Biologia generale - 2.1 PDF
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These notes cover the cell cycle, including its stages (G1, S, G2, and M), control mechanisms, and methods of study. It also describes meiosis, the process of sexual reproduction in eukaryotic cells. The document emphasizes the roles of cyclins, kinases, and checkpoints in regulating cell division.
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IL CICLO CELLULARE E’ uno dei processi più longevi della vita, presente da miliardi di anni e rappresentante l’origine delle cellule. E’ talmente efficace da essere stato adottato in tutto il corpo, indipendentemente da origine e natura. Nell’individuo adulto, ogni cellula è stata costruita con l’ob...
IL CICLO CELLULARE E’ uno dei processi più longevi della vita, presente da miliardi di anni e rappresentante l’origine delle cellule. E’ talmente efficace da essere stato adottato in tutto il corpo, indipendentemente da origine e natura. Nell’individuo adulto, ogni cellula è stata costruita con l’obiettivo di avere una vita longeva, a parte per quelle ematopoietiche (breve): tutte le cellule dei nostri organi sono post-mitotiche. Le cellule staminali adulte sono in grado di andare incontro a divisione in base alla necessità: ripristinano il contenuto e mantengono l’omeostasi. All’interno di questo ciclo avviene anche la condivisione del genoma da madre a figlio; nella divisione si possono distinguere eventi fenotipici (visualizzabili durante la replica) ed eventi molecolari (non visibili). Le 4 fasi del ciclo Composto da 4 fasi: Gap 1 e 2 → intermedi di preparazione ○ G1 preparazione di organelli ○ G2 controllo della corretta replicazione del DNA S → Sintesi del DNA M → Divisione del materiale genetico La durata del ciclo è variabile a seconda del tipo di organismo ed all’ambiente circostante. S e G1 dipendono inoltre dalla quantità di materiale genetico e di organelli da replicare. La fase M invece, ha durata precisa in tutte le cellule: 20 min Nell’uomo il ciclo cellulare può arrivare da 20 ore a 40 Le fasi possono essere suddivise nuovamente in: Interfase → G1 + S + G2 Fase M → include la mitosi e citocinesi La fase M ha delle sottofasi: profase, prometafase, metafase, anafase, telofase (appartiene alla citocinesi) METODI DI STUDIO DELLA PROGRESSIONE DEL CICLO CELLULARE Vari metodi consentono lo studio delle cellule che entrano in mitosi: perdita di contatto con il substrato e forma più tonda e grande (aumento di ciò che c’è dentro) Per visualizzare le cellule in divisione si usa l’immunofluorescenza, somministrazione di un analogo della timidina, la bromodeossiuridina (BrdU), incorporata durante la duplicazione del loro DNA. Si usano dopo degli anticorpi anti-BrdU, che evidenziano i nuclei. E’ possibile distinguerle anche in base alla quantità di materiale con dei coloranti appositi (diploide → tetraonide) SISTEMA DI CONTROLLO DEL CICLO CELLULARE Prosegue solo se tutti i parametri necessari sono rispettati. Il controllo è affidato a dei checkpoint precisi; si tratta di complessi proteici che analizzano la cellula per verificare se sono state ottemperate tutte le condizioni necessarie. Se il controllo non viene superato, la cellula andrà incontro ad apoptosi. Il primo checkpoint è alla fine della fase G1, assicura che la cellula si trovi in ambienti favorevoli e che abbia tutti i componenti necessari per la divisione. Se questo viene fallito, la cellula si blocca in fase G1. Quando avrà il materiale necessario, passa alla fase S. Vengono coinvolti numerosi enzimi, con il compito di replica del DNA. E’ una delle fasi più importanti, ci sono costanti checkpoint: le stesse polimerasi controllano l’appaiamento corretto dei nucleotidi, se ci sono errori durante la replicazione (mutazioni..), la cellula va incontro a morte. Al termine della fase G2, si presenta il checkpoint G2/M, che determina l’ingresso alla fase mitotica della cellula (DNA replicato con successo) L’ultimo è situato tra la metafase e l’anafase, prima della divisione dei cromosomi, controlla che i microtubuli siano correttamente attaccati ai cromosomi, permettendone la separazione. LA FUNZIONE DELLE CHINASI DIPENDENTI DA CICLINA (Cdk) Il controllo cellulare è basato sulle proteine chinasi, che vengono attivate solo con l’interazione delle cicline; sono quindi dipendenti da loro, perché normalmente in forma inattivata. Si usano solo per il controllo del ciclo cellulare, formando complessi ciclina-Cdk. Sono proteine specifiche che variano in base allo step da controllare; vengono degradate a compito concluso (vita molto breve). Le cicline D servono allo start checkpoint, le cicline E per il primo controllo, la A per il controllo della fase S, la B per la G2/M. I complessi ciclina-Cdk effettuano la fosforilazione di specifici target, responsabili per l’avvio della nuova fase. L’unica eccezione è rappresentata dall’ultimo checkpoint, che presenta molecole che degradano proteine sull’ubiquitinazione, non sulla fosforilazione ATTIVAZIONE DEL COMPLESSO CICLINA-Cdk Esegue un processo rapido regolato da cambiamenti conformazionali e fosforilazione. Le cicline presentano una regione detta T-loop, che nella forma inattiva nasconde il sito di legame per ATP, impedendo alla chinasi di lavorare. Con l’interazione di una chinasi, si cambia conformazione è l’alfa-elica contenente la regione si apre: si determina così la pre attivazione della chinasi. Successivamente interviene un’altra chinasi, la Cdk-activating kinase (CAK) che fosforila un particolare residuo specifico su T-loop, stabilizzando la conformazione ed attivandolo definitivamente. MECCANISMI INIBITORI DEI COMPLESSI Il ciclo cellulare non è solo regolato da complessi attivatori, ma anche sottoposto a controlli di inibizione, che bloccano il complesso ciclina-Cdk per evitare una proliferazione non controllata. Anche i sistemi inibitori si basano sulla fosforilazione: tra le prime chinasi si trovano le proteine Wee1; in grado di fosforilare le Cdk in precisi siti ed impedendo il legame con la ciclina. Esistono però anche la fosfatasi Cdc25, che rende possibile la reazione inversa, rimuovendo il fosfato e riattivando le Cdk. Le proteine Wee1 e Cdc25 sono state le prime 2 molecole identificate CHECKPOINT METAFASE-ANAFASE Diverso dagli altri, mediato da una proteina APC/C, che lega ubiquitine. Questa è solitamente inattiva nel citoplasma, ed è attivata da Cdc20, prodotta nel passaggio tra metafase e anafase. Il complesso poliubiquitina il complesso Cdk che governava la S-fase, terminandola. Il complesso APC/C degrada la securina, inibitore della separasi, affinché questa tagli gli anelli di coesina che uniscono i cromatidi prodotti durante la fase S. DUPLICAZIONE DEL DNA E DEL CENTROSOMA Il processo porta alla formazione di bolle di duplicazione, da dove si inizia a replicare il DNA. Questi sono marcati nella fase G1 da proteine ORC (origin of replication), che riconoscono sequenze particolari: si addensano su queste ed attirano le polimerasi nella fase S. Il primo evento è la separazione dei due filamenti da parte delle elicasi, a cui sono tolte le proteine inibitrici: ogni filamento fa da stampo per uno nuovo. Le coppie di cromatidi fratelli sono mantenute insieme dagli anelli di coesina dall’azione dell’APC/C. Durante la G1, si duplica anche il centrosoma: madre e figlio si separano, nella fase M sono disposti uno di fronte all’altro agli estremi della cellula, irradiando tutto di microtubuli. FASI DELLA MITOSI Profase I cromosomi sono completamente addensati ma visibili: sono staccati l’uno dall’altro. La membrana è presente ed i centrosomi sono in posizione Prometafase La lamina nucleare è fosforilata dalle cicline-Cdk, ridotta successivamente in pezzi per facilitare la riformazione nelle cellule figlie. I microtubuli arrivano così ai cromatidi. Ci sono 3 tipi: Astrali → dal centrosoma alla membrana, tirano verso i cromatidi fratelli Interpolari → si connettono al plus-end con i microtubuli provenienti dall’altro centrosoma, con delle proteine motrici. Producono tensione Cinetocore → si attaccano alla parte dei due cromatidi e li tirano lateralmente Con i vari microtubuli interagiscono anche delle proteine motrici: le chinesine, producono tensione nei microtubuli interpolari e legano i cinetocori. Le dineine legano la membrana ed i microtubuli astrali. CINETOCORE Struttura proteica che si assembla in metafase sul centromero del cromosoma (zona con DNA ridondante), legandolo. L’addensamento avviene grazie alle condensine, proteine simili alle coesine, che mantengono la regolarità dei loop di DNA. Il microtubulo si attacca grazie al complesso Ndc80 (proteina con testa motrice), che si avvicina fino a formare un legame forte, anche grazie alla defosforilazione di alcune proteine. I microtubuli non hanno un riconoscimento, vanno a tentativi regolati da un uguale tensione in entrambi i lati del cinetocore. METAFASE I cinetocore si legano ai microtubuli ed i cromosomi sono allineati in maniera verticale ANAFASE Avviene la rottura delle coesine e dei cromatidi fratelli: vengono tirati verso i centrosomi. Questa segregazione dei cromatidi è eccessiva, raggiungendo la membrana. Inizia a formarsi la membrana attorno ai nucleotidi. TELOFASE Questa fase è già considerata parte della citochinesi e segna la conclusione della mitosi. Il complesso APC/C ubiquitina la securina, attivando le separasi che eliminano gli anelli di coesina, tagliandoli sempre nello stesso punto.Si forma un anello contrattile di miosina e actina, nel punto dove le due cellule devono separarsi. In mezzo all’anello rimangono a lungo dei microtubuli interpolari, che formano il corpo di mezzo. Per far avvenire la divisione serve abbastanza membrana per le due cellule: le vescicole tendono a fondersi insieme per aumentare la superficie di membrana. L’assemblaggio e la contrazione dell’anello sono attivati da una small GTPasi (RhoA), che fornisce energia sotto forma di GTP. LA RIPRODUZIONE SESSUATA: MEIOSI La meiosi è il tipo di divisione che avviene nelle cellule germinali Gli organismi diploidi hanno un corredo doppio per ciascun cromosoma, ed il processo di meiosi (diviso in meiosi I e II) porterà alla formazione di 4 cellule figlie aploidi. DIFFERENZA FONDAMENTALE TRA CELLULE SOMATICHE E CELLULE GERMINALI Gli organismi umani hanno 2 tipi di cellule: somatiche e germinali. Quelle somatiche compongono tutti gli organi e tessuti, mentre le germinali sono destinate alla produzione di nuovi organismi. Queste svolgono funzione solo dopo la fusione con cellule germinali di sesso opposto, riportando la cellula da aploide a diploide. DIFFERENZA TRA CELLULA UOVO E SPERMATOZOO La dimensione tra un gamete femminile (più grande) è enorme rispetto a quello maschile. La cellula avrà il compito di portare avanti la crescita dello zigote, cioè del prodotto dell’unione delle due cellule, mentre lo spermatozoo contribuisce solo con il suo patrimonio genetico MEIOSI: EUCARIOTI SEMPLICI E COMPLESSI Non tutti gli organismi sono organizzati allo stesso modo: quelli diploidi sono presenti in maggioranza, ma ce ne sono altri come i lieviti, che fanno parte degli eucarioti inferiori. Eucarioti superiori: sia la cellula uovo che gli spermatozoi sono aploidi, e l’unione forma uno zigote diploide. Tutte le cellule somatiche e diploidi vengono definite 2n. La cellula dell’organismo umano ha 23 coppie di cromosomi (tranne i sessuali, XX o XY). Nella normale vita di un organismo multicellulare tutte le cellule sono diploidi, quelle aploidi vengono prodotte quando servono. La fecondazione porta alla formazione a partire da 2 cellule aploidi di sole cellule diploidi nel nuovo organismo. Eucarioti inferiori: le cellule somatiche sono aploidi, quando si uniscono in accoppiamento si forma una cellula temporanea diploide. Questa andrà verso la meiosi, al fine di dividere il patrimonio diploide in tutte le cellule aploidi dell’organismo, che si divideranno ancora per mitosi. I CROMOSOMI DELLA CELLULA UMANA L’organismo umano ha 23 coppie di cromosomi, possedendone 2 dello stesso tipo. Le due copie sono dette omologhe. Durante la sintesi vengono duplicati, formando 4 copie di ogni cromatide, detti fratelli. Dopo la divisione si passerà così da tetraploidia a diploidia. I cromosomi sono qui stati evidenziati grazie a delle sonde fluorescenti in grado di riconoscere sequenze specifiche. Questa analisi ha permesso di stabilire le coppie di cromosomi, se non ci sono parti mancanti e di verificare le loro caratteristiche. Si può fare anche un’analisi del cariotipo (presenza di tutte le coppie). La 23° coppia rappresenta i cromosomi sessuali (XX donna, XY uomo). Qui invece sono stilizzati, permettendo un’analisi di ogni singolo cromosoma. Si vedono bande più chiare e scure, con una colorazione basata sull’interazione con i sali d’argento. Ogni cromosoma ha la sua identità, ed è possibile distinguerli in base al bonding che presenta. Si definiscono omologhi due cromosomi dello stesso tipo nelle cellule diploidi. Si definiscono fratelli i cromosomi appena duplicati che formano una copia di loro stessi: per 2 omologhi ci sono 4 fratelli. Questi tipi di cromosomi sono presenti nella cellula in mitosi: quando le due somatiche si dividono, i cromosomi omologhi formano i cromatidi fratelli, che vengono poi ereditati durante la meiosi. DIFFERENZE TRA MEIOSI E MITOSI Nella meiosi si distinguono le stesse fasi: profase, metafase, anafase, telofase + citocinesi L’unica cosa che varia è la profase (può durare anche anni), che si suddivide in 5 sottofasi; leptotene, zigotene, pachitene, diplotene e diacinesi. Nella meiosi I, dopo la duplicazione e la formazione dei 4 cromatidi fratelli, questi rimangono uniti per tempo variabile. Durante questo, avvengono scambi di porzioni di cromosomi, che variano il genoma. Questi saranno poi suddivisi delle cellule figlie (crossing over) Un’altra caratteristica si trova durante l’anafase, nella mitosi si separano i cromatidi, nella meiosi rimangono uniti: vengono trasportati degli interi cromosomi. Già nella prima cellula figlia, nonostante il DNA duplicato, i cromosomi visibili sono la metà di quelli della cellula madre. Nella mitosi, ciascun cromosoma si duplica ed è tutto suddiviso nelle cellule figlie Nella meiosi, i cromosomi sono duplicati, solo nella seconda divisione il cromosoma andrà suddiviso nelle 4 cellule figlie. Quando le coppie di cromosomi rimangono unite, la struttura si dice tetradi. LE FASI DELLA PROFASE I Suddivisa in 5 sottofasi: Leptotene Zigotene Pachitene Diplotene Diacinesi In tutte e 5 la lamina nucleare rimane integra, avvengono appaiamenti dei cromosomi che sono duplicati e scambi di pezzi di cromosomi Leptotene: i cromosomi si aprono leggermente, perché avvenga la sintesi del DNA; si condensano Zigotene: I cromosomi già condensati formano complessi sinaptinemali (sinapsi), che li tengono stressi agli omologhi, iniziando lo scambio di materiale Pachitene: I complessi sinaptinemali possono prendere l’intero cromosoma. Si estendono a tutto il materiale genetico, iniziando il crossing-over, lo scambio di materiale che porta alla costituzione di cromosomi con sequenze diverse. Diplotene: I complessi sinaptinemale iniziano ad aprirsi e sciogliersi, i cromosomi rimangono uniti attraverso il chiasma, dove avviene lo scambio di materiale. Diacinesi: iniziano a separarsi i 2 cromosomi, si inizia a dissolvere la lamina nucleare. La cellula si prepara a dividere il materiale genetico. Questi sono eventi drammatici e visibili: qui si vedono 2 cromosomi appaiati con un complesso sinaptonemale che si estende per la lunghezza dei cromosomi appaiati. In questo caso, i due cromosomi sono molto vicini (400 nm di distanza), ed è in questa regione che avviene lo scambio di materiale, Questo processo molto specifico, se fallito, può essere causa della morte cellulare. COMPLESSO SINAPTINEMALE Sono proteine ponte in grado di avvicinare i cromosomi. La distanza arriva al punto di concedere il crossing over, che avviene dopo le rotture programmate del doppio filamento di DNA. Le porzioni del singolo filamento vengono scambiate ed in parte digerite, per poi essere riprodotte sullo stampo dell’altro cromosoma omologo. STRUTTURA I filamenti di DNA duplicati (grigio) sono legati alle coesine (blu) per formare i cromosomi condensati. Questi si appoggiano su un asse centrale proteico (verde) unito a dei complessi laterali. I due fasci di complessi laterali sono uniti tra loro, tenendo così i cromosomi vicini. Le proteine laterali che si uniscono hanno la possibilità di contrarsi, avvicinandole ulteriormente Nell’interfase sono prodotte delle copie dei cromosomi omologhi attraverso la sintesi di DNA. Si entra in profase. Nel leptotene c’è l’assemblaggio del complesso sinaptonemale, nello zigotene si formano dei ponti trasversali che li avvicinano, nel pachitene si estende e nel diplotene di disassembla CHIASMA I punti di contatto tra le coppie di cromatidi fratelli sono chiamati chiasmi, rappresentano le zone in cui avviene lo scambio di materiale genetico. Su ogni cromosoma si possono avere al massimo 3 chiasmi, poiché questa attività di scambio è complessa e non può avvenire in troppe aree contemporaneamente. CROSSING OVER Lo scambio di materiale attraverso la rottura del doppio filamento. Quando avviene la formazione delle tetradi, si verificano rotture programmate a livello di uno dei cromatidi fratelli. Uno dei due invade l’altra coppia. Queste rotture portano ad una digestione parziale della sequenza, causando un aumento del gap formato in uno dei due cromatidi. Dopo questo aumento, la parte digerita deve essere riparata da un’altra sequenza: questa può provenire dal proprio cromosoma o dalla porzione omologa dell’altro, con sequenze molto simili. Il secondo caso è stimolato dalla vicinanza, verrà utilizzato il template dell’altro per rigenerare la sequenza mancante. La parte di DNA mancante, rimasta incompleta, invade le regioni del cromosoma omologo, iniziando a sintetizzare le proprie sequenze su un DNA non proprio. In questa fase si determina la variabilità genetica delle cellule figlie. I geni non variano, perché derivano dalla stessa cellula, ma vengono rimescolati in modo diverso, cambiando colore di occhi, capelli… Quali zone dei cromosomi sono interessati dipendono dalla distanza che c’è tra i vari geni. Esistono dei geni che si trovano sempre in blocco, perché troppo vicini, e non avverrà nessun crossing-over che li separerà. Questo è il risultato degli studi di Morgan, che ha studiato la localizzazione dei loci della Drosophila, osservando la formazione di blocchi che venivano ereditati insieme. Il taglio dei chiasmi può formare molte combinazioni: avviene sia in senso verticale che orizzontale (più frequente). Il chiasma può migrare senza essere tagliato, spostandosi complessivamente sul cromosoma e generando diverse combinazioni. DIFFERENZE TRA MEIOSI I E MEIOSI II Alla fine della profase I si è ormai dissolta la lamina nucleare, i cromosomi sono ancora appaiati. Si allineano per la formazione di tetradi lungo la piastra equatoriale ed i 2 cromatidi fratelli vengono ereditati insieme. Questo porta alla formazioni di due cellule diploidi 2n ed 1c (1 cromosoma). Questa andrà incontro ad una seconda meiosi, simile alla mitosi, se non per assenza della fase S. I cromosomi vengono separati dai 2 cromatidi fratelli, nelle due cellule figlie si dimezza il patrimonio genetico e diventa aploide (1n 1c) Partendo da una singola cellula si ottengono 4 cellule figlie, ciascuna con un patrimonio aploide. La mitosi invece ha un solo evento, portando a 2 cellule 2n 2c (23 coppie di cromosomi). La differenza fondamentale tra Meiosi I e II è la separazione dei cromatidi omologhi e non fratelli, che si dividono nelle cellule figlie. Questa differenza dipende da 3 caratteristiche: Formazione di un solo cinetocore Proteine inibitrici delle separasi Legame fisico tra gli omologhi COMPLESSI PROTEICI NELLA MEIOSI I Durante la mitosi, la coesina viene rimossa dalla separasi. Durante la meiosi, i cromatidi fratelli non vengono separati a causa dell’espressione di proteine particolari, tipiche della meiosi, che impediscono l’apertura degli anelli. Queste sono le shugoshine, inibitori della separasi, si legano al centromero. CINETOCORI I cinetocori sono complessi associati ai centromeri, sono collocati sui cromatidi fratelli di un cromosoma omologo, ai quali si legano i microtubuli provenienti dal fuso meiotico I. Durante la meiosi I, si forma un solo cinetocore per coppia, e grazie alla presenza delle coesine i cromatidi non si separano. Nell’anafase della prima meiosi, interi cromosomi composti da due cromatidi fratelli vengono ereditati. Durante la mitosi, i microtubuli si legano a 2 cinetocori diversi, uno per cromatidio fratello. Si attaccano ai poli opposti del fuso finché non si disgregano nell’anafase. LEGAME FISICO TRA GLI OMOLOGHI Il legame forte mantenuto tra i cromosomi è dovuto dalla presenza dei chiasmi tra i cromatidi fratelli e dallo scambio di tratti. Questi pezzi appartenenti allo stesso cromatide formano interazioni più forti: questo legame è in grado di resistere alla forza di trazione del fuso meiotico, finché i bivalenti non sono allineati sull’equatore del fuso e gli omologhi non si separano RIASSORTIMENTO DEL MATERIALE GENETICO NELLA PRODUZIONE DI GAMETI Le possibilità di avere delle variazioni di sequenza nelle cellule figlie della meiosi sono altissime. Ogni essere umano può generare 8,4 * 106 gameti differenti, grazie al tipo ed alla quantità di crossing over che possono avvenire. In media, in ogni coppia di cromosomi omologhi umani avvengono 2 o 3 crossing over. GAMETI FEMMINILI Nel caso dei femminili, questo non succede, perché delle 4 cellule germinali, solo una non diventa un corpo polare, ma forma l’oocita. Nelle ovaie fetali inizia la prima meiosi, che si arresta nel diplotene, rimanendo ferma fino alla pubertà. Quando una di queste riprende la maturazione ogni mese, prosegue la meiosi I ed arriva fino ad iniziare la II, senza completarla: questo perché per quello ha bisogno di essere fecondata. Solo a quel punto viene ripristinato il patrimonio genetico diploide che forma lo zigote. Alcuni oociti (detti primordiali) possono attendere per 40 anni o più, portando delle possibili mutazioni con l’aumento di malattie genetiche. GAMETI MASCHILI Nell’uomo la prima meiosi ha inizio durante la pubertà, a livello degli spermatociti e continua ininterrottamente. Uno spermatocita umano completa la meiosi in circa 24 giorni, e tutte le 4 cellule maturano in spermatozoi. SEPARAZIONE DELLE CELLULE GERMINALI PRIMORDIALI NELL’EMBRIONE Molto presto, durante la vita embrionale, vengono separate le cellule che dovranno diventare germinali da quelle somatiche: quelle destinate ad andare incontro a meiosi migrano verso le gonadi in modo specifico. TEORIA DELL’EVOLUZIONE DELLE SPECIE DI DARWIN E GENETICA DI MENDEL Darwin formulò la teoria dell’origine delle specie attraverso la selezione naturale Mendel formulò la teoria particellare (diventata genica) dell’ereditarietà La teoria di Darwin Secondo Darwin, l’evoluzione della specie è dovuta ad un continuo cambiamento di caratteristiche. La meiosi è un esempio, che porta infatti alla diversificazione della specie e degli organismi. I principi che governano questa teoria sono: Cambiamento continuo (le nuove generazioni sono sempre diverse da quelle precedenti) Discendenza comune Moltiplicazione delle specie (eventi di specializzazione, con formazione di specie e nuovi individui) Gradualismo Selezione naturale (pesa l’ambiente) La selezione naturale fa sì che le specie diverse dall’organismo iniziale si mantengano solo se hanno un vantaggio riproduttivo. Questo vale a livello delle singole cellule, quelle tumorali si riproducono più velocemente e vanno incontro a più eventi di specializzazione, sopravvivono solo quelle con un vantaggio evolutivo. Per questo un tumore è inizialmente formato da cellule diverse tra loro, ma alla fine diverrà un tumore clonale, originato solo da una cellula (quella col vantaggio maggiore) Le leggi di Mendel Hanno portato alla comprensione dell’esistenza dei geni come unità di base dell’ereditarietà dei caratteri. Mendel ha osservato dei caratteri con delle piante di piselli, identificando quelli ereditari facendo degli incroci. Si sono notati perché ripropongono le stesse caratteristiche nelle formazioni delle generazioni nuove. I suoi esperimenti sono una visualizzazione pratica di eventi dettati dall’ereditarietà di caratteri, ora riconosciuti come geni. Il contenuto genetico di un organismo è costituito da diverse particelle (genotipo), ciascuna responsabile di un aspetto osservabile (fenotipo). Il genotipo è presente con due copie degli stessi geni, che possono essere uguali o diversi, formando fenotipi dominanti o recessivi. Per ciascun gene sono presenti 2 alleli (due cromosomi). Le proteine vengono prodotte da 2 loci (gene): se sono identici anche le proteine lo sono, ma possono non esserlo a causa del crossing over Si può essere omozigoti o eterozigoti in base ad un determinato carattere. Negli eterozigoti esistono caratteri dominanti e recessivi, dove un allele è dominante sull’altro. Gli alleli possono essere tanti, ma ne esistono solo 2 per tipo. Il genotipo è l’informazione esatta sui tipi di alleli in determinati locus, mentre il fenotipo ciò che si osserva. PRIMA LEGGE DI MENDEL - Legge della dominanza Incrociando due individui di linea pura, che si differenziano per un carattere, si crea una generazione con individui che mostrano solo quello dominante. SECONDA LEGGE DI MENDEL - Legge della segregazione Nella seconda generazione, con incrocio di individui ibridi, torna il carattere recessivo in minor frequenza di quello dominante TERZA LEGGE DI MENDEL - Legge dell’assortimento indipendente Incrociando due individui che si differenziano per 2 o più caratteri, questi tramandano liberamente l’uno dall’altro EREDITARIETA’ X-linked Per i cromosomi sessuali la situazione è diversa nei maschi, che non hanno due copie identiche dello stesso gene (XY), ma anche nelle femmine, dove uno dei cromosomi X viene disattivato: alcuni loci su X ed altri su Y vengono inattivati, per avere anche qui un solo allele. La disattivazione di quello X è un evento randomico. Se l’allele è posizionato su uno dei cromosomi sessuali, il fenotipo si manifesta anche in eterozigosi. Le malattie su X influenzano uomini e donne in modi diversi: gli uomini saranno sempre colpiti, le donne possono essere portatrici sane. LE GIUNZIONI CELLULARI Le cellule, potendo essere assimilate ad unità costituenti strutture più complesse, comunicano costantemente l’una con l’altra: le giunzioni sono strutture di natura proteica che mantengono in contatto le cellule, le quali formano dei tessuti. Attraverso le giunzioni possono passare segnalazioni ed informazioni sull’ambiente esterno, permettendo alle cellule in gruppo di cambiare le proprie caratteristiche. Quasi tutte le giunzioni sono legate con una porzione di citoscheletro, o con microfilamenti di actina o filamenti intermedi. COMPONENTI PRINCIPALI DELLE GIUNZIONI Sono formate da proteine transmembrana, con molti domini intra ed extra cellulari, necessari per modulare le informazioni. Le principali famiglie sono: Immunoglobulin superfamily → dette anche cellular adhesion molecule ○ Molecole di adesione cellulare con un dominio transmembrana completo e ripetuto numerose volte. Simile ai domini delle immunoglobuline Caderine → proteine con domini transmembrana ed alcuni extracellulari ○ I domini caderinici si differenziano in tipo classico e non classico Selectine → molecole transmembrana, recettori per glicoproteine ○ Spesso presenti nelle cellule del sistema sanguigno: con un interazione recettore-ligando molto specifica prendono contatto con cellule endoteliali per attraversare il vaso sanguigno Integrine → recettori per le immunoglobulin family Le prime due interagiscono solo con proteine dello stesso tipo, creando interazioni omofiliche Le ultime due interagiscono con proteine differenti, creando interazioni eterofiliche. Solitamente avviene con la matrice extracellulare o con la membrana basale LE CADERINE Sono delle proteine caratterizzate da un dominio transmembrana, una porzione intracellulare ed una intercellulare (con domini). Nella caderina classica sono 5 domini, che si presentano sotto forma di dimeri sulla parete delle cellule adiacenti, stabilendo una giunzione omofilica con quella corrispondente. Sono componenti fondamentali nelle giunzioni Il legame tra le caderine necessita lo ione calcio. La loro capacità di formare dei legami omofili dà luogo a tessuti caratterizzati da cellule dello stesso tipo: queste esprimono lo stesso genere di caderina e possono creare epiteli. Queste si distinguono in base alla posizione delle cellule: E-caderine sono presenti nelle cellule epiteliali, N-caderine nei neuroni e P-caderine nella placenta Le caderine sono “tissue specific”, ovvero ogni cellula produce la sua caderina specifica al tessuto di appartenenza. Attraverso un esperimento si può osservare come la specificità sia intrinseca nell’informazione genetica della cellula Se si prendono 2 tessuti diversi, che esprimono 2 caderine diverse, dopo la dissociazione delle cellule e messi insieme in coltura, questi legheranno alle proprie simili. Danno così origine a tessuti FUNZIONE DELLE CADERINE NELLO SVILUPPO EMBRIONALE Durante lo sviluppo avvengono delle variazioni nelle espressioni di caderine specifiche che portano alla formazione di organi e tessuti diversi. Nella transizione EMT (epitelio-mesenchimale) la trasformazione delle cellule è causata da una modifica nell’espressione delle caderine. Ciò avviene nella formazione delle cellule della cresta neurale, da cui nascono le cellule di Schwann, melanociti, gangli neuronali, organi di senso, cartilagine.. La modifica dell’espressione si può osservare durante la formazione del tubo neurale, in una porzione di embrione. Il tubo ha origine dall’ectoderma, il foglietto più esterno dello sviluppo, caratterizzato dalle E-caderine. Alcuni segnali esterni portano in seguito alla formazione di caderine diverse, come le N. Queste tenderanno a perdere il contatto e legare a quelle corrette, portando ad un naturale e graduale distacco del tubo neurale con un invaginazione. Anche le cellule a contatto con la zona di passaggio tra ectoderma e tubo neurale si modificano, producendo caderina 7: qui si verifica un nuovo distacco, avviando la migrazione del tubo verso diverse regioni del corpo, dove si contribuisce alla formazione del sistema nervoso periferico DIVISIONE DELLE CADERINE Si suddividono in classiche e non classiche. Le prime sono implicate più frequentemente nella formazione di giunzioni cellulari, formate da una zona intracellulare, transmembrana e 5 domini extracellulari. Esistono molte variazioni di caderina, come la T-Caderina, che non presenta nessuna zona transmembrana ed è solo ancorata all’esterno; altre invece presentano molti passaggi come la caderina 23, trasformandoli in recettori per altre molecole. Le caderine non classiche partecipano a giunzioni temporanee. LE GIUNZIONI ADERENTI E I DESMOSOMI Nelle giunzioni aderenti vengono impiegate le caderine classiche. Le E-caderine formano dei dimeri con quelle di cellule adiacenti. All’interno delle cellule ci sono molecole adattatrici che appartengono alla famiglia delle catenine, che rappresentano il punto di contatto tra la porzione intracellulare della caderina e l’actina del citoscheletro. Le caderine non classiche, come desmogleina e desmocollina formano giunzioni temporanee dette desmosomi: molto più forti ed in tessuti con forza strutturale alta. Hanno anche loro interazioni omofiliche, con lunghezza variabile alle proteine adattatrici, che legano però ai filamenti intermedi e non l’actina. COME AVVIENE IL LEGAME TRA LE GIUNZIONI CELLULARI La parte esterna delle caderine (domini proteici) hanno un cambio di conformazione, causato e rafforzato dalla presenza di ioni Ca2+. La sua assenza rende le caderine più deboli e flessibili, motivo per cui non si estendono fuori dalla membrana. Per rompere il legame adesivo si usano agenti che rimuovono lo ione; trovati maggiormente negli ultimi domini (molto più articolati). Oltre che per il mantenimento del legame, il calcio mantiene anche la struttura allungata della caderina. La situazione di giunzione è rafforzata anche da delle interazioni con i microfilamenti, che si collegano nella parte interna della cellula: le due cellule possono separarsi generando un loro aumento di tensione. Le caderine sono numerose nelle giunzioni, contribuendo alla complessità e robustezza. Una volta che avviene l’interazione, la conformazione delle catenina interne cambia. Si trovano la p120 catenina e la β-catenina; α-catenina invece reagisce con i microfilamenti di actina e proteine del cross-linking dell’actina, formando grossi fasci di actina legati alle catenine. Quest’ultima fa da ponte tra le proteine adattatrici e l'actina del citoscheletro. Presenta inoltre dei siti di legame per la vinculina (cross-link actina). TIPI DI GIUNZIONE PRESENTI A LIVELLO EPITELIALE Nei tessuti epiteliali, si distinguono 3 tipi di giunzioni principali: Adhesive junctions, giunzioni aderenti Tight junctions, giunzioni strette / occludenti Gap junctions, giunzioni comunicanti Queste strutture servono per garantire l’adesione, controllare la permeabilità e comunicare tra cellule. In quelle vegetali, le giunzioni sono completamente diverse a causa della presenza della parete cellulare: i plasmodesmi ad esempio sono canali specializzati che permettono il passaggio diretto di sostanze tra i citoplasmi. La polarità apico basale delle cellule epiteliali è un elemento chiave per la distribuzione delle giunzioni: queste cellule rivestono organi cavi o superfici corporee. Loro presentano una superficie apicale rivolta verso l’esterno o il lume dell’organo. ed una superficie basale, in contatto con la lamina e tessuti sottostanti Questa polarità determina la posizione delle giunzioni: Apicolaterale → tight junctions, adhesive junctions e desmosomi Latero-basale → gap junctions Basale → endodesmosomi ed altre giunzioni specializzate Le tight junctions creano una regione simile ad una barriera: impediscono il passaggio di molecole tra cellule, contribuendo all’integrità del tessuto. Quelle aderenti (subito sotto) invece sono legate ai filamenti di actina; mentre i desmosomi donano robustezza grazie al legame dei filamenti intermedi (in maggioranza in cellule soggette a stress meccanico). Le gap junctions invece conferiscono il passaggio di segnali chimici e ionici tra cellule adiacenti, Gli emidesmosomi ancorano la cellula alla membrana tramite i filamenti intermedi, mentre le emigiunzioni (simili alle adhesive) connettono la cellula alla matrice extracellulare tramite integrine. Ogni giunzione è associata a componenti specifiche del citoscheletro, fondamentali per mantenere la forma e stabilità delle cellule. I filamenti di actina sono coinvolti nelle aderenti e nelle emigiunzioni, i filamenti intermedi sono associati a desmosomi ed emidesmosomi, conferendo resistenza meccanica. Le giunzioni si localizzano in punti specifici della cellula in base a polarità e svolgono ruoli complementari per garantire coesione, comunicazione e robustezza. LA POLARITA’ APICO BASALE E’ essenziale per definire l’identità e le aree della membrana coinvolte nella formazione di giunzioni: nelle epitelio è determinata dall’organizzazione in relazione al lume o alla membrana basale; nel tessuto connettivo, che non presenta giunzioni, è presente una polarità definita dal fronte di migrazione. La parte apicale corrisponde alla parte avanzante della cellula, quella basale con quella retrostante. Nelle cellule epiteliali la polarità è regolata dalle proteine intracellulari e processi proteici che interagiscono con la membrana; tra questi il complesso più importante è costituito da Par3/Par6/atypical protein kinase C (aPKC), formata progressivamente durante lo sviluppo cellulare. Questo complesso interagisce con il citoscheletro attraverso l’attivazione di piccole GTPasi, come Cdc42 e proteine Rho-associate come ROCK e Rac. La cellula epiteliale presenta questo complesso nella regione apicolaterale: nella porzione più alta c’è il complesso crumbs, in quella più bassa si trova Scrib/DLG. Questi 3 complessi insieme coordinano la formazione di giunzioni cellulari. La polarità è inizialmente controllata solo da Par3/Par6/aPKC, che si posiziona lateralmente ed origina le prime giunzioni. Successivamente con lo sviluppo parte di questo si sposta per creare Crumbs, responsabile della formazione di tight junctions ed infine si crea Scrib/DLG che forma le gap junctions. TIPI DI GIUNZIONI ADERENTI Le giunzioni adesive sono nella regione latero-apicale delle cellule epiteliali, svolgono il ruolo di mantenere l’integrità strutturale del tessuto. Sono strettamente legate al citoscheletro, a differenza delle gap junctions che invece hanno un legame più limitato. Ci sono 2 tipi principali di giunzioni aderenti: Propriamente dette Desmosomi Le propriamente dette sono costituite da caderine classiche, stabiliscono interazioni omofiliche con quelle delle cellule adiacenti; si collegano ai filamenti di actina ed utilizzano α-catenina, β-catenina e catenina p120 come adattatrici (con aggiunta di vinculina) I desmosomi sono composti da caderine non classiche, in particolare desmocollina e desmogleina (interazioni omofiliche). QUesti legami coinvolgono filamenti intermedi ed usano come adattatrici la placoglobina, placofilina e desmoplachina. LE GIUNZIONI ADERENTI α-catenina, β-catenina e catenina p120 sono i principali partecipanti, la prima si distende per interagire con microfilamenti ed eventuale vinculina, la seconda e la terza invece rimangono legate alla catena principale: servono a stabilizzare il legame con α che regola l’organizzazione dell’actina insieme a Rho. La formazione delle giunzioni aderenti presenta diverse fasi. In quella iniziale si forma un piccolo patch, composto da poche molecole di caderina che stabiliscono interazioni con altre caderine delle molecole adiacenti. Queste sono legate ai filamenti di actina, che non è però ancora organizzato e non forma fasci strutturati. Con lo sviluppo, le forze di tensione generate dal movimento cellulare contribuiscono a rafforzare l’interazione: si tratta di un processo mediato dall’α-catenina che lega la vinculina. Alla fine si forma una specie di zip, in presenza di calcio che rafforza la struttura. All’interno i filamenti di actina si organizzano in fasci verticali e paralleli, così da poter essere associati alla miosina che stabilizza il tutto. La distanza finale tra le due cellule è di circa 20-25 nm. L’interazione (A) è mediata dal complesso Par3/Par6/aPKC con la partecipazione di RAC. In seguito RHO interviene e modifica il numero di molecole coinvolte portando la molecola alla fase (B). Infine i complessi di actina e miosina in vicinanza aumentano la forza, rimodellando il citoscheletro (C). All’inizio l’interazione di poche molecole non porta modifiche all’ α-catenina, che rimane piegata. Con l’aumento della forza di separazione α-catenina si espone sempre più creando il legame con la vinculina: si formano i fasci di actina e si rafforza la giunzione. Quando ultimate, diventeranno simili a cinture, impediscono il passaggio di batteri, germi e molecole (anche grazie alle giunzioni strette formate in seguito). Le cinture sono responsabili di eventi di morfogenesi di molti organi tubolari durante la formazione di tessuti: questa è indotta dalla forza nella regione apicolaterale delle cellule che rivestono l’epitelio. I DESMOSOMI Paragonati a dei bottoni incastrati tra loro, mantengono coesivi i tessuti sottoposti a forte usura, come quelli del cuore, pareti dell’utero e cellule epiteliali. Queste, sebbene fondamentali, sono principali in pochi tipi di tessuti. Sono costituiti da caderine non classiche, che formano insieme un eterodimero in grado di interagire omofilicamente con l’altro eterodimero. All’interno della membrana si presentano delle proteine adattatrici come la placoglobina e la desmocollina, alla quale si legano i filamenti intermedi (detti tonofilamenti). I desmosomi hanno la forma di placche, con porzioni transmembrana che presentano 5 domini. Le sue proteine adattatrici sono simili alle catenine. Sono giunzioni riconoscibili al microscopio elettronico per la densità e per i filamenti intermedi spessi che si irradiano dal desmosoma verso le cellule adiacenti. Sono nella regione apicolaterale e mediolaterale delle cellule, mentre nella lamina basale si trovano emidesmosomi che presentano una placca formata solo nella parte cellulare, senza coinvolgere la matrice: alcune molecole interagiscono con le caderine. I filamenti intermedi non legato ATP o GTP, sono quindi incapaci di aumentare la loro tensione, ma rimangono comunque robusti e mantengono la struttura. LE GIUNZIONI STRETTE Impediscono i movimenti della membrana cellulare, creando un punto in cui le cellule aderiscono strettamente l’una con l’altra. Non sono particolarmente forti, ma hanno il compito di sigillare lo spazio intercellulare. Sono organizzate in molecole transmembrana, non interagendo però con il citoscheletro. Formano delle cuciture leggere tra le cellule nella regione apicale, estesa su un’area maggiore e non si limita ad un singolo livello (in più punti). Le cellule sono quasi a contatto diretto. Le proteine transmembrana sono entrate in contatto tra loro, chiudendo lo spazio. Formeranno delle piccole montagnette e incavi, creando una barriera che impedisce il passaggio di sostanze. Se si applica un colorante dal lato del lume, questo non attraverserà la regione, mostrando l’efficacia. Impediscono il passaggio anche di ioni e glucosio, separando nettamente le caratteristiche della membrana apicale da quella basale. Nelle cellule intestinali i trasportatori di glucosio sono localizzati nella regione apicale, dove il glucosio entra per poi essere trasferito nelle regioni basali. Le giunzioni strette hanno 2 tipi di proteine transmembrana: claudine e occludine. Le prime sono le responsabili della formazione di giunzioni strette, le seconde contribuiscono con interazioni più deboli, permettendo il passaggio di alcuni ioni. Queste sono legate a proteine adattatrici che agiscono da ponte, note come proteine con domini PDZ, il cui nome deriva dalle 3 diverse proteine: Z Post-synaptic density 95, Disc large, e Zonula Occludens. Queste hanno funzione di recettore e sono fondamentali per mantenere l’integrità del tessuto e dei vasi. Tra le proteine PDZ più rilevanti ci sono le ZO1, ZO2 e ZO3, cruciali per la stabilità LE GIUNZIONI COMUNICANTI Sono localizzate nella regione basolaterale delle cellule epiteliali, non interagiscono direttamente col citoscheletro. Non sono delle vere e proprie giunzioni, ma dei canali che permettono il passaggio di molecole di piccole dimensione (ioni). Ogni canale ha un diametro di 3 nm, con una disposizione particolare. Al microscopio appaiono come piccoli granuli, dove ognuno corrisponde al punto di connessione con l’altra cellula. Sono le giunzioni più strette e dinamiche, si formano e regrediscono continuamente, mantenendo la distanza minima tra le cellule. Le molecole che possono passare hanno una massa inferiore a 5000 Dalton, come piccoli peptidi, ioni e metaboliti. Non si permette il passaggio di molecole grandi come il DNA. Le connessioni formano canali detti connessoni. Quando sono presenti in una sola cellula si chiama emiconnessione, in due connessone completo. Questi canali permettono il passaggio di molecole idrofiliche e cariche perché formano un passaggio dove i fosfolipidi sono separati. Ogni connessina è componente del canale, formato da 6 connessine che possono essere uguali, realizzando entità omomeriche, oppure diverse, formando entità eteromeriche. Sono dinamici, si spostano, maturano e modificano nel tempo, cambiando la tipologia di passaggio delle molecole. Sono fondamentali per la comunicazione di tipo elettrico tra i neuroni ed alcune cellule epiteliali: il passaggio di ioni può essere modulato sia da canali ionici che rispondono ad un ligando (sinapsi) sia nei canali che servono a depolarizzare rapidamente la cellula. Durante lo sviluppo o in particolari tipi di connessioni, come nel tessuto cardiaco, esistono molte gap junctions che permettono una trasmissione elettrica estremamente rapida. PROTEINE COINVOLTE NELLE ADESIONI CELLULARI Esistono classi coinvolte nelle adesioni intercellulari attraverso meccanismi meno robusti ma più specifici: queste riconoscono gruppi glucidici e sono fondamentali per le cellule che necessitano adesioni temporanee; come per penetrare nei tessuti, attraversare vasi sanguigni o raggiungere destinazioni in generale. Le cellule maggiormente interessate appartengono al sistema immunitario e nervoso. I recettori producono lectine, selectine ed alcuni tipi di glicolipidi. Le proprietà adesive tra recettori per glucidi e glucidi stessi sono temporanee e sulla superficie cellulare, con dei legami sono influenzati anche dalla presenza di cariche elettriche o riconoscimento di ligandi. Le lectine sono prodotte dalla maggior parte delle cellule, e sono specializzate nel riconoscimento di catene glucidiche di varie dimensioni. Un altro esempio si trova nei leucociti nel sangue, che per raggiungere il sito con infezione aderiscono alle pareti dei vasi sanguigni usando le selectine. Sono simili alle lectine, riconoscono carboidrati sulle superfici cellulari. Anche le cellule tumorali usano meccanismi simili per colonizzare aree del corpo. SELECTINE Sono proteine transmembrana con un dominio pectina, capace di riconoscere un oligosaccaride esposto da altre cellule. Ci sono 3 tipi di selectine: L-selectina → sulla membrana dei leucociti P-selectina → sulla membrana delle piastrine E-selectina → sulla membrana delle cellule endoteliali La P attraverso il suo dominio extracellulare, riconosce specifici carboidrati presenti sulla superficie dei vasi; sul lato intracellulare presenta una proteina di ancoraggio. L’interazione tra le selectine ed i ligandi induce un cambiamento conformazionale, nei leucociti passa da una forma allungata ad una che permette il rotolamento lungo l’endotelio. GRUPPI SANGUIGNI L’interazione tra anticorpi ed eritrociti è fondamentale per verificare l’appartenenza dei globuli rossi al loro gruppo sanguigno; utilizzando dei meccanismi di adesione instabile ma specifica. Sulla membrana degli eritrociti si trovano le proteine immunoglobulin-like, che legano specifici carboidrati. Si deve verificare il gruppo dei donatori per evitare casi di rigetto. I gruppi sanguigni sono determinati da 4 tipi di carboidrati legati ad immunoglobulin-like: A → N-acetilgalattosammina B → galattosio AB → N-acetilgalattosammina e galattosio O → non possiede la proteina immunoglobulin-like ○ Possiede anticorpi contro ogni altro gruppo sanguigno, ma possono donare a tutti Il legame anticorpo-antigene può causare la lisi degli eritrociti, se si verifica durante una trasfusione può causare conseguenze gravi per la quantità di anticorpi trasferiti INTERAZIONE TRA INTEGRINE E ICAM L’interazione è la principale modalità di connessione tra cellule e matrice extracellulare: le molecole appartenenti alla famiglia delle immunoglobuline possono essere costituite da proteine singole o dimeri. MATRICE EXTRACELLULARE E’ un componente preponderante in tutti i tessuti connettivi, situati sotto a quello epiteliale. Rappresentano una grande variabilità, la cellula tipica è il fibroblasto, originato da una mesenchimale staminale. La caratteristica di questo tessuto è che le cellule non si trovano a stretto contatto, ma sparse nella matrice. 4 tipi di tessuto connettivo: Osso → la matrice incapsula le cellule, tenute da prolungamenti. Le blocca, non lasciandole muovere Cartilagine → meno rigida, formata da cellule che producono la loro matrice, gelatinosa ed elastica. Bloccano le cellule Sangue → connettivo liquido COMPONENTI PRINCIPALI DELLA MATRICE Sono 3: Proteoglicani → composti di proteine e glicosaminoglicani, dimeri i carboidrati con zolfo e cariche negative. Rispondono alla compressione ed agli urti Proteine fibrose → collagene ed elastina: composte da prolina, lisina e glicina, che rendono la struttura resistente alle tensioni e danno forza Glicoproteine adesive → necessarie per aderire la matrice alle cellule dell’epitelio ed a quelle del connettivo con cui interagiscono PROTEOGLICANI Composti da proteine e glicosamminoglicani (GAG), zuccheri particolari contenenti zolfo ed azoto. Ce ne sono di diversi tipi, uno solo (ialuronano) non ha proteine nella composizione. I glicosaminoglicani sono polisaccaridi composti da disaccaridi ripetuti: i più comuni sono il condroitinsolfato, cheratansolfato e ialuronato. I disaccaridi sono composti da N-acetil-glicosammina o N-acetil-galattosammina ed uno zucchero acido, contenente zolfo. Da un confronto tra molecole si può notare che i GAG hanno dimensioni ampie: sono costituiti da lunghe catene di carboidrati, che occupano un volume notevole. I proteoglicani invece hanno dimensioni ancora più grandi. Queste cariche attraggono ioni positivi (sodio) che richiamano a loro volta acqua. I GAG sono quindi delle spugne idratanti, che trattengono acqua. Questa proprietà gli consente di avere una funzione principale nella matrice: riempire lo spazio, donare un ambiente umido e fornire flessibilità e resistenza alla compressione. Questo protegge le cellule ed evitano danni a loro. Sono quindi componenti essenziali di molte strutture corporee, come le articolazioni. Queste sono coniugate a proteine per formare proteoglicani, presenti in tante forme con anche catene laterali formate dalle proteine. Per i proteoglicani con componente proteica, le catene si attaccano sempre ad una specifica serina, il segnale è rappresentato da 4 monosaccaridi, con l’ossigeno del -COOH come punto di contatto. Alcuni sono più grandi, come aggrecano e ialuronano, ma anche piccoli, come le decorine. A causa delle dimensioni, vengono prodotti ed esportati come singole proteine, ed assemblati direttamente nella matrice. PROTEINE FIBROSE Sono abbastanza abbondanti e ne esistono di 2 tipi: collagene ed elastina COLLAGENE Prodotto da diversi tipi di cellule del tessuto connettivo, principalmente fibroblasti, e da cellule epiteliali presenti nella membrana basale (un po ' meno). Conferisce supporto alla tensione, per questo è componente fondamentale dei tendini, ossa e muscoli. Esistono 2 forme di collagene, ma entrambe hanno la loro forma caratteristica: una proteina rigida composta da una tripla elica con 3 catene polipeptidiche intrecciate strettamente fra loro. Questa struttura è determinata dalla sua composizione amminoacidica, che include la lisina, prolina e glicina. Le prime due sono voluminose e idrofobiche, lasciando spazio solo ad un terzo amminoacido piccolo per inserirsi- In caso di carenza, le fibre subiscono danni significativi, perché altri aminoacidi non consentono la formazione della struttura elicoidale. Le fibre sono orientate in diverse direzioni, spesso perpendicolarmente tra loro. Questa configurazione conferisce forza e resistenza alla tensione della matrice extracellulare. Il collagene si organizza inizialmente in fibrille, che si addensano per formare fibre più grandi, come tendini. Il collagene viene sintetizzato come una tripla elica preliminare; una volta secreto subisce modifiche enzimatiche grazie alle peptidasi, che rifiniscono e rendono il tutto più compatto. Il trasporto verso l’esterno avviene grazie a delle vescicole di dimensioni anomale, rivestite di clatrina. Può assumere tante forme, le più frequenti sono del tipo 1 e 2. Ne esistono tante altre, che ad esempio non formano eliche e fanno solo da supporto. La stabilità è rafforzata dall'essere sempre idrossilate delle proteine presenti, formando molti legami ad idrogeno. In molti tessuti sono parti fondamentali della matrice extracellulare, poiché la rafforzano formando enormi fasci disposti perpendicolarmente. Più i tessuti sono distanti più collagene si produce. ELASTINA Il tessuto connettivo necessità elasticità per evitare rotture: è composta da aminoacidi come prolina e glicina, uniti con ponti di lisina (fanno il cross-link). La lisina viene allungata sotto stress. La struttura può variare: da forma ad elica ad una distesa: avviene grazie ad una modifica post-traduzionale: la tropoelastina si produce e subisce dei tagli proteolitici. Le sue parti rimangono però legate tra loro con la lisina; può così cambiare forma senza rompersi. E’ 5 volte più elastica di qualsiasi altro materiale prodotto dall’uomo. Mentre il collagene ha fibre strutturali rigide, l’elastina è contenuta all’interno di una membrana per funzionare correttamente. Elastina e collagene sono inclusi nei proteoglicani e circondati da proteine di supporto. Nell’elastina l’ancoraggio è funzione della fibrillina, una piccola proteina che in caso di mutazioni causa la sindrome di marfan (tessuto connettivo non elastico) GLICOPROTEINE ADESIVE Le glicoproteine adesive sono la terza componente della matrice, rappresentano il punto di ancoraggio tra le cellule e la matrice stessa. Ve ne sono di diversi tipi, le più note sono la fibronectina e la laminina, nelle lamina basale. Le glicoproteine hanno un legame diretto, del tipo recettore-ligando, possono anche legare ad altre molecole della matrice, rappresentando dei veri e propri adesivi. Sono composte spesso da domini diversi che interagiscono con le diverse molecole: alcuni legano solo con proteine fibrose, altre con glicosaminoglicani ecc… FIBRONECTINA E’ la più nota, composta da tantissimi domini che legano aspetti e caratteristiche della matrice: legano il collagene, altri le integrine (recettori sulla parete in contatto cellula-matrice) ed altro ancora. Sono presenti domini per l’eparina, che legano eparan solfato, uno dei proteoglicani della matrice. Questa è una delle adesive più grandi. Si tratta di una proteina codificata con un unico gene, che può assumere tante isoforme grazie ai domini con diversa possibilità di espressione dovuta dallo splicing alternativo. Sono sempre presenti o come dimeri o come due subunità della stessa proteina, in grado di avere la capacità di interagire. Il dimero è unito a livello del C-terminale da ponti disolfuro. I domini (verdi) si ripetono numerose volte, e sono dotati da una sequenza, la RGD → arginina, aspartato e glicina. Con un esperimento in vitro si è potuto vedere che le cellule hanno prodotto la fibronectina in presenza di matrice extracellulare, ed hanno creato dei fasci. Se fossero state colorate prima, si poteva vedere che anche l’actina si organizza in modo praticamente identico, da questo si capisce che la matrice è in grado di comunicare con l’interno della cellula (citoscheletro) ed organizzarla a seconda delle caratteristiche. Questo è possibile grazie alle giunzioni intercellulari sempre in comunicazione con proteine adattatrici all’interno della cellula. La stessa cosa avviene per le integrine. La fibronectina può sentire la tensione grazie all sua costruzione: i suoi domini hanno porzioni globulari (formate da 2 foglietti) che si distendono portandola ad una forma lineare. Può essere più o meno lunga in base alla sua capacità di estensione. LAMINA BASALE E’ una specializzazione della matrice extracellulare, ed è costituita da componenti specifici che differenziano dal resto della matrice. Si trova sulla base delle cellule epiteliali, fungendo da barriera attraversabile da cellule migranti. Permette il passaggio di sostanze vitali (ossigeno, nutrienti..) e se necessario anche il transito delle terminazioni nervose. Ha dei componenti che permettono l’adesione alle cellule ed il tessuto connettivo: in altri casi circonda anche altre cellule, come il tessuto muscolare liscio. Può anche trovarsi all’interno di strutture filtranti, come la parete dei glomeruli renali. E’ in grado di determinare la polarità delle cellule ed influenzare il loro metabolismo, promuovendo la proliferazione e la sopravvivenza. E’ costituita da proteine glicoadesive e proteine fibrose specifiche: laminine, collagene IV e glicoproteine come nidogeno. Le cellule stesse possono modificare le caratteristiche, come la fluidità. LAMININE Hanno una struttura definita a bouquet di fiori, con trimeri di laminina α, β e γ intrecciati tra loro, formando una tripla elica. La parte N-terminale è il punto di separazione delle subunità, permettendo di legare diverse molecole. La prima lega integrine, le altre sono coinvolte nell’assemblaggio della struttura. Esistono domini che si legano ad altre molecole della lamina, alcuni di questi sono cruciali per le funzioni delle laminine. Le mutazioni possono compromettere le funzioni e portare malattie genetiche. Si può vedere come la membrana (grigio) è attraversata dalle integrine (verdi), con dei recettori per la lamina basale correlati con la laminina (blu). Le laminine interagiscono con il collagene IV (rosso) e si presentano altre molecole adesive, come il nidogeno (giallo) In alcuni casi le cellule che la producono necessitano di attraversarla, producendo quindi enzimi che fluidificano la matrice basale. Le metalloproteinasi della matrice (MMP) sono le più conosciute, fungendo anche da marker per situazioni più importanti. Questi enzimi richiedono ioni metallici come cofattori, degradando localmente la matrice, consentendo alle cellule di attraversarla e raggiungere i vasi sanguigni nel tessuto connettivo. Le MMP sono cruciali anche nella risposta immunitaria, favorendo il passaggio dei leucociti dalla circolazione attraverso la matrice. INTEGRINE Le cellule devono essere ancorate alla matrice, in questo processo sono coinvolte le integrine. Esistono altre strutture che supportano, come gli emidesmosomi, che contribuiscono all’ancoraggio cellulare. Le giunzioni possono essere stabili o temporanee a seconda della necessità. Le integrine regolano queste giunzioni, si presentano in diverse forme, come dimeri e proteine transmembrana. Si vedono qui 2 subunità, alfa (verde) e beta (blu), nella forma attiva in cui sono legate alla fibronectina della matrice. All’interno della cellula, interagiscono con il citoscheletro tramite proteine adattatrici, come la talina. Hanno un unico dominio transmembrana ed una porzione extracellulare molto più estesa. Quella intracellulare è a contatto con il citoscheletro. Riconoscono il dominio RGD per l’interazione con le fibronectine, legandosi alla subunità alfa. Le integrine reagiscono con proteine leganti actina, come talina, vinculina e alfa actina, che legano f-actin. GLI EMIDESMOSOMI Il secondo tipo di recettore che serve per l’interazione tra le cellule e la matrice sono gli emidesmosomi. Sono composti da caderine non classiche e costituite da beta integrine della classe alpha 6-beta 4. Sono tipiche delle cellule epiteliali e si legano ai filamenti intermedi (cheratina, forma emiplacche). Le integrine sulla lamina che costituiscono la porzione della placca interagiscono con le laminine, proteine glicoadesive a forma di croce; che legano a loro volta collagene IV. La placca è composta anche da altre molecole che la stabilizzano, in particolare da arrotatori intercellulari della famiglia delle leptine. Queste proteine sono localizzate all’interno della membrana e definiscono domini della membrana che possono mescolarsi o meno, conferendo la forma del globulo rosso. Le leptine sono coinvolte nella formazione degli emidesmosomi. Sul lato opposto della placca si osservano grandi filamenti di cheratina, che ancorano la cellula alla lamina basale. Queste giunzioni sono particolarmente stabili GIUNZIONI TEMPORANEE La maggior parte delle cellule del tessuto connettivo, come i fibroblasti, formano giunzioni temporanee con la matrice, usando un meccanismo simile ma con integrine specifiche (non coinvolte in giunzioni permanenti). Queste si legano alla fibronectina nella matrice ed ai filamenti di actina interni alla cellula, formando strutture dette adesioni focali. Sono temporanee e consentono alla cellula di muoversi all’interno: si distruggono dopo lo spostamento. Per il movimento è necessaria coordinazione con il citoscheletro dell’actina, l’ampia varietà di integrine che formano i recettori può essere specifica per il tessuto, ma ne esistono diversi tipi nella stessa cellula, rendendole ubiquitari. INTEGRINE E MALATTIE La varietà di integrine si può associare a diverse malattie. Le mutazioni nelle subunità alfa e beta delle integrine causano molti problemi: possono essere omotropiche, casando effetti come la morte intrauterina in fase precoce nello sviluppo, o causare disordini nel sistema immunitario. Le cellule del sistema innato, come macrofaci e neutrofili, che necessitano di aderire temporaneamente alla matrice, dipendono dalle integrine per l’interazione con la matrice: le mutazioni causano difetti nell’adesione leucocitaria, come l’impedimento della sintesi di subunità beta 2 delle integrine (i globuli bianchi non formano giunzioni). Le piastrine che esprimono integrine beta 3 sono colite da mutazioni che causano difetti coagulativi. La malattia di Glanzmann è caratterizzata da frequenti sanguinamenti ed anomalie COME SI ATTIVANO LE INTEGRINE Sono presenti sulla membrana cellulare delle cellule immerse nella matrice. Nelle adesioni focali non sono sempre attive, poichè devono separarsi dalla matrice per permettere il movimento cellulare. In assenza di interazione con la fibronectina o altre molecole della matrice, le integrine sono in forma inattiva, con i loro domini ripiegati su se stessi ed incapaci di interagire. Quando c’è un interazione o un segnale, ci sono cambiamenti conformazionali che attivano le integrine: I due domini si espandono, consentendo il legame ed innescando una modifica nell’organizzazione del citoscheletro. Questo processo richiede ioni calcio e magnesio, quando questi sono bassi l’adesione alla matrice della cellula diminuisce. Questo è un esempio di attivazione in via intracellulare: c’è una formazione del coagulo e la risposta alla rottura dei vasi sanguigni. La trombina interagisce con il suo recettore sulla membrana delle piastrine, attivando una G-proteina, la RAS-GTPasi monomerica, detta RAP1. Questa passa da stato a GDP a GTP, ed interagisce con proteine che favoriscono il cross-linking dell’actina, come RIAM e talina. Quest’ultima, quando attivata, lega una proteina, la timbrina: questi complessi inducono un cambiamento conformazionale nella porzione intracellulare, facendole estendere e permettendo di legare fibronectina o altre molecole glicoadesive nella matrice. Lo stimolo proveniente dall’interno porta ad un'adesione, che rappresenta il primo passo nella formazione del coagulo. Le piastrine si concentrano e si contraggono (con il supporto della rete di filamenti di actina) e cambiano forma. L’interazione tra trombina e recettore stimola la coagulazione. ADESIONI FOCALI NEI FIBROBLASTI Esistono numerosi eventi di formazione di adesioni focali nei fibroblasti che si muovono all’interno della matrice. Le adesioni indicano i punti in cui le integrine interagiscono con la matrice, attivando un segnale chinasi mediato dall’adhesion kinase - operating kinase, una chinasi responsabile dell’organizzazione dell’actina e della sua riorganizzazione. TALINA La proteina adattatrice ha un ruolo cruciale: è una lunga proteina che interagisce da un lato con integrina e dall’altro actina. Talina è un sensore per lo stato di stiramento della cellula: grazie ai suoi domini ripetuti può adottare una conformazione globulare o una srotolata. La sua struttura e funzione dipendono dall’organizzazione del citoscheletro d’actina all’interno della cellula e l’interazione tra i recettori per lìintegrina e fibronectina. Quando viene stirata, espone domini per legare la vinculina, che a sua volta mediatizza il cross-linking dell’actina. Questo genera una rete organizzata di actina sulla periferia della cellula, in cui il citoscheletro è connesso alla matrice attraverso le integrine. Queste due proteine rispondono a stimoli di tensione e stiramento grazie ai recettori attivi in prossimità. SEGNALAZIONE CELLULARE La comunicazione tra cellule è fondamentale, poiché negli esseri pluricellulari si tratta di comunità. Questa ha 2 obiettivi principali: Coordinare l’attività cellulare Modulare l’attività in base all’ambiente PRINCIPI DI SEGNALAZIONE CELLULARE E’ un sistema complesso che coinvolge molti fattori: La comunicazione cellulare è il processo con cui le cellule percepiscono e rispondono ai segnali da ambienti extracellulari Coordina le attività tra le cellule in un organismo Non può sopravvivere senza conoscere l’ambiente intorno Coinvolge sia segnali in input che in output I segnali sono agenti chimici o fisici che influenzano le proprietà della cellula ○ Solitamente la conformazione di un recettore Il segnale (rosso) interagisce con il recettore proteico in superficie, che presenta una parte interna ed una esterna: sarà questa che trasmetterà il segnale all’interno. Questa amplificazione sfocia nell’attivazione di effettori, molecole proteiche con funzioni di modifica; se il recettore è un enzima che modula il metabolismo, le proteine che si attivano riguardano variazioni di quel tipo. Le modifiche possono consistere in riarrangiamento strutturali della cellula se il target è una proteina del citoscheletro. TRE STEP DELLA SEGNALAZIONE CELLULARE Una molecola segnale può attivare (solitamente) più di un solo effettore, portando quindi a: Attivazione del recettore → il legame induce un cambiamento di conformazione, attivandolo Trasduzione del segnale → il recettore stimola una serie di proteine che espandono il segnale Risposta cellulare → la risposta è congruente con le vie cellulari SEGNALI TRASMESSI TRA CELLULE Ci sono diversi tipi di segnalazione: Giunzioni cellulari → consentono alle molecole di passare tra cellule ○ Necessita un interazione forte (detta contatto-dipendente) ed avviene per via diretta Molecole sulla superficie → per dare un segnale devono essere vicine alla cellula Molecole segnale → sulla membrana cellulare prodotte dalla cellula stessa Il segnale non influenza la cellula che secerne il segnale, ma le cellule molto vicine I segnali di ormoni vanno più a lungo e percorrono più distanza A) passaggio diretto di molecole fisicamente connesse tra loro B) segnalazione dipendente da contatto, una manda segnale e l’altra riceve C) Segnalazione autocrina: stimola le cellule vicine e si autoinduce la stimolazione. Produce segnale e lo percepisce rispondendo D) Segnalazione paracrina: la cellula produce segnale a corta distanza. Induce alle cellule intorno ma non risponde al suo segnale. E) Segnalazione endocrina: ormonale, il segnale è rilasciato nel sistema circolatorio e viaggia a lungo per stimolare le cellule interessate LIGANDO E’ una molecola segnale che si fissa o viene mantenuta attaccata alla membrana: non si lega covalentemente; i suoi recettori hanno una tasca recettoriale con disposizioni specifiche. In seguito al legame si ha un cambiamento conformazionale nella struttura. E’ un’interazione dinamica, caratterizzata dall’affinità. Le tempistiche di attacco variano in base alla complementarietà delle due. Costituiscono una vasta gamma di molecole, possono essere ormoni, proteine (fattori di crescita), amminoacidi (serotonina), nucleotidi, steroidi, retinoidi, derivati di acidi grassi PRODUZIONE DEI LIGANDI I ligandi possono essere secreti per esocitosi, prodotti all’interno della cellula, racchiusi in vescicole e rilasciati. Si producono nel RER, la molecola si sposta verso il Golgi dopo essere inglobata e poi esce. La membrana si fonde con la membrana plasmatica ed il contenuto va. PROTEINE TRANSMEMBRANA Possono avere delle porzioni che fungono da ligando per recettori: rimangono attaccate alla membrana, quindi la cellula che riceve il segnale deve essere vicina a quella con il ligando, oppure l’altra deve possedere degli enzimi che rilascia per trasmettere il segnale. Se non esistesse la specificità gli stimoli sarebbero confusi e non idonei ad adattamento. AFFINITA’ Esistono recettori con la stessa molecola come ligando, ma con attività diverse, come quelle del sistema nervoso centrale (SNC), i recettori neuronali interagiscono con la stessa molecola ma con attività diverse. Molte altre molecole inoltre agiscono con concentrazioni basse e si legano con alta affinità. LE CELLULE SONO PROGRAMMATE PER RISPONDERE A SPECIFICI SEGNALI EXTRACELLULARI La cellula non è sottoposta ad un singolo e solo segnale, ma ad un insieme: a seconda delle combinazioni, la cellula deve dare una risposta complessiva adeguata La cellula è sottoposta a 3 stimoli, quando percepiti vengono integrati come una stimolazione per favorire la sopravvivenza e’ esposta qui ad altri 2 stimoli, e con gli stessi 3 di prima si traduce con cresci e dividiti Con altri 2 stimoli diversi da prima la cellula ha un segnale diverso, ovvero crescere e differenziarsi Una cellula che non riesce a ricevere stimoli va in apoptosi ACETILCOLINA E’ un neurotrasmettitore importante, presente in cellule del: Pacemaker del cuore → funzionalità dei miocardiociti Ghiandole salivari → inducono alla secrezione Muscolo scheletrico → contrazione muscolare Queste cellula hanno tutte sulla loro superficie recettori per riconoscerlo. Quelle del pacemaker sono simili alle membrane salivari, i loro recettori possiedono 7 domini transmembrana associati a proteine G. E’ un recettore di tipo colinergico, di risposta all’acetilcolina, detto muscarinico. La stimolazione provoca un rallentamento della frequenza e diminuzione del battito. Nelle cellule salivari, l’interazione del recettore muscarinico induce la fusione di vescicole con materiali da secernere. Nelle cellule del muscolo scheletrico al raggiungimento della fibra muscolare induce contrazione; a differenza delle altre due, il recettore è colinergico di tipo nicotinico, che ha attività in canale, con conformazione aperta o chiusa. I RECETTORI Hanno 4 classi principali, di cui 3 extracellulare ed una intra: Canali Accoppiati a proteine G Collegati ad enzimi Per estrogeni e steroidi RECETTORI EXTRACELLULARI Il ligando interagisce con il recettore posto sulla superficie esterna. Ci sono 3 classi classificate nelle 3 famiglie citate prima. Quelli accoppiati a canali ionici hanno dei complessi con canali transmembrana dove possono fluire ioni. Può avere 2 conformazioni: Aperta → genera un flusso di ioni al legame del ligando con il recettore. Questo spostamento dipende dal gradiente di concentrazione dello ione Chiusa → non c’è passaggio di ioni tra esterno ed interno. Solitamente si trova così Questi permettono una segnalazione immediata (qualche millisecondo), motivo del perché sono sulle cellule nervose, riescono a creare differenze di potenziale grazie agli ioni; si trovano anche su cellule muscolari. Sono presenti siti per coattivatori e sistemi di regolazione, per cui il recettore può trovarsi in conformazione aperta, ma non consentire lo spostamento di ioni. Sono espressi sia in cellule animali che vegetali. Un esempio è un neurotrasmettitore, che appena rilasciato nello spazio sinaptico interagisce con un recettore canale postsinaptico e permette la trasmissione del segnale. Quelli accoppiati a proteine G (GPCR) sono proteine transmembrana collegate a 7 domini transmembrana che per veicolare il segnale necessitano di interazione con proteine G. Presenta 3 parti: Extracellulare → deputata all’interazione con il ligando Intracellulare → interagisce con le proteine G dentro la cellule Enzima effettore → attivato dalle proteine G Il trimero di proteine G è composto da 3 subunità alfa, beta e gamma. La subunità alfa ha attività GTPasica, lega GTP ed idrolizza GDP (attiva / inattiva), legandosi al dimero beta-gamma Quando il recettore non è occupato non si instaura alcuna interazione con il trimero di proteine G. Il ligando per questi recettori può essere di natura diversa (uno stimolo luminoso per la rodopsina). Tutti i sistemi hanno associate proteine G con la stessa struttura. Una volta che avviene interazione tra i due, si verificano cambiamenti conformazionali: il trimero si dissocia in subunità alfa che toglie GDP e prende GTP, ed in un dimero beta-gamma che svolge altre funzioni: la prima idrolizza GTP disattivandosi, portando ad una reazione con il dimero b-g. Dopo l’interazione con il ligando, il recettore riesce ad interagire con le proteine G che attivano un enzima che accumula messaggeri ed attiva effettori a valle. La via di segnale richiede un po’ più di tempo, sarebbe qualche secondo. Infine, i recettori collegati ad enzimi si caratterizzano per una segnalazione con attività enzimatica. Può essere: Intrinseca → mediata dal recettore stessi, dove la coda citoplasmatica interna alla cellula ha funzioni chinasiche Reclutata → il recettore non ha attività chinasiche, ma può reclutare nella cellula in base a condizione attiva o inattiva. ○ Si recluta in base alla fosforilazione di substrati, il dominio diventa funzionalmente catalitico. Il recettore attivato o la proteina tirosin-chinasica reclutata deposita gruppi fosfato su residui di amminoacidi specifici (tirosina, serina e treonina), formando tirosin-chinasi, serina-chinasi o treonina-chinasi. I substrati variano attività conferendo una trasduzione dinamica. Accanto allo stimoli, esiste un sistema che defosforila i substrati, disattivandoli: questo perché un segnale costantemente attivo non è funzionale; la cellula è distratta nella risposta di altri stimoli. Il recettore transmembrana presenta una parte esterna che interagisce con il ligando, una interna con un dominio catalitico ed il dominio che fosforila. I recettori si attivano, scatenano una via di segnale e se non possiede domini con attività chinasica deve reclutare. Ci impiega alcuni minuti. RECETTORI INTRACELLULARI I recettori per estrogeni e steroidi non sono situati sulla superficie della cellula, ma al suo interno (recettori nucleari). Si tratta di molecole con componente lipofila che consente di attraversare la membrana ed interagire all’interno. I recettori agiscono stimolando la trascrizione di geni specifici. Anche se non sono necessari intermedi, necessitano di qualche ora perché il ligando deve entrare nella cellula, attivare il recettore, stimolare la trascrizione dei geni e portare all’accumulo del prodotto. PROTEINE CHE LEGANO IL GTP La trasduzione del segnale può avvenire anche grazie a proteine che legano GTP: sono in forma attiva o inattiva, a seconda del legame con GTP o GDP. Le proteine G appartengono a questa famiglia; quando il recettore è occupato può interagire causando l’ingresso di GTP (forma attiva) ed il rilascio di GDP. Come nei recettori collegati ad enzimi, lo stato deve essere transiente. L’attività può essere intrinseca o mediata. Questi sistemi vengono attivati e disattivata a velocità diverse a seconda del sistema. La disattivazione avviene grazie alle fosfatasi che spengono il sistema. ATTIVITA’ GTPasica INTRINSECA L’attività consente l’inattivazione della proteina, attraverso un processo di idrolisi da parte della proteina G, che converte GTP in GDP. I recettori sulla superficie trasmettono il segnale mediante mediatori intracellulari; nel caso dell’attività GTPasica mediata da altre molecole si fa riferimento a proteine G monomeriche, come RAS. La proteina RAS si può trovare in uno stato attivo (legato a GTP, stato ON) o in uno stato inattivo (legato a GDP, stato OFF). Il passaggio avviene per mezzo di 2 cofattori: GEF (guanine exchange factor) → induce il rilascio di GDP e l’ingresso di GTP GAP (GTPase-activating protein) → è un integratore che induce la defosforilazione del GTP in GDP I modulatori GEF e GAP portano ad una determinata funzione, divisa in: Shift metabolico della cellula Cambiamento a livello di espressione genica Cambiamento nella forma e nell’organizzazione del citoscheletro Si assiste così alle cascate di segnale, in cui più elementi vengono attivati sinergicamente amplificando uno specifico segnale IL SEGNALE All’interno della cellula sono presenti recettori e meccanismi che conferiscono specificità di risposta e robustezza al segnale. Deve essere quindi: Specifico → in modo tale che la cellula possa rispondere adeguatamente Robusto → deve portare ad una risposta efficace della cellula La specificità permettono di evitare risposte non volute o accidentali. Sono garantite anche da: Siti di ancoraggio aggiuntivi → interazione specifica ed affinità alta Risposta dopo una grande concentrazione o livello di attività Meccanismi di backup → copia del segnale, in quanto può percorrere 2 percorsi paralleli per attivare una singola proteina bersaglio CAUSE DI VARIAZIONE NELLA TRASDUZIONE DEL SEGNALE La relazione tra segnale e risposta varia in diverse vie di trasduzione a seconda di diversi aspetti: Velocità di risposta → lenta o troppo veloce in base al sistema ligando-recettore Sensibilità → rappresenta il livello minimo di stimolazione Gamma dinamica → modalità di risposta e variazione in funzione della concentrazione della molecola nel sistema Persistenza del segnale → durata dello stato di attivazione (lungo o breve). Comporta a risposte differenti in base all’attivazione Elaborazione del segnale → suddivisi in pathways differenti a partire da recettore e possono agire su target comuni o differenti. La cellula deve coordinare segnali molteplici per dare risposte Integrazione → organizzazione a livello spaziale dei macchinari di trasduzione dei segnali, generando risposte corrette e specifiche. VARIAZIONE VELOCITA’ DI RISPOSTA Dipende dal tipo di recettore che viene attivato, ossia dal tipo di pathway innescata dall’interazione ligando-recettore: Recettore canale → estremamente veloce, in quanto viene attivato e si ha un immediato flusso di ioni Recettore accoppiato a proteine G → lenti, possono avere tempi da secondi a pochi minuti. Aumenta significativamente se il target è una proteina da produrre con la trascrizione genica GAMMA DI RISPOSTA La gamma rappresenta la dinamica di risposta, definita in base alla concentrazione del ligando, può essere descritta da funzioni che mettono in relazione andamento della risposta e concentrazione nel corso del tempo. Si distinguono 3 situazioni: Modulazione iperbolica → crescita graduale della risposta, in modo proporzionale all’aumento di concentrazione. Non è sfruttato estensivamente Risposta tutto o nulla → inizialmente si deve superare una specifica soglia di concentrazione e c’è un immediato spostamento verso il massimo della risposta. il sistema si attiva o per intero o no Risposta con modulazione sigmoidale → crescita della risposta in funzione alla concentrazione del ligando. A basse concentrazioni porta ad un rapido aumento proporzionale. A concentrazioni più elevate si raggiunge un valore massimo portando ad una situazione di stallo. L’ultimo è un intermedio tra i primi due, rappresentando la modalità più regolabile delle altre, ed è la gamma più frequente. Vengono usati in base alla via di segnalazione, stimolo e cellula FEEDBACK POSITIVO E NEGATIVO Nelle vie di segnalazione ci sono 2 tipi di feedback o loop: Positivo → potenzia il segnale. Uno stimolo induce l’attivazione di A, che induce a sua volta l’attivazione di B, che attraverso il suo loop attivo induce l’attivazione di A. ○ Questi attivano la propria attivazione, creando una autostimolazione continua nel tempo ○ Verrà disattivato dagli inibitori di feedback positivo, bloccando il segnale al termine Negativo → Inibisce il segnale. Uno stimolo A induce B, che con il suo loop inibisce A ○ Porta il sistema ad auto spegnersi e limitare il segnale nel tempo ○ Mantengono un adattamento del sistema, impedendo attivazioni continue AUTOREGOLAZIONE DEI SISTEMI Mantenere un sistema attivo per molto tempo è poco funzionale. poiché le variazioni della concentrazione sono fondamentali per rispondere a stimoli provenienti dalle vie di segnalazione, soprattutto dall’ambiente extracellulare. Sono necessari sistemi di autoregolazione che usano meccanismi di adattamento. Sono definiti anche di desensibilzzazione. Diversi sistemi sono: Sequestro del recettore → all’attivazione del recettore, il ligando viene rimosso e internalizzato, riducendo lo stimolo della cellula. Viene riciclato e riutilizzato dal sistema endosomiale di recupero Down-regolazione del recettore → basato sul sequestro, ma al posto di riutilizzarlo viene degradato e digerito da lisosomi. richiede più tempo Inattivazione del recettore → possiedono sistemi intrinseci che permettono la disattivazione, con modifiche funzionali e strutturali Inattivazione della proteina di segnalazione → le molecole di trasduzione possono essere disattivate, inibendo l’intera via di segnalazione Produzione di proteine inibitrici → inibiscono direttamente il recettore. Ci sono da considerare le tempistiche di sintesi e accumulo delle proteine presso la membrana INTEGRAZIONE La cellula è costantemente sottoposta a grandi quantità di stimoli; non reagisce a ciascuno con un preciso significato, ma risponde alla combinazione di più stimoli. E’ fondamentale che ci sia integrazione dei segnali che arrivano alla cellula, che deve coordinare e integrare vari stimoli per generare risposte congrue: senza questo la cellula appare disorientata e non responsiva. Può succedere che due recettori di membrana convergono su un target comune, il quale deve essere necessariamente fosforilato da entrambi affinché si generi una risposta specifica. In molti sistemi è associato ad un complesso recettoriale intracellulare, in cui si raggruppano i diversi fattori che si organizzano in maniera sequenziale in complessi a valle del recettore. Questo massimizza la risposta In alcuni csi i recettori sono associati a complessi che permettono di attivare mediatori effettori in sequenza, consentendo una corretta trasduzione all’interno della cellula. E’ garantito da particolari proteine, le scaffold proteins, che assemblano il complesso di mediatori in modo coerente e si legano ai recettori; formano così un meccanismo che mette in contatto mediatori e recettore. Questi si sfruttano nei sistemi tirosin-chinasici o nel recettore post-sinaptico. In altri casi le molecole downstream possono concentrarsi vicino alla membrana e si reclutano rapidamente quando il recettore viene attivato dal ligando. Qui è rappresentato un recettore con attività tirosin-chinasica e subisce autofosforilazione esponendo fosfati su gruppi differenti. Interagiscono con serine, treonine e tirosine In altri casi i complessi si formano con un recettore inattivo, una proteina segnale e fosfoinositidi bifosfati di membrana. Quando il recettore si attiva, fosforila ancora i fosfoinositidi che diventano trifosfati; questi ultimi fungono da siti di riconoscimento ed ancoraggio per le proteine segnale. DOMINI PROTEICI I domini di interazione sono sequenze proteiche che hanno il compito di permettere il legame fra proteine coinvolte nella formazione di complessi di segnalazione e sono caratterizzati da specificità. Si possono osservare diversi complessi che espongono gruppi fosfato da specifici domini chinasici, come la proteina docking IRS1 (proteina substrato 1 del recettore dell’insulina) attraverso i domini PTB (domini di interazione con fosfotirosine e PH riconosce rispettivamente i gruppi fosfato esposti in seguito ad una attivazione ed il fosfoinositolo trifosfato. I gruppi fosfato IRS1 esposti sono riconosciuti dal dominio chinasico per la tirosina SH2 della proteina adattatrice Grb2 e permettono l’interazione con altri domini specifici SEGNALAZIONE TRAMITE RECETTORI ACCOPPIATI A PROTEINE G I recettori interagiscono con le proteine G, composta dalle subunità alfa/beta/gamma. Questo trimero esiste quando la subunità alfa è legata a GDP: al momento della sostituzione con GTP il trimero si disgrega. Si forma la proteina alfa attiva ed un dimero beta-gamma che interagisce svolgendo funzioni. I recettori accoppiati a proteine G sono di superficie cellulare, costituiscono la più grande famiglia di recettori: rispondono a segnali di vario tipo, come luce, peptidi e proteine, ed hanno una struttura con 7 domini transmembrana ed una tasca centrale di legame, basato su proteine G trimeriche come effettori. Il trimero è ancorato attraverso delle code lipidiche presenti sulle subunità alfa e gamma, in modo tale da tenerlo nel compartimento adeguato in prossimità del recettore. Esiste in due conformazioni: Trimerica attiva Dimeri separati (alfa e beta-gamma) La subunità alfa possiede un dominio Ras (G monomerica). Possiede anche un dominio AH, importante per ancorare il nucleotide in questa zona. Si crea una tasca ed il dominio AH può essere chiuso o aperto a seconda del compito da svolgere: quando è chiuso non permette fuoriuscita, quando è aperto si ATTIVAZIONE DEI RECETTORI Vanno attivati incontro ad un cambiamento conformazionale, che modifica la struttura e viene avvertito dalle molecole che interagiscono con loro. Quando si lega, subisce un cambiamento conformazionale che viene veicolato nei loop intracellulari soprattutto nei loop due, tre e nella coda C-terminale. Questi cambiamenti richiamano la proteina G trimerica, permettendo interazione. L’interazione porta all’apertura del dominio AH e consente la fuoriuscita del GDP, con il cambiamento di conformazione che richiama il GTP. Questo è incorporato nella tasca, permettendo il distacco della subunità alfa attiva dal dimero. Le due componenti attivano gli effettori a valle, che producono dei secondi messaggeri (molecole segnale). Tutto questo serve per attivare un effettore con la funzione di produrre molecole segnale all’interno della cellula. Si ha poi un mantenimento dell’attività della subunità alfa legata a GTP. Idrolizza GTP in GDP e ritorna inattiva, ripristinando il trimero iniziale. Si producono così 4 molecole segnale accoppiate a proteine G: cAMP, ioni Ca2+, diacilglicerolo e inositolo trifosfato. Queste 4 hanno livelli di produzione modulati durante l’attivazione della proteina alfa. I loro livelli sono controllati, perché le variazioni positive o negative determinano l’attivazione di una serie di reazioni a cascata. REGOLAZIONE DELLA PRODUZIONE DI cAMP Un segnale può aumentare la produzione di oltre 20 volte in pochi secondi. Ad esempio, stimolando un neurone con serotonina, la concentrazione di cAMP aumenta di 20 volte in 20 secondi. Questo cambiamento porta ad una cascata di reazioni che elaborano una risposta allo stimolo iniziale. cAMP è una piccola molecola che deriva dalla modifica di ATP. Per produrre cAMP è necessaria una modesta quantità di ATP, se ce n’è poco, si avrà poco cAMP. Per sintetizzarlo si usa l’adenilato ciclasi, che elimina 2 fosfati dall’ATP ed induce un legame sul C5, ciclizzandolo. Queste molecole sono altamente controllate, c’è un sistema che induce la produzione, ma anche uno che le distrugge. cAMP viene distrutto dalle cAMP fosfodiesterasi, in grado di convertire cAMP in AMP, un sistema che serve a riportare i livelli alla normalità FUNZIONI DELLE PROTEINE G-ALFA Esistono proteine con funzioni contrapposte, ce ne sono 2 tipi: Stimolatorie → stimolano la produzione di cAMP Inibitorie → inibiscono l’adenilato ciclasi A seconda che il recettore sia associato a proteine trimeriche stimolatorie o inibitorie, si avranno risposte differenti per quanto riguarda il cAMP, ma anche una risposta biologica. La tossina colerica, prodotta dal vibrio cholera (batterio), è un enzima che trasferisce ADP ribosio da NAD+ intracellulare alle subunità alfa della Gs. Questa ribosilazione altera la subunità alfa, non permettendole di idrolizzare GTP legato e facendolo rimanere in forma attiva (stimola indefinitamente l’adenilato ciclasi). Un altro esempio è prodotto dal batterio Bordetella pertussis, la tossina pertosse, che catalizza l’ADP-ribosilazione della subunità alfa impedendole di interagire con i recettori. Il risultato è che la proteina G rimane nello stato inattivo con GDP legato e non regola le proteine bersaglio. MEDIAZIONE TRA PKA e cAMP L’innalzamento dei livelli di AMP ciclico porta a vari effetti sulle funzioni cellulari: uno dei suoi target principali è un enzima, il PKA, una proteina chinasica che dipende dai livelli di cAMP. Se sono elevati, PKA è attiva e fosforila dei substrati, se sono bassi invece è inattiva. La sua struttura permette di rilevare i livelli di cAMP: generalmente è in forma inattiva (tetramero), composto da 2 dimeri. Possiede due subunità regolatorie, che hanno siti di legame per cAMP e due subunità catalitiche. Quando non c’è cAMP il tetramero è fermo; quando ce n’è tanto si lega alle tasche sulla superficie e l’interazione induce un cambiamento conformazionale che porta alla dissociazione: Le subunità catalitiche si staccano ed agiscono sugli effettori. Quelle regolatorie invece servono per la localizzazione della chinasi all’interno della cellula. Proteine di ancoraggio speciali della A-chinasi (AKAP) si legano alle subunità regolatorie ed a un componente del citoscheletro o membrana di un organello, localizzando il complesso enzimatico in un particolare compartimento subcellulare. RUOLO DELLA FOSFOLIPASI C-beta E CORRELAZIONE CON Ca2+ Ci sono proteine G alfa che agiscono su effettori che producono secondi messaggeri, e la fosfolipasi C-beta è uno di questi. E’ un enzima che scinde il fosfatidilinositolo 4,5-bifosfato che è presente in piccole quantità nell’interfaccia interna del doppio strato. Genera 2 secondi messaggeri: diacilglicerolo e inositolo-1,4,5-trifosfato Queste molecole agiscono su altre causando nell’insieme un accumulo di calcio intracellulare. Il secondo si lega ai recettori rianodinici, un canale regolato da Ca2+. Questi devono essere stimolati, ed aprono direttamente le camere provocando la fuoriuscita di calcio. Questo esercita varie funzioni: agisce in congiunzione al diacilglicerolo nell’attivazione della proteina chinasi C, fosforilando substrati. Il Ca2+ innesca contrazione nelle cellule muscolari, la sua concentrazione è normalmente molto bassa nel citosol, ma alta nel fluido extracellulare.