la produttività globale è in Gigatonnellate (Gt = miliardo di tonnellate) o in Petagrammi (Pg = 1015 grammi). Le stime vanno dalle 85 alle 160-170 Gt quindi si tratta di una differenza del 100%, si può notare una grande differenza anche tra la stima della produttività degli ambienti marini e degli ambienti terrestri, alcuni autori li considerano equamente produttivi (quindi alla produttività globale contribuiscono 50% gli ambienti terrestri e 50% quelli acquatici) mentre altri autori si sbilanciano ritenendo più produttivi gli ambienti continentali ma principalmente terrestri. Nel testo di Smith si ritengono più produttivi gli ambienti continentali. La biosfera o ecosfera è una sorta “super ecosistema” (ipotesi usata anche da Lovelock GAIA) che ha una produttività primaria globale che si aggira a 100 Gt*anno→ la biosfera o ecosfera trattano di quegli ambienti o compartimenti in cui è possibile la vita e in cui si sviluppano gli ecosistemi. A sinistra si ha una rappresentazione in scala globale della produttività primaria. Se si confronta con l’immagine della distribuzione del bioma si può notare una certa somiglianza→ il bioma è caratterizzato da una somiglianza vegetazionale che corrisponde ad una produttività primaria. Si hanno ambienti molto produttivi a livello delle foreste equatoriali mentre i deserti e i luoghi artici sono ambienti non produttivi. 47 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Fattori Limitanti la produttività Se i fattori fisici come l’evapotraspirazione sono molto importanti bisogna considerare anche l’importanza dei fattori chimici. Nell’ambiente terrestre sono principalmente due i fattori chimici da considerare l’azoto e il fosforo. L’azoto ha un ciclo biogeochimico che garantisce negli ambienti terrestri una buona disponibilità non solo per il fatto che si hanno delle fonti de novo di azoto (da azoto inutilizzabile come N atmosferico passano a forme utilizzabili attraverso vari processi) ma bisogna anche tener conto del riciclo interno (gli ecosistemi hanno infatti un buon livello di riciclo interno che vale moltissimo come flusso di materiale). A sinistra si ha un grafico in cui si nota che alla mineralizzazione dell’azoto (ovvero la disponibilità dell’azoto ambientale) comporta anche all’aumento della produttività primaria netta. Si sta prendendo in considerazione ambienti di soprassuolo in particolare ambienti forestale. In funzione della velocità di mineralizzazione (che comporta la disponibilità di azoto) per la pianta si ha anche un aumento della produttività e quest’ultimo è anche legato alla tipologia di pianta e di ecosistema→ si hanno quindi ecosistemi che si differenziano per la vegetazione in base alla disponibilità di azoto (ci sono piante che hanno maggiori o minori disponibilità di N). Nel grafico in basso si ha invece una metanalisi dove viene analizzata la produttività primaria netta del soprassuolo di venti praterie caratterizzate anche da presenza di querce sparse (una sorta di prateria boscata) che dovrebbe avere una produttività simile a quella di una savana. Anche in questo caso si ha una produttività che varia in base alla disponibilità di azoto. La relazione è molto più lineare rispetto a quella nel grafico precedente. L’unità di misura utilizzata è Mg*ha-1*anno-1 che sono equivalenti a 102 g*m-2* anno-1. L’azoto difficilmente diventa un fattore limitante sulla produttività primaria rispetto ad altri fattori come il fosforo che sono più difficilmente reperibili→ l’azoto è molto labile ovvero passa molto facilmente dall’azoto proteico della foglia all’azoto minerale che si può ritrovare a seguito di pioggia o decomposizione della sostanza organica. Il ciclo biogeochimico è molto rapido e quindi garantisce la liberazione dell’azoto minerale nel suolo quindi sottoforma di ammoniaca/ammonio, che vengono rapidamente trasformati in nitrati da attività batteriche. 48 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Il fosforo è il fattore maggiormente alla produttività primaria terrestre. Il fosforo quando viene mineralizzato viene sequestrato all’interno di composti organici, ovvero i fitati (complessi organici che derivano dalla degradazione della sostanza organica vegetale) che rendono inutilizzabile il fosforo perché il fitato non può essere internalizzato nuovamente nella pianta. La pianta ha bisogno di P inorganico, infatti oggi il fosforo ha un valore notevole (viene quotato in borsa) perché avere fosforo significa controllare la produttività degli agroecosistemi (ad esempio fare il prezzo del grano→ è in borsa dal 1600). I fitati (come si può vedere nell’immagine a sinistra) sono composti che hanno il fosforo coordinato all’interno e pertanto è mascherato. Essi sono molto resistenti; probabilmente esistono microrganismi in grado di degradarli ma non è un processo efficiente o fondamentale. Questo fosforo è organico non è utilizabile, ma risulta essere una fonte di accumulo nel suolo e costituisce una parziale riserva (si veda più avanti la trattazione del ciclo biogeochimico del P). Perciò si può affermare che c’è una limitazione fosforo nella produttività primaria terrestre. Nell’immagine a destra si ha uno studio (presente su Nature) che dimostra che indipendentemente dalla latitudine, dal continente, dal tipo di vegetazione tutti gli ambienti testati (addirittura anche gli ambienti continentali acquatici come paludi che sono estremamente produttive) sono limitati da fosforo. In questo studio vengono presentati circa 652 esperimenti effettuati in campo in cui la supplementazione di fosforo aveva portato ad un aumento significativo e notevole della produttività primaria terrestre. Per studiare la limitazione da un macronutriente bisogna effettuare una supplementazione. La linea tratteggiata è il livello basale. 49 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 LEZIONE 5c: energia ed energetica degli ecosistemi Il grafico mostra quanto viene assorbito lo spettro della radiazione solare dall'acqua. Questo è importante per quanto riguarda la produttività primaria degli ambienti acquatici che ha una regolazione, una dinamica molto differente da quella degli organismi terrestri. La rappresentazione grafica mostra la differenza di profondità sull'assorbimento della radiazione solare: sull'asse delle x ci sono le lunghezze d'onda (la luce solare comprende dall’ultravioletto fino al rosso e una porzione dell'infrarosso (frazione che porta il calore) tra il 700 e gli 800 nm). Sulla superficie terrestre tutto lo spettro è rappresentato (è la curva più in alto), tutte le altre curve rappresentano l'effetto della profondità sulla filtrazione dello spettro di banda. È importante notare che, ad esempio già a 3 metri, è abolita la banda dell'infrarosso, questo è il motivo per cui basta andare pochi metri sott'acqua per avvertire una sensazione di freddo. Lo spettro che non viene assorbito e, pertanto, è disponibile alle profondità maggiori, fino a 100 m, si restringe molto fino ad accettare esclusivamente, o quasi, la radiazione blu. Infatti il colore dominante dell'acqua di mare è il blu, proprio perché c’è a disposizione una profondità sufficientemente elevata perché tutto il resto della radiazione solare venga assorbita e pertanto non venga più rappresentata alla vista. Questo ha delle importanti ripercussioni per quanto riguarda la produttività primaria netta dei sistemi acquatici profondi, non avrebbe senso allargare questa discussione in acque basse (le Shallow Water, che sono degli ecosistemi naturali peculiari proprio perché caratterizzati da una profondità estremamente contenuta: qualche decina di centimetri al massimo). Il grafico di sinistra mostra l'influenza della profondità sulla produttività primaria: il tasso di respirazione del fitoplancton (si sta parlando di un ambiente acquatico aperto dominato da produttori primari morfologicamente associati a fitoplancton e batteri fotosintetici) rimane invariato lungo la colonna d'acqua, mentre varia la produttività primaria netta, come risultante della produttività lorda tolto il tasso di respirazione. Proprio perché la quantità di luce viene assorbita in funzione della profondità si può osservare che la produttività primaria lorda o netta diminuisce fino a raggiungere un valore di PPN pari a 0 quando il tasso di produzione lorda è uguale al tasso di respirazione. PPN = PPL – R, a questa profondità che viene definita di compensazione non si ha produzione primaria netta in quanto, la velocità della fotosintesi equivale alla velocità di respirazione da parte del produttore primario. Sotto i 100 m, idealmente perchè ci possono essere eccezioni, come eccessi di trasparenza in ambienti molto poco trofici dove le alghe sono poche, possono esserci sistemi di captazione della luce da parte di alcuni organismi come alcune spugne che sono estremamente efficienti per la presenza di spicole di silicio che fungono da veri propri sistemi di raccolta dei fotoni che riescono a passare questa profondità critica, ma idealmente assumiamo come 100 m il limite della zona fotica, ovvero zona in cui è presente la radiazione solare, in cui è possibile che avvenga la fotosintesi, e zona oscura, in cui l'ecosistema acquatico marino muta da un sistema autotrofico ad un sistema eterotrofico, per cui non si esclude che ci sia vita e produzione nell'ambiente oscuro profondo oceanico (escludiamo le sorgenti idrotermali in cui c'è un'autotrofia di tipo chemiolitotrofico). Ma tutti i fondali oceanici e per affinità quello dei laghi profondi e dei mari interni, al di sotto di una certa temperatura, cioè in assenza di luce, vive per un trasferimento di detrito organico dalla zona fotica alla zona 50 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 scura. Pertanto, è una fonte di carbonio alloctono che viene trasportato come se fossero due ecosistemi compartimentalizzati per il differente livello di trofismo: autotrofismo dominante nella zona fotica, eterotrofismo nella zona non illuminata. La luce diventa il fattore principale che regola la produttività primaria negli ambienti acquatici fotici (illuminati), per cui superficie oceaniche e tutto l'ambiente oceanico illuminato, cioè per i primi 100 m. Lo stesso vale per il lago e per i mari, come il mar Mediterraneo e i grandi laghi dotati di vita. Oggi, i grandi laghi salati continentali stanno diventando dei deserti biologici in quanto i cambiamenti climatici stanno modificando in maniera drastica le condizioni chimico-fisiche dei laghi rendendo la vita impossibile. L’esempio principale Mar Nero, i cui colori così intensi sono proprio dovuti alla mancanza del fitoplancton, o il Lago d'Aral, che è uno dei più grandi disastri ecologici dovuti all'azione dell'uomo e alle modificazioni dell'uomo che hanno prosciugato e desertificato l'ambiente rendendo impossibile la vita in questo ecosistema che una volta dava da vivere alla comunità kazaka ivi raccolta. Il picco massimo di produzione netta o lorda non è alle profondità più superficiali, dove abbiamo una minor filtrazione della luce ma, è concentrata in una zona di massima produttività compresa tra i 12 e i 30 m. Questa zona, che viene definita zona eufotica (più illuminata), concentra l'attività fitoplanctonica per due motivi. È vero che l'intensità luminosa qui è meno forte ma, a maggior ragione, si concentra il movimento del fitoplancton in questo range di profondità perché subisce un’inibizione da eccesso di illuminazione, tipico dei fotosistemi più primitivi, che hanno bisogno pertanto di una buona illuminazione ma non di una illuminazione eccessiva che porterebbe ad un’inibizione della rubisco, che è l'enzima chiave del processo fotosintetico. Organismi vegetali più evoluti hanno sviluppato un adattamento a questi eccessi di luce, alcune colture di monocotiledoni sono in grado di non essere inibite dall'eccesso di luce. La temperatura ha solo un effetto marginale sulla produttività primaria di un ambiente acquatico, profondo e illuminato, per varie ragioni: gli organismi si sono adattati a un certo range di temperatura, per cui nella loro storia di micro e macroevoluzione c'è stato un adattamento a un range di temperatura ottimale. Pertanto la temperatura non è un fattore così importante come nella produttività terrestre. Per la stessa ragione per cui l'aumento di temperatura accelera una reazione biochimica, è naturale che ci sia un effetto della temperatura ma, l'acqua ha una capacità termica elevata, e pertanto, non subisce delle variazioni di temperatura estreme sotto una certa profondità perché la radiazione calda infrarossa viene assorbita nei primi 3m. In realtà nella zona fotica, la temperatura media, che ovviamente ha delle fluttuazioni stagionali, si mantiene sufficientemente omogenea. Anche l'alternanza giorno-notte, per la capacità termica, non influenza questi strati non profondi ma fotici, o potenzialmente fotici, perché durante le ore notturne siamo in assenza di luce. Per cui, in questi ambienti definiti come ambienti illuminati acquatici, la temperatura non è un fattore che influenza la produttività e soprattutto non è un fattore limitante. Altri fattori che possono influenzare la produttività primaria sono i nutrienti, ovvero la componente chimica. Negli ecosistemi terrestri abbiamo visto azoto e fosforo, negli ecosistemi oceanici illuminati possiamo dire che l'azoto è sicuramente un fattore limitante, il fosforo non è un fattore così limitante. Infatti, nella figura sono mostrati una serie di esperimenti accomunati dal fatto che gli scienziati modificavano artificialmente la quantità di nutrienti delle acque campionate e ne misuravano la produttività, oppure associavano i valori misurati degli elementi correlandoli con la produttività. Questi sono stati analizzati dalla letteratura e si è trovato che l'azoto è un fattore limitante per cui, la supplementazione di questo comporta sempre un aumento della variazione del tasso di crescita presente nel fitoplancton; 51 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 il fosforo ha un effetto mediamente nullo (la linea arancione rappresenta la linea di non variazione) e, sorprendentemente perché generalmente non viene considerato nella trattazione dei cicli biogeochimici, il ferro è fortemente capace di influenzare positivamente la variazione del tasso di crescita e pertanto il tasso di produttività primaria netta. Il fosforo è molto poco limitante negli oceani perché, soprattutto studi recenti degli ultimi 10 anni, dimostrano che esiste una fonte molto stabile di fosforo negli ambienti acquatici, in particolare negli oceani, sotto forma di DNA ambientale. Il DNA è una molecola sufficientemente stabile, molto ricca di fosforo, la cui idrolisi può portare alla formazione di un fosforo inorganico solubile molto disponibile, che si chiama fosforo inorganico reattivo, disponibile entro certi limiti e certe quantità nelle aree eufotiche. Nell'immagine vengono riportati gli effetti della supplementazione di fosforo negli ambienti specifici degli ecosistemi oceanici: ambienti estuariali o estuarili (in prossimità di un estuario), porti e baie, ambienti costieri, piattaforme costiere che sono un po' più lontani dalla costa, mare aperto. Alcuni di questi ambienti rispondono positivamente alla supplementazione con una variazione estremamente larga, come nell'ambiente costiero in cui si va da un non-effetto a un effetto pari a quello dell'azoto, nell'oceano ha un effetto apparentemente positivo ma molto contenuto, ad addirittura effetti negativi in porti e baie e nelle piattaforme costiere. In porti e baie l'effetto negativo è spiegabile perché un eccesso di carico di fosforo può portare a ipertrofia, distrofia dell'ambiente e, quando i nutrienti sono mal bilanciati, si può avere un eccesso di produttività primaria ma solo di alcune specie, magari non di fitoplancton o di uno specifico gruppo di microrganismi fotosintetizzanti che possono danneggiare l'ecosistema per vari motivi e pertanto perdere tutta quella serie di processi di regolazione per cui il l'ecosistema implode, si deteriora, anche energeticamente diventa negativo. Il ferro è un fattore importante ed è un fattore limitante perché la carenza di ferro rallenta la produttività primaria anche in larga presenza di una larga disponibilità degli altri fattori fondamentali, la luce, l'azoto, eccetera. Il ferro diventa una sorta di fertilizzante degli oceani, è importante per il fitoplancton ma anche per le piante, i suoli sono una fonte di ferro raramente limitanti nel senso che il ferro è sufficientemente rappresentato. Il ferro è importante soprattutto per l'attività fotosintetica, l'attività mitocondriale e la sintesi della clorofilla perché, probabilmente, gli enzimi che sono deputati alla sintesi della clorofilla sono ferro dipendenti. Un terzo di tutto il ferro che fertilizza gli oceani proviene dallo scioglimento degli iceberg: evidentemente questo ferro si è accumulato tramite deposizioni secche e deliberato sottoforma di alcune nanoparticelle di ematite, cioè di alcuni allotropi del ferro, cioè alcune morfologia strutturale particolari. Il ferro può anche arrivare tramite le deposizioni secche dei venti o dai grandi fiumi con detrito organico e il processo di mineralizzazione. Un altro elemento che viene riportato come fattore limitante degli oceani o in alcuni ecosistemi oceanici illuminati è il silicio. Il silicio è importante nelle alghe diatomee per la presenza dello scheletro silicio che è tipico delle diatomee, siccome è molto scarso negli oceani, può diventare un fattore limitante. Gli ambienti oceanici sono tuttavia molto complessi, dovremmo considerare molte dinamiche che non sono tipiche della biologia ma che rientrano lateralmente nella trattazione ecologica. Come questi elementi (anche l'azoto stesso) giungono e si distribuiscono nelle acque oceaniche fotosintetizzanti per garantire il tassi di produzione primaria? Un aspetto estremamente interessante è che il 90% della PPN oceanica è concentrata nel 2% della sua superficie, pertanto, non sono quei 330 milioni di km2 ad essere ugualmente produttivi ma, abbiamo degli hotspot di produttività che sono anche degli hotspot di produttività secondaria, cioè di arricchimento in biomassa e in biodiversità. Questo perché i fattori di limitanti sono estremamente importanti negli oceani e se la luce è limitante in termini di profondità, non è limitanti in termini di superficie: la luce è ampiamente disponibile con un ciclo giorno-notte, stagionale. Pertanto, è necessario che l'azoto, il ferro, il silicio e il fosforo siano presenti sulla superficie oceanica e nel volume eufotico, considerando la profondità. Questo è 52 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 garantito negli oceani dalle correnti, in particolare dalle correnti di risalita (correnti upwelling): sono delle correnti verticali che portano acque fresche e ricche in ossigeno, in nutrienti sotto forma di azoto, fosforo e ferro in superficie. Una corrente importante si trova a livello equatoriale Pacifico che ha due rami, come si può notare nell'immagine, a livello del continente sudamericano del Perù. Questa corrente di risalita associata alla corrente costiera che ha un’origine antartica e risale lungo le coste del Cile fino al Perù, è una corrente non sono verticale, ma è associata alla corrente di Humboldt. È una corrente importantissima perché è la corrente che determina la produttività in tutto l'oceano e quando questa rallenta abbiamo una crisi biologica estremamente rilevante in quanto viene meno tutta la catena alimentare (lo zooplancton e quindi tutta la relazione trofica del pesce che mangia il plancton, il pesce che mangia il pesce, fino ai predatori più alti), viene meno il bloom algale che qui è sostenuto in continuo da questo apporto di nutrienti. Anche le acque antartiche sono molto ricche in nutrienti per la presenza di queste correnti di risalita, quindi anche l’Antartide ha un ruolo fondamentale per quanto riguarda la produttività primaria e la distribuzione di questi nutrienti verso le latitudini più centrali. Ci sono numerose correnti oceaniche ed è per questo che le acque si muovono e almeno superficialmente, entro una certa profondità, il rimescolamento è garantito. Ogni giorno si scoprono nuove correnti che sono importanti anche per la distribuzione della temperatura dell'acqua oceanica che è un importante meccanismo di regolazione anche della temperatura della troposfera e dei cambiamenti climatici. L'immagine mostra una mappa in termini di produttività, se viene confrontata con la mappa delle correnti di risalita si può notare che sono molto simili perché l'oceano è produttivo laddove arrivano tutti i nutrienti fondamentali. L’upwelling, che interessa solo circa il 2% della superficie oceanica, ha un’importanza eccezionale in termini di produttività primaria oceanica globale. Sebbene rappresenti una porzione minima dell’oceano, questa risalita di acque profonde ricche di nutrienti sostiene una frazione molto significativa della produzione biologica marina. Importanza Quantitativa dell’Upwelling Stime quantitative mostrano che le aree di upwelling: 53 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Contribuiscono tra il 10% e il 25% della produttività primaria globale dell’oceano, nonostante la loro piccola estensione. Questo contributo alla biomassa di fitoplancton e, in ultima analisi, alle reti trofiche superiori è cruciale per le grandi riserve di pesca, che si concentrano per circa il 50% nelle aree di upwelling. Motivazioni alla Base di questo Contributo Elevato 1. Alta concentrazione di nutrienti: Le acque profonde che risalgono nelle zone di upwelling sono ricche di nitrati, fosfati e silicati. Questi nutrienti sostengono la crescita esplosiva del fitoplancton, che è alla base della rete alimentare marina. 2. Efficienza della fotosintesi: Le acque che risalgono nelle aree di upwelling sono sia fredde che ricche di nutrienti, rendendo l’ambiente ideale per un’efficiente attività fotosintetica del fitoplancton. 3. Sostegno alla fauna ittica: La produttività delle aree di upwelling supporta una biodiversità elevata e una biomassa considerevole di specie marine superiori, dalle sardine alle specie pelagiche, e grandi popolazioni di pesci commerciali. Esempio Quantitativo: Il Sistema di Upwelling del Pacifico Il sistema di upwelling della corrente del Perù-Chile nell’Oceano Pacifico è uno degli esempi più produttivi: Nonostante la sua piccola estensione geografica, produce una quantità di biomassa fitoplanctonica paragonabile a quella di aree molto più vaste dell’oceano aperto. La produzione ittica in queste aree è tra le più elevate al mondo, sostenendo pescherie globali con centinaia di migliaia di tonnellate di pesce ogni anno. Riassumendo L’upwelling, pur interessando solo il 2% della superficie oceanica, contribuisce a una quota sproporzionata della produttività primaria oceanica globale (fino al 25%) e sostiene la maggior parte delle pescherie commerciali. Questo rende l’upwelling uno dei processi oceanografici più importanti per la produttività e la biodiversità marina a livello globale. 54 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Nei mari non molto profondi, ad esempio il mar Mediterraneo, e nei laghi, come i laghi glaciali del nord Italia, c'è un importante effetto che è la stratificazione dell'acqua dovuto alla temperatura dell'aria e al conseguente raffreddamento o riscaldamento della temperatura dell'acqua. L'acqua, durante la stagione annuale, si ripartisce in strati per densità: l'acqua è molto influenzata in termini di densità dalla temperatura, infatti l'acqua più fredda tende a collassare e a raggiungere gli strati più profondi del bacino. Questo comporta la stratificazione durante il periodo estivo, in cui sono maggiori le differenze di temperatura tra lo strato superficiale e lo strato profondo. L'acqua più profonda più densa, scaldandosi, tende ad essere confinata più in basso, acqua più calda tende invece a rimanere più in alto. Quindi abbiamo la stratificazione in due zone definite epilimnio (acque superficiali, calde e poco dense) e ipolimnio (acque profonde, fredde e molto dense). La differenza tra questi due stati è notevole: nel Mar Mediterraneo, in estate, possiamo avere il primo 1-1,5 m molto caldi, anche a 30°, poi abbiamo, a causa della filtrazione della radiazione infrarossa, che ci protegge da un riscaldamento eccessivo dell'acqua, ma le acque più profonde sono assolutamente più fredde e più dense e pertanto, abbiamo questa stratificazione. La zona centrale è una zona di separazione in cui varia repentinamente la densità, viene chiamata termoclino e questo gradiente può essere più o meno verticale, nel senso che può essere più o meno repentino a seconda dei casi. Nel Mar Mediterraneo c'è un termoclino, in estate attorno alla profondità di 15 m, naturalmente ci sono delle differenze tra il mar Tirreno e il mar Adriatico che hanno profondità molto diverse, e ciò comporta una stratificazione una barriera fisica al passaggio di gas e del biota, i movimenti verticali di molti organismi sono limitati dal termoclino. Ad esempio i cefalopodi decapodi sono limitati nei loro movimenti verticali proprio dalla presenza del termoclino, perché devono superare una barriera fisica di densità. Negli oceani il termoclino è perenne, nel senso che non viene mai l'abolizione del termoclino che viene invece nel tardo autunno - inizio inverno nei mari (in realtà nel mar Mediterraneo l’omeotermia si raggiunge a marzo, però dipende da quanto è stato freddo l'inverno e il tardo autunno). Quindi abbiamo un termoclino estivo con una rapida variazione di temperatura e densità, con l'inizio dell'autunno abbiamo la rottura del termoclino perché incomincia a raffreddarsi l'acqua superficiale e questo comporta l'inizio di un mescolamento tra l'ipolimnio e l'eplimnio. Questo è un mescolamento fondamentale per la vita del lago e del mare. Arriviamo in omeotermia alla fine dell'autunno nei laghi e in inverno avanzato nel mar Mediterraneo perché abbiamo una profondità maggiore. Nei grafici è mostrato l'instaurarsi e le conseguenze di un termoclino di una stratificazione delle acque di un lago. Si tratta di un esempio di un lago americano che non è dissimile da quanto potrebbe avvenire nei laghi del nord Italia, con la differenza che i laghi italiani in superficie non ghiacciano. In estate, la differenza della temperatura della superficie dell'acqua determina una differenza tra i primi metri e i metri più profondi, quindi, c'è un gradiente di temperatura: c'è omeotermia fino a i 6 metri, poi questo gradiente porta la temperatura dell'acqua dai 20 ai 5°. Questo non è un lago molto profondo, se lo fosse, come i nostri, sotto una certa profondità torna ad 55 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 esserci omeotermia. In presenza di termoclino l'acqua è stratificata: i gas che sono concentrati nello strato inferiore per esempio l’ossigeno cala molto, dalle 8 PPN che sono ideale per la vita degli eterotrofi, e può raggiungere anche dei livelli critici assenza di ossigeno, ipossia o anossia, per l'effetto della comunità bentonica del sedimento, sono eterotrofi consumano ossigeno producendo CO2. L'acqua, nell’ipolimnio, è stratificata, c’è una barriera fisica che impedisce lo scambio di gas e ciò comporta anche l'ipossia nel lago e di conseguenza la morte improvvisa di tutta la comunità o la maggior parte della comunità, ad eccezione degli organismi che resistono bene a livelli molto scarsi di ossigeno, per esempio le comune sanguisughe hirudinea, proprio perché cattivo indice di una situazione ambientale deteriorata, in termini di carenza di ossigeno. Alla fine dell'estate, si va verso l'omeotermia perché si raffredda l'acqua superficiale: questo è un fenomeno importantissimo perché alla rottura del termoclino comporta rimescolamento delle acque e, di conseguenza, quanto è stato respirato, cioè la CO2, può raggiungere gli strati superficiali ed essere aggiustata nella sua concentrazione con la diluizione in tutta la colonna d'acqua. Allo stesso modo l’ossigeno può rifluire, raffreddandosi l'acqua aumenta la concentrazione dei gas, ossigeno ma anche CO2, che è ora libera di rifluire e di bilanciarsi con l'atmosfera e l'equilibrio chimico acido-base, per cui qualcosa diventa carbonato, qualcos'altro bicarbonato. Il rimescolamento è importante proprio perché i nutrienti, anche quelli che vengono dalla mineralizzazione della sostanza organica, possono essere riportati in superficie e quindi utilizzati dai produttori primari. Si può dire che la rottura del termoclino riporta la vita sul lago. Nei mari c'è bisogno di più tempo, per cui il rimescolamento completo l’omeotermia dell'acqua si raggiunge in inverno avanzato, mentre nel lago, avendo più basse profondità, basta il tardo autunno. Nel lago torna ad esserci un termoclino di temperatura invertito, non è un vero e proprio termoclino ma semplicemente la temperatura in superficie è più bassa perché l'acqua può ghiacciare, ma c'è una curva di ossigeno, dovuto al fatto che mentre la comunità eterotrofa continua, perché si è adattata a lavorare a temperature relativamente basse, continua a consumare ossigeno, l'ossigeno è di nuovo bloccato laddove si è formato uno strato di ghiaccio che impedisce la diffusione e lo scambio con l'atmosfera. Questa è la dinamica di temperatura, stratificazione per densità dell'acqua e limitazione dell'ossigeno che avviene nel lago con modalità simili ma non identiche nei mari interni, e che si verifica negli oceani ma con modalità molto differenti perché non ci sarà mai omeotermia ma, semplicemente uno spostamento del termoclino verso strati più o meno profondi. Il fosforo nei laghi è un fattore fortemente limitante e c'è una relazione lineare, come si può notare nel grafico, tra fosforo totale e clorofilla che è una proxy della biomassa e della produttività primaria netta della comunità fitoplanctonica del lago. Parliamo di laghi autotrofici temperati che non ricevono input di sedimento maggiori rispetto al tasso di autotrofia, pertanto il carbonio è principalmente di natura autoctona prodotto per fotosintesi. Anche questo studio è americano. Ogni punto rappresenta un lago categorizzato e studiato dagli autori. I laghi ricevono immissari ed hanno emissari, possono ricevere forti quantità di detrito pertanto, possono divenire distrofici anch'essi, quando i nutrienti sono in eccesso si verifica quel processo di distrofia di sbilanciamento energetico dovuto a un eccesso di nutrienti, che porta ad una modificazione repentina della comunità di produttori primari che poi possono diventare paradossalmente dei consumatori più importanti degli eterotrofi stessi e ad andare ad uccidere la vita del lago perché cominciano a consumare più di quanto producono. Parliamo delle mucillagini e processi di distrofia del lago che oggi non sono così frequenti come lo sono stati negli anni ‘80-90, in cui non esistevano in tutte le città italiane ed europee depuratori delle acque, per cui le città diventavano dei produttori di fosforo e rifiuti azotati eccessivamente alti. Il mar 56 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Adriatico per esempio ha sofferto enormemente di questi problemi perché il depuratore della città di Milano è stato costruito neanche 10 anni fa, ed è stato messo in opera nel 2013-2014, questo comportava la congiunzione del Ambro (scarico fognario di una delle megalopoli europee) e del Po facendo risultare Milano come la città più inquinata al mondo. Per quanto riguarda i fiumi hanno un’ecologia che è troppo diversa da tutti gli altri ambienti acquatici fino adesso considerati per varie questioni. Innanzitutto, il fiume è caratterizzato da dei gradienti fisici, per esempio la pendenza, che comporta differenti velocità nell'acqua, l'alveo comporta velocità di corrente differenti al centro rispetto ai tratti più vicini alla zona ripariale (l'argine), la superficie ha velocità superiore al fondo, ci sono ambienti lotici, dove la velocità dell'acqua è elevata, e ambienti lentici, dove i fiumi formano delle anse e assomigliano a dei laghi dove l'acqua è molto ferma e si formano delle spiagge, anche fruibili come servizio ecosistemico di tipo ricreativo. Esisteno quindi diversi tratti identificabili: le sorgenti, i tratti vorticosi (rapide, cascate, piscine, o pozze). Ci sono differenti subecosistemi, tuttavia il fiume è un unico grande sistema che non va visto come una fermentazione di ecosistemi, piuttosto come un continuum. Infatti, il Continuum River Concept è un modello ecologico che è stato studiato moltissimo dagli ecologi americani nei nella seconda metà del ‘900 che ha permesso di considerare il fiume come un super ecosistema costituito da differenti subecosistemi. Bisogna operare una distinzione fondamentale in termini energetici, distinguiamo i diversi subecosistemi del fiume per il loro trofismo, cioè sulla base della provenienza del carbonio. Se il carbonio è un carbonio autoprodotto dai produttori primari, è un carbonio autoctono, quindi siamo di fronte a quei tratti dove c'è la dominanza del fitoplancton, delle alghe o delle macrofite, e sono tratti di fiume particolari, quelli più a valle, meno vorticosi, tratti lentici, dove il compromesso di velocità di corrente dovuto la pendenza garantisce l'instaurarsi di una comunità fitoplanctonica che non è legata a un substrato, diverso invece, per le piante e le alghe macroscopiche, cioè le macrofite che possono, grazie a un livello di corrente accettabile, ancorarsi ad un substrato. Se i tratti più a valle, meno veloci possono essere caratterizzat da un buon livello di autotrofia, i tratti più vorticosi, quelli più Montagni e le sorgenti, generalmente godono degli input di carbonio alloctono, carbonio che viene da un altro ecosistema, cioè da quell’ingresso di detrito che può essere la zona di ripariale, i bordi di un fiume dove l'acqua che viene defluita dalle piogge in un bacino idrografico per pendenza, raggiunge il fiume stesso. L’acqua lisciva sostanze nutrienti, anche carbonio sotto forma di particolato, di sedimeto o di sostanza organica disciolta (DOM dissolved organic matter o particulate organic matter), che sono le due forme energetiche dominanti nei tratti eterotrofici del lago. Per cui possiamo fare la distinzione dei tratti autotrofici, fonte di carbonio autoctona, e tratti eterotrofici, fonte di carbonio alloctona. Una forma autoctona può essere data dal perifiton, cioè quel microecosistema formato da una comunità mista di protozoi e alghe macroscopiche fotosintetizzanti che aderiscono a un substrato solido, come un sasso o un ciottolo. 57 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 Nei piccoli torrenti e nei grandi fiumi cambia completamente il trofismo e, come si può vedere nel grafico, la linea rossa che decresce da piccoli torrenti a grandi fiumi e rappresenta il carbonio organico alloctono che deriva dalle foglie per esempio (le foglie sono una fonte fondamentale di energia) ma anche i tronchi, l'acqua che defluisce dal bacino imbrifero dalle zone ripariali che ha un’acqua che non è trasparente, ricca di sostanza organica disciolta e sostanza organica particolata. Nei grandi fiumi aumenta il contributo delle dominanti autotrofiche, fitoplancton, alghe bentoniche e macrofite (definizione mista tra piante-alghe che possono hanno una struttura simile alle piante). Laddove esistono dei microorganismi fitoplanctonici o alghe bentoniche o macrofite la luce ha un'importanza fondamentale per la produttività primaria. Nel fiume dobbiamo sottolineare che, a seconda del tratto, possiamo avere delle zone ripariali che sono più o meno boscate e che esistono delle forti differenze sia di luce sia di temperatura, dovute proprio a questa differenza di dominante di vegetazione. Per cui tratti lontani alberati possono avere la stessa temperatura di tratti molto più a valle per il semplice fatto di avere una differente superficie di chioma attorno all'alveo del fiume. La maggiore o la minore superficie fogliata influenza fortemente anche la temperatura nel fiume, lo si può capire chiaramente nella curva ipsografica del grafico di un torrente americano, si adatta benissimo anche ai nostri torrenti. La temperatura ha degli effetti molto importanti a parità di nutrienti, questo non solo per l'attività primaria ma anche per la secondaria. Possiamo quindi provare a dare una definizione di fattore limitante o condizioni limitante. In condizioni stabili, gli elementi essenziali disponibili in quantità molto vicine al minimo tendono a diventare fattori limitanti. Questo concetto fu espresso per la prima volta nella seconda metà del 800 da Liebig ed è nota come legge di Liebig o del minimo. Tale concetto però, non è sempre applicabile in natura, non è applicabile quando non sussistono condizioni di stabilità in un ecosistema. Un ecosistema è considerato stabile quando il bilancio in entrata e in uscita di flussi energetici e materiali è sostanzialmente mantenuto in uno stato stazionario costante. In condizioni di instabilità, un ecosistema tende ad essere influenzato da più fattori perché è la velocità con cui questi fattori variano, che influisce quale fattore diviene limitante. Per cui in natura, negli ecosistemi è più facile che sia una combinazione di fattori a comportare la limitazione dell'accrescimento della produttività primaria o per estensione dell'attività secondaria. La legge del minimo pertanto vale sono in condizioni di equilibrio, equilibrio di flusso energetico ed equilibrio di flusso di materiali. Un'altra questione importante è l'interazione dei fattori, possiamo avere un’interazione tra fattori simili come il calcio e lo stronzio nella deposizione del guscio della conchiglia: qui non è una limitazione della produzione primaria, ma è una limitazione sull’accrescimento di un mollusco che devono deporre il guscio. Quando il carbonato di calcio, per esempio negli ecosistemi acquatici di acqua dolce, ecosistemi continentali, diviene limitante può essere utilizzato in combinazione allo stronzio. Un altro esempio può essere un’interazione tra fattori fisico e un fattore fisico: lo zinco può essere un fattore limitante in piantine che crescono in pieno sole, mentre piantine che crescono in condizioni di illuminazione ridotta, per esempio più 58 Dispense di Ecologia- Prof. Francesco Dondero -DISIT -Versione a0004 in ombra non subiscono limitazione dallo zinco. Questo potrebbe essere spiegato da un meccanismo biochimico legato all'utilizzo dello zinco per proteggere il fotosistema da un eccesso di illuminazione. Esistono poi dei limiti di tolleranza: dei limiti minimi, che sono legati al concetto di Liebig, e dei limiti massimi, l'eccesso di un nutriente abbiamo visto che può provocare la riduzione di un tasso di crescita. Pertanto nell'adattamento di ogni popolazione a determinate condizioni ambientali, corrisponde una finestra di optimum, di fattori fisici e di fattori chimici. Questa legge è stata formalizzata da Shelford, all'inizio del ‘900, ed è nota come legge della tolleranza. È molto importante oggi che parliamo di disturbo ambientale, di risposta allo stress, sia a livello individuale, sia a livello di popolazione, sia a livello ecosistemico. In ecologia questi livelli di optimum si riferiscono generalmente ad alcune condizioni chimico-fisiche o biologiche, ad esempio la tolleranza rispetto ad un intervallo di temperatura definisce organismi stenotermi e euritermi, dove il termine steno indica un intervallo ristretto e il termine euri indica un intervallo ampio di tolleranza. Oltre agli effetti della temperatura, ci possono essere organismi tolleranti rispetto all'acqua e abbiamo quindi, organismi stenoidrici e euriidrici; rispetto alla salinità, stenoalino e eurialino; rispetto alla tolleranza nel tipo di cibo, stenofago e eurifago; rispetto alla tolleranza alla selezione dell'habitat, ci sono organismi stenoeci, che hanno scarsissimi limiti di tolleranza nella selezione dell'habitat e hanno bisogno di habitat particolari (ad esempio la stella alpina), e altri organismi che sono generalisti nei confronti dell'habitat assoluti che sono gli eurieci. Questi aspetti sono molto importanti oggi nell'ottica delle specie aliene invasive, quelle che arrivano da areali geografici che sono molto distanti da quelli autoctoni, e proprio per il loro aspetto di generalisti dell'habitat riescono a sovracompetere con le specie autoctone, a soppiantarle e spesso a comportarne l'estinzione. Ci sono numerosissimi esempi di questa tipologia di organismi: si va da molluschi invasori che hanno soppiantato i molluschi di acqua dolce (Unio elongatulus, Anodonta che sono tipici del bacino del Po, distribuiti in Italia in maniera più o meno ampia), vengono soppiantati da specie generaliste che provengono dal lontano Oriente dalla Cina (Sinanodonta è il competitore alieno di Anodonta, Dreyssena polimorfa nota anche come Zebra mussel che ha messo a repentaglio Unio elongatulus sebbene avesse una nicchia non completamente sovrapposta, le funzioni biologiche e anche gli habitat non erano completamente sovrapposti. Questi sono dei modificatori di molluschi delle condizioni ecologiche molto potenti, ha messo a repentaglio molti di questi molluschi autoctoni. Oggi cerchiamo di proteggere queste specie con delle tecnologie che vanno dalla eradicazione fisica degli invasori fino all'utilizzo di esche chimiche, per esempio feromoni sono stati utilizzati per attirare i gamberi di acqua dolce all'interno di nasse per poi essere rimossi, questa è un'altra piaga di fiumi in Piemonte. L'Austropotamobius italicus o il pallipes era la specie autoctona molto ricercata per le sue qualità culinarie (è un crostaceo decapode), non è stato soppiantato perché è stato pescato in eccesso, che cosa che succede spesso ma, perché è stato liberato per sbaglio da un allevamento che ha chiuso le fabbriche, e questa specie americana che venivano allevate perché c'era un interesse da parte degli utenti che volevano comprare per scopo edibile questi crostacei d'acqua dolce. 59

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