Capitolo 3 - Strategia Creativa PDF

Summary

This chapter discusses the origins and evolution of strategic planning in the context of marketing and advertising. It examines the roles of strategy and tactics, clarifies the differences between them, and describes the emergence of the strategic planner role. The chapter's focus on planning theory also includes the historical context and factors behind the development of strategic planning. This chapter is likely relevant for students or professionals in marketing or related fields.

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CAPITOLO 3 LA STRATEGIA CREATIVA LA NASCITA DEL PLANNING STRATEGICO Molti termini in uso nel mondo del marketing e della pubblicità derivano oppure hanno una forte attinenza col mondo militare. QUAL È L’ORGINE DELLA PAROLA STRATEGIA? Nasce dal greco antico ed è formata da due elementi: stratós...

CAPITOLO 3 LA STRATEGIA CREATIVA LA NASCITA DEL PLANNING STRATEGICO Molti termini in uso nel mondo del marketing e della pubblicità derivano oppure hanno una forte attinenza col mondo militare. QUAL È L’ORGINE DELLA PAROLA STRATEGIA? Nasce dal greco antico ed è formata da due elementi: stratós che significa “esercito” e ágō che si traduce con il verbo “condurre”. Ne consegue che lo stratega è il conduttore di un esercito o come dice la Treccani, una “persona particolarmente abile nell’individuare e perseguire i modi e i mezzi più opportuni per raggiungere un determinato scopo, per risolvere una situazione”. La strategia però non nasce in Grecia. Invece, per quanto riguarda la pubblicità, non bisogna andare così lontano, si può cominciare a parlare della formulazione di strategie per la realizzazione di campagne pubblicitarie a partire da qualche anno dopo la Belle Époque. Esattamente quando nelle agenzie entrano saperi che vengono dalla psicologia, dalla sociologia, dall’uso della ricerca per comprendere come farsi ascoltare e persuadere il pubblico, in un mondo che per gradi vede nascere nuovi consumi e modalità con cui esprimersi. Il cambiamento che porta alla creazione di una nuova figura professionale avviene alla fine degli anni ‘60 Prima però, è necessario chiarire l’uso dei termini: strategia e tattica. Tattica: è una linea di condotta che ci permette di ottenere dei vantaggi in un arco di tempo limitato. Le promozioni e il direct marketing sono prevalentemente tattici: mirano cioè a un aumento delle vendite in un determinato periodo e talvolta solo in un’area circoscritta. Le azioni tattiche non influiscono sulla notorietà e sull’immagine della marca; le promozioni non sono in grado di fare branding, ossia di costruire la marca. La marca è un valore per tutti, per l’azienda che la produce, e per il consumatore che la sceglie. Strategia: è una una linea che ci permette di ottenere dei vantaggi in un arco di tempo più prolungato come quello del medio e lungo periodo, inoltre si parte prima dall’obiettivo per poi elaborare una strategia ed arrivare ad applicarla attraverso delle tattiche. La nascita del planning strategico e della figura dello strategic planner avviene a Londra nel 1968, in quella che sarà chiamata Swinging London, dove tutto cambia e si evolve rapidamente. Il planning strategico ha due padri: Stanley Pollitt e Steven King. Pollitt, assieme a due soci, apre una nuova agenzia, la Boase Massimi Pollitt (BMP), una struttura inizialmente molto piccola. King invece, lavora all’interno della filiale di una multinazionale dell’advertising la J. Walter Thompson (JWT), consistente nelle dimensioni perché i dipendenti sono centinaia. Pollit era critico del lavoro degli istituti di ricerca, giacché le decisioni delle aziende nei confronti della comunicazione erano spesso condizionate dal lavoro svolto dagli istituti di ricerca. Essere in grado di formulare strategia rientra nella job description di un account executive però l’account ha una serie di attività in cui è coinvolto, per cui il suo day-by-day è pressato da impegni e il tempo da dedicare alla riflessione strategica è limitato. Pollitt sosteneva che gli account utilizzavano in modo improprio le ricerche perché anche i ricercatori che lavoravano all’interno dell’agenzia non erano coinvolti nel processo di sviluppo di una campagna. Per questo aprendo la sua agenzia decide di collocare la nuova figura professionale accanto ad ogni account. Il percorso che porta alla nascita di un reparto planning in Thompson è più lento. King sentiva l’esigenza di imperniare la conoscenza del processo pubblicitario su basi più scientifiche e meno legate al feeling. Era anche opportuno razionalizzare due reparti: il reparto marketing e il reparto media information, i cui compiti spesso tendevano a sovrapporsi. Nell’ottobre del ’68 nasceva il reparto planning, composto da ventiquattro planner, al termine di un’operazione che aveva modificato il ruolo di sessanta persone. Il nuovo professionista prende il nome di account planner e tale resterà in tutte le agenzie del Regno Unito, mentre negli Stati Uniti e in Italia si usa strategic planner. In BMP, la funzione del planner era legata anche ad un costante rapporto con i creativi; in JWT, agenzia con vocazione più scientifica, il planner è soprattutto uno stratega. Ovviamente con gli anni e con l’espandersi della presenza di planner in tutte le agenzie britanniche le differenze tenderanno a sfumare. I vantaggi ottenuti dall’introduzione della figura del planner nel Regno Unito sono diversi: Il planner migliora lo sviluppo di una campagna pubblicitaria, approfondendo il funzionamento del processo d’acquisto. Come agisce sulla relazione che si instaura tra consumatore e marca, coinvolgendo i creativi sul possibile funzionamento della città. Le strategie dei planner sono più precise rispetto a quelle degli account, perché focalizzate sulla comprensione del consumatore; Hanno maggiori possibilità di successo. A partire dagli anni ’80 la cultura del planning comincia ad essere esportata. Negli Stati Uniti, corrisponde a una forte crescita della creatività americana. In Italia la prima agenzia a dotarsi di un reparto planning è stata la J. Walter Thompson nel 1981, ma è solo negli anni ’90 che tutte o quasi le grosse agenzie assumono o formano dei planner. CHI È LO STRATEGIC PLANNER? Definizione: È “il rappresentante del consumatore”. Il planner esprime i bisogni e le problematiche dei consumatori, attuali e potenziali, per perfezionare il processo creativo; è in pratica la loro voce, che va ascoltata per poter comunicare e persuadere il pubblico. Per formulare altre definizioni, verranno utilizzate metafore: È un “investigatore”, perché proprio come i professionisti che svolgono un accurato lavoro di indagine per poter trovare il colpevole, così il planner deve studiare tutte le possibili tracce per scoprire un consumer insight. L’insight deriva dal mondo della psicanalisi, ma resta di pertinenza unicamente l’insight del consumatore: alludiamo al vero motivo che lo porta a preferire una marca piuttosto che un’altra. È un “medico della marca”, perché proprio come un medico che prima di esprimere la sua diagnosi, compie un’anamnesi e se ha dei dubbi richiede esami specialistici, così il planner ascoltando la necessità dei consumatori, eventualmente facendo ricerche specifiche, allo stesso modo analizza lo stato di salute della marca per far si che cresca nel migliore dei modi. È un “cercatore d’oro” perché come il cercatore con il suo setaccio cerca nei fiumi la pepita che potrebbe cambiargli l’esistenza, così il planner tra il cumulo di ricerche forse non troverà la risposta, ma lo stimolo che lo porterà a individuare il problema o l’opportunità di una marca. È un “pusher di creativi” (termine che in questo caso ha solo intenzioni ironiche), inteso come persona che spinge e che quindi stimola la creatività, così da accendere l’entusiasmo dei creativi che li porterà a dare il massimo. DAL BRIEFING DEL CLIENTE AL BRIEFING CREATIVO Definizione: il Briefing del cliente è incontro tra il committente e l’agenzia di pubblicità, che prima di lavorare per realizzare le campagne deve ottenere le informazioni utili a preparare un progetto. Nel caso si tratti di un’azienda con la quale si collabora da anni, non saranno necessari troppi preamboli o lunghe discussioni. L’agenzia conosce la sua marca, il mercato in cui opera, il consumatore e molte altre notizie acquisite durante gli anni di collaborazione, senza tralasciare il management aziendale. Nel caso si tratti di un cliente nuovo, bisogna conoscerlo bene per poter lavorare nel modo migliore: Cosa offre (come si consuma, come e quando si usa, che vantaggi offre rispetto ai concorrenti…); Il mercato in cui opera; Lo scenario dei consumi; La storia del brand (quando, perché nasce, come si sviluppa…) Il budget Chi è il consumatore Perché preferisce una marca o perché la rifiuta. È necessaria la definizione del fee (il compenso) per l’agenzia. Il compito dell’agenzia è comprendere il problema della marca, che solitamente viene espresso dal cliente. L’agenzia può risolvere un problema di notorietà o di immagine della marca, mentre a tutto il resto deve pensare l’azienda. Dopo la riunione di brief del cliente, verrà fatta un’altra riunione questa volta all’interno dell’agenzia, ossia la riunione di briefing creativo, nella quale il planner supportato dall’account presenterà al copywriter e all’art director il brief creativo (o copy strategy). Definizione: il brief creativo è un documento sintetico che dà il via al processo creativo. IL CICLO DELLA PIANIFICAZIONE STRATEGICA (PLANNING CYCLE) Prima di parlare di strategia creativa (creative brief), è necessario descrivere le tappe fondamentali che permettono di arrivare a fornire ai creativi gli input necessari per il loro lavoro. Nel ciclo della pianificazione, rientra la fase strategica. Il ciclo si basa su cinque domande, alle quali occorre rispondere in senso orario: 1. Dove siamo? Dobbiamo disporre di una serie di informazioni relative soprattutto al brand awarness cioè la percentuale di persone del pubblico che conosce la nostra marca e alla brand image, ossia l’immagine, la reputazione della marca. È fondamentale conoscere la situazione dell’intero mercato. 2. Perché siamo qui? I dati di base non sono sufficienti. Bisogna disporre di ricerche qualitative. L’ascolto del consumatore deve farsi più attento, non limitandoci solo a chi acquista il nostro prodotto, ma anche a chi consuma beni del mercato nel quale opera la nostra marca, senza dimenticare che coloro che la scelgono possono sempre sostituirla con altre. 3. Dove vogliamo arrivare? La definizione di un obiettivo che porta a definire concretamente una strategia creativa. Una strategia corrisponde proprio alla necessità di raggiungere un obiettivo. La marca ha già un positioning consolidato, ma modificarlo potrebbe creare una nuova strada. 4. Come possiamo arrivarci? È venuto il momento di scrivere la strategia. Abbiamo identificato il problema di base della marca, oppure un’opportunità che possiamo sfruttare. In questa fase stabiliamo l’obiettivo da perseguire. Nel caso non lo avessimo fatto in precedenza, dobbiamo definire chi deve essere il pubblico principale che vorremmo raggiungere con la nostra campagna, il messaggio da inviargli, il tono di voce col quale parlargli e quale reazione vorremmo ottenere. 5. Ci stiamo arrivando? La quinta fase riguarda le verifiche successive. Poi seguono le fasi di controllo, perché il lavoro del planner non si limita alla formulazione di un brief creativo (copy strategy), ma comprende anche una costante una costante attenzione nei confronti delle marche delle quali è responsabile. LA FASE ANALITICA La fase di analisi che presiede alla domanda “perché siamo qui?”, in quanto è quella che spesso assorbe una quantità di tempo maggiore rispetto alle altre. LA FCB GRID Uno degli strumenti a disposizione per il lavoro di analisi è la FCB Grid, elaborata da Robert Vaugh per l’agenzia americana Foote, Cone and Belding (FCB), nel 1980. Il modello, importante per identificare come i prodotti e i servizi vengono percepiti dalle persone, prende spunto dalla ripartizione del cervello umano, nel quale la parte sinistra presiede alla razionalità, al calcolo, mentre quella destra alle emozioni e alla creatività. Di conseguenza il pubblico avrà nei loro confronti un “approccio” razionale oppure emotivo. A questo si aggiunge la voce “coinvolgimento” inteso come la valorizzazione di quanto preso in esame, cioè se un prodotto è vissuto come costoso (“alto”) o invece economico (“basso”). Partendo da questi item, si vanno a formare quattro quadranti con delle caratteristiche specifiche. 1. Il primo tratta beni di rilevanza, molto costosi, la cui scelta viene fatta razionalmente (esempio: polizza assicurativa per la macchina); 2. Il secondo tratta beni costosi, ma che ci scaturiscono delle emozioni (esempio: un’auto sportiva che ci emoziona per eleganza e design, abiti firmati, profumi); 3. Il terzo tratta beni che non ci impegnano economicamente e che scegliamo razionalmente (esempio: rasoi, detersivi, saponette); 4. Il quarto tratta beni che non ci impegnano economicamente ma che ci evocano piacevoli sensazioni (esempio: bibite, snack, saponette profumate). Sia pur in modo schematico, possiamo formulare delle indicazioni su quali potrebbero essere le strategie più opportune per i prodotti che si trovano nei vari quadranti. La FCB Grid è quindi uno strumento valido anche per verificare come si posizionano le marche nella mente del consumatore. Esempio: se parliamo di computer, è evidente che ci troviamo nella parte superiore dell’asse delle ascisse, ma non necessariamente sullo stesso quadrante. Se parliamo di computer, è evidente che ci troviamo nella parte superiore dell’asse delle ascisse, ma non necessariamente nello stesso quadrante. IBM si colloca infatti nel primo, mentre Apple nel secondo. Sono stati anni di comunicazione (prevalentemente razionale per IBM ed emozionale per Apple) a costruire due identità ben distinte. Collocare le varie marche nella Grid significa creare una mappa che ci permette di fare delle riflessioni. Occorre anche porsi degli obiettivi realistici per evitare di trovarci successivamente delusi. IL PROCESSO D’ACQUISTO Comprendere come avviene il processo d’acquisto di un prodotto permette di riflettere quando, dove e come fornire degli stimoli per avvicinare il pubblico alla nostra marca. Un prodotto che richiede un investimento abbastanza consistente prevede diversi passaggi, mentre per uno di basso prezzo tutto avviene velocemente. Si riceve uno stimolo. A cui segue la riflessione A cui segue la ricerca A cui segue l’imbarazzo della scelta. La parte finale prevede l’acquisto. I diversi passaggi condizionano la scelta degli strumenti di comunicazione. Queste fasi accompagnano l’acquisto di beni impegnativi. Quale stimolo ci può essere dietro l’acquisto di un bene non impegnativo, come un detersivo o una marmellata? Probabilmente si tratta di prodotti che stiamo consumando e finendo, che dovremmo comprare insieme ad altri prodotti. In un supermercato, per la riflessione e la ricerca non c’è molto tempo, dunque la scelta sarà automatica se siamo fedeli ad una marca. Diversamente possiamo farci condizionare da uno sconto o da un nuovo prodotto. In entrambi i casi, che si tratti di prodotti prestigiosi o economici, i vari strumenti di comunicazione (online e offline) sono fondamentali per mantenere la notorietà e il prestigio del brand. LA COPY ANALYSIS E LA MAPPATURA DEI MESSAGGI Un’agenzia che lavora in modo professionale non può assolutamente trascurare la comunicazione dei concorrenti. Un progetto di comunicazione necessita di analizzare le campagne degli ultimi anni relative al mercato in cui operiamo. Un altro aspetto per cui è necessario monitorare la pubblicità dei competitor è quello di evitare di copiare involontariamente quanto fatto da altri. Lo studio dei messaggi della concorrenza è chiamato copy analysis: non si analizza solo la parte verbale degli annunci, ma l’insieme, proprio perché testo e immagini contribuiscono a formare un unicum. Di ogni singola campagna si decodifica il target group al quale si rivolge, la promessa che la marca fa al pubblico, la reason why (motivazione), il tono di voce (mood) e il trattamento creativo, ossia la modalità con la quale la marca parla ai suoi consumatori (esempio: problem/solution, side-by-side, slice of life, testimonial, eros, humor). La copy analysis è un lavoro che nelle agenzie viene spesso affidato agli account junior e costituisce il primo passo per arrivare alla mappatura (mapping). Il lavoro si basa sulla decodifica dei messaggi fatta a tavolino, collocando sugli assi cartesiani le campagne analizzate, come si usa fare con la FCB Grid. Si analizza lo stimolo che si ricava dalla lettura dei messaggi. Come per la FCB Grid, le voci che si trovano sui lati opposti di ognuna delle assi devono essere dicotomiche, ossia opposte una all’altra. BRIEFING E BRIEF CREATIVO LA RIUNIONE DI BRIEFING Definizione: il briefing è la riunione nella quale si discute il documento di brief che è breve e sintetico. Per il cliente seguirà un documento più ampio, preceduto da tutte le premesse e considerazioni necessarie. La riunione di briefing dovrebbe costituire uno stimolo per la coppia creativa. Si tratta di creare l’atmosfera giusta per contribuire, assieme al documento di brief, all’energia creativa di chi preparerà la campagna. Esempio: un planner inglese ad una riunione di briefing per i Corn Flakes Kellogg’s si è presentato con due grosse tazze per la prima colazione. Una conteneva una pantofola per rappresentare Weetabix, il principale concorrente, l’altra una sveglia per significa che solo Kellogg’s fornisce la colazione ideale per cominciare una giornata carichi di energia. Chi partecipa al briefing? Il planner; L’account (o gli account); La coppia creativa; (Eventualmente) Il direttore creativo. I peggiori errori di un briefing: Essere semplici “passaparola” delle richieste del cliente. L’account o il planner, che hanno ricevuto dettagliate istruzioni da parte del cliente, non le devono trasmettere tali e quali a come le hanno ricevute. Il briefing non è un brainstorming. Quest’ultimo verrà fato in seguito dai creativi per la realizzazione della campagna. Il dialogo tra planner e creativi non deve essere disturbato dall’intervento di qualcuno esterno al processo che fornisce istruzioni contrastanti col documento redatto dal planner. SCRIVERE IL CREATIVE BRIEF È proprio necessario scrivere questo documento? Si, perché si tratta di un pratico strumento di lavoro, che serve a chi lo scrive come a chi lo riceve. Permette anche di ricostruire correttamente come è stata costruita una campagna. Uno scritto evita possibili fraintendimenti; è infatti opportuno, che l’account, dopo una riunione con il cliente, scriva un meeting report in modo da tenere a bada le incomprensioni (misunderstandings). Scrivere comporta però i suoi rischi. Le contraddizioni vanno evitate. La pigrizia così come anche la banalità sono dei rischi dai quali astenersi. Le domande di base per affrontare la scrittura di un brief potrebbero essere: A chi vogliamo indirizzare la campagna, il cosiddetto target group; Che cosa vogliamo dirgli, quindi la promessa che la marca rivolge al proprio target; Come glielo vogliamo dire, che significa con quale tono di voce. Domande basilari, ma insufficienti. Modello di Creative Brief (Stephen King, utilizzato alla JWT) o Qual è il principale problema della marca che dobbiamo affrontare? Deve trattarsi di un solo e unico problema, quello fondamentale. Si tratta di un problema che è nella mente delle persone, legato ai loro bisogni. o Qual è l’opportunità che possiamo sfruttare? Dev’essere una sola, quella fondamentale. Si tratta di un’opportunità riferita ai bisogni delle persone. È compito del planner intuire i segnali deboli destinati a diventare forti. o Che persona è il destinatario principale del messaggio? Descriviamo un individuo e le sue scelte di consumo, il suo rapporto con il prodotto e con la marca. Come compie le sue decisioni e l’atto stesso del consumo. o Qual è l’biettivo della pubblicità? L’effetto che si vuole ottenere da parte del destinatario del messaggio, spesso indicato con un verbo transitivo (persuadere, rassicurare, coinvolgere…). o Qual è il messaggio principale che vogliamo venga recepito? Una sola frase, come se i volessimo rivolgere a quella persona. o Quali sono i supporti che sostengono il messaggio principale? È la “reason why”, che serve a rendere maggiormente credibile il messaggio. o Qual è la risposta che si desidera ottenere dal destinatario primario del messaggio? È la reazione che dovrebbe avere chi è esposto alla nostra pubblicità. Occorre fare lo sforzo di ragionare come la persona che abbiamo precedentemente descritta, esprimersi con le parole che potrebbe usare. o Qual è il tono di voce suggerito? È il mood col quale la marca parla al suo potenziale consumatore. Viene prevalentemente espresso facendo uso di aggettivi (esempio: provocatorio, ironico, autoironico, rassicurante ecc.) o anche con brevi frasi facendo attenzione ad evitare gli ossimori. o Quali altre informazioni è necessario considerare? Su quali mezzi verrà pianificata la campagna? Con quali formati? Esistono implicazioni legali? Policy aziendali del cliente che vanno considerate? IL CONCEPT La fase successiva alla riunione di briefing può essere lo sviluppo di uno o più concept. È un metodo di lavoro che non tutti applicano. Si tratta di una fase, solitamente breve, molto vicina a quella che potrebbe essere una headline che costituisce un ulteriore aiuto al lavoro creativo. Era un classico compito dei creativi (soprattutto del copywriter), ora il compito di creare dei concept è prevalentemente svolto dal planner. Quest’ultimo non è un ricercatore, il suo lavoro è fatto in larga parte da intuito, di utilizzo del pensiero laterale e questo lo avvicina alla professione del creativo. Il concept contiene in breve, l’idea stessa della campagna, la stimola con più forza. Esempio: WWF (World Wide Fund of Nature), creato nel 1960, è la principale organizzazione mondiale che si occupa dell’ambiente e della protezione delle specie a rischio. La plastica gettata nei mari costituisce da anni un problema enorme per la sopravvivenza delle creature marine. L’annuncio mostra dei sacchetti di plastica accartocciati che formano una pistola pronta ad uccidere gli animali d’acqua che incontra nei fondali o galleggiando in superficie. Headline: “Nelle vostre mani i sacchi (di plastica) sono armi”; Body Copy: “Ogni anno l’inquinamento da plastica uccide più di un milione di creature marine”; Concept: “se butti della platica nel mare è come se lo uccidessi”. L’insight potrebbe essere: “Nonostante se ne parli da anni, molte persone non si preoccupano affatto della situazione precaria nella quale si trova il nostro pianeta. La plastica abbandonata in mare può causare danni enormi: ognuno deve assumersi la responsabilità anche delle piccole-grandi azioni quotidiane, necessarie per evitare danni ancora più gravi”. Il concept può diventare uno stimolo così forte da sostituire un documento stilato per punti. Creative brief, concept, insight: tre diverse modalità che possono anche incrociarsi, ma la cui difficoltà di attuazione è molto diversa.

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