Storia Del Cinema PDF - Nascita Dell'Industria Cinematografica Americana

Summary

Il documento tratta la storia dell'industria cinematografica americana, iniziando con la American Mutoscope & Biograph Company e l'era di Edison. Esamina le prime proiezioni pubbliche, la competizione per i brevetti e lo sviluppo delle tecnologie cinematografiche. Il documento evidenzia anche l'ascesa del cinema in America e i vari sviluppi dell'industria cinematografica.

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STORIA DEL CINEMA 29 10 2024 LA NASCITA DELL’INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA AMERICANA 1. L’AMERICAN MUTOSCOPE & BIOGRAPH COMPANY DI DICKSON In Francia, la cinematografia si sviluppò fin dall’inizio come una vera e propri...

STORIA DEL CINEMA 29 10 2024 LA NASCITA DELL’INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA AMERICANA 1. L’AMERICAN MUTOSCOPE & BIOGRAPH COMPANY DI DICKSON In Francia, la cinematografia si sviluppò fin dall’inizio come una vera e propria industria, mentre negli Stati Uniti questo processo fu rallentato dalla cosiddetta «guerra dei brevetti»: questo scontro fu innescato da Thomas Edison, figura già nota per il suo contributo tecnologico. Ricordiamo che nel 1891 Edison e il suo collaboratore William Dickson inventarono il kinetoscopio, dispositivo che però offriva una visione individuale (caratteristica che gli storici del cinema hanno ricollegato, in modo parallelo, alla fruizione odierna dei contenuti tramite smartphone). In questi anni, la competizione ruotava attorno alla corsa per ottenere la prima proiezione pubblica: tra il 1894 e il 1895, Dickson si separò da Edison e fondò la sua casa di produzione. Insieme a inventori come Herman Casler, Harry Marvin e Elias Koopman, crearono la società American Mutoscope and Biograph Company, che subito entrò in competizione con Edison. Anche loro brevettarono un sistema di visione individuale (il mutoscopio) che funzionava grazie a fotografie rotanti: inserendo una moneta e ruotando una manovella, lo spettatore poteva regolare la velocità delle immagini in successione e scegliere a quale soffermarsi. Parallelamente, altri inventori come Thomas Armat e Charles Francis Jenkins lavoravano per realizzare un proiettore, il fantascopio, e riuscirono nel loro intento pochi mesi dopo i fratelli Lumière (nell’agosto 1895): allora, si rivolsero quindi alla società Raff & Gammon (la principale casa di distribuzione dei kinetoscopi e dei film di Edison) per ottenere sostegno economico e commerciale. Ruff e Gammon, dirigenti della società, intuirono che il futuro del cinema risiedeva nella proiezione pubblica, e decisero di coin volgere Edison, eliminando i nomi di Armat e Jenkins e rinominando il dispositivo in Vitascope, promuovendolo come un’invenzione di Edison. Così, anche Edison riuscì finalmente a entrare nel mercato delle proiezioni pubbliche. Edison è molto avvantaggiato dalla sua grande popolarità e dal prestigio acquisito con invenzioni decisive: in questo modo, gli Stati Uniti cominciarono a colmare il divario con il contesto europeo, gettando le basi per il futuro predominio della propria industria cinematografica. La prima proiezione pubblica del Vitascope avvenne a New York il 23 aprile 1896. Tuttavia, nella rivalità che si instaurò per alcuni anni tra Edison e i fratelli Lumière, gli apparecchi di Edison si dimostrarono tecnologicamente inferiori rispetto a quelli francesi (spesso caratterizzate da problemi tecnici, con immagini poco nitide e frequenti interruzioni dovute a guasti o rotture). Nonostante questi limiti, Edison riuscì comunque a superare Dickson. Dickson, intanto, con il supporto di Cutler, abbandonò il mutoscopio (che ebbe comunque un notevole successo nelle fiere, superando il kinetoscopio in qualità) e sviluppò il Biograph, un sistema di proiezione con pellicole da 68 mm (molto più ampie rispetto ai 35 mm del dispositivo di Edison) permettendo immagini più definite. Il Biograph venne proiettato per la prima volta a Pittsburgh il 14 settembre 1896, pochi mesi dopo il Vitascope di Edison. Grazie alla superiore qualità delle immagini e alla maggiore affidabilità, il Biograph divenne presto più popolare del Vitascope, sia negli Stati Uniti che in Europa. L’American Mutoscope & Biograph Company, fondata da Dickson, divenne così una delle prime grandi case cinematografiche della storia. Negli Stati Uniti, all’epoca, il mercato del cinema era enorme: il paese aveva il maggior numero di sale procapite, i film non erano soggetti a copyright, e le copie erano ancora vendute anziché noleggiate. Edison ne approfitta e s’arricchisce anche contraffacendo film importati dalla Francia e dal Regno Unito (come il caso del «Viaggio nella Luna» di Méliès) e intenta cause contro la maggior parte dei cineasti e produttori. Tra il 1895 e il 1897 il cinema rappresenta una grande novità che però inizia ad essere ridimensionata già nel 1898 (come era anche successo nel contesto italiano). In questo contesto, i generi che aiutarono a rilanciare il cinema americano furono i film patriottici (guerra ispano-americana) e le passioni (rappresentazioni della vita di Cristo). Per affrontare la concorrenza di Dickson, Edison collaborò con una figura di rilievo del tempo, il regista Edwin Stanton Porter, che giocò un ruolo cruciale nello sviluppo del linguaggio cinematografico delle origini. Assunto da Edison nel 1896, Porter (che aveva iniziato come proiezionista) perfezionò le tecniche di montaggio, esplorando effetti speciali e movimenti di macchina che richiedevano agli spettatori un maggiore impegno narrativo. Con i suoi film, il cinema di finzione diventa il perno attorno a cui inizia a svilupparsi l’industria cinematografica americana perché, differenza delle vedute di attualità (la cui produzione dipendeva da eventi storici o fatti imprevedibili), i film di finzione potevano essere pianificati in anticipo. Inoltre, mentre per girare le vedute gli operatori spesso si spostavano e viaggiavano, i film di finzione permettevano di rimanere in un luogo fisso (come uno studio o un teatro di posa, o comunque nelle vicinanze). Porter ebbe anche l’opportunità di vedere molti film prodotti in Europa, distribuiti negli Stati Uniti dalla società di Edison: era un grande ammiratore di Méliès e studiava attentamente i lavori dei primi registi della scuola di Brighton. Ad esempio, «Life of an American Fireman» (1903) riprende chiaramente «Fire!» di James Williamson: qui la sovrimpressione potrebbe rappresentare un’azione parallela o forse un sogno. Una tecnica simile era già stata utilizzata in «Santa Claus» e anche in «Storia di un crimine» di Ferdinand Zecca. La scena del salvataggio viene ripetuta due volte, una dall’interno dell’edificio in fiamme e una dall’esterno: anche qui, riprende «Viaggio sulla Luna» di Méliès, dove l’allunaggio viene mostrato due volte (una dall’esterno e una dal suolo lunare). «THE GREAT TRAIN ROBBERY» Nel 1903, lo stesso anno di «Life of an American Fireman», Porter realizza una serie di film, tra cui spicca «The Great Train Robbery» (noto in italiano come «Assalto al Treno» o «La Grande Rapina al Treno»): questo film è uno degli esempi più significativi dell’epoca perché segna il passaggio dal “modo di rappresentazione primitivo” a quello “istituzionale”. Gli storici del cinema considerano «The Great Train Robbery» un esempio rappresentativo del periodo di transizione dal cinema primitivo al cinema delle “cinema delle attrazioni mostrative” al “cinema dell’integrazione narrativa”. Il film dura circa 13 minuti: esso narra di un gruppo di banditi che decide di assaltare un treno, come suggerisce il titolo. Per farlo, coinvolgono un telegrafista che chiede al capotreno di fermare il treno per fare un rifornimento d’acqua; quindi lo legano, e insieme ai complici (che stavano aspettando l’arrivo del treno) derubano i passeggeri, per poi darsi alla fuga. Il telegrafista, grazie all’aiuto di sua figlia figlia, riesce a liberarsi e dare l’allarme, permettendo allo sceriffo e ai suoi uomini di mettersi sulle tracce dei banditi e catturarli. Analizzando il film, vediamo alcune caratteristiche chiave: sul piano della narrazione e dell’ambientazione, «The Great Train Robbery» collega l’immaginario del western e quello iconografico delle ferrovie, un tema di grande fascino all’epoca. Al momento della sua uscita, fu pubblicizzato come una fedele ricostruzione delle autentiche rapine effettuate dai fuorilegge del West.  DIDASCALIE Nel film non compaiono didascalie: questo significava che in sala era necessaria la presenza di un imbonitore (però, anche con l’introduzione delle didascalie, la figura dell’imbonitore rimase inizialmente essenziale, poiché buona parte del pubblico dell’epoca era analfabeta).  SCENE Le scene interne sono tutte ricostruite in studio, mentre le riprese esterne del treno sono reali; tuttavia, ci sono dei dettagli interessanti: ad esempio, nell’inquadratura interna del vagone, vediamo una finestra da cui sembra scorrere il paesaggio. Ma questa non è una ripresa reale, è ottenuto con la tecnica della doppia esposizione, che simula il movimento del paesaggio sullo sfondo.  MOVIMENTI DI MACCHINA Non ci sono movimenti di carrello, dato che non era ancora in uso in quel periodo. Abbiamo solo due movimenti di macchina (una segue i personaggi che si muovono a cavallo, l’altra i personaggi che scappano), che sono più panoramiche brevi e fisse piuttosto che movimenti fluidi: la funzione di questi movimenti è seguire il movimento dei personaggi.  PIANI: L’EMBLEMATIC SHOT Non ci sono primi piani; il pubblico non si identifica con i personaggi, e non riesce a distinguere nemmeno i singoli banditi (alcuni sono interpretati dagli stessi attori). Il finale del film è quello più particolare: il film è composto da 13 scene principali più una quattordicesima (il finale), che poteva essere mostrata sia all’inizio sia alla fine, a discrezione del proiezionista. Nel catalogo di distribuzione dell’epoca, questa inquadratura è definita «Emblematic Shot» e mostra il capo dei banditi che punta e spara verso il pubblico. Questa scelta stilistica anticipa il cinema americano, dove spesso i personaggi cattivi sono privilegiati e vengono rappresentati in modo accattivante, anche più interessante dei personaggi positivi: ad esempio, «Quei bravi ragazzi» di Martin Scorsese, dove appare una scena molto simile a quella di Porter. Nel caso di Porter, l’«Emblematic Shot» non ha una funzione narrativa e non mira a evocare emozioni specifiche, e per questo motivo poteva essere collocata sia all’inizio sia alla fine del film senza particolari problemi. Con questo sguardo diretto verso il pubblico, in effetti, si rompe quella che si chiama «quarta parete», una barriera immaginaria tra il pubblico e l’azione, una sorta di invisibile schermo tra spettatore e attori. Nel cinema delle origini, ad esempio nei filmati dei Fratelli Lumière, i passanti spesso guardavano in camera, rompendo questa barriera; invece, uno dei presupposti su cui si regge il modo di rappresentazione istituzionale (il cinema classico hollywoodiano) è un’architettura di sguardi e punti di vista che mette lo spettatore nei panni di un “testimone invisibile”, stabilendo un «patto di sospensione dell’incredulità». Questo patto implica che lo spettatore, consapevole di trovarsi di fronte a una finzione, accetti di credere a ciò che vede (pur sapendo che si tratta di un’azione ricostruita) a patto che la storia sia raccontata attraverso regole interne di verosimiglianza: nel musical, ad esempio, è plausibile che i personaggi cantino e ballino spontaneamente, perché la sospensione dell’incredulità permette allo spettatore di accettare le convenzioni di quel mondo. Lo stesso vale per il fantasy, la commedia e altri generi. Quando un personaggio si rivolge direttamente al pubblico, si crea un «camera-look» (lo sguardo in macchina) e la quarta parete viene infranta, perché il personaggio dichiara in qualche modo di essere consapevole della propria finzione, mettendo in crisi la sospensione dell’incredulità dello spettatore. Alcuni generi e stili, come la commedia slapstick, continuano a usare questo espediente per creare un rapporto diretto tra attore e pubblico (es. Stanlio e Ollio, dove dopo uno scherzo come una torta in faccia, il personaggio spesso si ferma e guarda in camera prima di reagire, creando una sorta di complicità tra l’attore e gli spettatori). Gli sguardi in macchina sono spesso associati a personaggi “criminali” o sovversivi: ad esempio, l’incipit di «Arancia Meccanica» di Stanley Kubrick (1972), dove il protagonista Alex DeLarge guarda dritto in camera mentre la macchina da presa si allontana lentamente, accompagnato dalla sua voce narrante. In questo caso, Alex si rivolge direttamente a noi, il pubblico, instaurando un dialogo perturbante che ci proietta immediatamente in un contesto che mette in discussione il tradizionale sistema di rappresentazione. Un altro esempio è la scena finale di «Psycho» di Alfred Hitchcock (1960): il protagonista, con un monologo interiore in cui la voce della madre emerge nella sua mente, rivolge un sguardo in macchina quasi ipnotico e inquietante. Questo espediente diventa una costante nel cinema moderno e d’autore: ad esempio, al finale de «I 400 colpi» di François Truffaut (1959), con lo sguardo fisso in macchina del giovane Antoine Doinel. A differenza degli esempi precedenti, in «I 400 colpi» esso esprime una profonda empatia, stabilendo un legame emozionale tra lo spettatore e il protagonista, trasmettendo tutto il suo stato d’animo attraverso un fermoimmagine. È questo il potere del «camera-look»: sospende l’incredulità e ci permette di partecipare in modo distaccato o coinvolto, a seconda delle intenzioni narrative. «Arancia Meccanica» «Psycho» «I 400 colpi» Stanley Kubrick, 1972 Alfred Hitchcock, 1960 François Truffaut, 1959 Lo sguardo in macchina è sempre più frequente anche nelle serie TV, dove viene spesso usato come elemento stilistico e non più come un’anomalia o un caso eccezionale. In serie come «Fleabag» o «House of Cards», diventa un espediente narrativo che stabilisce un’intima connessione tra il personaggio e lo spettatore, che fin dall’inizio sa di trovarsi in un mondo narrato attraverso questa convenzione, senza sorprese.  IL TEMPO Una delle anomalie di «The Great Train Robbery» è il trattamento del tempo narrativo: il film sembra quasi anticipare il modo di rappresentazione istituzionale, poiché utilizza una struttura narrativa che simula una storia fittizia, una fiction (un evento simulato) composta da un sistema pluripuntuale (13 inquadrature più 1). Tuttavia, dal punto di vista della concatenazione temporale, ci sono delle ambiguità, specialmente nel rappresentare eventi simultanei. Teoricamente, le azioni dei banditi che portano a termine il loro piano e dello sceriffo che li insegue si svolgono in teoria contemporaneamente; ma se osserviamo bene, la sequenza dei banditi è notevolmente più lunga (nove inquadrature) rispetto a quella dello sceriffo (solo tre). Nonostante questo sbilanciamento temporale, lo sceriffo riesce comunque a catturare i banditi: non esisteva ancora la tecnica del «montaggio alternato» (che permette di suggerire contemporaneità mostrando azioni parallele). Porter è ricordato soprattutto per «The Great Train Robbery», ma si ispira anche ad altre esperienze cinematografiche europee, come i film a trucchi di Méliès e Segundo de Chomón: ad esempio, nel cortometraggio «Dream of a Rarebit Fiend» («Il sogno del demone dei rarebit», il rarebit è un tipico piatto gallese di pane tostato e formaggio) del 1906. Narra di un uomo, dopo un’indigestione di questo cibo, cade in un sonno agitato e viene tormentato da incubi vividi e inquietanti. Questo film, tratto da un fumetto a strisce realizzata da Winsor McCay, offre un esempio interessante di dialogo tra narrazione e dimensione favolistica. Da un lato, racconta una storia in cui l’uomo, colto dal sonno, è visitato dal “demone del rarebit” che scatena una serie di incubi; dall’altro, attinge a piene mani ai film a trucchi, utilizzando effetti speciali per rappresentare visioni angoscianti e surreali. È un’opera simile a «The Great Train Robbery», poiché riesce a combinare una trama narrativa con una componente spettacolare, con una forte impronta visiva che rimanda ai film di attrazione di inizio secolo. 2. L’ EDISON MOTION PICTURE STUDIO DI EDISON Dopo aver lavorato su questi progetti, Porter si dedicò principalmente all’organizzazione del lavoro cinematografico: prima verrà messo a capo del reparto produttivo della compagnia di Edison, e nel 1907 fu messo a capo del nuovo Edison Motion Picture Studio nel Bronx, New York (il nuovo Black Maria). Quest’ultimo era organizzato in set paralleli all’interno degli studios: ogni “cubicolo” rappresentava un set diverso, ottimizzando gli spazi e permettendo di girare più produzioni contemporaneamente. Questo sistema organizzativo anticipava le strutture produttive che avrebbero poi caratterizzato l’industria cinematografica americana. L’Edison Motion Picture Studio divenne un importante centro di produzione dove Porter supervisionò il lavoro di un ampio gruppo di registi, molti dei quali formati direttamente da lui: tra questi c’era James Searle Dawley, con cui Porter realizzò diversi film per la Edison. Dawley è noto soprattutto per aver diretto il primo adattamento cinematografico di «Frankenstein» di Mary Shelley nel 1910. «Rescue from the Eagle’s Nest», un film del 1908 di James Searle Dawley e Edwin S. Porter, è una delle numerose opere che i due hanno realizzato insieme ed è interessante per vari aspetti, non ultimo il debutto di D.W. Griffith come attore. All’epoca del suo debutto, Griffith aspirava già a diventare regista e propose a Porter un adattamento della «Tosca». In risposta, Porter gli offrì un ruolo in questo film. Nella storia, una bambina viene rapita da un’aquila e portata nel suo nido, dando così il via a un’avventura che culmina con il salvataggio da parte del padre. Osservando la scena del rapimento, possiamo notare molti elementi in comune con «The Great Train Robbery»: fondali dipinti alternati a location reali e una narrazione semplice e lineare, con personaggi ripresi a figura intera che si muovono parallelamente rispetto alla cinepresa. 3. IL CINEMA AMERICANO COME INDUSTRIA Nel giugno del 1905, a Pittsburgh (Pennsylvania), John P. Harris, un noto impresario di vaudeville (un genere teatrale brillante e di intrattenimento vario), aprì una sala dedicata esclusivamente alla proiezione di brevi film, facendo pagare un ingresso di cinque centesimi, un “nickel”. La sala fu chiamata «Nickelodeon» e da quel momento in poi sale simili si diffusero in tutto il paese. Dal 1905 al 1907, negli Stati Uniti si registra un netto aumento di sale cinematografiche, spesso allestite in locali ricavati da negozi, ristoranti o sale da ballo, con circa 200 posti a sedere su panche o sedie di legno. L’ingresso a un «Nickelodeon» costava appunto un nickel e il programma durava tra i 15 e i 60 minuti, eliminando ogni attività estranea al cinema (come spettacoli dal vivo o lanterne magiche). Molti futuri magnati dello studio system, tra cui i fratelli Warner, Carl Laemmle e Louis B. Mayer, iniziarono la propria carriera gestendo queste sale, poiché estire un «Nickelodeon» era una via d’accesso privilegiata per entrare nell’industria cinematografica. Queste sale avevano un costo d’ingresso accessibile, il che le rendeva popolari tra un pubblico eterogeneo per età, estrazione sociale e background culturale, con un’ampia affluenza di immigrati e lavoratori urbani. Nei primi anni del Novecento, infatti, si assisteva a grandi fenomeni di immigrazione e urbanizzazione: milioni di persone si trasferivano dalle campagne alle città, con una forte componente di immigrati dall’Europa, e l’America si riempie di ex-contadini analfabeti. Il cinema offriva quindi un’occasione di incontro e socialità per queste comunità, rappresentando per molti un primo contatto con la cultura americana; anche chi aveva pochi mezzi poteva permettersi un momento di svago e accesso alla vita culturale urbana. La borghesia disdegnava i «Nickelodeon», considerandoli luoghi poco adatti alla propria classe sociale, associandoli a un ambiente pericoloso e poco civilizzato; preferivano ancora i vaudeville e il teatro, ritenuti più in linea con il loro status. Proprio per attrarre la classe media, nel 1908 fu introdotta a New York una norma che imponeva un’illuminazione sufficiente nei «Nickelodeon», tale da permettere di leggere il giornale durante gli spettacoli, segno che questi spazi dovevano essere adatti anche agli svaghi del pubblico borghese. L’affinità tra il cinema e le classi popolari era comunque evidente e influì sulle tematiche dei film. Con un pubblico prevalentemente poco sofisticato, molte pellicole assunsero una funzione educativa, tentando al contempo di rivolgersi anche agli spettatori abituati al vaudeville. Questo periodo vide la rappresentazione di immigrati attraverso stereotipi, come in «The Heathen Chinese and the Sunday School Teachers» del 1904, prodotto dalla Biograph. Il film mostra tre donne bianche che invitano lavoratori cinesi a partecipare alla scuola domenicale, pratica diffusa per insegnare inglese e introdurre il cristianesimo agli immigrati. Tuttavia, nella storia le donne vengono corrotte dagli uomini cinesi e condotte in una fumeria d’oppio, fino all’intervento della polizia. Questo tipo di rappresentazione trasmetteva l’idea di un’immoralità intrinseca nei cinesi, rappresentati come una minaccia per le donne “rispettabili”, mentre al contempo ridicolizzava il tentativo educativo della borghesia americana, suggerendo implicitamente che l’assimilazione degli immigrati fosse impossibile. Per attrarre un pubblico più ampio e borghese, molti gestori intervennero sugli ambienti, migliorando l’esperienza nelle sale. Vennero costruiti cinema più confortevoli e lussuosi, ispirati ai country club borghesi, posizionati accanto a grandi magazzini o scuole, così da diventare una meta adatta anche alle famiglie. In molte sale il prezzo del biglietto salì da 5 centesimi a 10 o persino 20, rendendo il cinema accessibile a una clientela borghese. Parallelamente, i contenuti dei film vennero adattati per un pubblico di professionisti e persone istruite, iniziando anche a importare film storici o religiosi dall’Europa, considerati di qualità superiore rispetto alle produzioni americane. Questa conquista di una base di spettatori più vasta fu fondamentale per il cinema, che iniziò a costruire un vero e proprio pubblico di massa, permettendo al cinema di trasformarsi in un’industria fiorente e di successo. 4. LA «GUERRA DEI BREVETTI» Le due principali società di produzione dell’epoca sono la Edison Manufacturing Company di Thomas Edison e la American Mutoscope and Biograph Company di Dickson; tuttavia, la situazione non si limita a queste due aziende. Per mantenere il controllo sul mercato, Edison inizia a scatenare una serie di cause legali contro cineasti e produttori indipendenti, avviando una vera e propria «guerra dei brevetti». L’ American Mutoscope and Biograph Company è l’unica società in grado di opporsi efficacemente a Edison: un elemento cruciale per il suo successo è il possesso del brevetto del dispositivo «Latham Loop» («Ricciolo di Latham»), che allentava la pressione sulla pellicola all’interno dei proiettori. Questo era fondamentale per garantire la qualità delle proiezioni e consentiva di girare lungometraggi, poiché l’eccessiva pressione poteva danneggiare la pellicola. Senza questo dispositivo, nessun gestore di sale cinematografiche poteva proiettare film in modo efficace; non potendo acquisire anche questo brevetto, Edison decide di unire le forze con la società del suo ex assistente, dando vita nel 1908 alla Motion Picture Patents Company (MPPC), un oligopolio (noto anche come Edison Trust o The Trust) che comprendeva la Edison Manufacturing Company, la American Mutoscope and Biograph Company e altri produttori americani (la Vitagraph di James Stuart Blackton) e non solo (la Star Film di Méliès e la Pathé di Charles Pathé), e distributori di pellicola come Geogle Cline, e produttori di proiettori come Eastman Kodak Company. Le caratteristiche di questo Trust evidenziano la sua natura oligopolistica: 1. solo le società della MPPC possono produrre e distribuire film sul mercato americano; 2. produttori ed esercenti devono pagare una tassa alla MPPC (per l'uso delle macchina da presa e dei proiettori, così che i produttori e gli esercenti perdessero la loro autonomia e pagassero i diritti); 3. la Eastman Kodak si impegna a vendere materiale fotografico solo ai membri della MPPC (che a loro volta si impegnano a non comprare nessun’altra pellicola); 4. standardizzazione del settore cinematografico (tutti i film vengono venduti “a rullo” allo stesso prezzo, talvolta senza che gli esercenti possano visionarli preventivamente). Nonostante esistano già film a più rulli, il sistema del Trust di Edison consente di distribuire un solo rullo a settimana (un film lungo doveva essere proiettato a più puntate, agevolando i cortometraggi); 5. nel 1909 viene istituito a New York il National Board of Censorship (dal 1915 National Board of Review), un comitato creato in risposta a una protesta contro il sindaco di New York, che, alla vigilia di Natale del 1908, aveva revocato le licenze per la proiezione di film, convinto che il cinema degradasse i costumi della comunità. Per affermare il diritto alla libertà di espressione, i proprietari delle sale cinematografiche e gli esercenti decidono di unire le forze e fondano il National Board of Censorship, con l’obiettivo di sostenere i film di valore e promuovere questa nuova forma d’arte. In sostanza, si tratta di un tentativo di evitare la censura governativa e di stabilire delle linee guida per i film, in modo da non subire restrizioni da parte delle autorità. In questo modo, il National Board of Censorship diventa un passaggio obbligato per l’approvazione dei nuovi film. Inizialmente, il Board si occupa solo dei film in uscita a New York, ma, a seguito delle richieste dell’industria, il suo controllo viene esteso a livello nazionale: molti film iniziano a riportare nei titoli di testa la scritta «Classified/Passed by the National Board of Review» che fungeva da marchio di qualità, offrendo al pubblico una garanzia di affidabilità. Se un film era approvato dal Board, era considerato di un certo valore. L’obiettivo di questo organismo era avere il controllo del mercato e impedire l'accesso ai concorrenti stranieri (ad eccezione della Star Film e della Pathé). 5. L’INDEPENDENT MOVING PICTURES DI LAEMMLE Un sistema di questo tipo genera inevitabilmente tensioni nel mercato. Per affrontare queste problematiche, viene creato un gruppo di ispettori il cui compito è prevenire irregolarità o eccezioni alle regole stabilite dal Trust. Così si assiste al sequestro e alla distruzione sistematica di bobine di pellicole e macchinari; tutti coloro che si opponevano al regime del trust erano definiti “indipendenti”. Tra le società che danno vita a questa forma di opposizione c’è la Independent Moving Pictures (IMP), fondata solo dieci giorni dopo l’istituzione del Trust (nel dicembre del 1908 viene creato il Trust, mentre all’inizio del 1909 nasce l’IMP) per iniziativa di Carl Laemmle. L’IMP comincia ad acquistare pellicole vergini dalla Francia, direttamente dal Lumière, utilizza sistemi di proiezione non brevettati (con meccanismi differenti da quelli del Motion Picture Patents Company), e inizia a distribuire film europei e opere di case produttrici non facenti parte del Trust, inclusi i film epici italiani. Tra le caratteristiche dell’IMP ci sono: lungometraggi (feature films): laddove il Trust perseverava nel vendere film a rullo ciascuno della durata di 15 minuti, i film degli indipendenti, più lunghi e in più rulli, si adattavano meglio ai nuovi gusti del pubblico del ceto medio americano (adattamenti da romanzi e opere teatrali). Intorno alla metà degli anni 1910, anche negli Stati Uniti il lungometraggio diventa il formato standard per la programmazione, seguendo un’evoluzione già avvenuta in Europa; stardom: mentre le compagnie del Trust tendevano ad associare i film al loro marchio, menzionando gli attori raramente (per timore che le star potessero acquisire un’importanza tale da distogliere l’attenzione dalle società di produzione, oltre a potenzialmente richiedere contratti più vantaggiosi), la IMP intuisce molto presto il valore delle star, garantendone la menzione nei titoli e impegnandosi a diffondere la sua immagine attraverso fotografie e altri materiali promozionali. A partire dagli anni 1910, l’uso dell’immagine degli attori diventa centrale nella promozione dei film: dai poster alle apparizioni in anteprima, fino alle prime riviste per i fan (la Motion Picture Story Magazine), e alle attività di merchandising. All’interno del Trust, iniziano a sorgere divergenze: da un lato, Edison desidera continuare a produrre cortometraggi comici, ancora legati a una dimensione attrazionale; dall’altro, la Biograph e la Vitagraph puntano sulla formula del lungometraggio. Nonostante l’aumento della popolarità dei lungometraggi e l’attività dei produttori indipendenti, la Motion Picture Patents Company mostra riluttanza ad apportare le necessarie modifiche per distribuire lungometraggi. La Motion Picture Patents Company non distribuisce lungometraggi fino al 1914, dopo che già centinaia, di lungometraggi erano stati già rilasciati da produttori indipendenti. Tra il 1909 e il 1911, il Trust avvia cause legali contro quasi tutti i produttori indipendenti; ma nel 1913 il governo degli Stati Uniti denuncia a sua volta la MPPC per condotta monopolistica. Nel 1915, la Motion Picture Patents Company viene dichiarata colpevole di violazione dello Sherman Antitrust Act e chiude nel 1918. Quindi, se il Trust cercava di centralizzare e controllare l’industria attraverso brevetti e licenze, scoraggiando la concorrenza e tentando di creare un sistema chiuso, i produttori indipendenti rappresentavano un movimento contrario a questa logica, cercando di sfuggire al controllo del Trust e promuovendo l’innovazione nel linguaggio cinematografico attraverso il marketing, la valorizzazione delle star e l’investimento nel lungometraggio. Con la fusione della Universal Pictures, l’IMP dimostra che l’industria poteva esistere anche al di fuori dell’egemonia di Edison. 6. HOLLYWOOD Tuttavia, già nei primi anni 1910 si verificava una migrazione significativa delle società indipendenti dalla East Coast (New York) verso la West Coast (Los Angeles): oltre alle condizioni meteorologiche favorevoli e i paesaggi, il motivo è soprattutto la lontananza dal controllo del Trust: Hollywood rappresentava il luogo più remoto all’interno degli Stati Uniti per sfuggire all’influenza del Trust, e in caso di controlli, le attrezzature e il personale avrebbero potuto essere trasferiti oltre il confine messicano o a Cuba. Tuttavia, ci sono anche ragioni più pratiche: la luce è essenziale per la cinematografia, e a Los Angeles c’era un clima soleggiato tutto l’anno, anche in inverno, con una grande varietà di paesaggi che spaziavano dall’oceano al deserto, dalle montagne alla campagna sudcaliforniana. Questo ambiente favorevole ha contribuito allo sviluppo di generi come il Western, che richiedevano scenari naturali più spettacolari rispetto a quelli di New York e dintorni, che erano spesso più urbanizzati e congestionati. Inoltre, Los Angeles era una città non sindacalizzata, permettendo agli studi di risparmiare sui costi della manodopera, almeno fino al 1921, anno in cui fu fondato il sindacato dei tecnici cinematografici, che stabilì i minimi salariali e introdusse la sindacalizzazione nel settore. Nonostante ciò, le società di produzione continuarono a mantenere gli uffici finanziari a New York e le operazioni produttive a Los Angeles. Intorno al 1922, circa l’84% della produzione cinematografica americana si concentrava a Los Angeles, segnando un cambiamento duraturo. La scritta «Hollywood», originariamente creata per promuovere un progetto di sviluppo immobiliare legato al quartiere Hollywood, è diventata un’icona culturale e simbolo del cinema, poiché l’industria cinematografica si è progressivamente trasferita in quella zona. La scritta doveva durare solo un anno o un anno e mezzo, ma, data l’importanza che Hollywood ha assunto, si decise di mantenerla. Durante la Prima Guerra Mondiale, questo periodo si rivelò paradossalmente favorevole per l’industria cinematografica americana: gli Stati Uniti entrarono in guerra nel 1917, il che significava che i paesi europei, privi di risorse e con la produzione cinematografica interrotta, si rivolgevano all’industria americana per soddisfare la domanda. Ad esempio, in Francia, la produzione cinematografica si fermò quasi completamente perché le fabbriche erano state riconvertite per produrre munizioni; anche in Italia si verificò una situazione simile, con una forte interruzione della produzione. I film americani iniziarono a essere venduti a bassissimo costo all’estero, con l’obiettivo di battere la concorrenza locale e rendendo più conveniente per i paesi europei acquistare pellicole americane piuttosto che finanziare produzioni locali; le maggiori entrate ottenute dalla vendita di film americani permisero di incrementare gli investimenti nel settore (non solo localmente ma soprattutto all’estero) durante questo periodo. L’industria cinematografica americana ha mantenuto una posizione egemonica fino alla fine della Seconda Guerra Mondiale. Grazie a questa strategia, Hollywood è riuscita a conquistare il mercato globale: le prospettive di guadagni elevati provenienti dalla vendita di questi prodotti hanno consentito un aumento degli investimenti nelle produzioni, il che significa che più ritardi nella realizzazione si traducevano in investimenti maggiori. Questo ha portato a spettacoli più ricchi e sfarzosi, con costumi, scenografie e illuminazione di alta qualità, permettendo di pagare salari più elevati agli attori, che in questo periodo stavano guadagnando visibilità a livello mondiale. È in questo contesto che inizia l’ascesa dell’industria cinematografica americana. 7. L’UNIVERSAL DI LAEMMLE All’inizio degli anni 1910, le società fondendosi tra loro e dando vita a nuove imprese (quello che sarà poi definito Studio System): in questo periodo, si assiste a una vera e propria proliferazione di società che nascono e si uniscono. Tra le figure chiave di quegli anni spicca Carl Laemmle, leader degli indipendenti in opposizione al Trust di Edison. Carl Laemmle, di origine ebraico-tedesca, emigrò con la sua famiglia negli Stati Uniti a 17 anni. Prima di entrare nel settore cinematografico, lavorò come direttore di una fabbrica di abbigliamento. Nel 1906, a Chicago, aprì il suo primo «Nickelodeon», denominato «Whatcom Theater», pubblicizzato come «the coolest 5¢ theater in Chicago», riuscendo a recuperare l’investimento iniziale già nel primo mese. In breve tempo, aprì una seconda sala, il «Family Theater». Durante questi anni, Laemmle condusse una sorta di indagine di mercato: notò che i suoi concorrenti avevano sale sporche e disordinate, spesso affollate da clienti molesti. Così, decise di adottare un approccio opposto, trasformando i suoi cinema in luoghi più sicuri e accoglienti. Installò luci brillanti all’ingresso, mantenne le sale pulite, assunse personale di sicurezza per allontanare i clienti problematici e investì in una massiccia campagna pubblicitaria. Dopo un certo periodo, decise di interrompere l’attività di esercente per concentrarsi sulla produzione e distribuzione di film: insieme a Robert H. Cochrane, fondò il Laemmle Film Service a Chicago, che in breve tempo divenne il distributore cinematografico più importante del paese. Attraverso la stampa, Laemmle si rivolgeva direttamente ai suoi concorrenti, esortandoli a non pagare le tasse o a firmare accordi con il Trust di Edison, ma a scegliere il Laemmle Film Service come alternativa. 8. LO STAR SYSTEM Fin dall’inizio, i film venivano riconosciuti dal pubblico principalmente in base al produttore piuttosto che al regista o agli attori, poiché anche non menzionati. Solo dopo il 1908-1909, con la stipula di contratti più duraturi tra produttori e attori, il pubblico cominciò a familiarizzare con i volti degli attori; tuttavia, questi volti erano ancora fortemente associati alle rispettive società di produzione. Ad esempio, Florence Lawrence, un’attrice della Biograph, veniva conosciuta come la «Biograph Girl» poiché il pubblico non conosceva il suo nome. Allo stesso modo, Florence Garner, che lavorava per la Vitagraph, era chiamata la «Vitagraph Girl». Gradualmente, si sviluppò un interesse verso i nomi e le vite personali di queste star, con gli spettatori che chiedevano informazioni agli esercenti o inviando lettere agli studi per ricevere fotografie degli attori. Quando Laemmle si rese conto di questo fenomeno di attaccamento del pubblico verso le star, decise di sfruttare questa opportunità a suo vantaggio in modo davvero innovativo. IL CASO FLORENCE LAWRENCE Il caso Florence Lawrence è considerato dagli storici del cinema l’atto di nascita dello star system. Laemmle strappò Florence Lawrence alla Biograph e la convinse a firmare un contratto esclusivo con la sua compagnia, avviando una campagna pubblicitaria senza precedenti nel settore cinematografico: creò un falso scoop su una presunta morte di Florence Lawrence in un incidente d’auto a New York. Dopo aver diffuso questa notizia, pubblicò un comunicato per smentire la falsa morte, annunciando non solo che l’attrice era viva, ma che stava per girare un film con l’IMP. La sua falsa morte era stata solo una voce diffusa dai detrattori, la Biograph. Successivamente, organizzò una conferenza stampa con la presenza dell’attrice, presentata come la «nuova ragazza dell’IMP». Nel 1912, l’IMP si trasformò nell’Universal Film Manufacturing Company; tre anni dopo, nel 1915, Laemmle costruì uno studio a nord di Hollywood, Universal City, specializzandosi nel genere Western, un genere che sarebbe diventato un marchio di fabbrica dell’Universal. Tuttavia, nonostante la crescita, la Universal si distaccò da altri produttori indipendenti che investivano in produzioni di alto budget: l’approccio di Laemmle fu più orientato verso una politica di contenimento dei costi, relegando la Universal a un ruolo più marginale nel contesto dello Studio System. Questa differenza tra Carl Laemmle e altri pionieri dello Studio System (come Adolf Zukor) è evidente sotto diversi aspetti, tra cui la gestione commerciale e produttiva: Laemmle, pur essendo un innovatore nel panorama indipendente, mostrava una mentalità rivolta al risparmio (per esempio, quando molti indipendenti stavano puntando sul lungometraggio, Laemmle era ancora impegnato con film a 2/3 rulli al massimo). Un altro aspetto carente di Laemmle è quella di mantenere legati alla società Universal i suoi talenti attoriali: nonostante l’avanzata campagna promozionale legata a Florence Lawrence e l’attenzione rivolta alle star, molte di queste finirono per migrare verso altre società di produzione. Durante il periodo d’oro dello Studio System, la gestione della Universal la condusse a essere classificata tra le cosiddette “little three”, mentre la Paramount di Adolf Zukor cresceva in modo esponenziale. 9. LA PARAMOUNT DI ADOLF ZUKOR Un’altra figura importante da introdurre è quella di Adolf Zukor: anch’egli di origine ebraica-ungherese, che si trasferì negli Stati Uniti appena sedicenne nel 1889 e, poco dopo il suo arrivo, iniziò a commercializzare pellicce, proprio come Laemmle. Nei primi anni del Novecento, Zukor individuò nel cinematografo un’opportunità imprenditoriale significativa e nel 1903 fondò l’Automatic One-Cent Mobile Company, situata sulla 14ª strada vicino a Broadway, di fronte a Union Square. Questa attività di intrattenimento offriva spettacoli di vario genere al prezzo di un centesimo, includendo fonografi, spettacoli dal vivo, combattimenti di pugilato e giochi di tiro, ecc. All’ultimo piano dell’Automatic Vaudeville, Zukor crea un teatro con 200 posti che offre uno spettacolo cinematografico di 15 minuti per un nichelino (5 centesimi), chiamato «Crystal Hall» (simile ad un «Nickelodeon», anche se rappresentava ancora una forma di intrattenimento più variegata poiché siamo ancora nel 1903). Tuttavia, nel corso di questi anni, Zukor si sentì frustrato dalla scarsità di contenuti adeguati da presentare nei suoi cinema: la sua grande passione per il teatro e le storie lo portò a credere che il pubblico fosse pronto per film di durata maggiore. Così, intraprese un viaggio in Europa per studiare diverse cinematografie nazionali e la risposta del pubblico a queste narrazioni: durante il suo soggiorno, assistette anche alle prime «Passioni» colorate, rendendosi conto che l’unica possibilità di sviluppo per il cinema era legarlo alla narrazione popolare attraverso lungometraggi. Tornato in America, tentò di convincere i produttori a realizzare film di lunga durata, ma senza successo. Di conseguenza, nel 1912, importò dalla Francia un film biografico intitolato «La Regina Elisabetta» con Sarah Bernhardt, una delle attrici teatrali più importanti dell’Ottocento. Questo lungometraggio, della durata di 40 minuti, rappresentava uno dei primi esempi di film di lunga durata mai proiettati negli Stati Uniti. Tuttavia, era impossibile mostrarlo in una delle sale gestite dal Trust, che continuava a privilegiare i cortometraggi, e per questo motivo, Zukor fondò la Femmes Players Film Company, destinata a distribuire i film che aveva importato dalla Francia.

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