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This document provides an overview of the history and development of extracorporeal circulation (CEC), also known as cardiopulmonary bypass (CPB). It discusses early experiments and developments, highlighting key figures, and touching on the use of oxygenators and pumps in this surgical technique.

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PREMESSA Il By-Pass Cardiopolmonare (CPB) è una tecnica che consente di ossigenare e pompare il sangue in circolo quando il cuore per esigenze chirurgiche non può temporaneamente sostenerlo. Il sangue viene prelevato dal circolo venoso, deviato verso la...

PREMESSA Il By-Pass Cardiopolmonare (CPB) è una tecnica che consente di ossigenare e pompare il sangue in circolo quando il cuore per esigenze chirurgiche non può temporaneamente sostenerlo. Il sangue viene prelevato dal circolo venoso, deviato verso la macchina cuore- polmoni, dove viene filtrato, ossigenato e restituito al paziente nel distretto arterioso. Attraverso l’utilizzo di alcune soluzioni dette cardioplegie, iniettate direttamente nelle arterie coronarie, si procede a fermare il cuore , proteggendo le sue cellule preservando le sue riserve energetiche durante la fase in cui il cardiochirurgo provvede alla correzione delle varie malattie congenite od acquisite che lo hanno colpito. Al termine dell’intervento, quando le coronarie verranno nuovamente ad essere perfuse dal sangue, il cuore ricomincerà a battere e non appena sarà in grado da solo di risostenere il circolo il CPB sarà sospeso. 1. STORIA DELLA CIRCOLAZIONE EXTRACORPOREA (GIORDANO) Le note storiche della nascita della Circolazione Extracorporea (CEC) o By-pass Cardiopolmonare (CPB) sono avvolte da un certo mistero, perché è molto difficile attribuire la paternità del concetto di deviare la circolazione sanguigna di un paziente ad un ossigenatore esterno dal corpo e riportarlo di nuovo nel sistema arterioso per consentire l'intervento chirurgico sul cuore svuotato e fermo. I primi riferimenti storici risalgono all'ultima parte del 19° secolo. Ad esempio, Frey e Gruber lavorarono con un ossigenatore già nel 1885. Successivamente, sono stati segnalati decine di studi in laboratorio con ossigenatori e pompe precursori delle più moderne attrezzature. Tuttavia, all’epoca, una seria concezione dell’utilizzo degli ossigenatori e di una pompa in cardiochirurgia, necessitava dello sviluppo della moderna anestesia, di tecniche chirurgiche adeguate e di una serie di scoperte innovative come l'uso dell’eparina e l’utilizzo di materiali plastici biocompatibili. Alla fine degli anni ’30, John Gibbon, che lavorava al Massachusetts General Hospital di Boston, con le sue scoperte ed applicazioni pioneristiche, fu uno dei principali contributori allo sviluppo della CEC e della sua applicazione in campo clinico. Il lavoro di Gibbon si interruppe a causa della seconda guerra mondiale, ma quando arrivò al Jefferson Medical College di Philadelphia dopo il servizio militare, riprese le sue sperimentazioni dal punto in cui aveva interrotto, in termini di fisiopatologia e materiali da adottare. Gibbon fu estremamente perseverante perché all’epoca la comunità scientifica era molto scettica riguardo alle sue sperimentazioni. Nel 1953, eseguì con successo il primo intervento in cui una giovane donna fu sottoposta a correzione di un difetto interatriale totalmente supportata dalla circolazione extracorporea. Sfortunatamente, i suoi successivi quattro pazienti morirono per diverse cause e lui fu fortemente scoraggiato a proseguire gli studi. Nel frattempo, alla fine degli anni ’40 solo altri pochi scienziati avevano iniziato a lavorare con pompe ed ossigenatori per allestire una circolazione extracorporea completa. Tra loro c’erano Clarence Dennis e i suoi colleghi dell'Università del Minnesota. I suoi studi in laboratorio lo portarono a fare ciò che potrebbe essere il primo tentativo di utilizzare una pompa-ossigenatore in cardiochirurgia già nel 1951. A Stoccolma, tra la fine deli anni ’40 e gli inizi del 1950, lavorarono a sperimentazioni similari Viking Bjork e Ake Senning. In sinergia con loro Clarence Crafoord fu uno dei primi ad utilizzare la CEC per la rimozione di un mixoma atriale. Dopo lo sforzo infruttuoso di Dennis, C. Walton Lillehei e i suoi colleghi dell'Università del Minnesota iniziarono a lavorare in laboratorio ad una “circolazione incrociata controllata”, utilizzando un altro soggetto sano come "ossigenatore". Nel marzo del 1954, iniziarono una serie di interventi in 45 bambini con cardiopatia congenita utilizzando una “circolazione incrociata controllata” dove la madre o il padre erano “l’ossigenatore”. Un follow-up di 53 anni dei 28 sopravvissuti all’intervento dimostrò una mortalità tardiva di 8 pazienti, e dei rimanenti 20 sopravvissuti, nessuno residuava difetti cardiaci. Questa particolare tecnica venne però abbandonata precocemente, ma il lavoro di Lillehei e colleghi aprì la strada alla moderna chirurgia cardiaca. Anche presso la Mayo Clinic nei primi anni '50 iniziarono studi sperimentale con pompe ed ossigenatori sotto la direzione di John Kirklin. Ciò portò al primo utilizzo della CEC con una pompa-ossigenatore presso la Mayo Clinic il 22 marzo 1955, quando un difetto del setto ventricolare venne riparato con successo, e successivamente alle prime serie di pubblicazioni internazionali di interventi intracardiaci eseguiti con l'uso della CEC. Queste procedure furono eseguite usando la pompa-ossigenatore Mayo- Gibbon, che fu progettata e costruita nei laboratori di ingegneria del Mayo Clinic. Molto importante, anche lo sviluppo e la parallela sperimentazione negli anni di altri concetti basilari per un’adeguata conduzione della circolazione extracorporea. Parliamo dell’emodiluizione con soluzioni cristalloidi che agli inizi degli anni ’60 divenne un concetto cardine, e dell’utilizzo dell’ipotermia che prima ancora della CEC già era utilizzata da William Bigelow e colleghi in studi sperimentali sul cane. Questi esperimenti portarono presto ad utilizzare l’ipotermia con occlusione cavale in arresto di circolo per la correzione di difetti intracardiaci semplici già nei primi anni ’50 (Fig.1). Fu nel 1955 che Gollan sviluppò il concetto di associare l’ipotermia e la circolazione extracorporea in cardiochirurgia. L’utilizzo di un pompa-ossigenatore per la CEC durante chirurgia cardiaca si diffuse rapidamente, ed oggi questa metodica viene utilizzata più volte al giorno negli ospedali di quasi tutti i paesi nel mondo per effettuare la correzione di cardiopatie congenite ed acquisite. Oggi, continua a svilupparsi ricerca su tutti gli aspetti della circolazione extracorporea con l’obiettivo di renderlo ancora più sicura. Nonostante ciò non sarà mai fisiologica ed i suoi effetti negativi non saranno mai completamente eliminati. 2. IL BYPASS CARDIOPOLMONARE ( ALESSANDRA ) Il By-pass Cardiopolmonare (CPB) è una tecnica che consente al cardiochirurgo di intervenire su un cuore immobile ed esangue. Con tale metodica infatti l’attività cardiaca verrà temporaneamente sostituita da una pompa mentre quella polmonare da un ossigenatore. Tutto ciò sarà reso possibile attraverso il drenaggio del sangue dal circolo venoso e la reinfusione dello stesso nel circolo arterioso del paziente. Il CPB viene instaurato per progressiva sostituzione dell’attività cardiaca del paziente con l’utilizzo di una pompa meccanica e dell’attività polmonare con l’uso di un ossigenatore. Il sangue refluo dal circolo venoso, comunemente a livello cavale, viene drenato nel cardiotomo e reimmesso nel circolo arterioso, generalmente a livello dell’aorta ascendente, attraverso la pompa dopo essere passato prima nello scambiatore di calore e poi nell’ossigenatore. Nel caso in cui il sistema extracorporeo dreni e reimmetta in circolo solo una quota di sangue parleremo di by-pass parziale, nella situazione in cui l’intero ritorno cavale venga deviato nel sistema parleremo di by-pass totale. L’incremento del ritorno venoso al cardiotomo e del flusso della pompa in aorta comporta la graduale riduzione da parte del cuore della portata sistemica ed una più importante riduzione della portata polmonare. Quest’ultima è la diretta conseguenza della deviazione del ritorno venoso dalle cave al cardiotomo. In CPB totale la quota di sangue che raggiungerà l’atrio destro sarà quella reflua dal circolo coronarico attraverso il seno coronarico mentre quella nell’atrio sinistro dal circolo bronchiale. La prima sarà soppressa dal clampaggio aortico, la seconda sarà aspirata nel sistema introducendo una cannula (vent) nelle cavità sinistre del cuore. Per la correzione di una buona parte delle cardiopatie è necessario operare su un cuore immobile ed esangue. A tal fine viene applicata la tecnica del clampaggio aortico. Soppresso il circolo coronarico il cuore verrà protetto attraverso l’infusione nelle coronarie di una soluzione detta cardioplegica che puo’ essere cristalloide fredda o ematica normotermica essenzialmente ricca di potassio che lo arresterà in diastole. Al momento del declampaggio aortico, previa manovre di spurgo dell’aria dalle cavità cardiache, con la ripresa del circolo coronarico il cuore, se la protezione sarà stata adeguata ed efficace nel consevare integre le sue riserve energetiche, salvaguardandolo dall’ischemia indotta, sarà in grado di riprendere la propria funzione ritornando a sostenere il circolo. Lo svezzamento dal CPB dovrà essere graduale nel rispetto di un’emodinamica stabile. Gli elementi che costituiscono il sistema extracorporeo con il quali è possibile applicare un CPB sono : -cannule venose; -linea di drenaggio venoso; -cardiotomo; -pompa; -scambiatore di calore; -ossigenatore; -linea arteriosa; -cannula arteriosa. 3. LE CANNULE DI PERFUSIONE (ALESSANDRA) Primo ed ultimo elemento del sistema extracorporeo sono le cannule con le quali si collega il paziente agli altri elementi del sistema stesso. Il sangue viene drenato dal circolo venoso attraverso le cannule venose collegate alla linea venosa in un cardiotomo in modo passivo (“per caduta”) o attivo (per azione di una pompa centrifuga o applicando una pressione negativa nel cardiotomo). Dal cardiotomo il sangue viene aspirato e spinto da una pompa, prima in uno scambiatore di calore e poi in un ossigenatore dal quale parte la linea arteriosa collegata ad una cannula arteriosa inserita nel circolo arterioso del paziente. Le cannule vengono progettate per essere robuste, flessibili e per provocare il minimo grado di turbolenza. I siti di cannulazione arteriosa vengono scelti dal chirurgo per motivi di tecnica chirurgica e possono cambiare per incompatibilità del vaso. Quelli più comunemente utilizzati sono: aorta ascendente (procedure in sternotomia di routine); arteria femorale (reinterventi, patologie a carico dell’aorta ascendente, minitoracotomie, ECMO A-V); carotide (ECMO A-V); ascellare o tronco anonimo (patologie a carico dell’aorta ascendente). I tipi di cannule utilizzate possono essere rette, curve, armate, non armate, percutanee. La dimensione delle cannule, la cui circonferenza esterna è misurata in ‘French’ o in ‘millimetri’(3Fr=1mm), viene scelta in base al flusso di perfusione (calcolato con la superficie corporea o con il peso del paziente). Le cannule arteriose e venose in rapporto al flusso di perfusione determinano una pressure-droop (caduta di pressione) che non dovrebbe generare un resistenza superiore a +100mmHg per le prime ed una pressione negativa tra i -40 e -80 mmHg per le seconde. Le cannule arteriose oggi in commercio hanno una pressure- droop che va dai 20 ai 40mmHg. Per le cannule venose quando è prevista la doppia cannulazione , la superiore drena 1/3 del ritorno venoso mentre l’inferiore i 2/3, per cui la superiore sarà più piccola dell’inferiore. La cannula arteriosa dovrebbe essere la più grande possibile per limitare i danni provocati dalla turbolenza che si genera alla punta essendo il punto più stretto del sistema, ovviamente compatibilmente con la dimensione del vaso, grande limite soprattutto nel paziente pediatrico. Infine per l’aspirazione del sangue che refluo dal circolo bronchiale ritorna al cuore nell’atrio sx attraverso le vene polmonari, si può introdurre una cannula (vent) alla giunzione della vena polmonare sup.dx con l’atrio sx o si può utilizzare l’ago a Y della cardioplegia introdotto in aorta ascendente in modo da aspirare il sangue dalle cavità sx immediatamente dopo che sia stato utilizzato per la somministrazione della cardioplegia. Lo stesso ancora verrà usato come aspiratore aortico al momento del declampaggio per spurgare l’eventuale aria presente nelle cavità. 3.1 L’INCANNULAZIONE (COMENTALE) Con il termine di cannulazione o incannulazione ci si riferisce di solito a tutte quelle procedure invasive nelle quali uno specifico vaso sanguigno viene collegato ad un sistema di drenaggio o perfusione esterna mediante un apposito tramite che prende il nome di cannula. In Cardiochirurgia nello specifico, invece, rappresenta quella fase dell’atto cardiochirurgico in cui un vaso, arterioso o venoso, o una cavità cardiaca viene collegata ad una cannula che servirà come tramite tra il paziente e la macchina cuore polmoni per stabilire una circolazione extracorporea. In cardiochirurgia la cannulazione rappresenta la tappa fondamentale dell’intervento chirurgico attraverso cui il paziente può essere messo in circolazione extracorporea in quanto consente di avere una via d’accesso tramite la quale poter drenare o perfondere il paziente. A tal proposito, volendo escludere tutte quelle forme di circolazione extracorporea di supporto alla sola funzione respiratoria (come l’ECMO Veno-Venoso), la fase di incannulazione per una circolazione extracorporea completa presuppone sempre il posizionamento di una o più cannule sul versante venoso per il drenaggio del sangue e di una o più cannule su quello arterioso per la perfusione degli organi. A queste poi possono aggiungersi altre cannule che serviranno poi per il drenaggio di cavità cardiache o per l’infusione di soluzioni cardioplegiche. La sede dell’incannulazione, il numero ed il tipo di cannule da utilizzare varia solitamente a seconda del tipo di intervento chirurgico e della tecnica da utilizzare, delle comorbidità, dell’anatomia del paziente, ed ovviamente in base alle esigenze e preferenze del chirurgo operatore. Solitamente richiede una esposizione chirurgica del vaso sanguigno da incannulare ma in particolari condizioni può essere anche utilizzata una tecnica di incannulazione percutanea (tecnica di Seldinger). 3.2 PRINCIPI GENERALI DI INCANNULAZIONE (COMENTALE) Da un punto di vista generale ed introduttivo distinguiamo in base al distretto di cannulazione innanzitutto due tipi di sistemi di cannulazione, centrale o periferica: alla prima ci riferiamo quando vengono incannulati i grandi vasi del mediastino o le cavità cardiache mentre per cannulazione periferica invece si intendono tutti quei setting in cui vengono utilizzati come accessi vascolari i vasi arteriosi e venosi della periferia come le arterie e vene femorali, le arterie carotidi, le vene giugulari o le arterie e vene succlavie. In casi selezionati per esigenze anatomiche o di timing chirurgico si può optare poi per una cannulazione mista, centrale e periferica, in cui alcuni vasi vengono incannulati alla periferia ed altri a livello centrale come ad esempio accade nel trattamento chirurgico open della dissezione aortica di tipo A di Stanford. Nell’ambito del tipo di sistema di incannulazione scelto si individuano poi, in base al distretto vascolare considerato, una cannulazione venosa, una cannulazione arteriosa, una cannulazione delle cavità cardiache ed una cannulazione per l’infusione delle soluzioni cardioplegiche. La cannulazione venosa di tipo centrale di solito presuppone l’utilizzo di una singola cannula per il drenaggio simultaneo dell’atrio destro e delle Vene Cave oppure di due cannule distinte da posizionare separatamente in vena cava inferiore ed in vena cava superiore. Quando invece si sceglie di incannulare perifericamente una vena, il distretto anatomico generalmente preferito è quello femorale per l’estrema facilità d’esposizione e la bassa probabilità di lesione di strutture anatomiche contigue durante un approccio in emergenza come invece potrebbe accadere in caso di cannulazione delle vene giugulari. Quest’ultimo approccio, al contrario, è quello preferito nei neonati in genere e soprattutto in quelli di basso peso in quanto il loro calibro ne permette una più agevole cannulazione rispetto a vasi più periferici come quelli femorali. Per quanto riguarda la cannulazione arteriosa di tipo centrale, la cannula viene solitamente posizionata in aorta ascendente in modo da poter perfondere in maniera anterograda e simil-fisiologica tutti i distretti vascolari a valle della valvola aortica. Tra questi ovviamente non vengono annoverate le arterie coronarie le quali, trovandosi all’interno dei seni di Valsalva immediatamente a valle della valvola aortica, devono essere necessariamente escluse dalla perfusione tramite circolazione extracorporea in quanto, nel caso di interventi in clampaggio aortico, devono essere utilizzate per l’infusione delle soluzioni cardioplegiche ed ottenere così l’arresto cardiaco. Una perfusione anterograda, simile alla precedente, può essere poi ottenuta anche tramite il posizionamento della cannula di perfusione selettiva in arteria ascellare: in questo caso, pur trattandosi di una cannulazione “periferica”, il flusso di perfusione risulta anterogrado in quanto i distretti sovraortici vengono normalmente perfusi attraverso il tronco brachiocefalico, l’a. carotide di sinistra e l’arteria succlavia di sinistra mentre quelli del distretto toraco-addominale e degli arti inferiori tramite l’aorta discendente. Nel caso in cui venga incannulata una delle due arterie femorali invece il flusso di perfusione risulta invertito e retrogrado: questa eventualità rappresenta una situazione para-fisiologica in quanto il flusso di perfusione arteriosa proviene dai distretti corporei inferiori e, sebbene assolutamente necessaria in alcune circostanze, espone il distretto cranico al rischio di embolizzazione di materiale aterosclerotico e trombotico mobilizzato dalle pareti dei vasi periferici incannulati o dalle pareti dell’aorta toraco-addominale. Qualora poi si renda necessaria una perfusione cerebrale selettiva, ad esempio per interventi chirurgici sull’arco aortico o l’aorta toracica discendente, si può scegliere di cannulare l’arteria ascellare destra o il tronco brachio-cefalico per iniziare la circolazione extracorporea ed associarvi poi la cannulazione della carotide sinistra secondo la tecnica di Kazui. Una eccezione a tal riguardo è una particolare tecnica di perfusione cerebrale, di rarissimo impiego, che prevede la perfusione “retrograda” del distretto cerebrale attraverso il posizionamento della cannula di inflow in vena cava superiore: in questo modo si ottiene una inversione del normale flusso emat ico con i distr etti vasc olari veno si che provvederanno al trasporto di sangue ossigenato e quelli arteriosi a cui invece sarà affidato il drenaggio del sangue refluo dall’encefalo. Questo specifico espediente viene di solito utilizzato esclusivamente come extrema ratio nei casi in cui una cannulazione diretta dei tronchi brachiocefalici o delle carotidi non sia possibile oppure nei casi di embolia cerebrale gassosa massiva; in tali circostanze è ovvio che sia mandatorio mantenere una portata ed una pressione di perfusione quanto più bassa possibile, compatibilmente con le esigenze metaboliche, al fine di proteggere l’integrità vascolare venosa ed i distretti encefalici dallo sviluppo di edema tissutale. Infine, così come accennato per il distretto venoso, può essere scelto come sito di incannulazione arteriosa anche l’arteria carotide ma questo approccio, anche in questo caso, viene spesso riservato ai neonati, ai prematuri di basso peso o a pazienti selezionatissimi in cui si debba procedere ad un reintervento sull’arco aortico. In quest’ultimo caso, questa tecnica viene preferita in quanto assicura una via efficace di supporto circolatorio cerebrale qualora si verifichi accidentalmente una lesione dei vasi aneurismatici e/o dissecati durante le fasi di apertura del torace a causa delle tenaci aderente legate al reintervento. Il venting delle sezioni sinistre può essere ottenuto tramite il posizionamento diretto di una cannula di aspirazione in ventricolo sinistro attraverso la vena polmonare superiore destra e l’atrio sinistro oppure realizzando un’aspirazione “retrograda” posizionando la cannula di aspirazione nel tronco polmonare. Le cannule per l’infusione delle soluzioni cardioplegiche, infine, rappresentano insieme a quelle per la perfusione arteriosa il secondo sistema di pompaggio attivo di fluidi nell’ambito della circolazione extracorporea differenziandosi cosi dalle linee venose e di aspirazione che invece rappresentano le principali vie di drenaggio dal paziente. Il posizionamento di queste cannule varia a seconda del tipo di intervento da eseguire e, anche in questo caso, in base alle caratteristiche anatomiche del paziente. Innanzitutto il loro posizionamento viene effettuato solo in quegli interventi in cui si prevede di ottenere un arresto cardioplegico del cuore e dunque viene evitato qualora si scelga di eseguire un intervento in semplice assistenza di circolo e con tecnica beating heart. Qualora invece si renda necessario il suo posizionamento, di solito la sede più utilizzata è rappresentata dall’aorta ascendente circa 3 cm al di sopra della va lv ol a ao rti ca in qu an to pe r m ett e all e soluzioni cardioplegiche di essere infuse in maniera anterograda e di raggiungere le coronarie seguendo il normale flusso fisiologico. Questa condizione tuttavia non è pero sempre realizzabile pertanto devono essere adottate delle tecniche di cannulazione diverse: ad esempio, in caso di insufficienza importante della valvola aortica (che lascerebbe fluire e disperdere in ventricolo la cardioplegia) o di patologie che rendano impossibile il posizionamento di una cannula di infusione a livello dell’aorta ascendente (come la dissecazione aortica di tipo A Stanford) l’infusione della cardioplegia può essere ottenuta attraverso l’utilizzo di cannule specifiche il cui apice può essere inserito all’interno degli osti coronarici e in maniera atraumatica realizzare una perfusione coronarica selettiva. In alternat iva, qualora gli osti coronarici siano impraticabili perchè dissecati o perchè interessati da anomalie anatomiche congenite si può procedere all’infusione retrograda della cardioplegia mediante posizionamento di cannule specifiche in seno coronarico o in casi selezionatissimi attraverso l’utilizzo di un graft venoso anastomizzato ad una arteria coronaria (come fosse un vero e proprio bypass) come “cannula” di infusione. Infine, nei casi in cui il miocardio sia particolarmente rappresentato, ipertrofico o ci sia una importante compromissione del microcircolo, si può scegliere di eseguire una strategia di perfusione mista e combinata, anterograda e retrograda, procedendo al posizionamento simultaneo sia della cannula in aorta ascendente che in seno coronarico in modo da ottenere la perfusione del circolo vascolare coronarico da entrambi i versanti e assicurare il raggiungimento anche dei distretti vasali più distali. 3.3 TECNICHE DI INCANNULAZIONE NELLA CHIRURGIA OPEN (COMENTALE) Un classico intervento di cardiochirurgia prevede un approccio tramite sternotomia mediana. Le borse di tabacco. Da un punto di vista tecnico l’atto chirurgico fondamentale, anche se non sempre necessario (almeno nel caso della cannulazione periferica, come verrà illustrato successivamente), per procedere alle fasi di incannulazione è il confezionamento di una sutura emostatica ed ermetica che servirà da un lato ad ancorare ed assicurare la cannula al vaso nel quale viene posizionata ed a chiudere l’incisione una volta che questa viene rimossa. Questa particolare sutura prende il nome di borsa di tabacco e consiste, così come indica il nome, in una sutura più o meno circolare nel quale il filo di sutura viene passato ad alternanza nel tessuto in modo da creare una sorta di collare che stringe il tessuto o la cannula al suo interno. Il filo di sutura ed il relativo calibro utilizzato per il confezionamento di questa sutura varia a seconda del paziente, dell’età, del tessuto e del chirurgo operatore tuttavia nella maggior parte dei casi per le caratteristiche di annodabilità e tenuta viene preferito un filo di sutura non riassorbibile, monofilamento e con ago ad entrambe le estremità. Una volta completata la sutura circolare, entrambi gli aghi alle estremità vengono rimossi ed i due capi del filo di sutura vengono agganciati da un particolare strumento che ne permetterà lo scivolamento all’interno di un tubicino di silicone, detto tourniquet, che servirà poi per imprimere pressione sulla sutura e mantenere il filo in tensione attorno alla cannula. Siti di confezionamento delle borse di tabacco. Per quanto riguarda il sito dove procedere al confezionamento della borsa di tabacco è chiaro che questo cambi non solo a seconda del tipo di cannulazione scelta ma anche delle caratteristiche tissutali riscontrate al momento. Nel caso venga scelta una cannulazione atrio cavale la borsa di tabacco viene confezionata circondando l’auricola di destra o a livello del tetto dell’atrio destro. Nell’ambito della cannulazione venosa bicavale invece il sito di scelta per la borsa di tabacco per la vena cava superiore è solitamente la parete anteriore della vena cava stessa prima che questa sbocchi in atrio destro; in questo caso va prestata particolare attenzione al sito di confezionamento della borsa in quanto proprio al di sotto della giunzione tra vena cava superiore ed atrio destro si localizza il nodo seno atriale che pertanto potrebbe risultare accidentalmente danneggiato durante tali manovre. La borsa di tabacco sulla vena cava superiore, così come quella su qualsiasi altro distretto venoso, va confezionata con estrema delicatezza avendo cura di includere nella sutura la parete vasale a tutto spessore data la particolare fragilità che caratterizza le pareti del distretto venoso; per tali motivi, alcuni operatori scelgono solitamente l’auricola destra come sito di confezionamento della borsa di tabacco per la cava superiore che sarà poi drenata da una cannula ricurva ed appositamente modellata spinta all’interno di essa attraverso la borsa. Per quanto riguarda la cava inferiore, invece, la borsa di tabacco viene di solito confezionata sul versante inferiore del tetto dell’atrio di destra a causa della posizione declive di suddetta vena e dell’estrema fragilità della stessa; solo in casi scelti si opta per il confezionamento diretto della borsa di tabacco sulla vena cava inferiore e cioè in quelli in cui sia necessario eseguirvi delle anastomosi come per esempio nell’intervento di Fontan modificato o nel trapianto di cuore. Il confezionamento della borsa di tabacco sul versante arterioso invece impone una leggera modifica della tecnica. Innanzitutto, il primo step da eseguire prima di procedere all’esecuzione della borsa è la delicata manipolazione della parete vascolare al fine di saggiare l’eventuale presenza di placche ateromasiche e/o calcifiche che potrebbero ostacolare il confezionamento della sutura, rompersi durante le fasi di clampaggio, embolizzare o addirittura minare l’integrità strutturale del vaso stesso. Una volta scelto il sito più appropriato, che sull’aorta è di solito individuato li dove il pericardio viscerale si riflette sul pericardio parietale, si procede all’esecuzione di due borse, una interna e l’altra esterna, che verranno confezionate in modo che il filo di sutura attraversi l’avventizia e solo lo strato superficiale della tonaca media, a piccoli passi ed in modo che questo si intraveda in trasparenza per tutto il suo decorso. Queste accortenze sono di fondamentale importanza in quanto da un lato, attraversare la parete aortica a tutto spessore mette in comunicazione il lume vascolare ad alta pressione con gli strati più superficiali esponendo l’aorta alla formazione di ematomi intramurali ed al rischio di dissezione, e dall’altro non ancorare bene la sutura attraverso la scelta di un passo di sutura ampio va a comprometterne la tenuta al momento della chiusura della borsa dal momento che le linee di forza dirette verso il centro della stessa sono insufficienti per garantire una corretta emostasi ed una chiusura ermetica. Una volta terminate le borse sul distretto vascolare arterioso e venoso si può poi procedere al confezionamento delle stesse sulla vena polmonare superiore di destra o sul tronco polmonare per il posizionamento delle cannule di venting ventricolare ed infine quelle sull’aorta ascendente 2-3 cm al di sopra della giunzione sino-tubulare per l’ancoraggio di una cannulina di piccolo calibro per l’infusione della soluzione cardioplegica ed il ventaggio aortico. La cannulazione dei vasi periferici prevede lo stesso tipo di tecnica fatta eccezione per i casi in cui la perfusione arteriosa attraverso un vaso periferico (ascellare o femorale) venga effettuata non attraverso l’utilizzo di una cannula endoluminale ma attraverso un condotto protesico anastomizzato direttamente alla parete del vaso da perfondere. Fase di cannulazione ed avvio della circolazione extracorporea. Una volta completato il posizionamento delle borse di tabacco sui distretti anatomici da incannulare si può procedere alla fase di cannulazione vera e propria previa eparinizzazione sistemica del paziente. Conditio sine qua non per l’avvio della circolazione extracorporea infatti è che il paziente sia scoagulato al fine di evitare la formazione di trombi in seguito al contatto del sangue con pareti vascolari non biologiche come sono i circuiti della CEC. Questo si ottiene attraverso l’infusione di una quantità determinata di eparina tale da consentire un valore di ACT > 480 sec. Il primo vaso ad essere incannulato, per le ragioni di sicurezza sopracitate, è sempre quello arterioso. Solo per quanto riguarda l’aorta, prima di incidere il vaso vero e proprio, si procede all’apertura, mediante piccole forbici, degli strati avventiziali al centro della borsa di tabacco fino ad arrivare ad esporre la tonaca media; successivamente, su di essa viene praticata una incisione con una lama da bisturi all’interno del quale viene poi inserita la cannula avendo cura di rispettare il verso di perfusione qualora questo ne abbia uno individuato da eventuali marker presenti su di essa. La cannula viene cosi assicurata al vaso stringendo le borse di tabacco mediante i tourniquets, collegata al circuito arterioso della circolazione extracorporea in modo che all’interno non si vengano a creare delle bolle d’aria ed infine fissata ai teli del campo chirurgico. Fatto questo, si procede alla cannulazione del distretto venoso con una tecnica simile a quella utilizzata per quello arterioso: viene introdotta la cannula che, come per il versante arterioso, viene prima assicurata al paziente stringendo la borsa di tabacco, poi collegata al circuito venoso della circolazione extracorporea. Una volta avviata la circolazione extracorporea, qualora sia necessario e richiesto, si procede al posizionamento delle cannule di ventaggio e della cardioplegia. Fase di svezzamento dalla circolazione extracorporea e decannulazione. Terminata la parte centrale dell’intervento chirurgico si può procedere allo svezzamento dalla circolazione extracorporea e, eventualmente, alla decannulazione. Questa fase consiste, essenzialmente, nella progressiva riduzione dei flussi di perfusione forniti dalla macchina cuore-polmoni avendo cura di ricostituire un adeguato stato di riempimento delle cavità cardiache ed una stabilità emodinamica, con o senza supporto farmacologico, che consenta l’interruzione della circolazione extracorporea e la riconsegna del supporto circolatorio all’attività cardiaca del paziente (weaning circolatorio). Una volta fatto ciò, si procede alla rimozione della cannula venosa, alla chiusura della borsa di tabacco mediante il tourniquet, ed alla somministrazione della protamina. 3.4 TECNICHE DI INCANNULAZIONE PERCUTANEA (COMENTALE) Il sistema di incannulazione appena descritto non rappresenta però l’unica tecnica che consente di posizionare le cannule per la circolazione extracorporea. Nel caso in cui sia necessario supportare l’emodinamica del paziente in condizioni di emergenza che non richiedano o in cui non concomiti l’apertura del torace (come ad esempio nel corso di un intervento cardiochirurgico) queste possono essere posizionate velocemente anche per via percutanea attraverso l’utilizzo di una guida ecografica e della tecnica di Seldinger. Per la scelta del sito di cannulazione le considerazioni da fare in merito sono quelle già esposte in precedenza per la chirurgia open e la tecnica che verrà descritta è la medesima sia per il posizionamento della cannula arteriosa che di quella venosa. Il primo passo da effettuare è il reperimento del vaso scelto e la sua successiva puntura sotto guida ecografica o radiologica, si posiziona al suo interno una guida metallica utilizzando come tramite un apposito ago con il quale è stato reperito il vaso. Fatto ciò, l’ago viene rimosso avendo cura di lasciare la guida metallica all’interno del vaso e vi si fanno scorrere sopra dei dilatatori di calibro progressivamente maggiore che hanno appunto la funzione di “preparare la strada” attraverso cui dovrà passare la cannula di drenaggio e/o perfusione. Nel caso di incannulazione femorale, la cannula di drenaggio può spinta fino in atrio destro ed il suo posizionamento viene controllato mediante immagine ecocardiografica mentre per quella di perfusione è sufficiente lasciarla in arteria femorale. Al termine della fase di posizionamento della cannula all’interno del vaso la guida metallica viene sfilata, le cannule assicurate al paziente mediante appositi sistemi di fissaggio e collegate al circuito per la perfusione extracorporea. Quando il supporto si renderà poi non più necessario sarà sufficiente sfilare le cannule dopo aver interrotto la circolazione extracorporea avendo cura di effettuare delle adeguate e prolungate manovre di compressione al fine di chiudere la breccia vascolare ed evitare spandimenti emorragici tissutali o di utilizzare appositi sistemi di chiusura percutanea. 4. LA MACCHINA CUORE-POLMONI (ALESSANDRA) La macchina cuore – polmone (MCP) è essenzialmente costituita da una serie di pompe : master : sostituisce la funzione cardiaca; vent : aspira il sangue dalle sezioni sx refluo da circolo bronchiale; aortico : aspira il sangue dall’aorta ; aspiratore da campo : aspira il sangue dal campo operatorio; perfusione cerebrale (kazui) : protezione neurologica negli arresti di circolo; cardioplegia : protezione miocardica durante il clampaggio aortico ; drenaggio venoso : favorisce il ritorno nel cardiotomo (drenaggio attivo); perfusione organi viscerali e midollo spinale : correzione di patologie a carico dell’aorta toracica. 4.1 LE POMPE DI PERFUSIONE (ALESSANDRA) Esistono due tipologie di pompe : la pompa roller utilizzata sia come mezzo di somministrazione (master, cardioplegia, perfusione cerebrale, perfusione midollare) che come aspiratore e la pompa centrifuga utilizzata solo come master e per un’eventuale drenaggio venoso attivo. La pompa roller è costituita da un doppio rullo ruotante che nel suo movimento esercita una pressione costante e regolare lungo la semicirconferenza del segmento tubo -detto sottopompa- alloggiato in essa spingendo il sangue verso il paziente (master,kazui,cardioplegia) o aspirandolo nella funzione di aspiratore ( vent,aspiratore di campo, aspiratore aortico). La pompa roller comunemente utilizzata durante gli interventi di routine assicura un’adeguata perfusione se i tempi di by-pass non sono troppo lunghi. Infatti per il suo principio di funzionamento risulta essere molto emolitica dopo un certo numero di ore soprattutto nella funzione di aspiratore se mandata ad un elevato numero di giri. Per taratura si intende la quantità di flusso fornita dalla pompa ad un determinato numero di giri al minuto e varia al variare della grandezza del sottopompa. I sottopompa più comunemente utilizzati sono da ¼, da 3/8 e da ½ inch. Ogni sottopompa conterrà una certa quantità di fluido che il rullo spingerà ad ogni giro che compierà schiacciandolo. Un sottopompa da ¼ può contenere 14ml , quello da 3/8 28ml ed infine quello da ½ 45ml. Le cifre che compariranno sul display della pompa e che indicheranno il Flusso non saranno altro che il risultato della moltiplicazione tra la quantità di fluido contenuta nel sottopompa ed il numero di giri –unica lettura reale- cui si faranno girare i rulli al minuto. L’attendibilità del risultato l’avremo a temperatura costante , ad un basso numero di giri con la giusta occlusione. L’occlusione è l’adeguata distanza tra il rullo ed il sottopompa, giusta perché il primo schiacci il secondo in modo dar far avanzare il fluido in esso contenuto, ed è influenzata dalla qualità del tubo (silicone,PVC,Tygon) e dalla temperatura. Si ritiene una corretta occlusione la forza determinata dai rulli sul sottopompa in modo che il fluido contenuto nella linea arteriosa ,mantenuta ad 80cm di altezza rispetto ai rulli stessi, scenda di 1cm al minuto. Una corretta occlusione otre a garantire un flusso adeguato minimizza i danni al sottopompa ed alle varie componenti del sangue. Il numero di giri, quindi, è l’unica lettura reale che abbiamo mentre il flusso, influenzato da diversi fattori quali resistenze , shunt , temperatura (che modifica la forma originaria del sottopompa variando l’occlusione), è solo indicativo La conferma dell’adeguatezza del flusso l’avremo invece dall’analisi di una serie di parametri che andremo a verificare e che derivano dal confronto tra quelli direttamente da noi controllati e quelli che derivano dalle reazioni dell’organismo. Essendo una pompa occlusiva non solo non risponde automaticamente alle variazioni di pre e post carico ma può presentare il rischio di sovrapressurizzazione e di embolizzazione del circuito. La pompa centrifuga non occlusiva basa il suo funzionamento sul principio della forza centrifuga. E’costituita da una campana sul cui apice entra il sangue che, costretto a girare vorticosamente per opera di un magnete, viene indirizzato verso l’uscita posta lateralmente. Sul display dell’unità di controllo è possibile leggere il numero di giri della campana , il flusso di perfusione, la pressioni di resistenza al flusso rilevate lungo la linea arteriosa , lungo la linea della cardioplegia e lungo la linea dell’eventuale perfusione cerebrale. All’unità di controllo è collegata una sonda di flusso che ci darà una lettura elettromagnetica del flusso. Caratteristica del vortice costretto è la costanza dell’energia data dalla somma dell’energia cinetica (Flusso) e dell’energia potenziale (Pressione). Se ne deduce che a parità di numero di giri (energia costante) della campana, con un pre-carico adeguato, se aumenta il Flusso ci sarà stata una proporzionale riduzione della Pressione a valle o al contrario un aumento di Pressione comporterà una riduzione del Flusso. Al vortice costretto si applica il II principio della dinamica secondo cui F = m x a cioè la Forza è data dalla Massa per l’Accelerazione , che tradotto nella nostra pratica clinica ancora avremo che il Flusso è dato dalla Massa per il numero di Giri. Quindi se consideriamo la massa dell’aria uguale a zero sappiamo che se entrerà aria massiva nella campana non ci sarà Flusso a qualsiasi numero di Giri e di conseguenza aria pompata nel circolo arterioso del paziente. Inoltre il rischio di embolizzazione si riduce notevolmente anche con l’ingresso nella campana di piccole quantità d’aria andandosi quest’ultime a porsi nella parte centrale del cono a pressione piu bassa. Con la pompa centrifuga, non essendo occlusiva, non vi è nessun rischio di sovrapressurizzazione del circuito provocato dal mal posizionamento della cannula aortica o dall’involontario restringimento della linea arteriosa , mentre il rischio del rilascio di materia particolata , provocato nella roller dal fenomeno della frammentazione a cui è sottoposto il sottopompa in modo tempo-dipendente, è del tutto eliminato. Con la pompa centrifuga abbiamo una lettura elettromagnetica reale del flusso, importante per prevedere e controllare più facilmente l’adeguatezza della perfusione. Quest’ultima è favorita dalla caratteristica tecnica della pompa di rispondere automaticamente alle variazioni delle resistenze vascolari sistemiche che si presentano durante il CPB, aumentando o riducendo a parità di giri il flusso in caso di vasodilatazione o vasocostrizione del paziente. La pompa centrifuga infine risulta essere più durevole e meno emolitica della roller. Esiste un’unica condizione controindicata per l’utilizzo della pompa centrifuga ed è quella nella quale si presenti una condizione di alta pressione negativa all’ingresso della campana ed alta pressione all’uscita della stessa. In queste condizioni all’interno della campana si creeranno delle aree di flusso stagnante con conseguente riduzione della portata arteriosa (post-carico) ed in cui i globuli rossi sottoposti ad uno stress di parete si romperanno. Tutto ciò si potrebbe realizzare durante il CPB con l’applicazione di un drenaggio venoso attivo in presenza di poco ritorno venoso e basso numero di giri della campana o durante ECMO con una forte riduzione del precarico, il tutto aggravato magari da un’ alta resistenza nel post-carico. 4.2 L’OSSIGENATORE (ALESSANDRA) Se la pompa viene utilizzata serve per sostituire temporaneamente l’attività cardiaca, l’ossigenatore per la sospensione temporanea della funzione respiratoria come diretta conseguenza della deviazione del ritorno venoso dalle cave al cardiotomo. L’incremento del ritorno venoso al cardiotomo e del flusso della pompa nel circolo arterioso in aorta comporta la graduale riduzione da parte del cuore della portata sistemica ed una più importante riduzione della portata polmonare. Il polmone naturale è l’organo responsabile dello scambio di ossigeno ed anidride carbonica tra il sangue e l’ambiente esterno. La vasta area di superficie e la bassa resistenza alla diffusione del gas attraverso l’interfaccia alveolo-polmonare sono i due fattori principali responsabili dell’alta efficienza dello scambio dei gas nel polmone. Il disegno sferico degli alveoli crea una lunga superficie per lo scambio dei gas (300 milioni di alveoli con una superficie totale di circa 70 m2). I capillari che vascolarizzano gli alveoli sono lunghi da 0,5 a 0,7mm. per una superficie totale del letto capillare polmonare di 100m2, tale da assicurare che i globuli rossi siano in costante contatto con la superficie endoteliale in intimo rapporto con l’epitelio alveolare attraverso la membrana alveolo-capillare, sottilissima parete di 0,2-0,5 micron attraverso cui avvengono gli scambi gassosi. Gli scambi gassosi avvengono attraverso la membrana per diffusione e sono guidati dal gradiente di pressione parziale dei gas, ovvero da un’area ad alta concentrazione ad una più bassa. Il trasporto dei gas per diffusione è tanto più efficiente quanto più grande è l’area di diffusione e quanto più piccolo è lo spessore della membrana di scambio. La diffusione è inoltre influenzata dalla permeabilità della membrana, dal tempo e dal volume di contatto del sangue esposto sulla superficie di scambio. L’Ossigenatore artificiale deve essere capace di fornire un’efficiente e bilanciato scambio dei gas assicurando minor trauma e reazione possibile ai componenti corpuscolati del sangue, mantenendo la prestazione nel tempo con bassi volumi di riempimento e con superficie di scambio più grande possibile. Attualmente vi è un solo tipo di ossigenatore definito a membrana, perché in esso sangue e gas sono separati da una membrana, dove all’interno scorre il gas ( miscela aria-ossigeno ) ed all’esterno il sangue. Distinguiamo gli ossigenatori a membrana capillare microporosa in polipropilene da quelli a membrana capillare in polimetilpentene. Nei primi la membrana capillare è microporosa ed il gas non dissolve attraverso il materiale della membrana , ma attraverso pori microscopici presenti nella membrana stessa e per differenza di concentrazione. Certificati per 6 ore sono comunemente utilizzati per eseguire CPB applicati durante gli interventi di CCH. I micropori che agiscono come condotti devono avere un diametro inferiore ad 1um per impedire il fenomeno dell’edemizzazione della membrana al quale si va incontro dopo molte ore di lavoro per il passaggio di siero all’interno del capillare con riduzione della capacità funzionale dell’ossigenatore. I secondi sono a membrana capillare non microporosa e lo scambio avviene per diffusione secondo gradiente di concentrazione ai due lati della membrana. Molto più costosi dei primi certificati per almeno 15 giorni sono utilizzati per lunghe assistenze cardiopolmonari (ECMO). Nonostante la grande evoluzione che negli anni la progettazione di questi dispositivi ossigenanti hanno avuto affinchè si avvicinassero quanto più possibile alla fisiologia del polmone naturale, si è ancora molto lontani dal riuscirci. In un paziente adulto a fronte dei 100m2 di letto capillare in intimo rapporto con i 70m2 di superficie alveolare attraverso la membrana alveolo-capillare dello spessore di 0’2-0,5um, per entrambi i tipi di ossigenatori le membrane piuttosto spesse si intersecano tra di loro per aumentare la superficie di scambio che non supera l’1,5m2 creando percorsi ematici di 10-15cm che inevitabilmente producono una resistenza al flusso provocando una caduta di pressione. Inoltre lontani dalla condizione nel polmone naturale in cui i globuli rossi sono in diretto contatto con la superficie endoteliale , nel polmone artificiale il sangue scorre con una velocità costante ma come se fosse costituito da tanti strati dove i più vicini alla membrana capillare saranno quelli più saturi di ossigeno rispetto a quelli che scorreranno al centro più veloci (fenomeno della stratificazione). Per la gestione della quantità di miscela di gas , costituita da aria e ossigeno, e della proporzione tra le due da inviare all’ossigenatore bisognerà rapportarsi alla quantità di flusso ematico, che orientativamente sarà almeno il doppio della quantità di gas, e per quanto attiene alla PO2 e PCO2 desiderate bisognerà comportarsi quanto segue: -per aumentare la PO2 aumentare la percentuale di O2; -per diminuire la PO2 ridurre la percentuale di O2; -per aumentare la PCO2 ridurre il flusso totale di gas; -per diminuire la PCO2 aumentare il flusso totale di gas. Gli ossigenatori hanno assemblato nella parte alta il cardiotomo, un dispositivo che convoglia il sangue venoso drenato dall’atrio destro e quello aspirato dalle varie linee di aspirazione previo filtraggio attraverso due camere filtranti distinte tra il drenato e l’aspirato dove per quest’ultimo generalmente è previsto un filtro costituito da una rete più stretta in grado di trattenere l’eventuale presenza di coaguli, frustoli ossei e grasso provenienti dal cavo pericardico. Oltre alla la linea venosa ed alle linee di aspirazione,vengono collegate alla sommità del cardiotomo la linea di riempimento veloce ed eventuali linee di ricircolo con l’ossigenatore. Applicando al cardiotomo un sistema di aspirazione dell’aria presente in esso (vuoto) si può ottenere un drenaggio attivo del sangue proveniente dal sistema venoso del paziente. Nella parte inferiore sarà invece collegata la linea che attraverso la pompa master porterà il sangue venoso nel modulo ossigenante. Durante il by-pass si dovrà mantenere sempre un livello minimo di sangue consigliato (200-300ml) nel cardiotomo per scongiurare il rischio di embolie gassose. Infine il modulo ossigenante presenta oltre alla connessione per la linea d’ingresso del sangue venoso quella per l’ingresso dei gas, di uscita degli stessi, di uscita del sangue arterioso , di uscita detta coronarica per un’eventuale cardioplegia ematica, una o due di ricircolo con il cardiotomo, la connessione per la misurazione della temperatura del sangue arterioso ed infine i due ingressi per acqua mandata dal gruppo caldo-freddo. Nella loro parte bassa gli ossigenatori hanno incorporato lo scambiatore di calore la cui funzione è quella di fornire o sottrarre calore al sangue per raffreddare o riscaldare il paziente. Questo dispositivo é costituito da una serie di tubi metallici all’interno dei quali l’acqua inviata dal gruppo caldo-freddo circola controcorrente rispetto al flusso di sangue che passa all’esterno dei tubi favorendone in tal modo l’efficienza. La differenza di temperatura tra acqua e sangue e sangue e paziente non dovrà superare i 12°C per il rispetto dei gradienti termici nel paziente da un lato e per evitare nella fase del riscaldamento la formazione di bolle. In commercio esistono varie taglie di ossigenatori con dimensioni diverse in termini di superficie di scambio e di volume di riempimento tra cui distinguiamo un neonatale, un infant, un pediatrico , un adulto. 4.3 I circuiti (Alessandra) Una serie di tubi di vario calibro in PVC o in silicone, in cui scorre il sangue , uniranno tra loro tutti gli elementi del sistema formando il Circuito , costituito essenzialmente da : -linea di ritorno venoso ; -linea di reinfusione arteriosa ; -linee di aspirazione ; -linea di somministrazione della soluzione cardioplegica ; -linea per perfusione cerebrale ; -linea per la perfusione organi viscerali e midollo spinale ; -linea per la somministrazione dei gas. La composizione in termini di disegno ,lunghezza ,disposizione delle linee che andranno a comporre i circuiti non è standard ma varia viene indicata da centro a ogni centro per tradizione, per esigenze dettate da tecniche chirurgiche diverse e quant’altro, ed indicata alle ditte che andranno a fornirli. Per quello che attiene alle dimensioni dei circuiti ( misurati in inch : 3/16, ¼, 3/8, ½, 5/8 ), come per tutti gli altri elementi del sistema ( cannule,ossigenatore ) la scelta in termini di dimensione sarà fatta in base alla superficie corporea del paziente dalla quale si calcola il flusso di perfusione. E' prassi comune calcolare il flusso teorico della macchina cuore-polmone utilizzando il seguente coefficiente di calcolo: B.S.A. X 2,5 l/min/m2 (superficie corporea per indice cardiaco) La gittata cardiaca è la gittata sistolica moltiplicata per la frequenza cardiaca. L’indice cardiaco è un parametro emodinamico cardiovascolare che si ottiene dividendo la gittata cardiaca per la superficie corporea , al fine di correggere il valore di portata per il peso e la statura del paziente. I valori di riferimento dell’indice cardiaco vanno dai 2,5l ai 4l/min/m2 in condizioni di vita normale. Il flusso di perfusione teorico che altro non è che la quantità di sangue che circola al minuto per una determinata superficie corporea (dato dal peso e l’altezza del paziente) lo calcoliamo moltiplicando quest’ultima per un indice cardiaco pari a 2,5l – 3l/min/m2 ritenendolo un valore adeguato per mantenere il giusto equilibrio tra domanda ed offerta energetica nei vari tessuti essendo il paziente in una condizione di assoluto riposo. Questa condizione tuttavia non tiene conto delle reali esigenze metaboliche che oltre ad avere caratteristiche individuali, possono variare anche più volte durante l'intervento cardiochirurgico. La perfusione va considerata adeguata quando non esiste discrepanza tra apporto energetico fornito ai tessuti e le richieste energetiche degli stessi e può variare in relazione alla temperatura, ai tempi dell’intervento ed alla risposta metabolica del paziente da 1,6 a 3 l /min/m2. Tutto questo è necessario per un pieno recupero funzionale di tutti gli organi al ritorno alla circolazione sostenuta dal cuore dopo intervento. Per quello che attiene il materiale di cui sono composti i circuiti, nel rispetto e nell’attenzione che negli ultimi anni è stata rivolta alla biocompatibilità , la scelta si divide tra silicone e PVC. L’esposizione del sangue ad una superficie estranea provoca alterazioni delle proteine plasmatiche ed attivazione delle cellule ematiche. L’endotelio rimane ad essere l’unica superficie compatibile con il sangue senza che si alteri lo stato coagulativo. Quando il sangue viene in contatto con superfici diverse si instaura una cascata di eventi che rappresentano l’inizio del normale processo di cicatrizzazione. Oltre all’attivazione del sistema dell’emostasi, controllato con la somministrazione dell’eparina prima dell’ingresso in CEC, l’attivazione di tutte le proteine ematiche conducono ad una risposta infiammatoria dell’organismo che si puo’definire sindrome aspecifica post-perfusione. Per diminuire questi effetti negativi si sono sviluppate varie tecniche per creare supporti con aumentata emocompatibilità volte alla produzione industriale di trattamenti o rivestimenti delle superfici di contatto con il sangue. 4.4 Il priming (Alessandra) Al montaggio del sistema (pompa,ossigenatore,circuito), per eliminare tutta l’aria presente, segue il suo riempimento con soluzioni che costituiscono il cosiddetto prime o priming che al momento dell’inizio della procedura si andranno ad integrare con la volemia del paziente. Tale soluzione di riempimento va considerata sia dal punto di vista quantitativo che da quello qualitativo. Dal punto di vista quantitativo ci si troverà di fronte al problema di ridurlo al minimo soprattutto nel paziente di piccolo peso dove il rapporto tra volume di prime e volemia del paziente sarà sfavorevole per quest’ultimo , per essere sempre più “favorevole”al volume di prime man mano che il peso del paziente sarà maggiore. Quindi condizionati dalla dimensione dell’ossigenatore e del circuito utilizzati il volume di prime varierà dai 350ml circa nel neonato (3Kg.) che avrà una volemia di circa 240ml (80ml/Kg.), ai 900ml in un paziente adulto (70kg.) che avrà una volemia di 5600ml (80ml/Kg.). Dal punto di vista qualitativo le soluzioni scelte non dovranno provocare alterazioni chimico-fisiche, non dovranno causare danni biologici, devono essere isotoniche con il sangue (285 mOsm/l) e possono essere ematiche e cristalloidi e/o colloidali (emodiluizione parziale) o esclusivamente cristalloidi e/o colloidali (emodiluizione totale). Il sangue ed il plasma dovrebbero essere il costituente ideale ma presentano diversi inconvenienti quali : trasmissione di malattie virali, reazioni allergiche, polmone da perfusione, sindrome post-trasfusionale. L’emodiluizione in cardiochirurgia è l’applicazione di programmi atti a ridurre l’impiego di sangue omologo e viene applicato con sistemi intraoperatori di recupero sangue , con un’attenta emostasi da parte dei chirurghi e nel riempimento del circuito di CEC con soluzioni alternative. Se nell’adulto l’applicazione di tale programma il più delle volte porterà ad eliminare del tutto l’impiego del sangue (emodiluizione totale) nel paziente di basso peso solo a limitarne l’utilizzo (emodiluizione parziale). Infatti accettando per entrambi durante CEC un valore limite di Hb accettabile non inferiore a 8gr/dl, tale da assicurare un’adeguata ossigenazione anche periferica, considerando il rapporto volume-prime/volemia-paziente, mentre nell’adulto con un valore iniziale di Hb nella norma si potrà applicare un’emodiluizione totale nel piccolo paziente si raggiungerebbero valori di Hb e di Ht inaccettabili. Quindi nella composizione del prime verranno prese in considerazione alcuni elementi fondamentali : -volemia del paziente; -volume di prime; -ematocrito del paziente; -ematocrito desiderato; -elettroliti (funzionalità renale); -pressione oncotica (funzionalità epatica); -tecnica chirurgica ( ipotermia ). I primi quattro messi in relazione tra loro daranno luogo ad una formula che potrà dare un’indicazione precisa sulla composizione del prime per stabilire l’eventuale necessità di utilizzare il sangue. Nella scelta delle soluzioni non ematiche quest’ultime devono rispondere ad alcuni requisiti essenziali: - devono assicurare il mantenimento di un’osmolarità sierica costante (285 mOsm/l); - devono contenere ioni sodio, potassio, cloro,magnesio,calcio nella stessa concentrazione del sangue per evitare movimenti ionici indesiderati In definitiva devono essere isotoniche al sangue per evitare modificazioni a carico del volume cellulare dei globuli rossi in esso sospesi e non devono ridurre il potere colloido-osmotico del plasma per diluizione delle molecole colloidali. Dal punto di vista chimico distinguiamo: -soluzioni cristalloidi costituite da particelle piccole; -soluzioni colloidali costituite da particelle più grandi. Si preferiscono le prime alle seconde che somministrate in grosse quantità possono determinare insufficienza renale e deficit dell’emostasi(destrani), alterazioni elettrolitiche e metaboliche (emagel). Tra le soluzioni cristalloidi si preferiscono le salino-bilanciate che hanno una concentrazione ionica simile a quella sierica (Ringer), non dimenticando però che l’uso eccessivo potrebbe determinare una riduzione del potere colloido-osmotico del sangue. Nei pazienti affetti da proteinemia da insuff.epatica o immaturità d’organo come nel neonato si rende necessario l’utilizzo di Albumina , ed in quelli con insuff.renale l’uso di diuretici.

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