Dispensa Neuromarketing PDF

Summary

This document provides an overview of neuromarketing and consumer neuroscience. It explores the changing methodologies in consumer studies and the role of neuroscience in understanding consumer behavior, emphasizing the importance of emotional factors in decision-making. The document also examines the historical roots of neuroscientific studies and their applications in different fields, including marketing and brand communication.

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NEUROMARKETING DISPENSA PREFAZIONE - Rebe (messo) CAPITOLO 6 - Rebe (messo) CAPITOLO 1 - Rebe (messo) CAPITOLO 7 - Anas CAPITOLO 2 - Anas (messo) CAPITOLO 8 - Anas (messo) CAPITOLO 3 - Lya (da mettere) CAPIT...

NEUROMARKETING DISPENSA PREFAZIONE - Rebe (messo) CAPITOLO 6 - Rebe (messo) CAPITOLO 1 - Rebe (messo) CAPITOLO 7 - Anas CAPITOLO 2 - Anas (messo) CAPITOLO 8 - Anas (messo) CAPITOLO 3 - Lya (da mettere) CAPITOLO 9 - Lya (da mettere) CAPITOLO 4 - Lya CAPITOLO 10 - Rebe (messo) CAPITOLO 5 - Anas (messo) CAPITOLO 11 - (da dividere) CAPITOLO 1 Negli anni la metodologia di studio dei consumatori e il ruolo delle neuroscienze hanno subito un profondo cambiamento. Questa disciplina e lo studio del cervello in generale hanno sempre attirato l’attenzione di amministratori delegati e responsabili di marketing, ma la crescita dell’interesse in questo ambito può anche portare ad un grande rischio: la crescita di società e imprenditori che si spacciano per grandi esperti del funzionamento del cervello. Per quanto riguarda il cambiamento della visione dei consumatori, ciò è testimoniato dal fatto che le informazioni raccolte tramite gli strumenti tradizionali sembrano non corrispondere al selling out, il comportamento effettivo degli individui. La risposta a questa ambiguità si può trovare nell’intuizione di David Ogilvy: “le persone non pensano quello che sentono, non dicono quello che pensano e non fanno quello che dicono”. Servirsi delle neuroscienze oggi non significa solo avere a disposizione strumenti sofisticati ed economici in grado di misurare l’emozione nei confronti di un dato stimolo, ma anche conoscere più a fondo il funzionamento cerebrale per comprendere la dinamica di reazione degli individui. Questi approfondimenti hanno dimostrato l’importanza della variabile emotiva nel processo decisionale: nella maggior parte delle situazioni le decisioni vengono prese in maniera inconsapevole. Zaltman dice che il 95% dei consumatori sceglie senza un vero processo razionale alla base, perciò sarebbe opportuna l’adozione di sistemi di analisi che vadano al di là del dichiarato (ha brevettato un nuovo metodo che anticipa il neuromarketing: neuroimaging as a marketing tool). Oggi siamo in una fase di maturità della materia, anche se i termini chiave neuromarketing e consumer neuroscience vengono ancora confusi. -​ neuromarketing = insieme di metodologie e approcci caratterizzato dalla raccolta sistematica e dall’interpretazione dell’insight neurologico e neurofisiologico degli individui → esplorare le risposte non verbali. -​ consumer neuroscience = insieme di conoscenze scientifiche per analizzare i processi → comprendere le motivazioni e i processi neurofisiologici rilevati tramite i tool di neuromarketing. Questo ambito e il conseguente marketing intuitivo permettono di valorizzare una logica integrativa per cui subentrano anche il marketing tradizionale e la psicologia dei consumi. Una buona parte del cervello ha una preponderante attivazione inconscia e incontrollata: esso consuma il 20% dell’energia complessiva del nostro organismo, il 90% di questa è consumata durante una fase di riposo → un’ennesima testimonianza della dimensione inconsapevole nelle attività cerebrali. Le azioni di marketing normalmente si basano sulla stimolazione consapevole ma in realtà, grazie alle neuroscienze, sappiamo che per l’apprendimento non è necessaria un’attenzione diretta. In alcuni casi la ricerca di quest’ultima rischia anche di produrre delle contro-argomentazioni nella mente dei consumatori, portandoli a mettere in discussione il messaggio pubblicitario. Possiamo affermare infatti che, nonostante ci sia un basso livello di attenzione, è possibile determinare la memorizzazione o l’apprendimento, influenzando le scelte di consumo. Questo sarebbe possibile attivando la parte più antica del cervello legata alle emozioni (sistema limbico) e utilizzando stimolazioni coinvolgenti che non si limitino a servirsi di noiosi messaggi persuasivi. Si tratta solo di conoscere l’emotional journey delle connessioni associative tra brand, prodotto e messaggio, il quale spesso si presenta senza un particolare ordine razionale. Le origini degli studi neuroscientifici Si potrebbe ricondurre gli studi neuroscientifici ad un’intenzione di manipolazione, ma non è così: si tratta di riconoscere il funzionamento del cervello per costruire connessioni positive in grado di attivarci fisiologicamente. Questo approccio non è recente, affonda le sue radici in un lungo periodo storico che ha visto la trasformazione del rapporto tra mente e corpo. Agli inizi l’obiettivo di questi studi era prevedere il comportamento delle persone. Primo su tutti il pensiero filosofico si occupò di trovare una soluzione riguardo il rapporto tra anima e corpo, il mind-body problem. -​ Aristotele: esplorò il movimento oculare collegato alle emozioni. -​ Avicenna: studiò stato di malessere causato da forti emozioni, associandole al cambiamento del battito cardiaco. -​ Cartesio: ha posto l’attenzione sulla dimensione del cervello, determinando la separazione tra fisicità materiale del corpo (res extensa) e ragionamento morale (res cogitans). -​ Willis ​ Il fondatore della clinica neuroscientifica perché riuscì ad individuare le strutture responsabili delle emozioni, della motivazione e del comportamento. ​ Ha dimostrato che la reazione delle pupille è dipendente dallo stato emotivo e risponde ad un sistema di reazione fondamentale per la sopravvivenza. Whytt poi ha affermato che queste attività oculari, collegate all’attivazione della parte mediale del cervello, sono riflessi automatici che servono per reagire a determinate situazioni ambientali. -​ Luigi Galvani: correlazione tra attività muscolare e attivazione elettrica. ​ classificazione dei nervi in spinali e cranici. ​ ha gettato le basi per la comprensione dei segnali nervosi, un concetto molto usato nelle neuroscienze applicate al consumo e alla comunicazione. -​ Gall: scoprì il rapporto tra cervello e personalità. ​ studiò i tratti somatici associati a diverse abilità ​ Teoria frenologica → osservando le le protuberanze craniche si potrebbe comprendere le facoltà psichiche di un uomo, cervello = muscolo -​ Helmholtz: misurò la capacità di diffusione elettrica dell’impulso nervoso, prendendo come oggetto di studio il tempo tra la stimolazione elettrica e il momento della contrazione effettiva del muscolo. Il segnale si trasmette con più velocità man mano che aumenta la distanza. -​ Mosso ​ idrosfigmografo = macchina che misura le diverse risposte fisiologiche dell’organismo alle diverse emozioni. Lombroso lo utilizzerà come strumento per indagini di criminologia. -​ Berger: ha registrato le forme delle onde del segnale elettrico cerebrale, osservando come esse potessero variare in base allo stato mentale dei soggetti. Le intuizioni contribuirono a gettare le basi per l’attuale elettroencefalografia (EGG). Con la risonanza magnetica si è potuto comprendere meglio come funziona il cervello andando oltre le ipotesi freudiane. Tutto ciò ha portato all’individuazione di aree specifiche: -​ linking = pianificazione delle azioni -​ wanting = gradevolezza dell’esperienza Queste due aree sono estremamente interessanti per il loro ruolo nella brand communication. Cosa si intende per consumer neuroscience Gli studi neuroscientifici applicati al consumo sono un’evoluzione delle conoscenze neuroscientifiche finalizzate alla creazione di engagement emotivo e cognitivo. Gli obiettivi principali sono: la comprensione delle motivazioni dei comportamenti e la previsione delle decisioni d’acquisto, cercando di smascherare la black box dei processi decisionali presente nelle masse di consumatori. Lo sviluppo delle teorie esplicative ha dato via ad una vera e propria metodologia per studiare la black box e a nuove discipline. Questo processo vede lo sviluppo di ambiti come il neuromanagement, che comprende i neuromarketing e le consumer neuroscience, finalizzato a: -​ gestire meglio il lavoro in ambito aziendale → neuroleadership e neuroselling -​ comunicare meglio il brand → neuromarketing per il consumo. Nonostante il grande contributo che sembra dimostrare la nuova disciplina, c’è ancora tanta diffidenza nelle aziende nell’uso di questo approccio. Le principali ragioni sono: -​ Le eccessive promesse che non sono state mantenute dagli esperti. Sono state venduti garndi successi che poi non hanno dato un vero risultato tangibile: è mancata una proposta di valore. -​ Alcune aziende sono ancora condizionate da una visione troppo razionale del consumatore. La consapevolezza sempre più esplicita, grazie alle ricerche neuroscientifiche, dell’irrazionalità dei processi decisionali, permette di guidare i creativi nel valutare anticipatamente l’effetto che può avere una soluzione narrativa o uno stimolo visivo in uno spot pubblicitario. Allo stesso tempo suggerisce come riorganizzare le informazioni su un packaging perchè risulti comprensibile e facilmente visibile sugli scaffali (la media di secondi che un consumatore trascorre davanti ad uno scaffale è di 30 secondi). Le conoscenze provengono da: -​ tecniche particolarmente avanzate che permettono di individuare l’attivazione delle varie aree del cervello (EGG) -​ ricerche sul campo per verificare le migliori combinazioni di stimoli per “guidare i processi di acquisto” Tutto ciò per abbracciare un nuovo modo di intendere il messaggio pubblicitario, non più focalizzato sulla persuasione e la riflessione, bensì sull’attivazione dei processi mnemonici inconspevoli, efficaci anche in presenza di un basso livello di attenzione. Ovviamente questa visione non può essere considerata salvifica perchè nel campo dei consumi gli elementi alla base dei processi decisionali sono molto complessi, certamente ha permesso di avere una visione più completa dei meccanismi della black box. Chi fa ricerca scientifica di neuromarketing conosce bene la triangolazione dei dati: avere un solo indicatore neuroscientifico è molto rischioso e porta facilmente all’errore. Un nuovo modo di intendere il consumatore e il marketing Stephen Genco, con il suo libro “Neuromarketing Dummies”, ha descritto i principi alla base del marketing intuitivo, fondato sui sistemi di elaborazione inconsci. Un principio importante è che l’attenzione diretta può non essere l’unico elemento capace di garantire la persuasione, uno stimolo di marketing può influenzare la risposta del consumatore anche se privo di significato razionale. Si parla di consumatori intuituvi: più riconoscibili per ciò che non fanno piuttosto che per ciò che fanno; attratti da cose semplici e familiari, si mostrano sospettosi verso la novità. Si tratta di un modo di reagire agli stimoli che risponde ad una specifica struttura cerebrale. A partire da questa considerazione Genco definisce il neuromarketing come un nuovo insieme di metodi e strumenti per misurare la risposta conscia e inconscia delle persone. Le nostre preferenze non sono per nulla definite, bensì sono condizionate da bias, schemi anticipatori (priming) e altre diverse variabili, tra cui le emozioni, molto spesso sottovalutate. Molti studi hanno dimostrato che gli esseri umani possono avere obiettivi inconsci attivabili senza la piena consapevolezza. Alcuni esempi possono essere: -​ nudge: la spinta gentile -​ behavior economics: combinazione di elementi di natura economica e psicologica per comprendere come e perchè le persone fanno quello che fanno nella vita di tutti i giorni Nel complesso meccanismo decisionale, sembra esserci un “pulsante di stop” responsabile del controllo degli impulsi: la corteccia frontale dorsomediale, appena sopra gli occhi. Nell’ambito del marketing si potrebbe considerare un pulsante di “non acquisto” nei momenti impulsivi. Neuroscienze e Comunicazione Un ambito strettamente legato alla consumer neuroscience è certamente la comunicazione → dimensione interdisciplinare. Gli studi sulla comunicazione hanno prodotto tantissimi approcci usati dai professionisti del marketing, in particolare la psicologia comunicativa e comportamentale. L’obiettivo è capire il funzionamento del processo persuasivo in relazione alle dinamiche cognitive della black box. Le principali teorie che hanno accompagnato lo smascheramento dei comportamenti inconsci si sono sviluppate attorno a 3 ambiti: -​ la psicologia clinica = derivante dalla teoria freudiana, permette di accedere alle origini del malessere attraverso la comunicazione, puntando al cambiamento comportamentale o attitudinale. -​ propaganda politica e militare = per spiegare i meccanismi individuali, gruppali e sociali. Si analizzano anche le variabili di persuasione delle masse: è centrale il ruolo della fonte, del messaggio, del canale e dell’emittente/ricevente. -​ sviluppo della comunicazione mediatica = presa in considerazione con la diffusione della TV. Il tema ha destato sempre più interesse e si mostra decisamente attuale: oggi il consumo non è più solo la soddisfazione del bisogno, ma diventa rappresentazione del proprio modo d'essere e mezzo con cui comprendere se stessi. Allo stesso tempo, in un contesto sociale ricco di informazioni e di suggerimenti mediatici, riuscire a persuadere i consumatori diventa sempre più complicato. Studio della Comunicazione Per studiare la comunicazione si possono utilizzare diverse strategie e strumenti. ​Contenuto Studiare il contenuto della comunicazione permette di valutare la presenza di concetti e argomentazioni relativi al tema e alla sua rappresentazione. -​ individuare gli aspetti su cui fare forza -​ individuare gli aspetti che si vogliono omettere -​ grado di associazione di alcune parole -​ confronto di parole chiave e il loro posizionamento nel testo Un elemento fondamentale è poi la modalità espressiva, con cui il valore del fenomeno viene rappresentato. L’assenza della realtà, per esempio, o la narrazione di questa in un determinato modo contribuisce a creare nella mente del consumatore una rapprentazione in grado di guidare la lettura della quotidianità. In questo caso le aspettative giocano un ruolo determinante. Anche l’effetto dell’esposizione gioca un ruolo importante, alcuni esempi sono: -​ individuazione della diversità di visione dei specifici gruppi -​ quantità di esposizione -​ tempo dedicato a prestare attenzione a ciò che viene comunicato Oggi le neuroscienze ci informano di come l’engagement si sviluppi in un’area antica del cervello: il sistema limbico (dedicato alle emozioni e ai sentimenti). Nonostante questa sia destinata al coordinamento delle funzioni vitali, viene attivata anche da stimoli specifici in grado di attirare la sua attenzione. La neocorteccia consente,in contrapposizione, di sapere, di esistere e di formulare un ragionamento astratto ed etico. ​Effetti 1.​ La teoria dell’uniformità dell’effetto Tutti gli individui, quando vengono sottoposti ad una comunicazione mediatica, vengono influenzati in maniera simile, indipendentemente dalle caratteristiche del target e del contesto. Questa teoria è utilizzata per spiegare l’efficacia della propaganda militare: la teoria ipodermica o bullet theory, una visione elementaristica e meccanicista dello studio della comunicazione. Essa si fonda sull’assuto che il repertorio di risposte comportamentali dell’uomo è uniforme → i messaggi sono recepiti nello stesso modo e i media possono plasmare l’opinione pubblica. Nel considerare la massa come un’entità uniformemente passiva, però, questa teoria non prende in considerazione la specificità culturale, valoriale e sociale del target. Questo difetto allo stesso comprende un’intuizione corretta: la risposta primordiale degli individui, quella spontanea e non guidata dalla razionalità. 2.​ La teoria dell’effetto della ripetizione La ripetizione del messaggio facilita il suo apprendimento e contribuisce a determinarne la gradevolezza e l’accettazione. 3.​ La teoria degli effetti condizionati I media possono influenzare l’audience ma in particolari condizioni e relativamente a particolari soggetti → variabile differenziale dei soggetti riceventi. 4.​ La teoria degli effetti limitati L’interesse ad acquisire informazioni avviene secondo procedimenti selettivi, per i quali i membri dell’audience tendono ad esporsi all’informazione sulla base delle loro attitudini, evitando messaggi difformi. Questo approccio sposta l’attenzione sull’informazione mediata, per la quale gli effetti dei media non sono comprensibili se non dopo aver studiato le interazioni reciproche tra destinatari: il contenuto viene rielaborato in dinamiche sociali. Secondo questo modello è necessario prendere in considerazione che le funzioni della mente non possono più essere concepite come operazioni di una macchina, distaccate dalla finalità, bensì finalizzate a contribuire alle pratiche di interazione interpersonale. Più che mai è chiaro il cambiamento di prospettiva in termini di comunicazione, per il quale si prende in considerazione il continuum cognitivo e il dinamismo dei processi cerebrali. La teoria degli effetti condizionati ha offerto una nuova visione del processo comunicativo tra individui e media: la gente tende a includere o escludere dalle proprie conoscenze ciò che i media includono o escludono dal proprio contenuto → principio base della teoria dell’agenda setting. Quest’ultima riguarda una teoria per cui i media dettano il pensiero degli individui che li utilizzano. Noto il potere dei media nel decidere cosa pensare, è emersa conseguentemente l’importanza della presentazione dell’informazione: alla base dell’agenda setting c’è l’impatto a livello cerebrale. Il nostro cervello, nonostante i numerosi calcoli che è in grado di eseguire, è un risparmiatore di energia. L’enorme quantità di stimolazioni che riceviamo porta il nostro sistema cognitivo a semplificarne continuamente l’elaborazione; l’agenda setting ci viene incontro per questo risparmio energetico. Il meccanismo euristico della disponibilità inoltre dimostra come il nostro cervello, dovendo stimare le numerose categorie di quello che gli viene proposto, tende a recepire le informazioni più facilmente disponibili e reperibili. La teoria della coltivazione sostiene che i media non determinano solo cosa dobbiamo pensare, ma anche in che modo farlo, diventando mezzi di socializzazione in grado di plasmare gli atteggiamenti, i valori e le decisioni. Molti studi a riguardo hanno dimostrato come le persone maggiormente esposte ad un messaggio tendono ad avere una visione uniforme e condivisa del tema →i mezzi di comunicazione diventano i dominatori dell’ambiente simbolico della vita moderna. Tutto ciò si può ricondurre al termine mainstream, l’omogeneizzazione della concezione del mondo. La teoria postula anche la possibilità di un intervento di ulteriori fattori sugli effetti del mainstream, senza considerare però la possibilità di mitigazione da parte di fonti differenti di socializzazione, individuali o motivazionali. Le ricerche hanno dimostrato l’esistenza di una posizione selettiva che porta gli individui a creare una relazione positiva tra ciò che si possiede e ciò che si legge. Noto questo ruolo di intermediazione, si può stilare una serie di criteri che determinano l’efficacia della comunicazione persuasiva: -​ credibilità → validità - attendibilità - coerenza, un’organizzazione logica è fondamentale per il sostegno di una determinata argomentazione -​ congruenza → la capacità di trovarsi nel luogo giusto, al momento giusto e con le parole giuste -​ consistenza → l’importanza della continuità temporale del messaggio comunicato L’effetto della Mera Esposizione Questo approccio contribuisce a rendere più familiare, e più accettabile di conseguenza, un messaggio: la familiarità renderebbe più gradevole un messaggio/oggetto nella sua possibilità di diventare un utile risolutore euristico. Inoltre è stato dimostrato che le preferenze nate su questa base familiare possono formarsi anche senza alcuna registrazione cosciente degli stimoli. Zajoc quando studiò questo fenomeno eseguì numerosi esperimenti che confermano l’efficiacia della mera esposizione anche a livello subliminale: l’esposizione ripetuta a uno stimolo è condizione sufficiente per provocare un atteggiamento favorevole verso lo stimolo stesso. Contrariamente a come si pensa la presentazione persuasiva subliminale non stanca, i messaggi ripetuti non saturano il fruitore dell’informazione se questa è recepita in maniera non attenta. Al contrario questo meccanismo, proprio durante un basso livello di attenzione, sembra facilitare la memorizzazione. Il contributo di Zajoc è coerente con gli studi sulla percezione difensiva. Secondo questa tipologia di recezione dello stimolo, parole o immagini mostrate in maniera subliminale ma cariche emotivamente (riferite a concetti tabù o socialmente inaccettabili) vengono riconosciute con un tempo di latenza più elevato: viene riscontrata una sorta di resistenza al riconoscimento dettata dalla valenza negativa delle emozioni provocate dallo stimolo. Oggi sappiamo che gli stimoli nuovi determinano l’attivazione dell’amigdala, responsabile della risposta ai rischi. Se gli stimoli diventano comuni e familiari, questo segnale si riduce. Lo studio della comunicazione e dei consumi dal modello razionalistico alle neuroscienze Il tema della valutazione della comunicazione e della pubblicità è sempre stato oggetto di interesse di vari esperti in ambiti scientifici. La disciplina che ha dato il contributo più rilevante è stata la psicologia, infatti studiare la comunicazione oggi significa servirsi anche di costrutti prettamente psicologici. L’obiettivo è sempre lo stesso: comprendere i principi base del funzionamento dei processi cerebrali, verificando anche l’efficacia delle loro strategie. Nonostane la psicologia stia alla base del campo delle vendite e dei consumi, il ricorso alle scienze psicologiche è stato effimero, senza la produzione di un vero corpo organico di conoscenze. Questa mancanza può essere attribuita ad una sfiducia generale nei confronti della materia, o una sua riduzione ad una scienza manipolatrice e subdola che sfrutta le debolezze umane. Oggi al suo posto potremmo trovare le neuroscienze applicate al business secondo la visione banalizzata e superficiale di chi non conosce davvero l’ambito di riferimento. Questa prospettiva ignora il ruolo importante sia delle neuroscienze che della psicologia della comunicazione, nel proporsi come scienze necessarie per lo studio della relazione tra impresa e consumatore. Data la comune visione negativa, la psicologia della comunicazione non può essere considerata una disciplina definita; nonostante si possa dire che la psicologia nasca e si sviluppi proprio grazie alle sue applicazioni pratiche nel campo della pubblicità. -​ Wundt: fondatore del laboratorio di Lipsia, ha contribuito a formare un luogo di aggregazione per gli studiosi interessati a studiare la percezione umana per fini pubblicitari. ➔​ soglie percettive divise in soglia assoluta (soglia minima di stimolazione percepibile) e soglia differenziale (quantità minima di cambiamento di stimolo percepibile) = pubblicità subliminale Gli studi di Wundt nel campo della pubblicità rappresentano una delle prime analisi riguardo i comportamenti di acquisto. -​ Scripture: si concentrò sulla risposta attentiva alla stimolazioni e sull’influenza delle aspettative e dei sentimenti sui processi decisionali. -​ Gale: convinto che la percezione inconsapevole potesse guidare gli atti di acquisto involontari. Nonostante i suoi studi non siano molto riconosciuti, Gale si può considerare uno dei precursori del subliminale. -​ Scott: faceva riferimento alla capacità di attrazione e memorizzazione del messaggio nel rispetto di una logica razionale, per cui tutto ciò che è comunicativo risponde alle esigenze e ai bisogni razionali del consumatore. Quello che per lui andava oltre il meccanismo razionale poteva essere considerato istintualità o pulsione animalesca del comportamento umano. Il suo approccio si potrebbe definire di tipo mentalistico, definendo la suggestione come un mezzo persuasivo. Con Scott, per la prima volta, si fa riferimento alla paura, all’amore e all’odio. Da questi cenni storici si comprende come psicologia e pubblicità siano sempre state interconnesse tra di loro, creando complementarietà disciplinare: -​ chi si occupa di pubblicità → deve conoscere come funzionano i processi percettivi, decisionali e mnemonici. -​ chi studia i processi decisionali → ha contribuito alla comprensione dell’efficacia pubblicitaria. Per comprendere la difficoltà di individuazione di un’unica chiave di lettura, occore segnalare che la psicologia della pubblicità si è affermata all’interno di una società e di una cultura con un’immagine specifica del consumatore: dove quest’ultima ha sempre oscillato tra assoluta semplicità del modello stimolo-risposta e la complessità razionalistica del cognitivismo. Una società che si presenta con un profondo mutamento valoriale in grado di giustificare un nuovo linguaggio della pubblicità e della comunicazione, per andare oltre la visione razionalistica. Dagli studi sull’attenzione ai modelli razionalistici Una prima esigenza dei comunicatori e degli esperti di marketing è riuscire ad attirare l’attenzione e suscitare interesse di un pubblico consapevole, ma anche stanco della pervasità pubblicitaria. In questo contesto, il meccanismo del risparmio cognitivo costituisce uno degli aspetti più importanti per riuscire a persuadere. Siccome una volta conquistata l’attenzione è necessario che il messaggio venga recepito correttamente, è importantissimo preparare il terreno dell’assimilazione. L’obiettivo è attivare la parte più antica del cervello attraverso stimoli preliminari, in questo si ha una trasformazione nella rilevanza del contenitore rispetto al contenuto: la forma, seppur superficiale, viene elaborata più facilmente dal cervello e ciò costituisce la base del marketing intuitivo. Nel corso del secolo scorso sono stati sviluppati molti modelli per dare risposta alle domande riguardo al rapporto tra pubblicità e mondo dei consumi. Gioca un ruolo influente la teoria comportamentale, con la quale si sposta l’attenzione dallo studio della mente allo studio del comportamento dei consumatori. Le uniche variabili da prendere in considerazione sono dell’ambiente esterno, il consumatore è una tabula rasa, priva di capacità critiche, libero arbitrio e facilmente condizionabile. La teoria comportamentale lascia però spazio ad altri approcci e alla rivalutazione del valore della conoscenza e della razionalità. Tra i modelli tradizionali dello studio del consumatore ricordiamo la Unique Selling Preposition di Reeves come quello più razionalistico in assoluto. Il superamento della visione stimolo-risposta avviene all’interno del connubio tra psicologia e pubblicità: appaiono i limiti nell’accettazione di una vita mentale finalizzata ad un puro meccanismo. In questo momento entrano in gioco le variabili intervenienti → grazie a queste l’individuo è studiato e considerato come essere pensante. In questo caso ciò che interessa agli esperti è come comprendere il ruolo delle strutture cognitive e i processi di attribuzione di significato, la selettività del ricordo e il coinvolgimento del fruitore. RamsØy ci dice che la visione del 50% dello spot entro il primo secondo può provocare un processo mnemonico, se in quell’istante viene trasmessa un’emozione, si ha l’attenzione dell’individuo e la possibilità che egli ricordi. Questi dati, allo stesso tempo, mettono in discussione il modello razionalistico, riprendendo il ruolo dell’inconscio. Molte ricerche infatti mettono in evidenza casi di dissonanza cognitiva: lo stato di malesse degli individui determinato dalla incongruenza tra azione (comportamento) e convinzione (atteggiamento). Le neuroscienze hanno dimostrato come tutti i modelli razionali riguardanti i meccanismi di attenzione sono da affiancare al processo inconsapevole. Un esempio è l’AIDA, creato dal pubblicitario Kennedy, per guadagnare l’attenzione del fruitore in maniera schematica e scientifica solamente ricercando 4 elementi: attenzione, interesse, desiderio e azione (attention, interest, desire and action). Il contributo della Psicoanalisi Nonostante l’intuizione per cui la memorizzazione e la percezione di un messaggio possono avvenire anche senza uno sforzo razionale da parte dell’impresa che li invia e del consumatore che li riceve; non è mai stato dato il giusto peso alla dimensione irrazionale ed emozionale. Al contrario la psicoanalisi riconosce in quest’ultimo l’innesco motivazionale dei comportamenti umani. La pubblicità efficace diventa quella che attiva le motivazioni inconscie, aggirando le resistenze interne e agendo al di sotto del livello di consapevolezza. ​ Un esempio di modello per l’efficacia pubblicitaria è quello proposto da Starch, esso comprende varie fasi → 1. assicurare l’attenzione, 2. attivare l’interesse, 3. portare alla convinzione, 4. produrre azione e 5. rimanere impresso nella memoria. ​ Secondo Russell Colley invece, la pubblicità deve seguire precisi step e lo afferma con un modello tutto suo: il DAGMAR. Esso comprende: 1. la consapevolezza che favorisce nel consumatore la conoscenza del marchio, 2. la comprensione che punta ad esplicitare al consumatore il benefit del prodotto, 3. la convinzione per sviluppare nel consumatore la predisposizione all’acquisto, infine l’azione finale nell’atto di acquisto. Ditcher è il primo ad utilizzare le categorie psicoanalitiche per spiegare l’efficacia pubblicitaria, crea l’Istituto di Ricerca Motivazionale: gli studi affermano che le motivazioni e le ragioni delle azioni sono spesso sconosciute e che le spiegazioni che diamo sono solo post-razionalizzazioni → anticipazione di ciò che le neuroscienze dimostrano più avanti. La sua ricerca trova il suo fondamento nella visione psichico-freudiana: è possibile dare una spiegazione a tutti i comportamenti e la maggior parte delle risposte si trovano nella dimensione inconscia. Questo è possibile allargando la prospettiva e cercando di cogliere le valenze simboliche. Grazie alla psicoanalisi e alla ricerca motivazionale di Ditcher il mondo dell’inconscio incontra quello dei consumi, anche se la visione offerta mantiene la contrapposizione tra razionale e irrazionale. Le neuroscienze ci raccontano dei due mondi in maniera completamente diversa: la parte inconscia non è nemica di quella razionale, bensì gioca un ruolo fondamentale in tutte le attività quotidiane. Imparando a riconoscere il cervello, si è rivelata l’area più antica a livello evolutivo capace di elaborare una risposta rapida alle stimolazioni, e individuando coerenze con stimoli già codificati. Il contributo delle neuroscienze e del neuromarketing al marketing e alla comunicazione Lo studio dei processi inconsci sembra in parte anticipare ciò che verrà trattato dalle neuroscienze grazie all’utilizzo di attrezzature sofisticate come il Brain Imaging. Per più di 50 anni ci si è avvalsi di un modello interpretativo razionalistico, il quale afferma che il consumatore è razionale, consapevole dei suoi vissuti e competente nelle sue percezioni. Secondo questo approccio, l’emozione era considerata una percezione animalesca e incontrollabile che offusca la razionalità: tutto ciò che non faceva parte della corteccia cerebrale era ricondotta ad una funzione opposta alla cognizione. Chi si uccupò della rivalutazione emotiva, allo stesso tempo, non volle stravolgere il paradigma celebrando il primato dell’inconscio, bensì cercò di riconoscere il valore di una nuova prospettiva→ passare dalle emozioni come variabile di disturbo alle emozioni come variabile cogente, permettendo di mettere in risalto tutti e due i processi cognitivi. Oltrepassare il ruolo secondario dato alle emozioni è la strategia pù corretta per comprendere i comportamenti di acquisto, permettendoci di riconoscere l’uomo come macchina emotiva capace di eccellenti razionalizzazioni. Le neuroscienze restituiscono dignità alle emozioni considerandole delle vere e proprie dimensioni cognitive, le quali partecipano a pieno titolo al processo decisionale e lo guidano. Questa rivalutazione insieme al non dichiarato a causa delle regole sociali o della volontà di mostrarsi come soggetti razionali, permettono lo sviluppo di un nuovo approccio di marketing → quello intuitivo, il suo obiettivo è quello di studiare i consumatori per influenzarli indirettamente, stimolandoli in maniera inconscia, facilitando la connessione positiva tra prodotto e brand. In realtà in termini di obiettivi non si discosta molto dal marketing tradizionale, la grande differenza sta nelle strategie di engagement meno disturbanti. Per fare ciò è necessario prestare attenzione agli elementi che attivano naturalmente il cervello primario, affaticando meno il cervello razionale. I presupposti del Neuromarketing Il termine è stato coniato da Adam Smidts, studioso della Scuola di Management di Rotterdam. Con neuromarketing Smidts intendeva lo studio delle reazioni senso-motorie, cognitive e affettive che gli stimoli di marketing hanno su un soggetto, misurando direttamente gli indicatori psicofisiologici. Tali studi affermano che i due processi cerebrali, cognitivo ed emotivo, non si escludono ma devono essere considerate funzioni mentali distinte e interagenti. RamsØy individua tre elementi per cui si ritiene necessario servirsi di tecniche di analisi neuroscientifica nell’analisi della comunicazione: 1.​ le nostre scelte sono basate su processi inconsapevoli e variabili influenti, le persone non si accorgono di tali influenze; 2.​ le emozioni guidano i comportamenti e le nostre decisioni; 3.​ le decisioni non sono prese con un’accurata valutazione di tutte le variabili, vengono scelte istintivamente, intuitivamente e dopo aver ricevuto solo una parte di informazioni. Le neuroscienze studiano il sistema nervoso partendo dall’analisi dei processi biologici, integrandoli con quelli di psicologia e psicofisiologia. Questo approccio è possibile soprattutto grazie alle nuove tecniche come la risonanza magnetica funzionale (fMRI), quella con emissioni di prositoni o la magnetoencefalografia (MEG), attivata da campi magnetici collegati all’attivazione elettrica del cervello. Queste analisi hanno permesso di ricondurre l’attivazione di alcune aree del cervello a particolari comportamenti o esperienze di consumo. Uno strumento decisamente più economico (rispetto alla PET e alla fMRI) con cui si studiano le singole parti del cervello è l’elettroencefalogramma - EEG. Sebbene la sua risoluzione spaziale non sia paragonabile a quella della risonanza magnetica (viene misurata solo sullo scalpo), l’EEG è una delle tecniche più antiche di Brain Imaging usata per avere un dato affidabile che combina comunicazione e attivazione fisiologica, emozione e cognizione. All’inizio queste tecniche furono usate in maniera superficiale dalle aziende, per dare una veste tecnologica al loro studio del consumatore nel momento di fallimento. Nel periodo che stiamo vivendo in questi anni, vengono usate per sviluppare un’utile strategia al fine di comprendere meglio i processi di consumo. Le neuroscienze inoltre si sono evolute nei processi di studio: sono passate dai laboratori di ricerca all’applicazione in luoghi di vendita con strumenti sempre meno invasivi. Il neuromarketing può contribuire efficacemente a valutare 3 processi fondamentali della persuasione: 1.​ Attenzione: questa può avvenire in maniera guidata. -​ top-down = direzionata dalla comunicazione stessa -​ bottom-up = stimolata dall’ambiente, spontanea Anche se la nostra attenzione è attirata principalmente dal nuovo, l’eccessiva novità nel marketing potebbe avere un effetto negativo. Le migliori soluzioni permettono di mantenere un equilibrio tra tra attrattività del nuovo e riconoscimento di ciò che è familiare e noto (mera esposizione). 2.​ Emozione: è possibile misurare la valenza (la direzione dell’emozione), l’arousal (intensità dell’emozione) e la motivazione (il grado di orientamento che produce sull’azione, misurabile in termini di evitamento dello stimolo o di approccio ad esso). 1.​ Memorizzazione: un processo articolato. Si presenta con due dimensioni di interesse: -​ in entrata → la codifica delle informazioni e il loro radicamento -​ in uscita → il ”recall” di ciò che è stato memorizzato e radicato I principali strumenti di indagine possono essere riassunti nelle seguenti classi: 1.​ self report = ciò che le persone dichiarano apertamente, importante per individuare coerenza o contraddizioni. 2.​ la misura dei comportamenti = rientrano in questa indagine sia le azioni di acquisto che le reazioni fisiche visibili (movimento del volto in correlazione con un’immagine o un volto). 3.​ neuroimmagine = permette di misurare direttamente con tecniche specifiche come si attivano aree specifiche del cervello. 4.​ la misurazione delle attivazioni psicofisiologiche = strettamente correlate allo stato emotivo o al processo cognitivo in cui si trova la persona di fronte a uno stimolo di comunicazione o di marketing. Per quest’ultimo campo, le tecniche e gli strumenti maggiormente utilizzati sono: ​ eye tracking = uno strumento avanzato che permette di misurare il comportamento visivo restituendolo sotto forma di output qualitativo e quantitativo: come si muovono gli occhi nello spazio o su una immagine/filmato. La misurazione del movimento oculare permette di analizzare l’esplorazione oculare, i tempi di fissazione, il percorso di visione, la dilatazione pupillare e il blinking. Questo sistema si avvale di un meccanismo a infrarossi all’interno di un monitor per non disturbare l’utente, i raggi vengono riflessi dal cristallino dell’occhio e registrati da un sensore apposito alla velocità di 500 Hz. Il principio che sta alla base dell’eye tracking è l’ipotesi mente-occhio: ciò che una persona sta osservando riflette ciò che pensa e i suoi interessi. Questo fattore è collegato con la percezione della marca, i dati che la riguardano possono essere raggruppati in due macro-categorie: qualitativi e quantitativi. I dati qualitativi sono basati sulla visualizzazione grafica del comportamento visivo di vari utenti; i dati quantitativi sono invece sull’analisi quantitativa di dati numerici. ​ postura, misurabile con eyetracking = in base all’’avvicinamento degli occhi allo schermo: ciò che ci piace tendenzialmente produce un avvicinamento allo stimolo stesso, allo stesso tempo ciò che ci infastidice o ci disgusta provoca allontanamento. Ramsøy utilizzò per primo questo parametro per la valutazione dei prodotti di moda, egli sosteneva che la dichiarazione di gradevolezza fosse correlata al movimento del corpo, in particolare alla dilatazione pupillare. ​ conduttanza cutanea = il grado di attivazione psicofisiologica misurato attraverso la sudorazione, valutando l’arousal provocato da un determinato stimolo ambientali o interni. ​ respirazione e battito cardiaco = il battito cardiaco viene correlato al livello di concentrazione, mentre la velocità e la profondità del respiro sono correlate con il grado di attenzione o di tensione emotiva. Questi si misurano con strumenti sul soggetto o a distanza (webcam che valuta il cambiamento di flusso sanguigno tramite l’identifcazione dei movimenti del volto). ​ espressioni facciali = il movimento dei muscoli del volto, i quali si muovono in relazione alla tipologia di emozione provata, questo avviene tramite software specifici come FaceReader (Noldus, si usa anche in Iulm), oppure il modello Facial Action Coding System per le micro-espressioni facciali. ​ tempi di risposta e di latenza = si misura la comparazione tra stimoli in termini di velocità di risposta, per valutare l’associazione legata al conflitto decisionale. Lo strumento principale per misurare questi parametri è l’Implicit Association Test (IAT), usato per le reazioni a prodotti, packaging o volti umani. ​ analisi con elettroencefalogramma = si misurano le onde cerebrali e le zone che vengono attivate in relazione alle stimolazioni; si ipotizza il tipo di reazione - il grado di attivazione e di memorizzazione dato dallo stimolo. Questa pratica richiede una profonda conoscenza del cervello ed è limitante in quanto permette di misurare solo ciò che avviene in superficie (scalpo del cervello). I vantaggi del consumer neuroscience dunque possono essere riassunti in: ➔​ va oltre al dichiarato permettendo di avere una chiara indicazione dell’emozione e della reazione provocata dalla stimolazione ➔​ permette di anticipare la rezione e l’atteggiamento dei consumatori ➔​ analizzando la reazione del cervello alle stimolazioni, portando ad ottenere un dato più affidabile ➔​ fornisce un metodo di misurazione che non è comparabile a nessun altro strumento ➔​ permette di superare il meccanismo di desiderabilità per cui gli individui non dicono ciò che pensano ma ciò che pensano sia giusto affermare CAPITOLO 2 – COME FUNZIONA IL CERVELLO DEI CONSUMATORI Il menu del giorno: 2.1 – Una nota introduttiva agli studi sul cervello. Dalla frenologia ai primi studi scientifici 2.2 – Il cervello 2.3 – I processi cerebrali della decisione: come comprendere i consumatori e le loro decisioni 2.1 – Una nota introduttiva agli studi sul cervello. Dalla frenologia ai primi studi scientifici Negli ultimi 500 anni sono stati 3 i grandi eventi che hanno sconvolto l’umanità: 1. con la rivoluzione copernicana abbiamo scoperto che siamo un pianeta come tanti orbitanti intorno al Sole; 2. con Charles Darwin abbiamo scoperto che siamo soggetti alle leggi della natura come gli altri animali; 3. con il carissimo Sigmund Freud, il quale introduce i concetti di inconscio e irrazionalità, abbiamo scoperto che l’uomo non è più controllore del suo destino. A queste 3 grandi scoperte se ne aggiunge una quarta: la conoscenza del cervello umano che avviene a partire dagli anni ’90 con lo sviluppo delle neuroscienze. Si comincia quindi a studiare la mente nei suoi diversi ambiti di applicazione, come il business: infatti, alla base delle neuroscienze applicate al business vi è una più approfondita conoscenza del cervello. Lo studio del cervello, però, è in realtà sempre stato un ambito di grande interesse fin dal 3000 a.C. Lo vediamo nel prossimo paragrafo. Il lungo predominio della teoria cardiocentrica Il cervello si è studiato sin dal 3000 a.C. in Africa, questo è vero, ma è importante sottolineare che all’epoca lo si studiava NON come sede dei pensieri e delle decisioni, in quanto per lunghissimo tempo tali funzioni erano attribuite al cuore. Nell’epopea di Gilgamesh, datata 2600 a.C., è infatti il cuore la sede dei pensieri. Lo stesso vale per gli Egizi, i quali nel loro accurato processo di mummificazione lasciavano da parte il cervello. Tuttavia, è da sottolineare il fatto che il più antico trattato di medicina giunto a noi, il papiro di Edwin Smith, risalga proprio a questa epoca. Tale papiro è importante perché al suo interno non contiene formule magiche per la risoluzione delle malattie, ma si trovano invece diversi casi analizzati con un approccio moderno e prettamente scientifico alla malattia. Si arriva poi al VI secolo a.C. in Grecia con § Alcmeone di Crotone, considerato il padre delle neuroscienze in quanto fu il primo a scoprire il collegamento nervoso tra l’occhio e il cervello, e lui individuò nel cervello la sede dell’intelligenza. Anche § Ippocrate, nel 400 a.C., mostrò interesse verso il cervello disegnandone una – seppur rudimentale – mappa. Non solo: anche § Areteo di Cappadocia, nel 150 a.C., contribuì a spostare l’attenzione del cervello in quanto trovò come cura dell’epilessia la trapanazione del cranio. Di ben altra corrente di pensiero era invece § Aristotele, che nel corso del IV secolo a.C. diffuse l’idea cardiocentrica che vedeva il cuore, non il cervello, come sede dei pensieri. L’idea nasce dal fatto che quando si provano emozioni, il cuore batte più forte e si affatica quindi di più; di conseguenza essendo il cuore sede del sangue e produttore di calore, rappresenta il principio della vita animale perché, se esso smette di pulsare, sopravviene la morte. Tale teoria poggia sul concetto di equilibrio termico: il sangue diventa fondamentale perché possiede al suo interno tutti e quattro gli elementi; il cervello è quindi negativo perché “raffredda” il sangue che è stato riscaldato dal cuore quando ci agitiamo perché proviamo delle emozioni. Al di là della dottrina aristotelica, il cervello acquisisce maggiore rilevanza ad Alessandria d’Egitto, tra il IV e il III secolo a.C., perché ai medici e ai fisici dell’epoca veniva concesso di vivisezionare i cadaveri. Si deve quindi a § Erofilo e ad § Erasistrato la divisione del cervello in due parti, corteccia e cervelletto, e furono loro ad attribuire al cervelletto la sede dell’intelligenza. La teoria cardiocentrica di Aristotele, ahimè, rimase a lungo la più popolare e ci vollero altri 400 anni prima che il cervello acquisisse maggiore rilievo. Ciò accade nel 129 d.C. con § Galeno, il quale condusse esperimenti sugli animali e constatò che ci fosse un’aria vitale, da lui definita pneuma, che permetteva al cervello di funzionare; è lui a dimostrare che l’origine dei nervi non si trova nel cuore ma nel cervello. Galeno inoltre riteneva che il cervello fosse pieno di “spirito animale”, ovvero un fluido vitale che riempie le 3 cavità del cervello (ognuna con un ruolo specifico) e che dal cuore viene trasmesso tramite il sangue. Ci spostiamo nel mondo islamico nel 1° millennio d.C. con § Avicenna, il quale accettò l’ipotesi di Galeno sul fatto che i nervi si originassero nel cervello, ma attribuì al cuore la responsabilità dei movimenti e delle sensazioni. Restiamo in Medioriente con § Haly Abbas, il quale nel suo libro L’arte completa della medicina parla per la prima volta di neuro-anatomia, neuro-biologia e neuro-psicologia del cervello. In territorio fiammingo nel 1500 facciamo invece la conoscenza di § Andrea Versalio, il fondatore della moderna anatomia, che rifiutò (finalmente, dopo mille anni) l’ipotesi di Galeno. Versalio pose le basi per il superamento della visione di Galeno e considerò il cervello come sede dei pensieri e delle emozioni. Il contributo degli studi sul cervello dal XVII al XIX secolo Secondo § Cartesio, gli uomini si differenziano dagli animali per l’anima e il linguaggio: da questo deriva che il cervello umano ha delle strutture diverse rispetto a quello animale, la più importante delle quali è la ghiandola pineale, ovvero il luogo per eccellenza di incontro tra mente e corpo. Si parla quindi a tutti gli effetti di dualismo mente-corpo, nel quale la res extensa faceva riferimento alla materia e la res cogitans alla mente: si trattava di due sostanze separate che potevano incontrarsi solo e unicamente nella ghiandola pineale. Seguendo questo ragionamento, mente e corpo non hanno nulla in comune. Ma allora come fanno a interagire? Ahimè, molte delle supposizioni di Cartesio si sono rivelate essere sbagliate… Arriviamo al XVII secolo con § Thomas Willis, anatomista che scoprì il funzionamento del sistema vascolare nel cervello, denominato in seguito “circolo anastomotico di Willis”. Willis è da intendere come il primo neurologo della storia. Fu § Nicolaus Steno a porre le basi per la conoscenza scientifica del cervello. Egli, assieme ad un gruppo di esperti, pose il focus sul capire come funziona il cervello, analizzandolo non come insieme di strutture ma come macchina complessa. Fu un approccio rivoluzionario, perché permise di allineare questi studi con quelli delle neuroscienze: infatti, lo studio del cervello in funzione è quello che caratterizza l’approccio della consumer neuroscience. In seguito § Julien Offray de La Mettrie andò oltre alla presenza divina del corpo e ritenne i pensieri e la mente come l’esito di un processo meccanico nel cervello delle persone, come scrisse nel suo libro “L’Homme machine” (che venne censurato in quanto eretico). Gli studi più consistenti sul cervello avvengono alla fine del ‘700, con personaggi come il medico § Franz Joseph Gall, il quale riteneva che il cervello fosse come un muscolo. Gall pensava che più si allena una parte di esso, più questa si espande; di conseguenza, per capire il funzionamento cerebrale bastava verificare quale parte del cervello fosse più sviluppata. È con Gall che nasce la frenologia, ovvero una disciplina pseudoscientifica che prevede che le singole funzioni psichiche dipendono da determinate zone del cervello: Gall, infatti, pensava di poter distinguere le varie aree del cervello identificandone la parte più ipertrofica al tatto, ovvero dove il volume aumentava maggiormente. Quello di Gall fu ad ogni modo un tentativo di collegare mente e cervello e il suo ruolo fu importante perché: la frenologia si basa sulla centralità del cervello, quindi cervello-centrica; si può ipotizzare un rapporto diretto tra funzione e aree cerebrali; pone una sovrapposizione tra le funzioni del cervello e il comportamento di persone e animali. Il modello frenologico però crolla soprattutto perché si scopre la complessità del ruolo della corteccia, la quale è strettamente legata alla capacità di rispondere agli stimoli: se il modello frenologico fosse stato veritiero, un danno alla corteccia avrebbe prodotto un cambiamento di personalità, invece tale cambiamento era molto più profondo. Con la Rivoluzione francese, all’interno degli ospedali si opera in maniera rigorosa sia l’analisi della traumatologia cerebrale sia l’autopsia. È in questo contesto che § Paul Broca constatò che il cervello delle donne era più piccolo rispetto a quello degli uomini. In conclusione, a partire dal XVIII secolo l’idea del cervello come sede del pensiero e delle emozioni fu del tutto accettata… La scoperta delle funzioni del cervello: dalla traumatologia agli strumenti neuroscientifici … Nonostante ciò, personaggi come § Karl Marx discussero ancora del ruolo del cuore. Marx diceva di poter riconoscere la personalità di una persona dal ritmo del suo battito cardiaco. Ad ogni modo, fu lo studio della traumatologia a contribuire al superamento della teoria frenologica. A tal merito, grande contributore fu § George Riddoch che si occupò della traumatologia dei soldati inglesi, i quali riportavano elevati danni nella zona occipitale (la parte posteriore) perché il loro elmetto lasciava quella zona scoperta. Citiamo nuovamente Broca, perché fu lui a scoprire che la parte sinistra del cervello si sviluppa prima. A lui si deve anche l’area di Broca, una zona del cervello che se viene danneggiata può provocare l’afasia di Broca, ovvero l’incapacità di formulare frasi con una struttura grammaticale complessa. Alla scoperta delle attività elettriche del cervello Tra fine ‘700 e inizio ‘800 il cervello comincia ad essere analizzato per la sua capacità di produrre scariche elettriche. Fu § Luigi Galvani a dimostrare come l’elettricità può passare da un metallo ai nervi di un muscolo permettendo di muoverlo. Secondo Galvani, tale elettricità ha origine nel cervello. Inoltre l’attività elettrica da una parte serve ad attivare, dall’altra ad inibire il cervello. A Londra § Giovanni Aldini condusse un esperimento su un condannato a morte nel corso del quale il cuore del cadavere tornò a battere: ciò accadde perché Aldini fu in grado per pochi istanti di ristabilire alcune funzioni fisiologiche del corpo grazie alle scariche elettriche provenienti da una pila. Da sottolineare, però, che lo stato di morte cerebrale rimase inalterato. Questo esperimento dimostrò che l’elettricità ha un ruolo determinante nel funzionamento dei nervi e del corpo umano. Fu grazie agli studi di § Hermann von Helmholtz che si riuscì a dimostrare la funzione elettrica dei nervi. Egli, infatti, riuscì a calcolare il tempo medio che intercorre dallo stimolo all’attivazione dei nervi e alla presa di coscienza dell’attivazione. In seguito anche altri studiosi hanno dimostrato come alla base del controllo cerebrale ci sia una complessa attività elettrica. Nel 1924 fu § Hans Berger a registrare per la prima volta le forma d’onda del segnale elettrico cerebrale servendosi degli elettrodi che erano stati applicati sullo scalpo umano. Questo esperimento gettò le basi per quella che ora è l’elettroencefalografia (EEG), ovvero una delle tecniche più utilizzate per misurare l’attività cerebrale. Il sistema nervoso, il sistema simpatico e parasimpatico e la scoperta dei processi limbici Il sistema nervoso è organizzato in sistema nervoso centrale (SNC), che comprende cervello e midollo spinale, e sistema nervoso periferico (SNP), che comprende nervi cranici e spinali. Il SNP si divide poi in sistema nervoso somatico (SNS), che gestisce le risposte volontarie, e sistema nervoso autonomo (SNA), che gestisce invece le risposte involontarie. A sua volta il SNA si divide in sistema nervoso parasimpatico, che riguarda le funzioni corporee involontarie e stimola il rilassamento e il riposo, e in sistema nervoso simpatico, che al contrario stimola l’eccitazione e l’attività fisica. Vediamo due esempi, il primo riguarda il battito cardiaco. Analizzando il battito cardiaco si comprendere come sistema nervoso parasimpatico e simpatico lavorino insieme. Nel neuromarketing noi analizziamo il battito secondo la banda LF (Low Frequencies) e la banda HF (High Frequencies). La prima è relativa al sistema nervoso simpatico, mentre la seconda si riferisce al sistema nervoso parasimpatico. La somma dei parametri delle due bande ci fornisce il grado complessivo della variabilità della frequenza cardiaca, mentre il rapporto LF/HF misura l’equilibrio dinamico delle due componenti: tale rapporto prende il nome di bilancia simpato-vagale. Vediamo adesso il secondo esempio, che riguarda il sistema oculare. Il sistema simpatico induce a contrarre il muscolo radiale portando ad una dilatazione della pupilla: questo fenomeno prende il nome di midriasi. Il sistema parasimpatico, invece, induce la contrazione dell’iride e questo porta a un restringimento della pupilla: questo fenomeno prende il nome di miosi. Lo scopritore di questi due sistemi (para & simp) pare essere § Francis Anstie, il quale sosteneva che l’anestesia tramite alcol o droghe provoca l’attivazione di alcune facoltà cerebrali, per merito della riduzione di una funzione di inibizione o controllo del cervello stesso. Ricordiamo anche § Jean-Martin Charcot che molto influenzò i futuri studi di Freud, in quanto fu Charcot a scoprire che molte patologie mentali sono legate alla riduzione del controllo cosciente sul cervello. Citiamo nuovamente § Hermann von Helmholtz in quanto egli dimostrò che non tutto ciò che è presente nella realtà viene percepito: il cervello, infatti, seleziona e rappresenta solo alcuni aspetti della percezione. 2.2 – Il cervello Il cervello dell’uomo è composto da 100 MLD di neuroni che rendono possibile l’attività celebrale. Ogni neurone ha da 1000 a 10.000 connessioni con altri neuroni: si parla quindi di circa 100 trilioni di connessioni. Ed è proprio in queste connessioni, che prendono il nome di sinapsi, che avvengono gli scambi di informazione tra neuroni. Nello spazio tra le sinapsi, i neuroni si scambiano impulsi detti spike tramite messaggi chimico-fisici molto rapidi; interagendo fra di loro danno vita a circuiti e connessioni. Noi possiamo distinguere tra: neuroni sensoriali, ovvero quelli attivati da input percepiti dai vari organi di senso; neuroni motori, che vengono stimolati dai muscoli e sono responsabili del movimento corporeo; inter-neuroni, i quali creano una rete neuronale fra le altre due categorie. Infatti è grazie a questa connessione presente tra i neuroni che nasce l’esperienza di coscienza dell’uomo. Dividiamo quindi la struttura cerebrale in 3 aree: 1. il tronco encefalico, responsabile delle funzioni vitali, funge da ponte comunicativo tra il cervello e il corpo tramite il midollo spinale; 2. il cervelletto, coordina i processi motori che caratterizzano il corpo; 3. la corteccia, legata a sensi, emozioni, ricordi e reazioni, è il centro direzionale perché riceve gli stimoli sia interni sia esterni e li traduce in risposte. Il cervello può anche essere diviso in 2 parti uguali, ovvero gli emisferi cerebrali collegati tra loro dal corpo calloso. La parte esterna del cervello, che è la corteccia cerebrale, è ripiegata su se stessa e ha un aspetto rugoso. Importante sottolineare come la posizione della corteccia non è casuale, ma regolare per ogni individuo. Ciascun emisfero cerebrale è suddiviso in 4 lobi, da ciascuno dei quali prende il nome la relativa corteccia: lobo frontale; lobo occipitale; lobo temporale; lobo parietale. Oltre ai 4 lobi, noi distinguiamo nel cervello anche 3 piani ortogonali: - anteriore e posteriore, ovvero davanti e dietro; - dorsale e ventrale, ovvero parte superiore e parte inferiore; - mediale e laterale, ovvero nel mezzo e di lato. Molte strutture del cervello sono presenti in entrambi gli emisferi e si definiscono quindi bilaterali. [Per analizzare il cervello si può fare riferimento anche al modello delle aree di Brodmann, ovvero una suddivisione del cervello in aree numerate proposta da § Korbinian Brodmann.] Ricordiamoci che il cervello è una struttura plastica, dinamica e fortemente interconnessa; inoltre, il cervello è caratterizzato da connessioni, che sono geneticamente determinate o possono essere stimolate dall’esperienza: questo processo è alla base della plasticità cerebrale alla quale abbiamo appena accennato. Il nostro cervello si modifica in continuazione perché tramite l’apprendimento esso è in grado di costruire connessioni che si rafforzano poi con l’esperienza. Vediamo quindi i 4 lobi. 1 – IL LOBO FRONTALE Il lobo frontale è quello più ampio, copre un terzo della superficie del cervello. Questa area è adibita come punto di convergenza di dati relativi a sensazioni, emozioni e pensieri ed è fondamentale per la pianificazione delle decisioni e per il controllo del corpo; è anche connessa con la zona motoria. La parte della corteccia orbito-frontale riguarda l’esperienza edonica e la percezione consapevole del piacere ed è quindi legata alla motivazione all’azione. Questa area ha rilevanza anche per lo studio delle scelte d’acquisto perché ha un ruolo anche nelle relazioni sociali e nell’empatia. 2 – IL LOBO OCCIPITALE Il lobo occipitale è situato nella parte posteriore del cervello ed è relativo alla vista, infatti qui si trova l’area visiva primaria. Questo perché il nervo ottico passa attraverso le zone più profonde del cervello per arrivare lì. Le informazioni vengono quindi ricomposte nella zona visiva primaria e da lì vengono inviate alla corteccia parietale e temporale. Quest’area è relativa anche alla visione in generale, alle stimolazioni ambientali dal basso (quindi bottom-up) e al riconoscimento dei colori, dei contorni e del movimento dello stimolo. 3 – IL LOBO PARIETALE Il lobo parietale è situato sopra la corteccia occipitale e riceve soprattutto informazioni sul movimento e su alcuni sensi. La parte più frontale di quest’area si riferisce alla rappresentazione del nostro corpo: qui sono presenti le principali terminazioni relative alla nostra sensorialità e tale area prende infatti il nome di area somato-sensoriale. Quest’area è coinvolta nella coscienza, nell’autoconsapevolezza e nell’empatia ed è fondamentale studiarla in termini di neuromarketing perché tale area si attiva nel caso dell’attenzione consapevole in relazione alle decisioni di acquisto. La corteccia somato-sensoriale primaria comprende le zone di Brodmann 1, 2 e 3 e contiene anche l’homunculus sensoriale, ovvero una rappresentazione somatotipica del corpo in base alla quale più è grande l’area celebrale, più sarà elevata la sensibilità sensoriale in quell’area. 4 – IL LOBO TEMPORALE Il lobo temporale è di dimensioni ridotte ed è un centro di convergenza di informazioni all’interno del quale le informazioni vengono organizzate. Qui avviene il riconoscimento degli oggetti e dei brand e anche il riconoscimento dei volti. La parte dorsale di quest’area è relativa al sistema uditivo e al linguaggio; ricopre quindi un ruolo rilevante nella comprensione della comunicazione pubblicitaria. Le strutture profonde del cervello Oltre alle aree che abbiamo appena analizzato, c’è anche quella delle strutture profonde situate nella zona centrale del cervello, che ha un ruolo importante relativo alle decisioni. Tra le strutture di quest’area troviamo il diencefalo, la cui porzione più voluminosa prende il nome di talamo. Il talamo ha funzioni di ricezione e ritrasmissione delle informazioni. Un’altra struttura l’ipotalamo, rilevante per la gestione ormonale di molte funzioni vitali. Andiamo a vedere in maniera più approfondita alcune strutture. Il tronco encefalico Il tronco encefalico svolge funzioni come i riflessi e il controllo dei centri che regolano il respiro, la temperatura corporea e la circolazione sanguigna. È rilevante anche per la sopravvivenza, la coscienza e la consapevolezza. Il talamo Il talamo, come detto poco fa, è un gestore delle informazioni e ha un ruolo decisivo nella prima valutazione delle informazioni sensoriali che successivamente vengono smistate in altre parti del cervello. A una parte del talamo è deputata la funzione di attivare emotivamente il soggetto quando si trova di fronte a stimolazioni che hanno una forte connotazione sessuale o di repulsione. Citiamo nuovamente anche l’ipotalamo, che ricopre solo l’1% del volume totale del cervello e che gestisce i riflessi. I gangli della base I gangli della base (anche detti nuclei della base) sono un simpatico gruppetto costituito da: globus pallidus; nucleo caudato; putamen. Nucleo caudato e putamen sono conosciuti assieme con il nome di neostriato. Quest’area è relativa alle attività motorie e alla motivazione. Rilevante nel mondo dei consumi è lo striato, composto da nucleo caudato, putamen e nucleo accumbens: infatti proprio quest’ultimo è legato alla motivazione d’acquisto e alle scelte dei consumatori, perché si attiva assieme all’attivazione di alcune emozioni. L’amigdala L’amigdala ha molta rilevanza nel marketing perché è il centro di integrazione di processi neurologici superiori come le emozioni. Quest’area serve anche per la comparazione degli stimoli ricevuti con le esperienze passate e per l’elaborazione degli stimoli olfattivi; si attiva principalmente con le immagini di volti negativi e infatti gestisce le emozioni, soprattutto quelle negative. L’amigdala funge da portale sensoriale delle emozioni ed è in grado di integrare anche le informazioni sensoriali che giungono in maniera subliminale. Le informazioni che riceve passano attraverso la via più veloce del talamo oppure attraverso la via più lenta della corteccia cerebrale → Le Doux - Il modello delle emozioni -​ dato uno stimolo, gli organi di senso lo comunicano al talamo -​ il talamo manda gli impulsi alla neocoreccia per l’elaborazione cognitiva -​ le informazioni arrivano poi all’amigdala, tramite l’impulso naturale del sistema limbico Le informazioni, però, possono arrivare all’amigdala tramite due percorsi: 1.​ la via bassa = la via diretta dal talamo all'amigdala, dando una valutazione immediata. 2.​ la via alta = la via lunga che passa per la neocorteccia, permettendo di avere una valitazione più nel dettaglio. L’ippocampo e il lobo temporale mediale L’ippocampo è legato alle funzioni mnemoniche come la possibilità di riconoscere i brand, i prodotti o un’esperienza; per questo motivo è molto importante nel marketing. Nella zona del lobo temporale mediale, oltre all’ippocampo troviamo la corteccia paraippocampale, rilevante nei processi di attivazione emozionale, di memorizzazione e di costruzione semantica, e la corteccia entorinale, connessa con l’olfatto e con la memoria. La corteccia cingolata e l’insula Corteccia cingolata e insula si attivano insieme per sentimenti come l’amore materno, la rabbia, la paura, la tristezza, la gioia e il disgusto (praticamente le emozioni di Inside Out). La corteccia cingolata è la parte più vecchia del cervello e svolge un ruolo nei processi decisionali e nella risoluzione dei conflitti di scelta, nella predizione delle azioni e nelle risposte agli stimoli, alla familiarità e all’orientamento; non solo: è relativa anche a decisioni in merito alla socialità e al valore etico e morale delle scelte sociali. Invece le funzioni principali dell’insula sono quelle legate alle emozioni, alla consapevolezza e ai processi decisionali. È importante per il marketing perché, quando viene attivata assieme alla corteccia prefrontale mediale, diventa un ottimo predittore della scelta di acquisto di un prodotto: più è rischiosa la decisione di acquisto, più si attiva l’insula. Quest’area si riferisce anche alla percezione di emozioni positive negli altri ed è quindi un anello di congiunzione tra le informazioni cognitive e quelle emotive. 2.3 – I processi cerebrali della decisione: come comprendere i consumatori e le loro decisioni I processi di rinforzo, ovvero dell’apprendimento con ricompensa, sono il focus della psicologia del comportamento. Sono molte le regioni del cervello che corrispondono alla ricompensa, ma la principale è quella dei gangli della base. Inoltre la connettività tra alcune aree (tra le quali amigdala, ippocampo e talamo) forma una complessa rete neurale che si occupa di gestire alcuni aspetti dell’elaborazione della ricompensa. La ricompensa è molto legata al rilascio di dopamina, la quale dopo il rilascio viene trasmessa alle zone relative all’emozione; per la dopamina si fa riferimento all’area tegmentale. Anche se il comportamento dei consumatori può essere influenzato anche da processi esterni rispetto alla consapevolezza cosciente, possiamo comunque individuare 3 ambiti di consapevolezza: 1. la consapevolezza delle caratteristiche ambientali che innescano il processo automatico; 2. il processo automatico in sé; 3. l’esito del processo. In realtà degli studi hanno confermato che gli individui possono non essere consapevoli di alcuni di questi stadi e di conseguenza l’intero processo diventa inconscio. Nel mondo del marketing è fondamentale riuscire a intercettare questa dimensione inconsapevole. Concludiamo il capitolo anticipando un argomento che verrà approfondito nel capitolo 4, ovvero quello dell’attenzione, dicendo che ci sono 2 tipi di attenzione: top-down, che è guidata dalla nostra coscienza; bottom-up, che è influenzata dall’ambiente. CAPITOLO 5 - EMOZIONI E COMPORTAMENTO DI ACQUISTO Anastasia’s version (adoro queste didascalie) 5.1 – L’età dell’emozione La maggior parte della vita mentale è inconscia e passa al livello di consapevolezza grazie a parole e immagine. Le emozioni sono stati mentali che si producono quando le alterazioni fisiche determinate da uno stimolo arrivano al cervello. Le emozioni, infatti, si riferiscono a un episodio abbastanza breve coordinato dal cervello con alterazioni fisiologiche automatiche e cambiamenti comportamentali che facilitano una risposta verso un evento esterno o interno che ha un certo significato per l’organismo. Le emozioni sono quindi risposte corporee e mentali in relazioni a stimoli rilevanti. Nel campo della comunicazione le emozioni svolgono un ruolo importante, perché la pubblicità parla in prevalenza di linguaggio emotivo; è stato anche dimostrato che le emozioni legate al brand sono in grado di rendere più facile il suo riconoscimento. Nell’ambito delle emozioni vengono riconosciuti 2 meccanismi, uno non cosciente e uno cosciente; in quest’ultimo si manifestano gli effetti di attivazione globale neurale, i quali influenzano altri processi legati al comportamento. Questo dà conferma al fatto che la percezione che diventa cosciente ha maggiori probabilità di trasformarsi in azione rispetto alle informazioni che vengono percepite consapevolmente. 5.2 – Il rapporto tra emozione, valenze simboliche e consumo Il consumo nell’età postmoderna si è arricchito di una valenza simbolica: si parla infatti di sfera culturale perché la scelta di un prodotto o servizio ha acquisito un significato profondo che trascende il valore funzionale del prodotto in sé. In merito alle scelte di un prodotto si parla quindi di comunicazione identitaria, la quale rientra in una riflessione più ampia che pone il mondo dei consumi come un interlocutore dei consumatori per la costruzione identitaria e rende la comunicazione a esso legata carica di valenze emozionali e psicosociali. Di conseguenza possiamo dire che il consumo è passato dall’essere un’azione finalizzata alla soddisfazione dei bisogni all’essere uno strumento utile per comunicare il proprio modo di essere. 5.3 – Che ruolo hanno le emozioni nei comportamenti di acquisto? Per quanto riguarda il rapporto emozioni-consumatore, si è molto parlato della necessità di utilizzare un marketing emozionale, esperienziale o relazionale per riuscire a far vivere al consumatore un’esperienza, coinvolgendolo emotivamente durante l’acquisto o il consumo di un prodotto. Infatti, le informazioni emozionali sono elaborate più velocemente e con più fluidità anche quando l’attenzione è limitata o disturbata. Le emozioni sono anche molto predittive degli atteggiamenti di consumo, perché i prodotti maggiormente venduti sono quelli che provocano le reazioni emotive più forti. Facendo un salto nel passato, ricordiamo che per molti decenni la nostra società è stata condizionata da una profonda fiducia nella razionalità e, soprattutto, nel processo di valutazione decisionale secondo modalità logico-matematiche. Infatti, secondo questa mentalità le emozioni sono elementi disturbanti per il processo decisionale, considerate alla stregua di variabili che intervengono per alterare il processo logico-razionale. § Davidson parla di snobismo corticale per riferirsi al fatto che le funzioni che non avevano origine nelle regioni cerebrali erano considerate funzioni primitive. Come abbiamo appena detto, per decenni le emozioni sono state considerate elementi disturbanti del processo cognitivo, perché appartenevano ad una dimensione “primitiva”. Siccome il pensiero comune riponeva molta fiducia nella razionalità, ne consegue che la comunicazione di marketing di prodotti e servizi si basasse proprio su di essa; gli aspetti più rilevanti erano infatti i costi, la qualità del prodotto e le sue caratteristiche funzionali. Noi abbiamo invece visto che le emozioni sono alla base delle scelte di acquisto. Holbrook e Hirschman parlano infatti di esperienza di consumo riferendosi a quando il consumatore viene considerato in quanto individuo e non esclusivamente come acquirente; in questo caso si pone attenzione sul vissuto soggettivo in relazione ai prodotti. Introduciamo quindi il CEV (Consciousness, Emotion and Value), un approccio di studio dei consumi secondo il quale per definire il processo di consumi serve considerare: a. gli stati mentali ricondotti alla dimensione conscia, subconscia e inconscia; b. il sistema caratterizzato da risposte fisiologiche, componenti cognitive e comportamentali, sentimenti: c. il valore contingente e soggettivo del comportamento. Di conseguenza impariamo che ci sono soprattutto i desideri, i vissuti emozionali e le fantasie alla base del consumo. Riprendiamo quindi il concetto del già citato marketing esperienziale per sottolineare come gli individui consumino per ottenere un’esperienza positiva con il prodotto e come il consumo sia dettato dalla ricerca di emozioni, sensazioni e divertimento. Citiamo anche il modello TEAV (Thought-Emotion-Activity-Value), il quale prende in considerazione la dimensione comportamentale (oltre a quella emozionale), ovvero l’activity, in cui entrano in gioco sia azione (razionalità) sia reazione (emotività). In questo caso i beni sono apprezzati per le esperienze che generano e non solo per la possibilità che offrono di raggiungere altri fini. 5.4 – La definizione di emozione e le principali teorie Andiamo a fare una distinzione tra i termini sentimento, umore, affetto ed emozione. Per definizione, l’atteggiamento è l’insieme di 3 componenti, ovvero la cognizione, l’azione e l’affetto. L’affetto è quindi uno stato sentimentale interiore che non riguarda i pensieri e la valutazione cognitiva, ma si riferisce ad un sentimento interno e all’umore. L’umore è invece uno stato affettivo che generalmente manca di una identificazione e può essere manipolato facilmente tramite stimoli sonori e visivi. La differenza principale tra emozione e umore sta nel fatto che, con gli stimoli pubblicitari, l’umore è manipolabile molto più facilmente. L’emozione è quindi uno stato affettivo più intenso rispetto all’umore e anche meno stabile; incide sul consumatore a 3 livelli: 1. fisiologico, tramite modificazione della respirazione, del battito cardiaco ecc.; 2. comportamentale, tramite modifiche nelle espressioni facciali, nel tono di voce ecc.; 3. psicologico, riferito a ciò che sentiamo personalmente e che modifica il controllo di se stessi. Le emozioni sono reazioni che partono dall’ambiente, hanno durata breve e sono più intense. Infine, il sentimento si riferisce alla capacità di provare sensazioni ed emozioni in maniera consapevole; riguarda la coscienza delle proprie azioni, del proprio essere e dell’altro. I sentimenti sono meno intensi delle emozioni, hanno una durata più lunga e sono consapevoli. Il ruolo della comunicazione pubblicitaria è quindi quello di creare un’emozione alla vista della marca o del prodotto e, con il tempo, promuovere un conseguente coinvolgimento sentimentale. Ci sono diverse teorie in merito alle emozioni, ma noi possiamo individuare due filoni di base: 1. le teorie delle emozioni di base; 2. le teorie della costruzione psicologica. 1. Secondo le teorie delle emozioni di base, esiste un set di emozioni di base biologicamente predefinite (come la paura, la rabbia, la gioia) che sono trasversali alle culture e agli individui e non possono essere destrutturate in elementi più piccoli. In base a queste teorie si ipotizza una netta corrispondenza tra un’area del cervello e una tipologia di emozione. 2. Invece, secondo le teorie della costruzione psicologica, l’emozione nasce sempre dall’attivazione di uno stimolo, ma – a differenze dell’altro filone di pensiero – non viene coinvolta una specifica area per ogni emozione: infatti, le stesse aree possono essere attivate per diverse emozioni. Questo modello si basa sull’idea che le emozioni sono l’esito di un complesso processo di costruzione cognitiva in cui lo scambio tra cervello e corpo è molto più intenso. In questo caso sono individuati 4 step: > lo stimolo determina delle modifiche fisiologiche, somatosensoriali e neurochimiche; > all’attivazione viene attribuito un significato psicologico ed essa viene concettualizzata; > rilevanza ha l’attenzione e l’attrazione dello stimolo; > l’associazione di una spiegazione linguistica al vissuto emozionale con conseguente codifica dell’emozione provata. La presenza di uno stato emotivo si può rappresentare con due assi perpendicolari tra di loro, ovvero valenza e arousal. La valenza procede dallo stato di piacevolezza a quello di non piacevolezza, mentre l’arousal procede dallo stato di calma a quello di attivazione. Questi due elementi sono rilevanti per le analisi di marketing. Le due teorie che abbiamo elencato poco fa (1. e 2.) si somigliano nella prima parte, la quale riguarda l’attivazione del corpo determinata dallo stimolo. Infatti, entrambi i modelli ipotizzano un immediato coinvolgimento del corpo alle stimolazioni con l’attivazione sensoriale, viscerale e neuronale. Su tale attivazione si basa la consapevolezza dell’emozione e della propria identità, perché porta la persona a riflettere su quello che sta succedendo. Nella definizione di Damasio si parla di marcatore somatico, in riferimento ad un forte collegamento tra il ricordo dello stimolo e l’emozione ad esso associata. L’aspetto più rilevante sia per il primo che per il secondo modello è che l’emozione attiva l’attenzione del soggetto verso lo stimolo in maniera sia conscia che inconscia e ne guida i comportamenti. Ora analizziamo altre teorie. La teoria degli effetti periferici di James-Lange § William James ipotizza tale teoria considerando quanto sia difficile immaginare delle emozioni in assenza della loro espressione fisica; quello che ne emerge è che la percezione di eventi esterni è in grado di determinare delle modificazioni corporee periferiche, le quali vengono poi elaborate retroattivamente a livello cognitivo e in seguito etichettate come emozione o sentimento emozionale. Questa è la teoria periferica delle emozioni di James. 1. STIMOLO 2. AROUSAL E 3. INTERPRETAZIONE 4. ESPERIENZA MODIFICHE DELLE MODIFICHE SOGGETTIVA FISIOLOGICHE FISIOLOGICHE DELL’EMOZIONE Secondo James, la relazione stimolo-sentimento emotivo si riassume nei 4 passaggi sopra riportati, ovvero: 1. stimolo; 2. risposta fisiologica; 3. retroazione; 4. sentimento / emozione. James ipotizza quindi che i movimenti espressivi siano provocati direttamente da stimoli esterni e ciò determina una conseguente percezione che sta alla base dell’esperienza soggettiva delle emozioni (es.: se vediamo un orso, abbiamo sudorazione e batticuore e fuggiamo. Quello che avviene dopo è che la percezione di tutti questi cambiamenti fisiologici viene letta come emozione di paura dal processo di elaborazione cognitiva). Il pensiero di James comporta che a ogni emozione deve corrispondere uno specifico correlato corporeo: di conseguenza l’emozione è un’esperienza sensoriale. Nel titoletto, però, è menzionato anche Lange: § Carl Lange, infatti, enfatizza l’idea che i cambiamenti corporei conseguenti alle stimolazioni sono diversi a seconda del tipo di emozione. Di conseguenza si può dire che la teoria degli effetti periferici di James & Lange studia come poter riconoscere a posteriori le emozioni sulla base della diversa modalità di attivazione corporea. La teoria centrale di Cannon e Bard § Walter Cannon pensava che le risposte fisiche che formano la reazione di emergenza fossero mediate dal sistema nervoso simpatico. Se James sosteneva che ad ogni emozione corrisponde una precisa reazione corporea, Cannon ritiene invece che gli stessi cambiamenti corporei si verificano in stati emozionali molto diversi. Cannon quindi critica il pensiero di James, perché essa non avrebbe fondamento se non ci fosse comunicazione tra il sistema viscerale e quello che attribuisce l’etichetta emotiva all’attivazione fisiologica. Egli scopre che le reazioni emotive avvengono anche quando alcuni organi viscerali sono stati chirurgicamente isolati dal sistema nervoso autonomo (lo scopre vivisezionando un cane… o_o); Cannon capisce quindi che si verifica una manifestazione generale del sistema nervoso simpatico per differenti emozioni. Cannon assieme al suo bestie § Philip Bard compie una serie di studi che portano alla messa a punto della teoria centrale delle emozioni, secondo la quale le reazioni fisiologiche e le componenti soggettive dell’emozione sono simultanee. Evidentemente a Cannon piace maltrattare gli animali, perché è lesionando la corteccia cerebrale di un gatto che scopre che la percezione dello stimolo si attiva dal SNA (sistema nervoso autonomo), ma la classificazione e il controllo delle emozioni avviene nella parte del cervello in cui è presente il talamo. Cannon & Bard assieme suggeriscono quindi uno schema dell’emozione in base al quale gli impulsi nervosi che fanno passare le informazioni sensoriali sono trasmessi al talamo, il quale manda impulsi sia verso l’alto sia verso il basso della corteccia. Gli studi dei due amici dimostrano che gli stessi cambiamenti viscerali si verificano in stati emozionali molto diversi e (!!!) anche in stati non emozionali!!! In base a questa loro teoria si può quindi dire che la risposta emotiva è conseguente alla stimolazione dei nuclei dell’ipotalamo. Abbiamo quindi visto quanto Cannon & Bard si siano allontanati rispetto a James & Lange: secondo questi ogni emozione presenta una propria specifica configurazione di risposte fisiologiche, mentre secondo gli altri tutte le emozioni presentano la stessa configurazione di risposte fisiologiche osservate nella reazione di emergenza. Il circuito di Papez Nel 1937 § James Papez scoprì un network di strutture direttamente deputate allo sviluppo delle emozioni che prese il nome di circuito di Papez. La teoria che deriva da questa scoperta spiega l’emozione soggettiva dell’emozione in termini di flusso di informazioni lungo connessioni anatomiche circolari. Papez teorizza che l’ipotalamo è importante per: ricevere direttamente dal talamo i segnali sensoriali che riguardano gli stimoli emotivi; per controllare le reazioni fisiche durante l’emozione; per regolare l’esperienza emotiva. Papez parte dall’idea che i segnali sensoriali trasmessi al cervello si suddividono in flusso dei pensieri e flusso dei sentimenti. Il primo è il canale tramite il quale i segnali sensoriali in entrata sono trasmessi su percorsi che passano per il talamo; nel corso di quel flusso i sentimenti vengono trasformati in pensieri: questo comporta che i due aspetti di esperienza emotiva ed espressione comportamentale risulterebbero legati tra di loro. Papez inoltre elaborò la cosiddetta “teoria a due vie”, la quale prevede: una via corticale, dove è più coinvolta l’area visiva; una via sub-corticale, dove avviene una elaborazione emotiva dell’evento osservato. Il sistema limbico di MacLean § Paul MacLean si occupò di ampliare il circuito di Papez aggiungendo ulteriori strutture e teorizzando che l’esperienza emotiva fosse la risultante dell’interpretazione di sensazioni interne ed esterne. Egli teorizzò anche che il sistema limbico avesse una funzione adattiva poiché ordina il comportamento affettivo dell’animale in certi impulsi elementari. MacLean propone anche un’ipotesi riguardo lo sviluppo cerebrale nel corso dell’evoluzione, la quale prevede le seguenti fasi: 1. lo sviluppo ha inizio con il tronco encefalico, dove si svolgono tutte le funzioni istintive necessarie alla sopravvivenza (ci troviamo nel cervello rettiliano); 2. successivamente compaiono le strutture tipiche dei paleomammiferi, corrispondenti al sistema limbico, zona responsabile dell’elaborazione delle emozioni superiori e delle dinamiche motivazionali (cervello paleomammaliano); 3. infine si arriva allo sviluppo della neocorteccia, l’area più sviluppata del nostro cervello e deputata a funzioni neuronali superiori e complesse (cervello razionale). È proprio la corteccia cerebrale (punto 3) che ci contraddistingue rispetto a tutti gli altri mammiferi. Le teorie cognitiviste e la teoria dell’appraisal Grazie alla teoria di MacLean si giunge alle teorie cognitiviste: infatti, secondo la prospettiva cognitivista, il fattore principale dell’emozione è il modo in cui vengono interpretate e rappresentate le situazioni; non è quindi l’ambiente in sé che influisce sulla produzione delle emozioni, ma il modo in cui viene rappresentato l’ambiente stesso. Ad introdurre invece il concetto di appraisal, ovvero “valutazione”, è § Magda Arnold, la quale teorizza che la valutazione viene compiuta in maniera spontanea come conseguenza alla reazione di uno stimolo, del quale si determinano valenza positiva e negativa e la possibilità di avvicinarsi ad esso. Il ruolo dell’appraisal diventa importante per provocare l’emozione, per valutarla e misurarla. Emozioni diverse possono quindi distinguersi perché suscitano tendenze diverse all’azione, dando luogo a sentimenti diversi. § Cannon individua invece l’arousal simpatico (detto anche autonomo) che prevede un quadro tipico di modificazioni fisiologiche: il pattern di attivazione del sistema nervoso simpatico si manifesta quindi con l’aumento della frequenza cardiaca, dilatazione pupillare e muscolare ecc. Arousal significa quindi “attivazione”. Anche se non si può identificare l’emozione con l’arousal, esso resta una condizione necessaria per l’esperienza emozionale. La teoria più famosa in ambito cognitivista è quella di § Schachter e Singer, detta teoria dell’eccitazione cognitiva. Secondo i due autori, le risposte fisiche all’emozione informano il cervello dell’esistenza di uno stato maggiore di eccitazione, ma non si sa con quale emozione esso coincida. Quindi noi mettiamo l’etichetta di gioia, rabbia ecc. in base alle informazioni sul contesto fisico e sociale: le emozioni nascono quindi dalla spiegazione che ci diamo di certi stati emotivi ambigui. Inoltre, dato che l’esperienza emotiva si verifica quando una persona si trova in uno stato di attivazione, allora la consapevolezza dell’arousal rende emozionale l’esperienza vissuta dal soggetto. Il feedback periferico proveniente dall’organismo rende consapevole il soggetto di uno stato di attivazione (arousal), ma solo la valutazione cognitiva (appraisal) del contesto gli consente di identificare l’emozione specifica e di apporre un'etichetta. Secondo i due autori, quindi, perché si verifichi un’emozione occorrono: l’attivazione fisiologica (arousal), che dà informazioni sull’intensità dello stato emotivo; la cognizione specifica della situazione, che ci permette di etichettare l’attivazione fisiologica. Le emozioni sono di conseguenza il risultato dell’interpretazione cognitiva dell’attivazione. È da menzionare anche l’effetto camaleonte studiato da § Chartrand e Bargh, secondo il quale le persone tendono inconsciamente a imitare il movimento corporeo degli altri e le loro espressioni facciali anche al fine di facilitare la loro connessione emozionale. Questo effetto può essere usato anche per condizionare i comportamenti degli altri. 5.5 – La visione neuroscientifica delle emozioni Studiamo ora § Zajonc, il quale ha introdotto il concetto di affezione inconscia inteso come un’elaborazione emotiva prodotta al di fuori della consapevolezza. Per Zajonc ci possono essere processi emozionali senza che le persone siano consapevoli delle stimolazioni che li hanno creati. Quindi il consumatore, quando sceglie, si serve delle sue emozioni e agisce come un soggetto emozionalmente intelligente. La parte razionale del nostro cervello seleziona le informazioni necessarie per una spiegazione logica delle scelte emotive. L’emozione è anche una forma di elaborazione delle informazioni ed è quindi anche una forma di conoscenza. Per questo processo assume molta importanza l’insula, che si occupa di valutare quanto siano rilevanti gli stimoli e funge anche da centro di coordinamento tra le informazioni sensoriali esterne e i nostri stati emotivi interni. Da sottolineare che se i centri emozionali del nostro cervello vengono danneggiati, noi perdiamo capacità come quelle di ridere e piangere e anche di prendere decisioni. La relazione tra emozione e cognizione e l’interconnessione cerebrale L’insieme delle regioni del cervello che compongono il cervello emotivo sono distinguibili in 2 macro-aree: le regioni emotive centrali, ovvero amigdala, nucleo accumbens, ipotalamo, corteccia orbito-frontale, corteccia cingolata anteriore e corteccia prefrontale ventro-mediale; le regioni estese, che comprendono altre zone sottocorticali e corticali. Più nello specifico, anche la corteccia prefrontale può essere suddivisa in molte regioni, la maggior parte delle quali è coinvolta nell’emozione. Di conseguenza la corteccia prefrontale laterale è la regione del cervello in cui cognizione ed emozioni interagiscono di più; è infatti considerata come area prettamente cognitiva. La teoria di LeDoux e il ruolo dell’amigdala Secondo § Joseph LeDoux, spesso noi agiamo sotto la spinta di processi adattivi di tipo emotivo, senza che ve ne sia piena consapevolezza: le esperienze coscienti rappresentano solo una parte. L’amigdala può infatti attivare il nostro corpo “bypassando” la razionalità e guidando il comportamento dei consumatori. LeDoux sostiene che ci sono 2 vie di azione per il funzionamento del cervello: la via bassa o via talamica, più veloce e immediata, impulsiva e inconscia; la via alta o via corticale, più lenta, faticosa e consapevole. La via bassa si attiva immediatamente e le informazioni vengono processate subito: successivamente l’informazione passa per la via alta (quella corticale), per permetterci di capire che cosa è accaduto. È quindi possibile che il cervello sappia se uno stimolo è buono o cattivo prima ancora di sapere di che cosa si tratta. Se lo stimolo decodificato dagli organi di senso ha una netta connotazione emotiva, il talamo invierà informazioni (ovvero impulsi elettrici) alle altre aree corticali tra cui l’amigdala, la quale invierà a sua volta informazioni ai nuclei cerebrali per una pronta reazione. Si parla quindi di sensory thalamus in riferimento alla via bassa perché esso è un nucleo che riceve informazioni da tutti gli organi di senso. In riferimento alla via alta si parla invece di sensory cortex, ovvero la zona del cervello deputata alla valutazione consapevole e cognitiva delle stimolazioni. In questo caso, l’informazione viene processata meno rapidamente, ma in maniera più precisa e approfondita. La compresenza delle due vite dimostra quindi la stretta connessione tra emozione e ragione. È da sottolineare inoltre che nell’uomo la principale conseguenza dei danni all’amigdala è una risposta inappropriata ai segnali sociali ambigui e l’incapacità di rispondere a qualsiasi minaccia: l’amigdala rende quindi possibile l’interazione sociale. Via alta e via bassa hanno un riscontro anche nel marketing: analizziamo infatti le 7 metriche primarie dell’indice NEF (Neuro-Engagement Factor), il quale descrive l’attivazione corticale totale del soggetto esposto a uno stimolo: 1. Emotional Valence Score, identifica la risposta del giro frontale superiore, esplicita la natura positiva o negativa delle emozioni; 2. Higher Cognition Score, quantifica l’entità dell’attivazione del lobo frontale; 3. Sustained Attention Score, quantifica l’entità dell’attivazione della corteccia parietale, relativa al processo di concentrazione selettiva su uno stimolo specifico; 4. Visual Activation Score, quantifica il lobo occipitale e quindi la capacità di vedere e interpretare la vista; 5. Motor Activation Score, quantifica la corteccia motoria primaria e quindi l’attività legata alla pianificazione e al movimento del nostro corpo; 6. Correlation Memory Score, quantifica l’attivazione relativa alla memoria; 7. Stimulous Recognition Score, misura il lobo parietale anteriore e quindi la percezione e il riconoscimento degli oggetti nell’ambiente. 5.6 – Il contributo di Damasio e il modello Feel-Act-Think Abbiamo già detto prima che § Damasio parla di marcatori somatici, ovvero di cambiamenti fisiologici in grado di connettere l’emozione provata con l’esperienza o lo stimolo che l’ha provocata. I marcatori somatici sono i meccanismi fisiologici scatenati da un’emozione grazie all’attivazione del sistema nervoso autonomo che “illuminano” le nostre decisioni “razionali”. Il marcatore somatico rappresenta quindi un’emozione connessa a esiti futuri previsti di determinati scenari e può focalizzare l’attenzione sull’esito negativo al quale può condurre una data azione. La parte coinvolta nello sviluppo dei marcatori somatici è la corteccia orbito-frontale. Nell’ambito dei consumi, il marcatore può essere usato per creare un nesso positivo tra un’esperienza di consumo e il suo ricordo. Damasio è il primo a teorizzare il modello Feel-Act-Think per spiegare la reazione degli individui agli stimoli esterni: il cervello reagisce innescando una risposta corporea alla sensazione suscitata dall’emozione provata dal soggetto e solo dopo arriva la cognizione cosciente dell’emozione. Il modello neurofisiologico di emotional processing e il subconscio Secondo il modello di emotional processing di Damasio, l’emozione si può considerare una reazione neurobiologica. Più nello specifico, ci sono 3 fasi: 1. evaluation e appraisal, dove gli stimoli vengono confrontati con le reazioni e immagazzinati; 2. triggering, la fase di attivazione in cui le parti del cervello rispondono per creare un’emozione; 3. execution, fase in cui l’emozione è stata “eseguita” e procede verso le altre aree del cervello. Secondo Damasio è in quest’ultima fase che si cominciano a provare i sentimenti. Damasio inoltre pone l’esistenza nel nostro cervello del Proto-Self, ovvero una rappresentazione non pienamente consapevole del sé all’interno della quale si formano emozioni e sentimenti. Il Proto-Self è in opposizione al Core Consciousness, il luogo dove invece si formano i pensieri. Le emozioni e i sentimenti sono quindi sempre formati in modo pre-cognitivo e inconscio, ovvero sono subconsciamente attivati. Interviene anche § Daniel Dennet, il quale formula la teoria del multiple draft, secondo la quale tutte le attività mentali avvengono in modo subconscio all’interno della mente dell’individuo che, successivamente, restituisce alla coscienza solo una parte di ciò che è stato elaborato. Questa teoria spiega come in pubblicità elementi percepiti inconsciamente all’interno di uno spot possono essere collegati consapevolmente a un brand. 5.7 – Emozioni, morale e processi cerebrali Ricordiamo il caso di Phineas Gage, il quale subì un incidente sul lavoro nel 1848 e un ferro gli attraversò la parte anteriore del cranio, distruggendo la corteccia prefrontale sinistra. Il suo medico rimase stupito perché poco dopo Gage era di nuovo cosciente e in grado di parlare. Tuttavia, ciò che fu rilevate fu il fatto che la sua personalità subì radicali trasformazioni e la sua abilità di decidere in condizioni socialmente emozionali fu persa definitivamente. Un secolo più tardi, Damasio scoprì studiando il cranio di Gage che l’asta di ferro aveva distrutto due aree cerebrali della corteccia prefrontale che sono cruciali per l’inibizione dell’amigdala e per l’integrazione emotiva, cognitiva e dell’informazione sociale. Questo caso dimostra quindi che le alterazioni delle aree cerebrali legate alla dimensione emozionale non solo inibiscono la possibilità di decidere in maniera “emotivamente intelligente”, ma sono anche rilevanti nell’ambito dei comportamenti sociali. § Joshua Green propone il dilemma del carrello ferroviario che abbiamo visto in classe: il problema del carrello ferroviario pone i soggetti sottoposti all’esperimento in una condizione paradossale, ovvero quella di valutare che cosa farebbe una persona se un carrello ferroviario fuori controllo che procede ad alta velocità stesse per investire 5 persone, legate e senza possibilità di muoversi. Accanto c’è un binario parallelo, sul quale è presente una persona anch’essa legata e impossibilitata a muoversi. Le opzioni sono quindi due: lasciare che il veicolo prosegua dritto e uccida le cinque persone, oppure azionare il deviatoio e ucciderne una sola. Entrambi gli scenari sono caratterizzati dallo stesso valore atteso: il decisore deve decidere se compiere un’azione che provocherebbe in modo diretto la morte di un uomo al fine di salvare cinque vite. In questo caso, il 79% delle persone afferma che avrebbe deviato il carrello azionando lo scambio ferroviario, sacrificando quindi una persona per salvarne 5. Esiste anche un secondo dilemma: in questa versione il carrello procede fuori controllo, ma l’unico modo per salvare le 5 persone è scaraventare un’altra persona verso il carrello, causandone la fermata. Vediamo quindi che in entrambe le versioni muore sempre una sola persona: quello che cambia è però il tipo di azione e l’emozione provata. Infatti in questo caso l’81% delle persone si rifiuta di sacrificare l’altra persona per salvarne 5. Questi due dilemmi ci testimoniano come le persone non ragionino in termini “economici”, ma di come siano invece guidate dalle emozioni nel prendere le decisioni. Tuttavia, se

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