Storia del Cinema PDF

Summary

This document discusses the history of cinema, focusing on a specific historical period. It details different techniques by famous filmmakers, specifically a detailed analysis of Melies' movie "Voyage dans la Lune." The document delves into the evolution of storytelling and techniques in film throughout history.

Full Transcript

STORIA DEL CINEMA 15 10 2024 1. LA FAMA E LA CADUTA DI MÉLIÈS Méliès, nei suoi primi esperimenti, combinava trucchi teatrali (fili, corde e botole) con trucchi cinematografici (l’arresto della ripresa e la succe...

STORIA DEL CINEMA 15 10 2024 1. LA FAMA E LA CADUTA DI MÉLIÈS Méliès, nei suoi primi esperimenti, combinava trucchi teatrali (fili, corde e botole) con trucchi cinematografici (l’arresto della ripresa e la successiva ripresa, conosciuto oggi come “stop motion” o “stop trick”; l’esposizione multipla, che permetteva di impressionare la pellicola più volte, creando immagini di fantasmi o duplicati dello stesso soggetto sulla scena). Ben presto, il suo cinema assume una struttura narrativa più ampia, ispirandosi ai romanzi di Jules Verne. In particolare, nel 1902 realizza «Voyage dans la Lune» («Viaggio sulla Luna»), ispirato a «Dalla Terra alla Luna» (1865) di Verne. Quest’opera rappresenta un enorme sforzo produttivo, con una lunghezza di 260 metri di pellicola (15 minuti circa), per la qualità dei trucchi e l’accuratezza degli effetti scenografici e un costo di 10.000 franchi, che la rende una delle produzioni più complesse del suo tempo. In seguito Méliès racconterà come il pubblico si ammassava davanti al manifesto della grande luna, ma inizialmente l’opera era accolta con scherno. «Il pubblico si ammassava davanti alla grande Luna, ma il manifesto, benché facesse ridere, era accolto dai lazzi più disparati: “È una fesseria, una mistificazione, che ci prendano per delle teste di rapa in questa bancarella? Credete davvero che si possa andare sulla luna per filmarla? Ci prendono per i fondelli”». [George Méliès] Il pubblico di allora non era consapevole dei trucchi cinematografici e credeva che si potessero filmare solo eventi reali; tuttavia, dopo le prime proiezioni, l’entusiasmo crebbe: gli applausi e le risate del pubblico attirarono una grande folla, e il film divenne un enorme successo. Ad oggi, «Voyage dans la Lune» ci è pervenuta in una versione restaurata del 2011, presentata per la prima volta al Festival di Cannes. All’epoca, il film venne distribuito in diverse versioni, sia in bianco e nero che a colori. L'unica copia a colori nota fu donata nel 1993 alla Filmoteca della Catalogna da un anonimo, ma era in pessime condizioni, vicino alla decomposizione. Nel 1999 iniziò il restauro, completato nel 2011 con un costo di circa 400.000 euro presso i laboratori della Technicolor di Los Angeles. La versione restaurata presentata a Cannes ha una colonna sonora firmata dal duo francese di musica elettronica AIR. Il film è composto da 17 quadri. Il film inizia nella sede del Club degli Astronomi, dove si tiene una riunione. Uno degli astronomi, il professor Barbenfouillis, presenta il suo progetto: raggiungere la luna con un razzo sparato da un cannone. Segue una sequenza di preparativi per il viaggio e poi il viaggio stesso. Una volta sulla Luna, gli astronauti assistono allo spettacolo della terra che si alza sull’orizzonte e all’eruzione di un vulcano. Successivamente, gli astronauti si addormentano e sognano apparizioni celesti come costellazioni (Via della Luna, Saturno, ecc.). Poi, per ripararsi dal freddo, si rifugiano nelle viscere della luna, dove scoprono funghi giganti e vengono attaccati dai Seleniti, creature metà insetti e metà uomini, che li catturano. Portati davanti al Re della Luna, riescono a fuggire, tornando al razzo che li riporta sulla Terra, dove atterrano in mare. L’impostazione visiva è statica, poiché la macchina da presa non si muove; ci sono alcuni stacchi e dissolvenze tra un quadro e l’altro, che erano tra i trucchi usati da Méliès. L’impostazione è chiaramente teatrale, con campi lunghi e medi, ma senza primi piani o dettagli; i personaggi sono ripresi a figura intera, mantenendo l'illusione di uno spettacolo dal vivo, e le scenografie sono elaborate e suggestive grazie a trucchi teatrali come l'uso delle botole. Anche la recitazione ha un taglio teatrale, con movimenti molto accentuati (specialmente nel primo quadro) dove i personaggi si muovono in modo esagerato per rendere chiara l’azione. A teatro i movimenti sono solitamente più marcati rispetto a quelli cinematografici, e solo con l'introduzione del primo piano gli attori hanno potuto ridurre i gesti, poiché la macchina da presa avrebbe amplificato i dettagli del volto. L’azione si sviluppa per quadri autoconclusivi, dove ogni scena si esaurisce prima di passare alla successiva. Il montaggio è usato principalmente per realizzare trucchi visivi (come la comparsa dei personaggi nei sogni dei protagonisti); tuttavia, ci sono due eccezioni in cui il montaggio ha una funzione narrativa: la prima è quando il razzo cade sulla Luna, e la seconda è quando finisce nel mare al ritorno sulla Terra. Nel primo caso, si nota un errore: il razzo sembra atterrare sulla Luna due volte, un errore di montaggio che oggi sarebbe inconcepibile ma che all'epoca era piuttosto comune. Il concetto di autore in questo periodo non esisteva ancora: questo termine, così come lo intendiamo oggi, emerge solo negli anni ‘60 del Novecento, quindi molto tempo dopo l'epoca in cui è stato realizzato «Voyage dans la Lune». Lo stesso vale per il concetto e il ruolo del regista, come lo conosciamo oggi, che all’epoca non aveva la stessa definizione. Per capire quanto queste categorie siano anacronistiche rispetto al contesto, basta esaminare una recensione pubblicata su «La Nazione» nel dicembre 1902. Un recensore assiste alla proiezione del film di Méliès e scrive: «Una meraviglia eccezionale ha presentato al suo pubblico il signor Remondini […], meraviglia che concerne una sequela di scene simili a quelle che ideò la fervida fantasia di Giulio Verne. Sissignori! Il signor Remondini ha voluto trasportarci «Dalla Terra alla Luna» per farci assistere per molto tempo e con proiezioni a colori a uno spettacolo che non solo onora l’arte, ma fa merito allo stesso Remondini il quale si adopera in ogni modo per cattivarsi sempre più la simpatia della sua numerosa e scelta clientela.» [«La Nazione», 7-8 dicembre 1902] Il recensore insiste sull’evento in quanto prodotto commercializzabile, sulla lunghezza della pellicola e la qualità tecnica (cioè a colori). Poi attribuisce il merito del film non a Méliès, ma a Remondini, il gestore della sala, senza mai menzionare il regista e produttore (lo stesso Méliès). Si è a lungo pensato che il declino di Méliès fosse dovuto ai cambiamenti nei gusti del pubblico dopo la Prima Guerra Mondiale; tuttavia, secondo Antonio Costa (che ha scritto un libro,«Mimesis», su «Voyage dans la Lune»), scrive: «Irrimediabilmente legato a un’idea romantica di artigianato artistico, Méliès non aveva saputo cogliere il significato della mutazione del cinema in industria e della maturazione linguistica del nuovo mezzo: l’una e l’altra spostavano l’epicentro negli Stati Uniti, dove s’imponevano nuove strategie produttive e distributive. In questo senso, la decadenza di Méliès era cominciata con il suo maggior successo, «Voyage dans la Lune», quando aveva affrontato con un’organizzazione inadeguata il mercato americano e Edison aveva potuto trarre grandi profitti dalla duplicazione illegale del film.» [A. Costa, Viaggio sulla Luna, Mimesis, pp. 91-92] Méliès fu uno dei primi a subire i danni della pirateria: subito dopo le prime proiezioni di «Voyage dans la Lune», alcuni agenti di Edison corromperono il proprietario di un cinema a Londra per ottenere una copia del film, che fu poi duplicata e proiettata negli Stati Uniti senza che Méliès ricevesse alcun compenso. Méliès tentò inutilmente di difendersi e tutelare il proprio lavoro; fondò anche una filiale della sua società di produzione, la Star Film, a New York, gestita dal fratello, e depositò presso la Library of Congress di Washington alcuni negativi dei suoi film, anche se si trattava solo di strisce disegnate, non di pellicole vere e proprie. Tuttavia, la filiale americana aveva costi di gestione troppo elevati, e Méliès non riuscì a sostenere le spese. Poco dopo, scoppiò la Prima Guerra Mondiale, e il regista finì in gravi difficoltà economiche. Per sopravvivere, tornò a esibirsi nel suo teatro Robert-Houdin; durante la guerra vendette gran parte delle sue pellicole a venditori ambulanti e bruciò altre per ricavare materiali di recupero e finì col lavorare in un negozio di giocattoli e dolciumi nella stazione di Montparnasse a Parigi. I paradossi della sua vita sono due: 1. Il film che lo consacrò alla memoria futura, «Voyage dans la Lune», decretò anche la fine della sua carriera cinematografica. 2. Ironicamente, parte del suo lavoro è sopravvissuto grazie alla pirateria di Edison e di altre società che rubarono le sue opere. Nonostante questi anni di difficoltà, Méliès continuò a vivere dimenticato dall’industria e dal pubblico. Solo negli anni ‘20 (in piena epoca surrealista) venne riscoperto e diventò una figura amata dalle avanguardie artistiche: i surrealisti gli dedicarono una retrospettiva, che fu anche la prima retrospettiva della storia del cinema, tra la fine degli anni ‘20 e l’inizio degli anni ‘30. 2. LA SCUOLA DI BRIGHTON (UK) In Inghilterra si sviluppò la cosiddetta Scuola di Brighton: questa espressione, attribuita successivamente dallo storico del cinema Georges Sadoul, indica un gruppo di fotografi, inventori e registi inglesi che lavoravano a Brighton e Hull tra il 1896 e il 1907 (periodo del “cinema dell'integrazione narrativa”). È importante chiarire che la Scuola di Brighton non era una scuola di cinema o un’accademia, era piuttosto un gruppo informale di pionieri del cinema. Tra le figure di spicco ci sono Robert William Paul e Birt Acres. R. W. Paul, inizialmente un ingegnere in una fabbrica di strumenti scientifici di Londra, scoprì nel 1891 che Edison non aveva brevettato il kinetoscopio nel Regno Unito. Paul costruì una versione simile della macchina di Edison, ma i film di Edison erano protetti da copyright e questo lo spinse a creare una propria macchina da presa per produrre i suoi film. Inizialmente, Paul cercò di collaborare con Edison inviandogli una lettera e una pellicola da lui realizzata, ma Edison rifiutò. Non scoraggiato, Paul continuò a sviluppare macchine da presa e iniziò a esplorare l’idea di proiezioni pubbliche, cosa che Edison non aveva mai preso in considerazione. Collaborò con Birt Acres, un esperto di attrezzature fotografiche, e insieme contribuirono allo sviluppo del cinema britannico. Il 14 gennaio 1896, Robert Paul e Birt Acres presentarono a Londra, presso la Royal Photographic Society, il loro breve film «Rough Sea at Dover», segnando la prima proiezione pubblica in Gran Bretagna. Questo evento avvenne appena due settimane dopo la prima proiezione dei fratelli Lumière a Parigi, a fine dicembre 1895. In quegli anni, Paul e altri cineasti creativi, attivi nella zona di Brighton, si riunivano spesso presso il Camera Club per visionare insieme brevi filmati e discutere delle loro opere. Questo ambiente favoriva la collaborazione e la libertà creativa, portando alla sperimentazione di soluzioni innovative per lo sviluppo del linguaggio cinematografico. Si parla di Scuola di Brighton proprio perché questi cineasti lavoravano sia individualmente che in gruppo, contribuendo all'evoluzione del cinema. Inizialmente, si concentravano su vedute paesaggistiche, ma presto integrarono effetti speciali (le esposizioni multiple, dissolvenze e lo stop-motion, tecniche che Méliès aveva già utilizzato); la differenza principale rispetto a Méliès è che mentre Méliès li impiegava per suscitare meraviglia e stupore, i registi della Scuola di Brighton li utilizzavano in modo più integrato e funzionale alla narrazione. Tra le figure di spicco di questa scuola ci sono George Albert Smith e James Williamson, vicini di casa e collaboratori frequenti. LA DOPPIA ESPOSIZIONE COME ESPEDIENTE NARRATIVO  «SANTA CLAUS», 1898, DI G. A. SMITH Un esempio interessante è il breve film del 1898 «Santa Claus» di George Albert Smith, dove viene usata la tecnica della doppia esposizione, già sperimentata da Méliès. In questo caso, però, serve a mostrare due azioni che si svolgono contemporaneamente: mentre i bambini dormono, in un riquadro circolare sulla parete appare Babbo Natale che si cala nel camino. LA SPERIMENTAZIONE DEL PIANO RAVVICINATO  «THE LITTLE DOCTOR», 1901, (O «SICK KITTEN», 1903) DI G. A. SMITH Nel 1901, George Albert Smith realizzò un breve film intitolato «The Little Doctor», lungo 34 metri (poco più delle vedute dei Lumière, che erano di 17 metri), in cui alcuni bambini giocano a fare i dottori con un gatto. Sebbene il tema dei bambini fosse già stato esplorato, l’importanza di questo film sta nell'evoluzione tecnica. Purtroppo, la versione originale di «The Little Doctor» è andata perduta, ne esiste una versione del 1903, intitolata «Sick Kitten», sempre di Smith. Notiamo uno stacco di montaggio nel momento del primo piano sul gatto per poi tornare al campo medio-lungo: il primo piano serve per mostrare meglio non tanto il gatto, quanto il gesto della bambina che gli dà la medicina. Questo stacco è utile per chiarire l’azione in corso e mettere in risalto ciò che sta facendo la bambina. Questa è una delle prime volte in cui, durante una ripresa, la macchina da presa si avvicina improvvisamente al soggetto per mostrare un dettaglio. George Albert Smith, fotografo di professione specializzato in ritratti, era abituato a lavorare con inquadrature ravvicinate; tuttavia, il pubblico dell’epoca non comprendeva questo movimento in avanti, trovandolo innaturale e immotivato, una violazione delle convenzioni teatrali. Per questo, Smith abbandonò temporaneamente la sperimentazione con i primi piani, riprendendola solo in seguito. Non era comunque la prima volta che si vedeva un primo piano: si ricorda il bacio tra John Rice e May Irwin. Le differenze principali tra i due casi sono due: 1. in «Sick Kitten» c’è un vero e proprio stacco di montaggio per passare al primo piano, mentre nel bacio Edisoniano non c’era montaggio, trattandosi di una veduta unica. 2. in «Sick Kitten» il primo piano è usato per spiegare l’azione della bambina, mentre in «The Kiss» si era ancora nel cinema delle attrazioni.  «THE BIG SWALLOW», 1901, DI JAMES WILLIAMSON Anche nella Scuola di Brighton, comunque, non mancano esempi di primi piani utilizzati a scopo attrazionale: un esempio celebre è «The Big Swallow» di James Williamson del 1901, dove il protagonista è inquadrato da un operatore cinematografico e, infastidito e arrabbiato, “ingoia” sia l’operatore che la macchina da presa. Il film è strutturato come se fosse un’unica azione continua, ma in realtà sappiamo che ci sono stacchi di montaggio. Questo è particolarmente interessante perché sembra che sia stato utilizzato un carrello inverso: non è la macchina da presa ad avvicinarsi al soggetto, ma il soggetto stesso è su un carrello che si avvicina. Questa sequenza non solo ci porta a un primissimo piano dell’uomo (con il dettaglio della sua bocca), ma introduce anche un elemento di narrazione metacinematografica (in cui vediamo l’operatore e la sua macchina da presa essere “ingoiati”). Il tutto avviene in modo tale da dare l’illusione di un piano sequenza senza stacchi (anche se sappiamo che il montaggio è presente). L’ALTERNANZA DI SOGGETTIVA E OGGETTIVA  «GRANDMA'S READING GLASS», 1900, DI GEORGE ALBERT SMITH George Albert Smith aveva già sperimentato l’uso di inquadrature ravvicinate, come nel film «Grandma’s Reading Glass» del 1900. In questa veduta vediamo diversi oggetti (come l’occhio della nonna o gli uccellini in gabbia) attraverso la lente di ingrandimento utilizzata dal bambino (un oggetto di scena): l’illusione della lente è creata attraverso un mascherino circolare che incornicia gli oggetti mostrati. In questo caso non parliamo solo di piano ravvicinato, ma anche di dettaglio (piano ravvicinato di un oggetto) e particolare (piano ravvicinato di una parte del corpo). Il piano ravvicinato qui serve a creare un’immagine in soggettiva, ovvero lo sguardo della macchina da presa coincide con quello di un personaggio, sostituendosi allo sguardo del personaggio. Questo tipo di costruzione alterna piani larghi a piani soggettivi. I primi esempi di soggettive utilizzano spesso oggetti di visione presenti sulla scena, come lenti d’ingrandimento (come in «Grandma’s Reading Glass»), cannocchiali o serrature: questi oggetti sono definiti diegetici, cioè che fanno parte dell’azione e/o dell’universo narrativo del film. Un genere che verrà ampiamente imitato, sia in Francia che negli Stati Uniti, creando un vero e proprio filone, è quello che gli studiosi di cinema hanno definito Keyhole Films, ovvero film che utilizzano il buco della serratura come espediente visivo. Tuttavia, dal punto di vista tecnico, quando parliamo di soggettiva, il punto di vista dovrebbe coincidere perfettamente con quello del personaggio. Nei film delle origini, come abbiamo visto con «Grandma’s Reading Glass», non c’è una sovrapposizione perfetta tra ciò che il personaggio (in questo caso il bambino) vede e ciò che viene mostrato al pubblico. C’è una leggera dissonanza, soprattutto per quanto riguarda l’angolazione e la vicinanza dell’oggetto; lo spettatore capisce comunque che è il bambino a guardare attraverso la lente di ingrandimento, ma la coincidenza non è esatta come nelle soggettive moderne. Con il tempo, la soggettiva viene utilizzata per esaltare lo stato d’animo dei personaggi e per far immedesimare lo spettatore all’interno dell’azione. Ecco degli esempi più moderni: 1. «Notorius» di Alfred Hitchcock (1946): la soggettiva era lo sguardo di Ingrid Bergman e si sovrappone in modo preciso al suo punto di vista: la soggettiva è obliqua, e poichè la protagonista gira attorno al letto, la macchina da presa segue il suo sguardo. 2. «Jaws» (1975) di Steven Spielberg: il film presenta la soggettiva (un po’ atipica) di uno squalo. 3. «The Blair Witch Project» (1999) di Daniel Myrick, dove diversi personaggi, armati di telecamera amatoriale, si alternano come soggetti dello sguardo: la soggettiva in questo caso è motivata dall’uso di un oggetto diegetico che fa parte dell’universo narrativo del film, ovvero la telecamera stessa. 4. «Hardcore!» (2015) di Il’ja Najšuller: film interamente girato in soggettiva, richiamando l’immaginario dei videogame qui è interessante notare anche l’utilizzo del suono. Ad un certo punto, il suono viene filtrato, percepito come se provenisse dalle orecchie del personaggio, rendendo l’esperienza più immersiva. 5. «Alien» (1979) di Ridley Scott: esempio di falsa soggettiva. Inizialmente, sembra una soggettiva a tutti gli effetti: c’è un movimento fluido della macchina da presa che si muove nella stanza, e lo spettatore crede che stia guardando attraverso gli occhi di un personaggio o di una creatura. Ma diventa una falsa soggettiva quando ci rendiamo conto che ciò che stiamo vedendo non corrisponde al punto di vista di nessun personaggio, e i personaggi presenti in scena non guardano direttamente in macchina né interagiscono con il presunto soggetto della soggettiva. I PRIMI RACCORDI: SULL’ASSE E SUL MOVIMENTO  «MARY JANE'S MISHAP» (O «DON'T FOOL WITH THE PARAFFIN»), 1903, GEORGE ALBERT SMITH Il primo e più semplice tipo di raccordo è il raccordo sull’asse: questo consiste nel montare due inquadrature in cui la seconda mantiene lo stesso asse di ripresa della prima, come se il punto di vista non cambiasse. Tra la prima e la seconda inquadratura ci può essere un avvicinamento o un allontanamento, ma il punto di vista rimane costante, appunto, sull’asse. Un esempio interessante è «Mary Jane's Mishap», conosciuto anche come «Don't fool with the paraffin», entrambi film di George Albert Smith del 1903. Innanzitutto, notiamo il primo raccordo sull’asse è in realtà anche un raccordo sul movimento (uno stacco di montaggio che completa il movimento dell'attore o dell’attrice nella precedente inquadratura). Per l’esplosione di Mary Jane viene usato il trucco dell’arresto e della ripresa per far sparire Mary Jane (moglie di George Albert Smith). Dopo l’esplosione, c'è una linearità narrativa perfetta: dopo la sua sparizione, Mary Jane finisce sul comignolo e poi i pezzi del suo corpo si spargono sui tetti di Londra (attraverso un trucco teatrale che utilizza corde e manichini). Nel finale, vediamo il fantasma di Mary Jane riapparire con la tecnica della doppia esposizione; ad un certo momento le compare in mano un boccione di paraffina, che richiede un’ulteriore esposizione della pellicola, e poi ricade nella tomba. Qui, più che in «Sick Kitten», l’avvicinamento della macchina da presa serve a mettere in evidenza dettagli specifici (es. dettagli del volto sporco e la scritta “paraffina”). IL RACCORDO DI DIREZIONE  «STOP, THIEF!», 1901, DI JAMES WILLIAMSON Un altro tipo di raccordo che inizia a essere applicato in questo periodo nella scuola di Brighton è il raccordo di direzione. Questo avviene quando seguiamo un personaggio che cammina, mentre la macchina da presa rimane ferma e inquadra una porzione di spazio: le varie inquadrature montate insieme seguono il percorso del personaggio. La regola fondamentale di questo tipo di raccordo è che se il personaggio esce da destra, deve riapparire da sinistra nella successiva inquadratura o viceversa (altrimenti, lo spettatore potrebbe avere l'impressione che il personaggio stia tornando indietro), ma questa è una regola che verrà con il cinema classico hollywoodiano. «Stop, thief!» di James Williamson si divide in tre inquadrature: 1. LA PRIMA Un uomo che ruba una coscia di un animale; 2. LA SECONDA La scena dell'inseguimento; 3. LA TERZA Il ladro viene scoperto all’interno della botte e malmenato dalla vittima del rapimento. Il tutto è assolutamente comprensibile senza che nessuno debba spiegare cosa stia accadendo, ed è chiaro fin dal titolo di questo breve film, «Stop, thief!». La cosa interessante è che l’azione segue i movimenti del personaggio attraverso più inquadrature, che sono collegate tra loro grazie a raccordi di direzione e movimento, creando così un’idea di concatenazione spazio-temporale.  «RESCUED BY ROVER!», 1905, DI CECIL MILTON HEPWORTH Nel 1905, in «Rescued by Rover!» di Cecil M. Hepworth, il raccordo di direzione appare notevolmente perfezionato. In questo film, una bambina viene rapita da una donna e il suo cane di famiglia (un Border Collie di nome Rover) si mette sulle tracce della bambina e la salva: in questo caso, seguiamo il movimento del cane. La prima cosa da notare è che non ci sono ellissi temporali: per tre volte vediamo tutto il percorso che compie il cane, sia quello di andata che quello di ritorno, e infine con il padrone. Nella prima sequenza, vediamo Rover che entra dall’alto o da destra dell’inquadratura e esce dal basso o da sinistra; al contrario, nel percorso di ritorno, entra dal basso dell’inquadratura e esce dalla parte alta, tagliando l’inquadratura in diagonale. IL CAMPO-CONTROCAMPO  «ATTACK ON CHINA MISSION», 1905, DI JAMES WILLIAMSON Per comprendere la modernità di questi registi, è importante notare che a Hollywood i raccordi di direzione, di movimento e di sguardo inizieranno a essere utilizzati sistematicamente solo negli anni 1910, quindi cinque anni dopo rispetto a questi pionieri. La tecnica del campo-controcampo è stata utilizzata per la prima volta da James Williamson in «Attack On China Mission». Il campo-controcampo è la tecnica usata nei dialoghi, in cui viene inquadrato un personaggio mentre parla e poi l’altro che risponde. Di norma, si utilizza la «regola dei 180 gradi», secondo la quale la macchina da presa non supera mai l’asse dello sguardo tra i due personaggi. Se un personaggio guarda verso destra, l’altro deve guardare verso sinistra; se entrambi guardano nella stessa direzione, si commette un grave errore. Inoltre, la figura del segretario di edizione, che si muove sul set, ha il compito di vigilare attentamente sul rispetto dei raccordi; se però c’è una violazione della regola, molto probabilmente è per scelta stilistica. Attack On China Mission» si tratta di un’attualità ricostruita: l’intervento di marinai occidentali per salvare la moglie di un missionario da ribelli locali. Quando i marinai si schierano per sparare, dando le spalle alla macchina da presa mentre avanzano verso l’abitazione: questa rappresenta una rottura con la tradizionale rappresentazione teatrale, creando una forma primordiale di campo e controcampo. L’ALTERNANZA DI IMMAGINI ”DOCUMENTARIE” E RICOSTRUITE  «FIRE!», 1901, DI JAMES WILLIAMSON Un’altra caratteristica dei registi di Brighton è la loro abilità nel mescolare immagini documentarie con ricostruzioni. Un esempio emblematico è «Fire!» di James Williamson del 1901 (che ispirerà Edwin Porter, di cui parleremo, nel suo «Life of an American Fireman» del 1903). Un tema simile, ma non così sviluppato, è già stato trattato in «Fire Rescue!» di Dickson (1894) o nei film dei fratelli Lumière; in questo caso, tutte le immagini che riguardano i cavalli e il carro per le strade sono documentarie, mentre il salvataggio dell’uomo all’interno della stanza da letto è realizzato con immagini ricostruite. 3. IL DECLINO DELLA SCUOLA DI BRIGHTON Il declino della scuola di Brighton avvenne perché, sebbene continuassero a lavorare in modo indipendente e artigianale, i registi erano spesso anche produttori, sceneggiatori e montatori, il che, pur concedendo loro grande libertà creativa e sperimentale, ne limitava anche la competitività poiché non erano strutturati in forma industriale: infatti, intanto, nazioni come Francia, Italia e Stati Uniti stavano sviluppando un sistema industriale sempre più solido, capace di produrre film più competitivi sul mercato. Di conseguenza, l’Inghilterra venne ben presto emarginata. 4. LE PRIME CASE DI PRODUZIONE All’inizio del Novecento, l’industria cinematografica francese comincia a espandersi e a strutturarsi. I cambiamenti principali riguardano innanzitutto le sale cinematografiche, che iniziano a stabilizzarsi: il cinema, un tempo itinerante, diventa un'attrazione fissa, con sale dedicate alla proiezione di film. Le pellicole, invece, diventano più lunghe e complesse, composte da diverse inquadrature e in grado di raccontare storie più articolate. Dopo il successo dei Lumière e di Méliès, nascono importanti case di produzione come la Pathé Frères (1896) e la Gaumont (1895), seguite poco tempo dopo da Le Film d’Art (1908). La Pathé e la Gaumont sono ancora oggi in attività. La Pathé fu fondata a Parigi da Charles Pathé insieme ai fratelli: Charles aveva iniziato a occuparsi dei fonografi di Edison, presentandoli in fiere e manifestazioni. Successivamente, si spostò nel mondo del cinema, intuendo il potenziale commerciale dell’attrazione: acquistò dai fratelli Lumière i diritti di sfruttamento della loro invenzione (a Méliès non era stato concesso perché egli cercò subito di avere il primo cinematografo dopo la proiezione dei Lumière nel 1895). Quando iniziano a realizzare film, i Fratelli Pathé s’ispirano soprattutto ai film dei Lumière e di Méliès. Nel 1900, inizia la collaborazione con Ferdinand Zecca; tra il 1903 e il 1904, inventa il sistema di colorazione della pellicola a poichoir. Poi, la Pathé comincia a noleggiare i propri film anziché venderli e in seguito inizia anche a distribuire opere realizzate da altre compagnie. Infine, la Pathé sviluppa presto un sistema di concentrazione verticale, diventando una delle prime società cinematografiche a farlo: la Pathé controllava l’intera filiera cinematografica, dalla produzione alla distribuzione, fino all’esercizio. Dal 1906, Pathé acquisisce un circuito di sale, centralizzando così tutte le fasi del processo scenografico sotto un’unica azienda. Ferdinand Zecca diventa una figura centrale per la Pathé per oltre 20 anni, venendo nominato responsabile della produzione cinematografica. Grazie al suo lavoro, riesce a garantire una programmazione di due o tre spettacoli a settimana; man mano che la società cresce, il numero di collaboratori aumenta, permettendo di realizzare fino a sei film a settimana (anche se con dimensioni più ridotte rispetto a quelle attuali). Negli studi, inizia a prendere forma un’organizzazione con ritmi industriali: il cinema di Méliès e quello dei pionieri, inclusa la scuola di Brighton, non potevano reggere il confronto con un apparato industriale così strutturato. Il cinema dei Fratelli Lumière, di Méliès e della scuola di Brighton aveva una dimensione artigianale, mentre con la Pathé e il sistema industriale francese il cinema diventa un’industria organizzata. Inizialmente, la produzione si basa su generi già affermati, ma successivamente iniziano a realizzare film in cui l’uso abbondante di trucchi fotografici riesce a camuffare la fragilità delle trame narrative. Ad esempio, «Rêve et réalité» («Sogno e realtà») di Ferdinand Zecca è un calco di «Let Me Dream Again» di George Albert Smith. In questo film, un uomo sogna di essere il compagno di una donna attraente, per poi risvegliarsi accanto alla moglie. Un altro esempio è «Par le trou de la serrure» («Per il buco della serratura»), sempre del 1901, che richiama l’uso del mascherino usato in «Grandma’s Reading Glass». È importante notare che l’attività di Ferdinand Zecca non è paragonabile a quella della scuola di Brighton, non cerca di evolvere il linguaggio cinematografico: la sua opera si concentra, invece, sulla ricerca di formule per conquistare il pubblico. Tuttavia, il film del 1901 di Zecca, «Histoire d’un crime», è considerato uno dei suoi lavori più notevoli e originali. Viene commesso un omicidio durante una rapina, e alla fine il colpevole viene giustiziato. All’interno della cella, il regista ci mostra il passato del condannato dalla sua infanzia all’età adulta, rivelando ciò che è accaduto prima del crimine: il primo esempio di flashback. Il flashback s’interrompe con una sorta di sipario nero, riportando l’azione al presente, cioè al momento del risveglio del condannato. Questa sequenza è un esempio di narrazione non lineare. Il film ottenne un grande successo internazionale, contribuendo alla notorietà del marchio Pathé. Zecca si lega a tematiche drammatico-sociali (con un chiaro messaggio moralista contro il crimine). Tuttavia, la sua produzione successiva, tra il 1902 e il 1905, enfatizza una prospettiva patetico-religiosa, dando vita a una forma di rappresentazione della vita di Cristo, nota come «Passioni». Già i Lumière, a partire dal 1898, avevano realizzato vedute ispirate alle sacre scritture (che potevano essere presentate insieme o separatamente): le Sacre Scritture erano un soggetto comune per le lanterne magiche, specializzandosi in questo genere che ha ispirato molti film successivi sulla vita di Cristo. Nel 1903, Ferdinand Zecca e Lucien Nonguet realizzano «La vie et la passion de Jésus-Christ» («Vita e Passione di Gesù Cristo»), con una durata di 44 minuti, composto da tre rulli di pellicola (ognuno di circa 15 minuti). Questa lunghezza era sostenibile per il pubblico poiché aveva familiarità con l’argomento. Il film è diviso in quadri e ripercorre i momenti salienti della vita di Cristo, dall’infanzia fino alla morte e risurrezione. Ogni quadro funge da unità narrativa indipendente; il film presenta effetti speciali e utilizza la tecnica di colorazione a poichoir, tipica dell’epoca.

Use Quizgecko on...
Browser
Browser