Biochimica Prima Parte PDF
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These notes cover the first part of biochemistry, focusing on lipids, monosaccharides, and disaccharides. It explains the properties, classification, and functions of different types of lipids, and details the structure, isomerism, and reactions of monosaccharides.
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Biochimica I lipidi La parola lipide deriva dal greco lipos, grasso. Essi sono i costituenti delle piante e degli animali. I lipidi biologici sono un gruppo eterogeneo di composti la cui proprietà comune più importante è l’insolubilità in acqua, essendo largamente o totalmente non polari. I lipidi s...
Biochimica I lipidi La parola lipide deriva dal greco lipos, grasso. Essi sono i costituenti delle piante e degli animali. I lipidi biologici sono un gruppo eterogeneo di composti la cui proprietà comune più importante è l’insolubilità in acqua, essendo largamente o totalmente non polari. I lipidi sono molecole anfipatiche, costituite da una testa idrofilica polare e una coda idrofobica apolare. Essi hanno una forte tendenza ad associarsi mediani interazioni non covalenti in ambiente acquoso. Questi legami coinvolgono le code apolari, sono legami deboli causati dalle interazioni di Wan Der Waals. La testa polare è costituita da gruppi idrofilici -OH e -COOH ed ha una forte tendenza ad interagire con l’acqua formando legami idrogeno. La coda apolare, invece, è costituita da un gruppo alchilico idrofobico del tipo CH3(CH2)n. All’aumentare della lunghezza della catena diminuisce il contributo relativo del gruppo funzionale alle proprietà fisiche della molecola e minore è la solubilità in acqua del composto. I lipidi sono un gruppo eterogeneo di molecole con funzioni differenziate: Grassi e oli: deposito ed utilizzazione di energia; Fosfolipidi, glicolipidi e steroidi: elementi strutturali delle membrane; Altri lipidi: ormoni, cofattori, agenti emulsionanti, molecole con funzione protettiva. Classificazione dei lipidi I lipidi saponificabili Si ottengono idrolizzando un estere con una base e formano sali di acidi carbossilici e un alcol (trigliceridi, sfingolipidi, fosfolipidi). I lipidi non saponificabili Non sono idrolizzati da basi in quanto non contengono acidi carbossilici (steroidi e prostaglandine). Gli acidi grassi Tra i lipidi più importanti per gli organismi viventi rientrano gli acidi grassi, acidi carbossilici con catena idrocarburica contenente dai 4 ai 36 atomi di carbonio. Gli acidi grassi più comuni sono quelli non ramificati e contenenti un numero pari di atomi di C, da 12 a 24. Il numero pari deriva dal loro metodo di sintesi. Gli acidi grassi rappresentano i lipidi più semplici. Sono costituenti di molte strutture lipidiche complesse e possono essere saturi e insaturi. I carboni degli acidi grassi saturi sono tutti, tranne quello carbossilico, ibridizzati sp3 e legati tra loro con legami di tipo σ, mentre negli acidi grassi insaturi sono presenti uno o più legami doppi tra carboni ibridizzati sp2. La disposizione delle insaturazioni è piuttosto regolare: in genere si trovano tra il C9 e C10, C12 e infine C15. In natura si trovano molto le configurazioni cis (o Z), mentre le forme trans o (E) si trovano principalmente nei latticini e nella carne essendo prodotti nel rumine degli animali. Per la nomenclatura gli acidi grassi hanno un nome comune e uno sistematico. Quest’ultimo viene formano dal nome dell’idrocarburo da cui deriva sostituendo la -o finale con la desinenza -oico, e con prefisso acido. Gli acidi grassi sono numerati a partire dal carbonio contenente il gruppo carbossilico. Per indicarne la struttura, esiste un sistema di abbreviazioni del tipo: acido octanecanoico 18:0 acido octadecanotrienoico 18:3 cis Δ9,12,15 dove 18 indica il numero complessivo di atomi di carbonio, 0 e 3 indicano il numero complessivo di doppi legami e Δ9,12,15 indica la posizione dei doppi legami. Gli acidi carbossilici presenti nei lipidi saponificabili sono detti grassi I principali acidi grassi presenti in natura sono: Acido caprico (decanoico) 10:0 Acido stearico (octadecanoico) 18:0 Acido laurico (dodecanoico) 12:0; Acido arachidico (eicosanoico) 20:0 Acido miristico (tetracanoico) 14:0; Palmitoleico (cis-9- esadecenoico) 16:1 Acido palmitico (esadecanoico) 16:0; Oleico (cis-9- ottadecenoico) 18:1 Linoleico (ac. ottadecadienoico)18:2 Arachidoico (eicosatetraenoico) 20:4 Δ5,8,11,14 Linolenico (ac. Ottadecatrienoico) 18:3 Tutti questi acidi grassi possono essere sintetizzati dal corpo umano, eccetto per il linoleico il linolenico che vanno per questo assunti tramite la dieta. Tutti i precedenti sono detti acidi grassi essenziali. Gli eicosanoidi sono i precursori di alcuni ormoni locali. Il loro precursore è l’acido arachidonico (20:4) e da essi si formano le prostaglandine, i leucotrieni, i trombossani e le prostacicline. Intervengono nella riparazione dei tessuti, nell’infiammazione, nella regolazione della trasmissione nervosa… Le proprietà fisico-chimiche degli acidi grassi. Gli acidi grassi sono acidi carbossilici, per cui le proprietà fisiche sono le stesse. Il pKa del gruppo carbossilico è compreso tra 4 e 5. Il punto di fusione aumenta con la lunghezza della catena e diminuisce con il crescere del numero delle insaturazioni. Il pKa indica la forza di un acido, ovvero la tendenza che esso ha a cedere il protone. Più basso è il pKa, più forte è l’acido e viceversa. Per gli acidi grassi, che sono acidi carbossilici, si distinguono tre situazioni pKa=pH, dunque [COOH] = pKa>pH, dunque prevale pKa10 s.) I monosaccaridi I monosaccaridi sono costituiti da una catena carboniosa non ramificata, che in genere comprende da tre a otto atomi di carbonio uniti da legami singoli di tipo σ. All’interno della catena sono presenti vari gruppi ossidrilici e un gruppo carbonilico. A seconda di dove il gruppo carbonilico si trova si avrà un’aldeide o un chetone, per cui i monosaccaridi si dividono principalmente in aldosi e chetosi. Tuttavia, possono anche essere divisi in gruppi il cui suffisso è -osio, e il cui prefisso deriva dal numero di atomi di carbonio presenti nello zucchero (tri-, tetr-, pent-). Viene spesso aggiunto anche il prefisso aldo- o cheto-. I due zuccheri più semplici sono: la gliceraldeide (aldotriosio) e diidrossiacetone (chetotriosio). Tra i pentosi troviamo il ribosio e il desossirbosio, componenti dell’RNA e DNA. Tra gli esosi, invece troviamo il glucosio e il fruttosio, i quali differiscono solamente per il posizionamento del gruppo aldeidico. Delle isomerasi possono invertirli. I monosaccaridi, tranne il diidrossiacetone, presentano almeno un carbonio asimmetrico, detto stereocentro, e di conseguenza presentano più ismoeri ottici, o enantiomeri. Gli enantiomeri non sono sovrapponibili. Osservando l’aldoso più semplice, la gliceraldeide, si nota che il carbonio centrale è uno stereocentro. Esistono dunque due enantiomeri della gliceraldeide che hanno attività ottica destrogira +, o levogira -. Si scrivono con le proiezioni di Fischer. Fischer innaugura la convenzione per cui la + gliceraldeide, che presenta l’ossidrile a destra, venga chiamata D-gliceraldeide, analogamente la – gliceraldeide diventa la L gliceraldeide. Dunque un monosaccaride appartiene alla serie D se il gruppo ossidrilico dello stereocentro più lontano dal gruppo carbonile è a destra, analogamente appartiene alla serie L se si trova a sinistra. La maggior parte dei monosaccaridi presenti in natura si trovano nella configurazione D. Una molecola contenente n stereocentri ha un numero di enantiomeri pari a 2 n. Esistono quindi, monosaccaridi con unguale numero di atomi di carbonio che si differenziano per la configurazione attorno a un carbonio diverso da quello più lontano dal gruppo carbonile (che determina la serie D o L). Questi sono definiti epimeri. Un’aldeide può reagire con un alcol in rapporto 1:1 formanto un emiacetale. Analogamente un chetone può reaginre con un alcol in rapporto 1:1 formando un emichetale. In generale gli emiacetali sono poco stabili, ma la loro forma ciclica (in particolare a 5 e 6 atomi di C) è favorita dalla bassa tensione angolare. Zuccheri come il glucosio potrebbero formare anelli con numeri differenti di carbonio, ma solo la formazione di anelli a 5 o 6 atomi, di cui uno l’ossigeno, è energicamente favorita. Inoltre la forma a sei atomi è trovata più frequentemente essendo più stabile. I monosaccaridi che formano anelli a 5 C sono detti furanosi, quelli che formano anelli a 6 C sono detti piranosi. Nella forma aciclica il C1 è achirale, mentre nella forma ciclica diventa chirale. Tale carbonio è l’unico stereocentro del ciclo che lega due atomi di ossigeno, per cui è denominato carbonio anomerico. A seconda del lato in cui avviene l’attacco del gruppo -OH sul carbonile ssi avranno due stereoisomeri non speculari che differiscono solo per la configurazione intorno al carbonio anomerico e vengono chiamati anomeri. Gli anomeri sono una forma particolare di epimeri. L’anomero si definisce α se l’-OH è orientato verso il basso (essendo la molecola planare), β se è diretto verso l’alto. Con le proiezioni di Fischer l’-OH si rappresenta a destra in caso di configurazione α, a sinistra per la configurazione β. Tuttavia, le proiezioni di Fischer non sono la forma più adatta per rappresentare le molecole cicliche sul piano, per questo vengono usate le proiezioni di Haworth. Secondo Haworth i furanosi sono rappresentati con l’ossigeno che occupa il vertice in alto e i piranosi con l’ossigeno in alto a destra. Inoltre, la configurazione α avrà l’-OH in basso, quella β in alto. Vanno ad ogni modo ricordate le formule conformazionali a busta per i furanosi e a sedia per i piranosi. Gli anomeri (α, β) si possono interconvertire l’uno dall’altro attraverso un comune intermedio (aldeide o chetone libero). I monosaccaridi (gli aldosi) possono essere ossidati da agenti relativamente “blandi” come ione ferrico e rameico (Fe3+ e Cu2+). Il carbonio del grupppo aldeidico viene ossidadto a gruppo carbossilico. Questi sono detti zuccheri riducenti. Le estremità riducenti sono le due estremità dei gruppi aldeidici e chetonici liberi di uno zucchero in grado di ridurre particolari sostanze. (i chetosi sono isomerizzati ad aldosi) I test di Benedict e di Fehling per gli zuccheri riducenti utilizzano la riduzione di Cu 2+ a Cu+. Le soluzioni di ioni Cu2+ sono azzurre, quelle di Cu+ sono rosse. Misurando la quantità di reagente ossidante che viene ridotta è possibile determinare la concentrazione dello zucchero, essendo i monosaccaridi semplici dei riducenti. Inoltre il carbonio aldeidico, ma non il chetonico, può essere utilizzato nel reattivo di Tollens. Il legame glicosidico è il legame che si forma tra il carbonio anomerico di uno zucchero ciclico ed il gruppo -OH di un altro zucchero o di un alcol, se è presente il legame clicosidico, l’anello dello zucchero non si può aprire. Quando uno zucchero ciclico si lega ad un alcol si forma un glicoside (α o β). I glicosidi prendono il nome dal monosaccaride corrispondente, cambiando la desinenza -O in -DE. Un residuo è la posizione occupata da un’unità all’interno di una molecola più grande. I disaccaridi I disaccaridi sono costituiti da due unità saccaridiche legate tra di loro da un legame glicosidico. Il composto viene scritto con l’unità non riducente a sinistra. La lettera O (ossigeno che li lega) precede il nome della prima unità monosaccaridica. Il legame può essere α o β, a seconda della posizione dell’ossidrile che legato al carbonio anomerico. Le strutture ad anello del primo zucchero sono chiamate furanosil o piranosil. I due atomi di carbonio uniti dal legame glicosidico sono indicati tra parentesi con una freccia in mezzo (1→4). Le strutture ad anello del secondo zucchero sono invece dette furanosio o piranosio. Troviamo vari disaccaridi, i più noti sono: Il maltosio: è un disaccaride formato dalla condensazione di due α-D-glucopiranosio, unite da un legame α1→4-glicosidico, per cui il suo nome tecniro sarà O-α-glucopiranosil-(1→4)-α-glucopiranosio. È un prodotto della degradazione dell’amido. Si trova nel malto dei cereali in fase germinativa; Cellobiosio: costituiti da due β-D-glucopiranosio uniti dal legame β 1→4. È riducente e il suo nome sarà O- β-D-glucopiranosil-(1→4)- β-D-glucopiranosio. Si ottiene per idrolisi parziale della cellulosa; Lattosio: formato dall’unione di β-D-Galattopiranosio e β-D-glucopiranosio e da un legame β1→4. È uno zucchero riducente. Il suo nome sarà O-β-D-galattopiranosil-(1→4)-β-D-glucopiranosio: Saccarosio: formato da α-D-glucopiranosio e da α-D-fruttopiranosio e legati dal legame β1→2. Il suo nome sarà O-α-D-glucopiranosil-(1→2)-β-D-fruttopiranoside. È l’unico tra i tre a non essere riducente in quanto entrambi gli ossidrili anomerici sono occupati dal legame glicosidico. Per questo si può partire a descriverli sia dal fruttosio sia dal glucosio; I polisaccaridi Si differenziano in omopolisaccaridi, costituiti da un solo tipo di unità monomerica, e in eteropolisaccaridi, costituiti da diverse unità monomeriche. Abbiamo tra i più noti: L’amido: una riserva vegetale di glucosio costituita dal 20% da amilosio e dall’80% da amilopectina. L’amilosio è costituito da 50-300 residui di glucosio con legami del tipo 1-4 α, che genera un’elica con sei unità per singolo giro. La presenza di numerosi gruppi ossidrilici liberi rendono la molecola idrofila. L’amilopectina è invece costituita da 300-500 residui di glucosio uniti da legami 1-4 α e 1-6- α e presenta ramificazioni ogni 25-30 residui. Le ramificazioni creano più estremità non riducenti. Questo rende la molecola insulubile in acqua ma è fondamentale per far si che gli enzimi riescano a scinderlo più velocemente; Il glicogeno: è una riserva animale di glucosio. È costituito da 10000 residui uniti da legami 1-4- α e 1-6- α. Presenta ramificazioni ogni 8-12 residui, il che determina la formazione di strutture granulari. Come per l’amilopectina, la struttura ramificata favorisce la rapida mobilizzazione delle riserve energetiche, perché sono presenti molti residui terminali non riducenti, punto di attaacco dell’enzima specifico; La cellulosa: è costituita da 10000/15000 residui e presenta legami 1-4-β, che rendono la molecola lineare. La presenza di legami H all’interno della catena la rendono più stabile e la presenza di legami H TRA le catena determina la formazione di una fibra dritta e stabile, resistente alla tensione. Struttura laminare. I legami glicosidici sono consequentemente poco esposti al solvente, rendendo molto lenta l’idrolisi. È questo il motivo per cui gli umani non degradano la cellulosa. Presente nel legno, cotone, mais, paglia… I deossi zuccheri sono zuccheri a cui uno o più -OH vengono sostiuiti con H. I fosfati degli zuccheri sono zuccheri a cui viene sostituito, mediante somministrazione di ATP, il gruppo fosfato all’OH sostituente. Le proteine Le proteine sono dei polimeri in cui si combinano variamente 20 monomeri chimicamente simili tra loro, gli amminoacidi. Tutte le proteine, in qualsiasi organismo vivente, sono costituite dallo stesso gruppo di 20 amminoacidi legati in modo covalente. Ciò che differenzia le proteine è l’ordine con cui essi si susseguono. Le proteine sono molecole organiche molto complesse in grado di svolgere numerosi ruoli, tra cui: Enzimi; Proteine strutturali (collageno); Proteine di trasporto (emoglobina); Proteine di difesa (anticorpi) Proteine di riserva (caseine); Proteine regolatrici (enzimi). Proteine contrattili o mobili (actina); Hanno sia nomi comuni chee nomi “tecnici”. Tutti i 20 amminoacidi hanno proprietà comuni e vengono chiamati amminoacidi standard. Gli amminoacidi sono molecole organiche che presentano un gruppo carbossilico e un gruppo amminico (NH2) legati allo stesso carbonio. Tutti gli amminoacidi sono degli α-amminoacidi. Il carbonio è ibridizzato sp3 e forma quattro legami semplici di tipo σ. Olte al carbossile e all’aminico, lega sempre l’idrogeno. Ciò che differenza un amminoacido dall’altro è il quarto gruppo atomico, denominato gruppo R o catena laterale. Dunque un generico amminoacido avrà la formula vista in figura. Osservando la struttura si nota come il carbonio in α lega quattro sostituenti diversi, tranne nel caso della glicina in cui il gruppo R è l’idrogeno. Dunque, tranne per la glicina, il C centrale è uno stereocentro, la molecola è quindi chirale e possono esistere i due enantiomeri. La configurazione degli amminoacidi è di solito rappresentata con le proiezioni di Fischer, posizionando il carbossilico in alto e il gruppo R in basso. Per convenzione vengono chiamati D gli amminoacidi con il gruppo amminico a destra, L quelli con il gruppo amminico a sinistra. Gli amminoacidi in natura sono della serie L. In base al gruppo R gli amminoacidi si dividono in: Alifatici non polari; Polari carichi Aromatici; positivamente; Polari non carichi; Polari carichi negativamente. Gli amminoacidi sono anche chiamati con una sigla in tre lettere o una singola lettera. Tra questi 20 amminoacidi, 8 sono definiti amminoacidi essenziali, visto che l’organismo non è in grado di sintetizzarli e vanno assunti mediante l’alimentazione. Alcuni amminoacidi possono essere modificati chimicamente, dopo esser stati assemblati nelle proteine. L’arnitina e la citrullina sono intermedi fondamentali nella biosintesi dell’arginina e nel ciclo dell’urea. Nelle soluzioni acquose vicine alla neutralità, gli amminoacidi si ionizzano, il carbossile si comporta da acido cedendo un protone e il gruppo amminico si comporta da base accettando il protone. Dunque l’amminoacido si presenterà con i due gruppi funzionali ionizzati ed è definito ione dipolare o zwitterione. Essendo presenti entrambe le cariche, la carica netta è zero. Viene definito punto isoelettrico il valore di pH in cui l’amminoacido si presenta in forma di zwitterione. Sono dunque sostanze anfotere. Una molecola anfotera si comporta come una base con un acido e come un acido con una base. In soluzinoi acquose con pH intorno alla neutralità, la maggior parte degli amminoacidi sono ioni dipolari neutri. In soluzione acida, il gruppo carbossilico accetta uno ione idrogeno (comportamento da base) e la carica elettrica dell’amminoacido passa da 0 a +1. Analogamente, in soluzione basica il gruppo amminico cede un protone (comportamento da acido) allo ione ossidrile e la carica elettrica dell’amminoacido passa da 0 a -1. Il legame peptidico La formazione del legame peptidico è una reazione endoergonica, necessita energia. Gli amminoacidi, essendo molecole con due gruppi funzionali, possono reagire tra di loro attraversando reazioni di condensazione per foramre dei polimeri detti peptidi. Il gruppo carbossilico di un amminoacido può reagire con il gruppo amminico del secondo amminoacido per formare un legame amminico -CO-NH-, detto peptidico. tale reazione porta all’eliminazione di una molecola di acqua e alla formazione di un dipeptide. Sebbene il legame peptidico sia sempre raffigurato come legame singolo, la sua lunghezza è intermedia tra un legame π e σ. Questo è spiegato dalla risonanza dovuta alla condivisione del doppietto elettronico dell’azoto, spostato leggermente verso l’ossigeno, dandogli una parziale carica negativa, e all’azoto parzialmente positiva. Il legame è dunque polare, planare e stablizzato per risonanza. Esistono infatti due formule limite. Gli atomi del Cα sono ai lati opposti del legame peptidico che li tiene uniti, sono dunque trans. Il gruppo peptidico trans è più stabile di quello cis che sarebbe causa di interferenze steriche. Non c’è alcuna possibilità di rotazione tra il carbonio carbonilico e l’azoto. Per convenzione, i peptidi sono rappresentanti scrivendo a sinistra l’amminoacido con il gruppo amminico libero, chiamato amminoacido amminoterminale (o N terminale), e a destra l’amminoacido che presenta il carbossile libero, chiamato carbossile terminale (o C terminale). I residui sono le unità amminoacidiche presenti in un peptide. Ogni residuo è un amminoacido che ha perso un protone dal suo gruppo amminico ed un ossidrilione dal gruppo carbossilico. Catede di 10 amminoacidi sono detti oligopeptidi. Un polipeptide è una catena composta da 10 a 50 amminoacidi. I polimeri con più di 50 amminoacidi sono detti proteine, sebbene polipeptidi e proteine sono spesso usati come sinonimi. La struttura delle proteine La struttura proteica è complessa, per cui per facilitarne la compresione i chimici delle proteine descrivono tale struttura avvalendnosi di quattro livelli strutturali principali: primaria, secondaria, terziaria e quaternaria. La struttura primaria è la sequenza amminoacidica della proteina, dall’estremità amminoterminale a quella carbossiterminale. La struttura primaria determina la conformazione della proteina; La struttura secondaria è la disposizione spaziale locale degli atomi appaternenti allo scheletro di un polipeptide, senza tener conto della conformazione delle catene laterali e dei suoi sostituenti. Esistono due tipi di strutture secondaria: α-elica e foglietto β. Si definisce struttura supersecondaria il raggruppamento stabile di elementi di strutture secondarie; La struttura terziaria è la struttura tridimensionale completa di un polimero a catena singola, nel suo stato ripiegato comprendente anche le sue catene laterale. Le forze che stabilizzano la struttura terziaria sono: legami H, interazioni idrofobiche, ponti salini, nuclei idrofobici ed eventuali ponti disolfuro; La struttura quaternaria è la struttura tridimensionale di una proteina costituita da più subunità. È anche il modo con cui queste subunità interagiscono l’una con le altre. Le forze che contribuiscono alla satbilità della struttura quaternaria sono le stesse delle struttura terziaria. Gli ioni metallici nelle struttura delle metallo proteine servono per far sì che la proteina sia in grado di sovolgere la sua funzione. La presenza dello ione o meno cambia la forma alla proteina. Il dominio è un’unità strutturale distinta di un polipeptide. I domini possono avere funzioni diverse e si possono avvolgere come unità separate e indipendenti. La configurazione proteica è l’organizzazione spaziale degli atomi di una proteina. È la configurazione più stabile e a più bassa energai e dunque predomina sulle altre. Viene anche chiamata conformazione nativa e corrisponde alla conformaione funzionale di ogni proteina. La struttura viene stabilizzata da legami deboli. La denaturazione è la perdita della conformazione nativa e della funzione della proteina, con l’assinzione di un’organizzazione spaziale totalmente aperta. Si ha dunque la rottura dei legami deboli e dei ponti disolfuro. La denaturazione è solitamente un processo reversibile. Durante la denaturazione non vengono assolutamente rotti i legami peptidici, solo i legami che tengono insieme le strutture (primarie, secondarie…). La ribonucleasi è stata la prima proteina ad essere denaturata. Le proteine vanno a far parte di quei complessi macromolecolari che possono avere varie funzioni: strutture di contenimento, strutture con funzione di movimento, macchinari per la sinstesi proteica, i complessi che impacchettano il DNA… L’autoassemblaggio è una caratteristica di tutti i componenti macromlecolari. Esistono forze responsabili del mantenimento di questi complessi, i legami deboli. Solitamente le catene peptidiche più comuni hanno meno di 2000 residui amminoacidici. Questi limiti sono imposti sia dalla capacità degli acidi nucleici di operare da codice genetico, sia sull’accuratezza della trascrizione. La massa molecolare di una proteina varia da 10000 dalton a oltre 106 Dalton. 𝑀𝑝𝑟𝑜𝑡𝑒𝑖𝑐𝑎 = 𝑁𝑟𝑒𝑠𝑖𝑑𝑢𝑖 × 110. Le cosiddette proteine semplici sono costituite esclusivamente da amminoacidi, mentre le proteine coniugate presentano anche un gruppo prostetico, che ha un ruolo determinante nella loro funzione biologica. La catena polipeptidica è una seuqenza di gruppi peptidici planari e rigidi. Nella catena si distinguono due angoli: ϕ fi: angolo di rotazione attorno al legame Cα-N ψ psi: angolo di rotazione attorno al legame Cα-C Per convenzione, i due angoli sono definiti pari a zero quando i due legami pepditici che fiancheggiano un atomo di Cα sono sullo stesso piano, ma questa configurazine è proibita da sovrapposizioni steriche, perciò è teorica. Le conformazioni stericamente impossibili hanno le distanze interatomiche, tra atomi non direttamente impegnate in legami fra loro, inferiori a quelle delle corrispondenti distanze di Van Der Waals. Il gruppo R influenza moltissimo nell’interferenza sterica in quanto la sua dimensione è decisamente variabile. Il grafico di Ramachandran Il biochimico indiano Ramachandran ipotizzò che la conformazione di una catena polipeptidica potesse esseren completamente descritta riportando i valori di ϕ e ψ per ciascun residuo amminoacidico, in un grafico bidimensionale. I valori degli angoli per tutti gli amminoacidi, eccetto la glicina, si sovrappongono a quelli delle aree teoricamente permesse. I residui di glicina (prolina), invece, ricadono spesso al di fuori delle aree permesse. Indipendentemente dal tipo di proteina, i valori degli angoli di tutti gli amminoacidi tendono ad occupare le aree del grafico più stabili, nelle quali le distanza tra atomi non impegnati tra loro sia superiore ai rispettivi raggi atomici, in modo tale da non creare alcuna interferenza sterica. La struttura secondaria L’α elica e il foglietto β sono le strutture secondarie più comuni nelle proteine. Esistono dei parametri per cui la struttura secondaria sia stabile: La lunghezza e gli angoli di legame devono essere distorti il meno possibile; Due atomi non impegnati tra loro non devono avvicinarsi di più di quanto sia loro concesso dai raggi di Van der Waals; Il gruppo ammidico deve rimanere polare e nella conformazione trans; Le conformazioni favorite sono quelle in grado di permetetre la formazione del maggior numero di legami H. I legami a idrogeno sono localizzati entro una singola catena nell’α elica e tra catene adiacenti nel foglietto β. L’α elica possiede le seguenti caratteristiche: Lo scheletro è strettamente arrotolato intorno all’asse; Le catene laterali sporgono verso l’esterno dello scheletro; La periodicità è di 0,54 nm; Gli angoli variano in questo modo: ψ tra -45° e -50° e ϕ è di circa -60° È predominante nell’α-cheratina, e nelle proteine globulari ¼ dei residui è organizzato in α elica. I legami H si formano tra l’idrogeno legato all’azoto elettropositivo e l’ossigeno carbonilico elettronegativo del quarto residuo amminoacidico successivo. I legami H vanno a stabilizzare la catena L’α elica si può formare con tutti gli amminoacidi, sia nella forma L che D, gli L amminoacidi sono però in grado di formare eliche destrorse e sinistrorse. L’α elica è destrosa ed è l’unica riscontrata nelle proteine naturali. Ogni giro comprende circa 3,6 residui L-. La sequenza amminoacidica modifica la sua stablità: forma, dimensioni, carica… Asn, Ser, Thr e Leu tendono ad impedire la formazione dell’α elica se vengono a trovarsi in stretta vicinana nella catena; Amminoaciid acidi e basici tengono ad influenzare la stabilità della catena; Due amminoacidi aromatici, distanziati di tre amminoacidi, possono generare un’interazione idrofobica; Due amminoacidi aventi catene laterali con le stesse cariche, distanziate da tre residui, destabilizzano l’elica; due amminoacidi aventi cariche opposte e distanziati di tre residui stablizzano l’α elica. Dunque le restrizioni alteranti la stabilità di una α elica sono: la repulsione (o attrazione) tra residui adiacenti con gruppi R carichi; la dimensione dei gruppi R adiacenti; l’interazione tra catene laterali distanziate da 3 o 4 residui; La presenza di residui di prolina che introducno un nodo nella catena (anello rigido). Il foglietto β Lo scheletro della catena ha adamento a zig gag e tutte le catene sono disposte una di fianco, in modo tale da ricordare la forma di un foglietto ripiegato. I legami H si formano tra gruppi NH e CO di catene polipeptidiche diverse. I gruppi R sporgono al di fuori della struttura a zig zag in modo alternato, da una parte o dall’altra. La struttura a foglietto β è la più presente e più stabile. Presenta inoltre un numero maggiore di legami H. Le catene adiacenti possono essere parallele, o antiparallele. Quando due o più foglietti sono strettamente vicini i loro gruppi R devono essere relativamente piccoli. Nella fibrolina della stesa le catene laterali dei residui di Gly e Ala (o Ser) sono disposte in modo alterano ai lati opposti della catena, in questo modo i gruppi R della Gly di una catena si adattano perfettamente a quelli della catena vicina. In modo analogo accade per i gruppi R dei residui di Ala o di Ser. I foglietti antiparalleli sono più stabili in quanto i legami H sono disposti perpendicolarmente all’asse delle catene, mentre nei foglietti paralleli questo non accade, i legami sono obliqui. Per permettere l’inversione della dirazione delle catene polipeptidiche esistono due tipi di inversione: a U o a forcina, che può essere destrorsa o sinistrorsa (rara). Il residuo 2 è spesso la prolina. Il ripiegamento di tipo 1 ha una frequenza doppia rispetto al ripiegamento di tipo 2. Nel tipo 2 la terza posizione è sempre una glicina. Si forma un legame H tra i gruppi peptidici del primo e del quarto residuo del ripiegamento. Le catene antiparallele possono essere collegate da una piccola ansa, la connessione a forcina. Le catene parallele, invece, richiedono un’estesa connessione trasversale, ad ansa destrorsa. La sinistrorsa è molto rara. Nelle anse il numero dei residui varia tra 6 e 16. Strutture supersecondarie Le strutture supersecondarie sono dei raggruppamento stabili ti elementi di strutture secondarie. La rotazione in senso destrorso dei foglietti β determina anche l’avvitamento della struttura, con formazione di nuclei di strutture più grandi come il barile β, un esempio di struttura supersecondaria. Nella struttura a cappio βαβ, i gruppi R degli amminoacidi si proiettano verso l’esterno delle eliche α e delle strutture β. Quindi per coprire i residui idrofobici, che vanno a costituire i nuclei idrofobici con funzione stabilizzante), è necessario che le proteine sulubili in acqua abbiano più di uno strato di struttura secondaria. Le proteine di piccola dimensione possono avere solo pochi nuclei idrofobici o addirittua nessuno, per cui la principale forma di stabilizzazione sono i ponti di solfuro. I domini Prendendo in esempio l’enzima gliceraldeide-3-fosfato deidrogenasi, notiamo che il polipeptide si piega in due domini distinti, ognuno i quali hanno la caratteristica di una piccola proteina globulare ed hanno una funzione speicifica. Di norma ogni dominio è codificato da un esone di un determinato gene. Proteine fibrose e globulari Nelle proteine fibrose la catena polipeptidica è disposta in lunghi filamenti o foglietti. Esse hanno funzione strutturale, danno protezione esterna, supporto meccanico e forma alla molecola. Sono generalmente insolubili. Sono costituite da un solo tipo di struttura secondaria. Es: collageno ha struttura ad elica (non alfa elica). Nelle proteine globulari invece, la catena polipeptidica è avvolta su se stessa, fino a raggiungere una forma sferica o globulare. Sono presenti in molti enzimi, ormoni, anticorpi e proteine di trasporto. Sono formate da strutture secondarie diverse e sono generalmente solubili nel citosol o nella fase lipidica delle membrane. Le proteine globulari non solo pessiedono una struttura secondaria, ma sono anche ripiegate in una struttura terziaria compatta. La struttura terziaria ha origine da interazioni di gruppi che possono essre anche molto lontani nella struttura primaria. La struttura primaria tuttavia determina le strutture secondarie e terziarie. Ne conseque che l’informazione che determina la struttura tridimensionale è contenuta interamente nella sequenza amminoacidica, dunque nella struttura primaria. Ciò è dimostrato tramite esperimenti denaturativi. Le proteine globulari hanno una parte interna e una parte esterna ben definite. Si osserva inavariabilmente che i residui idrofobici si localizzano principalmente all’esterno, costituendo i nuclei idrofobici, mentre i residui idrofilici sono sulla superficie a contatto con il solvente, rendendole solubili. Sono proprietà comuni: I residui idrofobici devono essere immersi nell’interno della proteina, lontani dal contatto con l’acqua, per cui l’interno della proteina è un nucleo molto denso di catene idrofobiche, creando delle interazioni molto importanti per la stabilizzazione della proteina; I residui polari non carichi si trovano normalmente sulla superficie, ma frequentemente si riscontrano anche all’interno, dove formano legami H fra di loro. Infatti un gruppo polare non carico senza la sua controparte all’interno della proteina è destabilizzante; I residui polari carichi sono localizzati quasi costantemente sulla superficie della proteina, in contatto con il solvente acquoso. Nelle proteine la percentuale di strutture α e β non è mai il 100% dei residui, in quanto la restante parte è sottoforma di: ripiegamenti, inversione di direzione, avvolgimenti irregolari, segmenti estesi… Spesso le strutture β formano i nuclei centrali delle proteine. Denaturazione La struttura tridimensionale della proteina è critica per la sua funzione. La temperatura di fusione della proteina (Tm) è la temperatura alla quale essa perde la metà della sua struttura tridimensionale. La proteina si srotola in modo cooperativo, infatti raggiunta la Tm si destabilizza anche la sua parte restante. La denaturazione è la perdita totale dell’organizzazione tridimensionale, con assuzione di strutture casuali. Esistono vari agenti denaturanti: Il calore rompe le interazioni deboli; La variazione di ph modifica le cariche; I solventi organici (alcol), disturbano le interazioni idrofobiche; Gli ioni rompono le interazioni idrofobiche, aumentanto la solubilità in acqua delle sostanze non polari. Solitamente la denaturazione è un processo reversibile, a seconda della proteina. La rinaturazione è determinata dalla sequenza amminoacidica. Esperimento di Anfisnen. Proteine omologhe e amminoacidi invarianti Le proteine omologhe sono le proteine che svolgono la stessa funzione in specie differenti. In proteine omologhe di specie differenti, i residui amminoacidici sono invarianti in alcune posizioni della sequenza, mentre sono variabili nelle altre. Es: emoglobina. Dunque non tutti gli amminoacidi hanno la stessa importanza, quelli più importanti sono gli invarianti. Esempi di residui invarianti sono: Nei ripiegamenti con cambi di direzione della catena; Nei punti di formazione dei legami trasversali; Nel sito catalico degli enzimi; Nei siti di legame dei gruppi prostetici. La struttura terziaria non è rigida, vi è in essa una certa flessibilità e può andare incontro a fluttuazioni a breve raggio. Esistono tre classi di movimenti possibli all’interno delle molecole proteiche: 1. Vibrazioni e oscillazioni di singoli atomi e gruppi: hanno ampiezza 0,2 nm e impiegano tra 10-15 e 10-12s; 2. Movimenti concentrati di elementi strutturali: hanno ampiezza 0,2-1 nm e impiegano tra 10-12 e 10-8s; 3. Movimenti di interi domini: hanno ampiezza tra 1-10 nm e impiegano 10-8s. La struttura quaternaria È l’organizzazione spaziale delle subunità costituenti la proteina, quando questa sia formata da più di una catena polipeptidica, da 2 in su. Sia che ci sia l’associazione tra catene polipeptidiche simili o diverse, si ha la formazione di proteine multimeriche, ovvero aventi struttura secondaria. Gli oligomeri sono proteine multimeriche con subunità identiche, le subunità che le compongono sono dette protomeri. Nelle proteine a struttura quaternaria i difetti possono essere riparati rimpiazzando la subunità difettosa, nel caso degli enzimi ogni subunità ha di norma un sito catalitico. Esistono le subunità catalitiche, dove è presente il sito attivo e si lega il substrato, e subunità regolatorie, in cui si legano effettori che cambiano la forma della proteina, influenzando anche la parte catalitica e quindi il sito attivo. Le interazioni tra le catene polipeptidiche delle proteine multimeriche sono dello stesso tipo di quelle che stabilizzano la struttura terziaria: ponti salini, legami H, interazioni idrofobiche, ponti disolfuro. Queste interazioni forniscono l’energia di stabilizzazione della struttura multimerica. Tutti i livelli della struttura proteica sono determinati dalla struttura primaria. L’aggregazione di più subunità fornisce un’ulteriore possibilità di regolazione dell’attività biologica, che è espressa da una curba di saturazione, dette sigmoide. La dissociazione proteica è la separazione delle singole subunità costituenti una proteina multimerica e può essere ottenuta attraverso una blanda denaturazione. Le catene rimangono funzionanti, ma si fa la perdità dell’attività regolatoria proteica complessiva, dunque la curva di saturazione di ogni subunità è espressa da un ramo di iperbole. Questo processo è solitamente reversibile, dipende dalle proteine. Le proteine del connettivo Il collageno È una famiglia di proteine fibrose con ruolo strutturale. Nei vertebrati costituisce circa il 25% delle proteine totali. Forma fibre insolubili che hanno un’elevata resistenza alla tensione. Le proteine fibrose del collageno. Il collageno è presente in tutti gli organismi multicellulari (è obiquitario): Nelle ossa e nei denti è un polimero del fosfato di calcio; Nella cornea dell’occhio è così ordinato da risultare trasparente; Nei tendini è organizzato in fibre simili a funi; Nella pelle è in fibre poco intrecciate rivolte in ogni direzione; Nei vasi sanguinei è organizzato in fibre disposte in reti elicoidali. Le fibre di collagene sono messe in modo sfalzato. Al M.E. si notano le bande chiare e scure. L’unità strutturale del collageno è il tropocollageno, che è formato da tre caatene polipeptidiche a elica sinistrorsa (diversa dall’alfa-elica), avvolte l’una attorno l’altra a formare una superelica distrorsa, così lo disavvolgimento delle prime è impedito dalla seconda. Ogni catena contiene circa 1000 residui. Caratteristiche principali: passo 0,31 nm; lunghezza 300nm; diametro 1,5 nm e massa 285 kDa. In esso non sono presenti legami idrogeno intra-catena, mentre sono presenti inter-catena. I legami H stabilizzano il collageno e sono perpendicolari all’asse longitudinale del bastoncino di tropocollageno. Esistono vari tipi di collageno, la sua classificazione sta nelle piccole differenze della struttura primaria: Tipo I: Il collagene di tipo 1 [a1(I)]2a2(I) si differenzia per la sua struttura aminoacidica particolare, con una trama più fitta e resistente. Si trova in pelle, tendini, ossa e cornea. Tipo II [a1(II)]3: si trova nella cartilagine, nei dischi intervertebrali e nel corpo vitreo. Tipo III [a1(III)]3: si trova nella pelle fetale, nel sistema cardiovascolare e nelle fibre reticolari. Tipo IV [a1(IV)]2a2(IV): si trova nella membrana basale. Tipo V [a1(V)]2a2(V): si trova nella placenta e nella pelle. La struttura primaria del collageno è insolita (Gly-X-Y)n, dove X è spesso Pro, Y è spessp Hyp. Nella catena, la Glicina è sempre interna. 1/3 degli amminoacidi è costituito da gly, ¼ da Pro. Vi è un elevata presenza di 5-idrossilisina e di 4-idrossiprolina (25%), due amminoacidi non standard. La prolina, avendo una flessibilità conformazionale molto limitata, conferisce rigidità alle catene, quindi alle fibre. I loro anelli si respingono a vicenda, costringendo la catena ad essumer una struttura ad elica e distesa. Nel collageno, è diffusa l’idrossilazione della prolina in idrossi-prolina ad opera della prolinidrossidasi. Essa viene idrossilata solo se è situata sul lato amminico di un residuo di glicina. La 4-idrossiprolina forma legami H tra le catene di tropocollageno. Le idrossilazioni coinvolgono la vitamina C (acido ascorbico), che mantiene il Fe dell’enzima a Fe2+. La sua mancanza provoca lo scorbuto, che causa lesioni cutanee, fragilità dei vasi, emorragie gengivali… Una piccola percentuale di lisina è idrossilata a livello del C5 ad opera della lisinidrossilasi. La 5-idrossilisina rappresenta il sito d’attacco per i polisaccaridi. Il numero di unità saccaridiche legate per molecola di tropocollageno varia in funzione del tipo di tessuto. Gli enzimi, che intervengono prima che le catene assumano una struttura elicoidale, sono la galattosiltransferasi e glucosiltransferasi. Se si analizza la sezione trasverale del tropocollageno si nota che l’interno del cavo elicoidale della triplaelica è molto compatto, il solo residuo amminoacidico che può adattarsi ad una posizione interna dell’elica è la glicina, poiché vi sono tre residui per giro, ogni residuo ogni 3 di ogni catena deve essere una glicina. La forma ad elica è la conseguenza di molti legami che si rinforzano l’un l’altro, la tripla elica è stabilizzata da interazioni cooperative. Se una soluzione di tropocollageno viene scaldata, raggiunta una certa temperatura, la struttura viene distrutta e la viscosità diminuisce. I movimenti termici, ad una certa temperatura, superano le forze che stabilizzano l’elica a tripla catena. Questa transizione strutturale avviene bruscamente. La Tm è la temperatura a cui metà della struttura elicoidale è persa. La Tm del collageno è correlata alla temperatura corporea della specie da cui deriva il collageno. La tripla elica è fortemente stabilizzata dalla isdrossilazione dei residui di prolina che formano legami idrogeno, il contenuto in imminoacidi (prolina e idrossiprolina) aumenta nell’evoluzione. La maturazione del collagene Il procollageno è il precursore, la forma immaura del tropocollageno ed è sintetizzato nei fibroblasti. Le catene che costituiscono il tropocollageno vengono sintetizzate in forma di precursori più grandi sia dall’estremità ammino e carbossi terminale. I propeptidi vengono rimosi, al di fuori della cellula, da parte delle procollageno peptidasi, sia per i propetidi ammino che carbossi terminali. Tutto ciò avviene al di fuori della cellula perché altrimenti si associerebbero, causando la morte cellulare. La rimozione difettosa dei peptidi determina la sindrome di Ehlers Danlos, che reca pelle tesa, giunzioni ipermobili, bassa statura associata a fragilità cutanea e lassità articolare. La maturazione del collageno avviene secondo questi passaggi. Nel RER vengono sintetizzate le catene del collageno, che subiscono modificazioni post traduzionali (idrossilazione e glicosidazione) nel REL. Le catene arrivano poi al Golgi, dove le tre eliche si avvolgono formando una tripla elica destrorsa, il procollagene che presenta entrambe le estremità non avvolte nella tripla elica. Il Golgi dunque secerne il procollagene, che può passare all’esterno della cellula attraverso delle vescicole, dove verranno eliminte le estremità delle eliche attraverso le procollageno pepsidasi, divenendo tropocollagene. Il collageno al ME appare come un alternanza di bande scure e bande chiare ad intervalli regolari. Lo spessore delle bande scure è di 35nm, lo spessore di banda scura e banda chiara è di 67nm. La struttura della fibra di collageno Le moleocle di tropocollageno hanno una disposizione sfalsata. Ogni molecola è spostata di ¼ della propria lunghezza rispetto a quelle vicine, per cui si ha la completa sovrapposizione solo ad intervalli di 5 molecole. La distanza tra l’estremità C-terminale di una molecola e l’estremità N-terminale di quella adiacente è di 40nm. Nell’osso, questo spazio è occupato da un fosfato di calcio, l’idrossiapatite. I legami trasversali covalenti aumetnano la resistenza meccanica del collageno. Sono presenti sia legami intramolecolari (tra le catene di ogni singola tripla elica), che intermolecolari (tra eliche du tropocollageno). I legami crociati intramolecolari sono legami covalenti che si formano in regioni vicine al terminale amminico tramite condensazione aldolica. La regione amminoterminale di una molecola si lega alla regione carbossiterminale di un’altra moleocla di una fila adiacente. Il numero dei legami trasversali varia con la finzione fisiologica e con l’età del tessuto. Le collagenasi sono enzimi che degradano i legami peptidici nelle regioni a tripla elica del collageno. Le collagenasi tessutali sono responsaibli della metamorfosi negli anfibi e della riorganizzazione dell’utero dopo la gravidanza nei mammiferi. La collagenasi dei fibroblasti umani sono metalloproteasi contenenti Ca2+ e Zn2+. L’elastina L’elastina è presente in molti tessuti che devono essere elastici. Ha un elevato contenuto in prolina, valina, glicina ed alanina, ma è povera di idrossiprolina e priva di idrossilisina. Le fibre di elastina si formano quando le catene laterali dei polipeptidi adiacenti formano legami trasversali covalenti, che sono: Lisinorleucina (1 residuo lisina + 1 residuo allisina); Desmosina (3 residui allisina + 1 residuo lisina); l’allisina si forman dalla lisina ad opera dell’enzima lisinossidasi. I legami crociati riportano l’elastina alle sue dimensioni e forma originali dopo l’allungamento. Essi danno anche stabilità, infatti la resistenza delle fibre di elastina alla traduzione aumenta con l’aumentare del numero di tali legami e sono responsabili anche della sua insolubilità. La mioglobina e l’emoglobina I vertebrati posseggono due meccanismi principali per rifornire le loro cellule di ossigeno: il sistema circolatorio e le molecole che legano l’ossigeno, ovvero emoglobina (Hb) e mioglobina (Mb). Queste appartengono alla famiglia delle globine. La mioglobina è la proteina di immagazzinamento dell’O2 in tutte le specie animali, l’emoglobina trasporta l’O2 in tutti i vertebrati ed in alcuni invertebrati, e rimuove la CO2. La mioglobina e l’emoglobina devono essere in grado di: Legare l’O2 reversibilmente; Impedire che esso ossidi altre sostanze (di fatto riducendosi); Rilasciarlo in risposta a specifiche richieste Alcuni metalli di transizione, nei loro stati di ossidazione più bassi hanno la tendenza di legare l’ossigeno reversibilmente. L’evoluzione ha prodotto una modalità con cui il Fe2+, ione ferroso, può essere legato alle proteine Mb e Hb, per creare siti di legame per l’O2. L’emoglobina è una proteina tetramerica costituita da quattro subunità, ciascuna delle quali somiglia fortemnte alla mioglobina. Internamente la proteina è cava nella forma de-ossigenata, la configurazione cambia nella forma ossigenata, infatti il canale si riduce notevolemente. La mioglobina comprende una parte polipeptidica detta globina e un gruppo postetico, il gruppo eme. Quest’ultimo è formato da una parte organica, la protoporfirina IX e un atomo di ferro. L’eme si lega in modo non covalente alla molecola, accomodato in una tasca idrofobica. La protoporfina IX è costituita da 4 anelli pirrolici, legati tra di loro a formare un anello tetrapirrolico, con legati 4 gruppi metilici, 2 vinilici e 2 gruppi propionici. L’atomo di ferro forma 6 legami, 4 con l’N e due addizionali, di cui uno con l’istidina prossimale e uno con l’ossigeno o con altre molecole. L’atomo di ferro è di 0,03 nm fuori dal piano della porfirina quando la sesta posizione di coordinazione è vuota. Nella mioglobina, il 75% della gatena (globina) è in conformazione ad α-elica. Ci sono 8 segmenti elicoidali maggiori (da A ad H) e 5 segmenti non elicoidali (AB, CD, EF, FG, GH) raccordano le varie eliche. Ci sono tre forme principali della mioglobina: La deossimioglobina: il ferro è ossidato a 2+, la quinta posizione presenta l’istidina F8 e la sesta è vuota; L’Ossimioglobina: il ferro è ossidatoa 2+, la quinta posizione presenta l’istidina F8 e la sesta l’ossigeno; La ferrimioglobina: il ferro è ossidato a 3+, la quinta posizione presenta l’istidina f8 e la sesta l’acqua. Le prime due forme della mioglobina sono fisiologiche, mentre la terza risulta una forma patologica. Se la Mb o l’Hb è conservata a contatto con l’aria, al di furoi dell’ambiente cellulare, il ferro si ossida a formare la metamioglobina (ferrimioglobina) o la metamoglobina. Il sito di legame viene inattivato e si lega l’acqua. Un gruppo eme limero lega l’O per un periodo molto breve, poiché l’O ossida molto rapidamente lo ione ferroso (2+) a ferrico (3+). In questa reazione si ha l’intermedio eme-O2-eme. Il gruppo eme presente nella mioglobina è molto meno ossidabile perché difficibilmente due molecole di Mb si potranno avvicinare tanto da permettere la formazione del complesso eme-O2-eme. Dunque, la ragione funzionale dell’esistenza della componente proteica della Mb e dell’Hb è la protezione del ferro dall’ossidazione irreversibile. Mb ed Hb creano ambienti in cui è pemresso il primo passaggio di una reazione di ossidazione (legano l’O) ma viene impedito il secondo (l’ossidazione). Sostanzialmente un eme stericamente protetto è fondamentale per la funzione biologica della Mb. Infatti, la vicinanza della vlaina e della fenilalanina permette che l’eem si trovi in una tasca idrofobica stericamente ostruita Il ferro dunque subisce solo un’ossigenazione reversibilile e non una vera e propria ossidazione. Questa è impossibilitata adll’impedimento sterico che presenta l’ambiente attorno al complesso ferroporfirinico. L’eme libero, invece, può facilmente ossidarsi, non essendoci alcuna protezione sterica. La tossicità del monossido di carbonio La tasca dell’eme può raccogliere sia l’O che il CO, che ha dimensioni analoghe. Il CO ha un’affinità di legame per la Mb e l’Hb maggiore dell’O e il legame non è facilmente reversibile. Per questo motivo il CO è molto tossico. Nel gruppo eme isolato, l’asse dell’O presenta un angolo con l’asse, creando un legame più debole rispetto a quello del CO, i cui gli atomi Fe-O-C sono disposti in modo lineare. Quando l’eme è all’interno della tasca della globina, il legame del CO è diminuito grazie alla presenza dell’istidina distale che crea ingombro sterico, mentre l’O2 si lega allo stesso modo sia alla Hb, sia alle ferro-porfidine isolate. Questo è un vantaggio per l’O che è in competizione con il CO per il legame con il ferro. In conclusione, mentr eil gruppo eme isolato forma un legame con il CO 25mila volte più forte rispetto a quello con l’O, Mb e Hb formano un legame con il CO solo 200 volte più forte rispetto a quello con l’O. In una cellula, il CO blocca l’1% dei siti della Mb e Hb. (data la bassa concentrazione del CO non satura tutto). Il gene della Mb Gli introni sono le sequenze di DNA trascritte ma non tradotte. Gli esoni sono invece seq trascritte e tradotte. Un gene è una sequenza di DNA che codifica una proteina o RNA. Il gene della mioglobina presenta tre esoni: L’esone I codifica gli amminoacidi da 1 a 30, L’esone II codifica gli amminoacidi da 31 a 105 (è L’esone puù importante); L’esone III codifica gli amminoacidi da 106 a 153. La minimioglobina, ottenuta con l’enzima proteolitico clostripaina, è costituita da 107 amminoacidi (da 32 a 139) e ha un comportamento simile a quello della mioglobina Gli amminoacidi più importanti sono quelli a contatto con il gruppo prostetico nella proteina. L’emoglobina e la mioglobina sono evolute da una stessa proteina ancestrale con funzione di trasporto e riserva. Probabilmente, un errato appaiamento dei cromosomi omologhi portò ala formazione di un cromosoma contenente i due geni identici, che hanno subito mutazioni ed evoluzioni dipendenti l’uno dall’altro. Sono stati identificati vari tipi di catene che danno origine ad emoglobine diverse, tra cui le più importanti sono: l’Hb embrionale, l’H fetale, e l’Hb adulta. Tutte queste posseggono 4 subunità. L’adulta α2β2 è la più importante. L’emoglobina è una proteina tetramerica costituita da due subunità α e 2 β, ognuna delle quali presenta un gruppo prostetico eme (Fe2+). La globina, ovvero la componente proteica è costituita da α2β2, 141 e 146 residui. L’avvolgimento globinico di Hb e Mb è l’intricato ripegamento della catena polippetidica che consente di porre il gruppo eme in un ambiente tale da permettere il legame reversibile dell’ossigeno. Esistono due forme dell’emoglobina: la forma tesa (deossi) T e la forma rilassata (ossi) R. Nella forma tesa, il canale centrale è molto ampio e ha scarsa affinità con l’ossigeno; al contrario, nella forma R, il canale centrale è più ristretto e ha un’elevata affinità per l’ossigeno grazie alla cooperatività di legame. L’Hb dunque possiede due stati di struttura quaternaria. L’ossigenazione determina un cambiamento nella struttura quaternaria, accompagnato da un cambiamento della struttura terziaria dell’Hb: una coppia αβ ruota di 15° rispetto all’altra. Questo movimento porta le catene centrali β più vicine tra loro e restringe la cavità centarle. Durante l’ossigenazione, i contatti α1β1 e α2β2 rimangono immodificati, numerose modificazioni strutturali avvengono a livello delle regioni di contatto α1β2 e α2β1. Il legame dell’O ad una subunità determina cambiamenti nella sua struttura terziaria a partire dall’eme, che da una forma curvata, ne assume una appiattita. Questo provoca una tensione e un conseguente cambiamento nella struttura circostante, in particolare nelle zone critiche dell’interfaccia αβ. Il legame dell’O attira il ferro all’interno del piano dell’eme, appiattendolo e provocando tensione, la quale è attenuata da una variazione nell’orientamento dell’istidina F8 e ciò e in parte mediato dalla spinta verso destra della val FG5. Il cambiamento di struttura 3° dell’eme è comunicato dall’angolo FG. Il movimento del ferro all’interno dell’eme, che diventa più planare, viene comunicato alle altre subnità attraverso modificazioni conformazionali alle loro interfacce. Il rimaneggiamento della struttura 3° di una subunità porta ad un accumulo di tensione che determina una transizione quaternaria T→R. Le regioni di contatto tra due subunità agiscono come interruttore in grado di innescare due strutture diverse. Le due strutture sono stabilizzate da gruppi diversi di legami H. In entrambe le conformazioni, le “protuberanze” di una subunità si adattano perfettamente agli “incavi” presenti nell’altra. I legami H cambiano le coppie che li formano. Otto coppie ioniche (ponti di solfuro) stabilizzano lo stato T della deossiemoglobina, questo causa la difficoltà di attaccto deella prima molecola di ossigeno. La transizione T→R rompe i ponti salini. Esistono due modelli per descrivere la transizione T→R, il simmetrico e il sequenziale. Il modello simmetrico prevede che quando l’Hm non abbia legato alcun ossigeno, sia nella forma Deox T, e se lega anche una sola molecola di OX, tutte passino allo stato OX R. Il modello sequenziale, invece, è più realistico e prevede che il cambiamento dallo stato T ad R avvenga solo quando ogni subunità lega un OX. I residui invarianti dell’emoglobina sono particolarmente importanti per la sua funzione. I principali residui invarianti in più di 60 specie sono: F8: istidina prossimale legata all’eme; B6 glicina, permette vicinanza tra eliche B ed E7: istidina distale vicina all’eme; E; CD1 fenilalanina, contatti con l’eme; C2 prolina, termine dell’elica. F4 leucina, contatti con l’eme; Il legame dell’ossigeno da parte della Mb Nei muscoli, la Mb lega l’ossigeno rilasciato dall’Hb presente nel circolo arterioso e a sua volta la cede agli organuli cellulari, i mitocondri. Il legame di un ligando (l’O) ad un sito di una proteina (Mb) può essere drscritto 𝑝𝑂2 da una curba di legame iperbolica espressa dall’equazione 𝑌 = 𝑝𝑂 , in cui pO2 è la pressione parziale 2 +𝑃50 dell’ossigeno e P50 è la pressione parziale dell’ossigeno per cui la mioglobina è saturata al 50% che è pari circa a 2.8 Torr, P50 inoltre indica l’affinità per l’ossigeno della Mb. La saturazione Y è la frazione dei siti occupati dall’O e corrisponde alla percentuale di Mb ossidata. Il valore di Y puà variare da 0 a 1. Torr è l’unità di misura della pressione equivalente alla pressione esercitata da una colonna di 1mm di Mercurio a 0°C sul livello del mare. Il legame dell’ossigeno da parte dell’Hb L’efficienza nel trasporto di ossigeno è ottenuta attraverso il legame cooperativo da parte di proteine dotate di più siti descritto da una curva di legame sigmoide, tipica delle proteine allosteriche. Nella linea evolutiva che ha portato ai vertebrati, la proteina utilizzata per il trasporto di ossigeno è l’emoglobina. L’Hb è il trasportatore di ossigeno molecolare. Una proteina trasportatrice di O ideale dovrebbe essere quasi completamente saturata a 100mmHb (pressione parziale di O nei polmoni) e trovarsi quasi totalmente in forma dissociata a circa 20-40mmHg (p parziale dei tessuti). Una curva di legame di tipo sigmoide può essere considerata come una curva ibrida, che riflette la presenza di forme a bassa e ad alta affinità. Per l’Hb il valore di P50 è circa 26 Torr. A 100 Torr la YO2 è 0,97. Le proteine che legano il substrato (ligando) in modo cooperativo danno curve di tipo sigmoide e sono chiamate proteine allosteriche. A basse concentrazioni del substrato, la molecola si comporta come se avesse una debole capacità di legame; all’aumentare di S viene indotto un aumento della quantità di ligando legato e quindi di efficienza della molecola. Le proprietà cinetiche delle proteine allosteriche non seguono le cinetiche di Michaelis Menten, che danno curve di legame di tipo iperboliche. Le proteine allosteriche Il termine allosterico deriva dal greco, altra forma. Le proteine allosteriche possono assumere altre conformazioni indotte dal legame di opportuni modulatori. Il legame di un ligando ad un sito diunque modifica le proprietà di un altro sito della stessa molecola. Le proteine alloteriche sono olimeriche, costituite da due o più subunità e con diversi siti attivi. Le interazioni allosteriche cooperative avvengono quando il legame di un ligando ad un sito specifico viene influenzato dal legame di un altro ligando, detto effettore o modulatore, a livello di siti diversi, nella proteina. L’Hb è una proteina allosterica. L’Hb è più complicata e sensibile della Mb. Ogni molecola di Hb può legare 4 molecole di O2, essendo presenti 4 siti di legame. Nell’Hb esiste una cooperatività di legame, possibile perché lo stato di ossigenazione di un sito può esser comunicato agli altri siti. Questo è un esempio di effetto allosterico, dove l’occupazione di uno dei siti da parte del liganod (O2) influisce sull’affinità di quelli rimasti liberi (aumenta l’affinità dopo aver legato il primo O2). Le molecole che legano il substrato in modo cooperativo danno curve di tipo sigmoide. Quando il normale ligando di una proteina allosterica è anche un modulatore, l’interazione viene detta omotropica, al contrario se modulatore e ligando sono molecole diverse è detta interazione eterotropica. Questi effetti possono essere sia negativi che posutivi, a seconda che il ligando aumenti o diminuisca l’affinità della proteina per il ligando stesso. L’ossigeno è un ligando omotropico positivo. La sua cooperatività positiva deriva dalle modificazioni che il legame di un ligando a un gruppo eme può indurre sull’affinità di legame per lo stesso ligando in un altro gruppo eme dell’Hb. La Mb, dato il suo grafico iperbolico, ha un’affinità maggiore rispetto all’Hb, dato il suo grafico sigmoide, di 100v. L’emoglobina ha delle proprietà allosteriche, che sono Cooperatività positiva: il legame con l’O favorisce il legame di altro O alla stessa molecola; L’affinità dell’Hb per l’O dipende anche dal pH e della CO2, che sono effettori eterotropici negativi; L’affinità dell’HB per l’O è inoltre regolata dal 2,3 bisforfoglicerato, effettore eterotropico negativo. Le proprietà allosteriche dell’Hb derivano dalle interazioni tra le sue subunità. Le catene α isolate si comportano come la Mb, le catene β isolate formano un tetramero mancante di proprietà allosteriche. Le subunità sono disposte ai vertici di un tetraedro e tra di esse esistono notevoli interazioni. Le interfacce α1β1 e α2β2 comprendono 35 residui, le interfacce α1β2 e α2β1 comprendono 19 residui. Le interazioni sono principalmente di tipo idrofobico, sono presenti anche legami H e alcune coppie ioniche. I contatti tra le subunità dello stesso tipo sono pochi e prevalentemente polari, infatti sono separati da un canale di 20° pieno di solvente. Il coefficiente di Hill (n) è un parametro correlato al grado di cooperatività tra le subunità di una proteina. Ogni subunità è in grado di legare una molecola di substrato (ligando), n aumenta con il frado di cooperatività: n=1, non c’è cooperatività (ramo di iperbole); n>1 cooperatività positiva (sigmoide); n1. La cooperatività diventa infinita (caso ipotetico), quando la proteina ha tutti i siti (o nessuno) di legame per il ligando occupati contemporaneamente. In questo caso n tendenad essere uguale al n° di siti di legame per il ligante presenti nella proteina e la moleocla è completamente cooperativa. Nel caso dell’emoglobina, n è pari a 2,8. La curva sigomide dell’Hb indica il legame cooperativo dell’ossigeno alla proteina, rendendo più efficace il trasporto dell’ossigeno. La curva può essere espressa dall’equaizone 𝑝𝑂2 𝑛 𝑌 = 𝑝𝑂 𝑛. La saturazione dell’Hb varia più rapidamente in seguido alla variazione della pO2 di quello che 2 +𝑃50 𝑛 potrebbe , se i siti di legame avessero un comportamento indipendente gli uni dagli altri. L’effetto Bohr L’effetto Bohr descrive l’effetto della variazione del pH sull’Hb. Una caduta del pH nei capillari tessutali ha l’effetto di abbassare l’affinità dell’Hb per l’ossigeno, permettendo un rilascio ancora più efficiente delle ultime tracce di ossigeno legato, favorito da pH basici. L’effetto reciproco avviene nei capillari dei polmoni, la tenuta dell’O è favorito da pH acidi. Il pH è un fattore eterotropico negativo. Nella Mb l’effetto Bohr è scarso. L’efficienza di rilascio dell’O2 aumenta fortemente con la diminuzione del pH. Quando il sangue circola dai polmoni ai tessuti, il basso valore di pH sposta il legame dell’O verso le curve a più bassa affinità. Durante la respirazione, 0,8 molecole di CO2 sono formate per ogni molecola di O2 consumata; la CO2 si diffonde dai tessuti ai capillari. Gli ioni H+ vengono assunti dall’Hb che viene indotta a rilaciare O2 che ha legato. Al contrario, nei polmoni, dove la pO2 è elevata, il legame dell’ossigeno all’Hb determina il rilascio dei protoni implicati nell’effetto Bohr. Gli ioni H+ permettono l’interazione tra l’istidina 146 e l’asp 94, stabilizzando lo stato deossi T dell’Hb. La reazione complessiva dell’effetto Bohr è 𝑛𝐻 + + 𝐻𝑏 ∙ 4𝑂2 ↔ 𝐻𝑏 ∙ 𝑛𝐻 + + 4𝑂2 , dove n è poco superiore a 2. Nei capillari tissutali, gli ioni H+ promuovono il rilascio di O2, spostando l’equilibrio verso destra. Il contrario avviene nei capillari polmonari, dove l’ossigenazione provoca il rilascio di ioni H+, spostando l’equazione a sinistra. In seguito al legame dell’O, l’Hb diventa un acido più forte. A sua volta l’H+ tende a liberare la CO2 dal bicarbonato disciolto nel sangue. La Co2 può essere così espirata. La CO2 è un effettore eterotropico negativo per il legame dell’O2 all’Hb. La Co2 rilasciata dai tesssuti infatti abbassa la sua affinità per l’O2 in due modi: Con la formazione di bicarbonato (gli ioni H+ contribuiscono all’effetto Bohr); Con la formazione di carbamati, le cui interazioni elettrostatiche con gli amminogruppi N-terminali delle catene stabilizzano la deossiHb. Lo ione bicarbonato è fondamentalmente un fenomeno passivo. 𝑅 − 𝑁𝐻2 + 𝐶𝑂2 ↔ 𝑅 − 𝑁𝐻 − 𝐶𝑂𝑂− + 𝐻 +. Il carbamato forma interazioni elettrostatiche che stabilizzano la deossiHb con gli amminogruppi N-terminali delle catene. Dunque l’equilibrio della reazione dipende dalla 𝐶𝑂2. Essa è disciolta in piccole quantità. Anche il BPG, il bifosforoglicerato, è un effettore eterotropico negativo dell’Hb, perché diminuisce la sua affinità per l’O2. Il BPG si lega alla deossiHb in rapporto 1:1 nella cavità tra le catene β, formando interazioni elettrostatiche con i gruppi carichi positivamente, presenti attorno a questa apertura. Il BPG è stereochimicamente complementare alle sei cariche positive presenti nella cavità centrale, formate da 3 residui di ciascuna catena β. Il BPG stabilizza la deossiHb, diminuendo la sua affinità verso l’ossigeno. I cambiamenti conformazionali che hanno luogo con l’ossigenazioni rompono il sito di legame. Il BPG non si adatta alla forma ossiHb, infatti, durante l’ossigenazione esso viene rilasciato per il restringimento della cavità centrale. Maggiore è il contenuto di BPG negli eritrociti, più stabile è la deossiHb. Il BPG regola i cambiamenti a lungo termine nell’affinità per l’O2. Es: aumenta di concentrazione negli indinvidui ad alta quota. L’emoglobina fetale Essa ha un ruolo nel passaggio di O2 dalla madre al feto attraverso la placenta. L’Hb fetale lega meno saldamente dell’Hb adulta il BPG, perché un residuo di serina non carico, in ogni catena y, sostituisce l’istidina (con carica positiva) presente in ogni catena β, nel sito di legame col BPG. Dunque c’è una minore formazione di leg ionici. Quindi l’HbF presenta una maggiore affinità per l’ossigeno rispetto all’HbA. La sigmoide è spostata a sinistra! Le emoglobine anormali e patologiche Esse posso riguardare: alterazioni sunlla superficie della molecola, alterazione del sito attivo, alterazione della struttura terziaria, alterazione di quella quaternaria. La presenza di Hb anormali o patologiche è dovuta da alterazioni della parte proteica della molecola. Sono possibili: Modificazioni nelle catene α o β, o in quelle δ o γ; Sostituzione di intere catene dovute a difetti di sintesi: le emoglobine tetramere, con catene tutte uguali; o le talassemie. L’anemia a cellule falciformi I globuli rossi, in presenza di basse concentrazioni di O2, assumono una forma allungata a falce. Questa deformazione è conseguente alla tendenza dell’Hb mutante, nel suo stato deossigenato, ad aggregarsi in lunghe strutture a bastoncino. Le cellule allungate formatesi, tendono a bloccare i capillari, causando infiammazione e dolore. Queste cellule sono fragili e la loro rottura porta ad anemia, rendendo la persona sensibile ad infezioni e malattie. Questa è una malattia genetica: gli omozigoti per la mutazione spesso non sopravvivono l’età adulta, mentre gli eterozigoti, che possono produrre anche Hb normale, presentano di norma disturbi solo in condizioni di grave carenza di ossigeno, tant’è che potrebbe non rendersene conto. I soggetti che sono malati per anemia a CF sono omozigoti per un gene autosomico, mentre i soggetti che presentano il tratto a cellule falciformi, sono eterozigoti per lo stesso gene autosomico e spesso asintomatici. L’anonmalia si presenta nel circolo venoso. Negli omo la percentuale delle CF è 50% negli etero 1%. L’anemia falciforme è trasmetta geneticamente de è per lo più limitata alla popolazione tropicale. È una patologia cronica ed emolitica, le CF rimangono intrappolate nei piccoli vasi sanguini, recando danni. La solubilità della doessiHb nei globuli rossi falciformi è anormalmente bassa, si produce dunque un abbondante precipitato fibroso con deformazione dei globuli rossi, che assumono una forma a falce. L’Hb qui è detta HbS. L’anemia a CF è una “malattia molecolare”. Le piccole differenze di conformazione tra Hb normale e HbS derivano dalla sostituzione di un solo amminoacido nelle catene β, che porta alla sostituzione della valina con acido glutammico in posizione sei. Per individuare tale sostituzione è stata utilizzata la tecnica del fingerprint. L’Hb viene tagliata in singoli frammenti tramite la tripsina, che produce 28 diversi peptidi dal dimero αβ. Successivamente si esegue l’elettroforesi e la cromatografia, che permettono di evidenziare l’amminoacido mutato nell’HbS. La valina idrofobica si inserisce in una tasca nell’angolo EF della catena β di un'altra Hb, così le due Hb adiacenti possono adattarsi l’un l’altra e formare una fibra elicoidale. Tale riavvolgimento si ha solo per la deossiHb, perché della forma ossi il riarrangiamento delle subunità rende la tasca inaccessibile. Un sito idrofobico, complementare alla zona appiccicosa (valina) compare in ogni catena B delle HbS e HbA nella loro forma deossigenata.Nelle rispettive forme ossigenate, il sito è nascosto. Il sito complementare dell’HbS deox può legarsi alla zona appiccicosa di una altra doessiHbs, con formazione di lunghe fibre che trasformano i G.R. da dischi biconcavi in cellule a falce, le quali distorcono il vaso sanguineo. Il blocco di un vaso sanguineo determina una zona a bassa concentrazione di O, che porta ad un ulteriore deossigenazione dell’HbS, con produzione prima di altre fibre e conseguentemente di nuove cellule a falce. Una persona eterozigote, è normalmente asintomatica avendo solo il 50% delle HbS, che è insufficiente per produrre tante fibre da trasformare i G.R. da dischi biconcavi a falce. La malaria è una malattia parassitaria trasmessa dalla zanzara tropicale anofele, la quale inietta il plasmodium falciparum, un protozzo che sta nei globuli rossi per la maggior parte del ciclo vitale (48), aumentandone l’acidità (effetto Bohr) e determinandone l’adesione ad una specifica proteina sulla parete dei vasi. Esso dunque crea un impedimento nel flusso sanguine nell’organo in cui esso è presente. L’anemia falciforme è limitata alle popolazioni tropicali con alta incidenza di malaria perché gli individui eterozigoti per l’HbS presentano una maggiore resistenza dalla malaria rispetto agli individui che non portano tale mutazione. Questo perché la presenza dell’infezione determina l’aumento delle cellule a falce dall’1% al 40%. Un GR normale mantiene alta la sua concentrazione di potassio, mentre quelle a falce no essendo fragilissime. Il parassita spesso interrompe il suo ciclo vitale poiché necessita di alte concentrazioni di potassio. Dunque il tratto per l’anemia falciforme risulta essere un adattamento vantaggioso in un ambiente malarico. L’Hb di Hammersmith Essa è un altro tipo di Hb patologica. In posizione CD1 la Phe è sostituita da una serina, con la riduzione del legame dell’eme. Le talassemie Le talassemie sono difetti genetici in cui una o più catene non sono prodotte o sono prodotte in piccole quantità. Si distinguono le α-talassemie e β-talassemie. Possono insorgere nei seguenti casi: Uno o più geni codificanti per le catene dell’Hb hanno subito una delezione completa; Uno o più geni presentano una mutazione non senso o della fase di lettura, che produce una catena dunque non funzionale; I genti sono presenti, ma c’è una mutazione al di fuori della regione codificante, che determina il blocco della trascrizione, oppure un errato riarrangiamento del pre-mRNA. L’α-talasemia si ha quando il gene dell’ α-globina è stato perduto o non può esser espresso. Il basso livello di αHb è parzialmente compensato dalla formazione di HbH e Hb di Bart, entrambi tetrameri che trasportano l’ossigeno, ma non mostrano la transizione allosterica (sono sempre nello stato R) e mancano dell’effetto Bohr. In totale assenza di α-Hb si è incompatibili con la vita. La β-talassemia si ha quando il gene della β-globina viene perso o non può essere espresso. Negli omozigoti, è una condizione patologica molto grave che causa la morte del soggetto prima della maturità, negli eterozigoti invece, il gene della β-globina è ancora funzionante. Esistono anche talassemie più leggere, in cui la produzione di β-globina è ridotta ma non soppressa del tutto. I tipi di β-talassemia sono: maior (solo omozigoti, detta morbo di Cooley o Anemia mediterranea) minor, minima.