Basi anatomo-fisiologiche dei processi cognitivi PDF - Saetti
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Serena Doria
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This document provides an overview of the anatomical and physiological bases of cognitive processes. It covers language, with sections on language definition, language examination, language areas, aphasias, and other relevant topics. The document is based from the professor's lectures and is a study resource.
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Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II Prof.ssa Maria Cristina Saetti Serena Doria fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II...
Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II Prof.ssa Maria Cristina Saetti Serena Doria fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II 2 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II 1. IL LINGUAGGIO 1.1 De nizione di linguaggio Il linguaggio è la capacità di: - tradurre il pensiero in simboli (codi cazione = espressione); - tradurre simboli in pensiero (decodi cazione = comprensione). I simboli utilizzati sono gli elementi del codice linguistico, vale a dire i fonemi (consonanti e vocali) e le parole della lingua, selezionati e combinati in maniera appropriata nella espressione, identi cati con precisione nella comprensione. Oltre ad espressione e comprensione, esiste un’altra capacità linguistica: quella di ripetizione, che può prescindere dai processi di codi cazione e decodi cazione (si possono ripetere parole anche senza comprenderne il signi cato). All’inizio della storia umana, il simbolo fonetico è stato tradotto in un altro simbolo: la scrittura, che è il simbolo del simbolo, e che ha il vantaggio di poter essere conservata. Il linguaggio scritto è fonetico nelle lingue occidentali, mentre in quelle orientali è ideogra co (come nei segnali stradali o nella matematica). 1.2 Esame del linguaggio Prove di espressione: - eloquio spontaneo: uenza (numero di parole nell’unità di tempo e per frase; rapporto tra parole di signi cato e funtori grammaticali; presenza di inceppi fonologici), prosodia (in essione vocale della voce e ritmo impresso all’eloquio: conferiscono una coloritura emotiva alla produzione), presenza di parafasie fonemiche (scambi di fonemi), verbali propriamente dette (sostituzione di parole, con signi cato completamente di erente, all’interno della frase) e semantiche (sostituzione di parole semanticamente collegate); - denominazione visiva: parafasie commesse nella denominazione di oggetti o parti di oggetti presentati visivamente (es. blocco, parole passe-partout, circonlocuzioni, neologismi da linguaggio gergofasico); - denominazione verbale (indicato nei disturbi di vista): parafasie commesse nella produzione di nomi su de nizione verbale; Prove di ripetizione: - parole di signi cato; - logatoni (non-parole): parafasie fonemiche; - frasi. Prove di comprensione: - ordini verbali (compiti semplici, doppi e ipotetici); - indicazione di oggetti presentati. 1.3 Aree del linguaggio Negli individui adulti, le aree del linguaggio sono localizzate in un solo emisfero detto “dominante”, che è l’emisfero sinistro nella quasi totalità dei soggetti destrimani e in oltre i due terzi dei mancini e ambidestri, mentre è l’emisfero destro in appena un terzo di questi ultimi. Mancini e ambidestri, nell’insieme, costituiscono il 5% della popolazione generale; l’emisfero dominante è dunque il sinistro in oltre il 98% degli adulti. Il processo di lateralizzazione emisferica del linguaggio inizia verso il 3°-4° anno di vita e si va successivamente consolidando sino a completarsi tra i 12 e i 15 anni: dopo tale età l’emisfero dominante è già in grado di assumere su di sé l’intera funzione. In realtà non è vero che l’emisfero destro non abbia alcun ruolo nel linguaggio. Esso può svolgere alcune operazioni verbali purché estremamente semplici e automatiche, quali l’emissione involontaria di brevi espressioni stereotipate (interiezioni, imprecazioni, formule di saluto) oppure la comprensione di ordini verbali corti e prevedibili in base al contesto in cui si svolge la comunicazione. L’emisfero destro, oltre a partecipare al linguaggio in condizioni normali, partecipa anche e soprattutto in condizioni patologiche, e tale partecipazione 3 fi fi fi fi fi fi fl fi fi fi fi fi ff fi fi fl Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II è tanto più importante quanto più precoce è la patologia. Una so erenza dell’emisfero sinistro durante la crescita comporta una assunzione della funzione del linguaggio a destra in modo completo. Un ictus a sinistra in età avanzata, invece, comporta un adattamento molto modesto. Questo è legato al fatto che al momento della nascita la plasticità del SNC. è notevole: le interconnessioni sono aperte, le cellule nervose sono sovrabbondanti. Le aree del linguaggio si trovano nella convessità fronto-temporo-parietale, a comprendere una vasta zona della corteccia associativa. Secondo i rapporti con la scissura di Silvio e quella di Rolando, si distinguono aree immediatamente perisilviane e aree marginali, aree anteriori prerolandiche e aree posteriori postrolandiche. - Area 44 (di Broca): prerolandica e perisilviana; si trova nel piede della terza circonvoluzione frontale. In particolare, è situata in prossimità dell’apparato fonatorio dell’homunculus motorio: se lesionata, quest’area comporta deficit di produzione verbale (afasia di Broca); - Aree 45 e 46: prerolandica, marginale; si trova nel lobo frontale, davanti all’area di Broca. Se danneggiata porta allo sviluppo di un’afasia transcorticale motoria; - Area 40 e fascicolo arcuato: a cavallo della scissura di Rolando, perisilviana; si tratta di strutture cortico-sottocorticali che connettono tra loro le aree 44 e 22. Se danneggiate, portano allo sviluppo di un’afasia di conduzione. L’area 40 costituisce in superficie il giro sopramarginale e l’opercolo parietale, introflettendosi nella scissura silviana fino al bordo superiore e posteriore dell’insula. Subito al di sotto, fibre corte e medie connettono aree coricali contigue, e, in profondità, le fibre lunghe del fascicolo arcuato stabiliscono un collegamento diretto a distanza tra i due centri; - Area 22 (di Wernicke): postrolandica, perisilviana; si trova nella prima circonvoluzione temporale. È situata in prossimità dell’area acustica per la sensibilità uditiva: una lesione dell’area 22 ha ripercussione sulla comprensione (afasia di Wernicke); - Aree 37 e 39: postrolandiche, marginali; sono costituite dal cosiddetto carrefour temporo- parieto-occipitale, nonché dalle regioni che circondano inferoposteriormente l’area 22. Se lesionata porta allo sviluppo di un’afasia transcorticale sensoriale. 1.4 Afasie Le afasie sono disturbi acquisiti del linguaggio, conseguenti al danno di determinate strutture degli emisferi cerebrali. Una prima grossa distinzione è quella fra: - afasie uenti, in cui il linguaggio scorre uido; - afasie non uenti, in cui il linguaggio è inceppato In base a questa prima distinzione si può fare una prima localizzazione topografica della lesione: - afasia fluente: lesione post-rolandica; - afasia non fluente: lesione pre-rolandica. Afasia fluente Afasia non fluente Produzione spontanea Ricca Povera Lunghezza frase > 4 parole < 4 parole Rapporto parole contenuto/raccordo < 1 (prevalgono raccordi) > 1 (prevalgono contenuti) Difficoltà a iniziare la parola No Sì Inceppi No Sì Prosodia Conservata Perduta Inoltre, bisogna ricordare che le afasie da lesione prerolandica hanno la comprensione relativamente risparmiata (i pz sono consapevoli del proprio deficit, tant’è che diminuiscono la produzione anche per vergogna), mentre essa è gravemente compromessa nelle forme postrolandiche (il pz non comprende neanche il proprio linguaggio; non è consapevole delle alterazioni che produce). Una seconda distinzione permette una ulteriore localizzazione della lesione: - afasia in cui il disturbo riguarda la scelta dei fonemi: lesione perisilviana; - afasia in cui il disturbo è verbale o grammaticale: lesione marginale. Inoltre, bisogna ricordare che le afasie da lesione marginale hanno la ripetizione relativamente risparmiata, mentre essa è gravemente compromessa nelle forme marginali. 4 fl fi fl fl ff Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II 1.5 Quadri clinici di afasia L’afasia è caratterizzata dalla compromissione di tutti i tre aspetti del linguaggio ma, a seconda delle aree maggiormente colpite o conservate, è possibile distinguere: - afasia di Broca: linguaggio estremamente ridotto e stentato con notevole disprosodia (poche parole di significato e assenza di funtori grammaticali) e disartrico (parafasie fonetiche in aggiunta a quelle fonemiche); comprensione conservata (la rieducazione è abbastanza efficace). - afasia transcorticale motoria: linguaggio telegrafico e agrammatico ma non ostacolato (non presenta parafasie fonemiche né fonetiche), anche se ci possono essere parafasie semantiche; comprensione conservata. - afasia di Wernicke: linguaggio molto fluente, quasi inarrestabile (poche parole di significato e molti funtori) e gergale (molte parafasie fonemiche e neologismi) con prosodia conservata e presenza di numerose anomie; comprensione estremamente compromessa (la rieducazione è complessa). - afasia transcorticale sensoriale: linguaggio fluente e senza impaccio, con prosodia conservata e senza errori fonologici; le parole sono tutte di senso ma non sono adeguate alla frase in produzione (simile a disturbi dell’ideazione e del pensiero); comprensione compromessa. - afasia di conduzione: linguaggio fluente con giusta prosodia caratterizzato da errori fonologici; comprensione risparmiata e condotta di avvicinamento (autocorrezione degli errori). Tradizionalmente alla prova di ripetizione la performance è particolarmente bassa. Queste tipologie di afasia sono ben distinguibili nelle lesioni vascolari (pz ictati). Le aree relative al linguaggio corrispondono infatti a territori di irrorazione di rami dell’arteria cerebrale media: quando si verifica la chiusura di un ramo, l’ictus della zona specifica dà il quadro afasico corrispondente all’area. Nelle lesioni non vascolari, ad es. neoplastiche o neurodegenerative, il danno può trovarsi in un territorio di confine, dando origine a quadri afasici con caratteristiche intermedie. In questi casi si utilizzano modelli funzionali e non neuropsicologici. 1.6 Disturbi neurologici primari associati ai quadri di afasia In generale le afasie anteriori si associano a disturbi motori e aprassia buccofacciale; quelle posteriori a disturbi sensoriali o visivi e aprassia ideomotoria. Nelle afasie di conduzione sono invece frequenti i disturbi della sensibilità e l’aprassia ideomotoria. - afasia di Broca: una lesione dell'area 44 coinvolge facilmente anche l’area motoria e, in particolare, la zona della faccia e della mano dell’homunculus motorio. Ne deriva dunque un’emiparesi controlaterale relativa alle zone sopra citate, con conseguenti agrafia per afasia (errori nella codifica del pensiero) e incapacità di muovere la mano e la bocca. Si associano aprassia bucco-facciale e aprassia ideomotoria; - afasia transcorticale motoria: una lesione dell’area 45 coinvolge facilmente la PFC, causando alterazioni del controllo del pensiero e del comportamento, che diviene caratterizzato da una grave inerzia (latenza di risposta, movimento ridotto e impulsivo, poco finalizzato ed estremamente condizionato da ciò che accade nell’ambiente); - afasia di Wernicke: una lesione dell’area 22 coinvolge facilmente anche le aree 37 e 39 e le proiezioni della corteccia occipitale, con conseguenti disturbi visivi e, in particolare, emianopsia laterale omonima controlaterale. Si associa ad aprassia ideomotoria; - afasia transcorticale sensoriale: una lesione delle aree 37 e 39 si associa frequentemente a lesioni occipitali con conseguente emianopsia laterale omonima controalterale. Si associa ad aprassia ideativa; - afasia di conduzione: lesioni dell’area 40 e del fascicolo arcuato coinvolgono spesso anche l’area motoria e quella sensitiva primaria, con conseguente emianestesia superficiale (tattile, termica e dolorifica) e profonda (stato-chinestesica e vibratoria) nell’emisoma controlaterale, soprattutto a livello della faccia e della mano. Si associa ad aprassia ideomotoria. 5 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II 2. FUNZIONE PRASSICA 2.1 Aprassia Si parla di aprassia quando un paziente non riesce ad eseguire un movimento volontario richiestogli dall’esaminatore, benché non abbia difetti di moto (paresi), di senso, o di coordinazione che giustifichino tale fallimento. Raramente l’aprassia appare nella vita di tutti i giorni, nonostante la sua frequenza sia considerevole (30% dei cerebrolesi sinistri). Ciò è dovuto alla dissociazione automatico-volontaria: lo stesso gesto che è eseguito correttamente in risposta a sollecitazioni contestuali o ad esigenze interiori, fallisce quando viene richiesto dall’esaminatore, fuori da ogni motivazione interna od esterna e quindi come produzione artificiale ed altamente intenzionale. Il paziente che non sa fare a comando il segno di ciao o dimostrare come usa lo spazzolino da denti, saluta quando il medico lascia la stanza, o si lava perfettamente i denti nel corso delle pulizie mattutine. Il paziente aprassico è in grado di eseguire i movimenti, non riesce, però, progettarli in modo che siano adeguati alle circostanze o alle proprie esigenze (gesti titubanti amorfi). Si possono verificare due circostanze: - aprassia ideativa (AI): il paziente non sa cosa deve fare; non riesce, cioè, a rappresentarsi mentalmente il gesto da compiere; - aprassia ideomotoria (AIM): il paziente non è in grado di tradurre il gesto che ha in mente in un corretto programma innervatorio di attivazione di muscoli agonisti e inibizione di muscoli antagonisti. L’AIM è molto più frequente della AI, e quindi molto più studiata. NB: se il disturbo è molto lieve, solo i movimenti “molto intenzionali” vengono compromessi (es. il pz non imparerà a suonare il pianoforte); progressivamente il pz vedrà compromesse anche le sue capacità di utilizzo di oggetti insoliti e poi anche soliti, nonostante l’iperapprendimento (il grado di automaticità richiesto per la conservazione del movimento varia a seconda della gravità del disturbo prassico). 2.2 Aprassia ideomotoria L’aprassia ideomotoria consegue a lesione cerebrale sinistra nel soggetto destrimane, e a lesione destra nel mancino (indipendentemente dal fatto che le aree linguistiche siano a destra o a sinistra). Nel lobulo parietale inferiore di sinistra (in prossimità della BA39) esiste un centro prassico corticale che provvede ad elaborare il progetto della azione e a controllarne la esecuzione. Su di esso convergono le vie temporali, parietali ed occipitali, che trasmettono l’ordine (rispettivamente verbale, visivo o tattile) di eseguire il gesto. Il centro parietale sarebbe poi connesso all’area premotoria frontale (BA4, BA6) dello stesso emisfero, connessa da un lato alla contigua area motoria primaria, dall’altro all’area premotoria dell’emisfero di destra. In tal modo un unico centro prassico controlla entrambe le aree motorie, ed i movimenti di entrambe le mani. L’AIM consegue a: - lesione del centro prassico di sinistra (lesione parietale sinistra): l’aprassia è bilaterale; - lesione dell’area premotoria di sinistra (lesione frontale sinistra, BA4 e BA6): l’arto controlaterale è generalmente paralizzato (coinvolgimento dell’area motoria primaria), e l’aprassia si può osservare solo all’arto di sinistra; - lesione del corpo calloso (soprattutto in pazienti tumorali): aprassia del solo arto di sinistra; - lesione dell’area premotoria di destra (lesione frontale destra): si avrebbe aprassia del solo arto di sinistra, ma è mascherata dalla paresi generalmente associata (coinvolgimento dell’area motoria primaria). 6 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II L’aprassia ideomotoria si diagnostica utilizzando una prova di imitazione di movimenti relativi agli arti superiori (distretto corporeo più utilizzato sotto pieno controllo attentivo). La prova consiste nell’imitazione di gesti, significativi o non, che possono essere singoli (assunzione di posture) oppure in sequenza, prima relativi all’intero arto, poi relativi alla mano e alle dita. Esistono inoltre prove standardizzate, come ad es. la prova di De Renzi. 2.3 Aprassia ideativa La lesione responsabile dell’aprassia ideativa è stata in genere attribuita alle regioni posteriori (crocicchio temporo-parieto-occipitale, che si sovrappone all’area dell’afasia transcorticale sensoriale) dell’emisfero di sx. Di solito, questo tipo di lesione è osservabile dopo una neurodegenerazione diffusa, ad es. in AD. L’aprassia ideativa si diagnostica utilizzando una prova di uso degli oggetti (si mostra al pz un oggetto e gli si chiede di imitarne l’utilizzo). Per rendere più sensibile la prova di solito viene richiesto al pz di compiere azioni che richiedono l’utilizzo di più oggetti in successione (es. preparare la caffettiera, scrivere una lettera da spedire, allestire il candelabro) 2.4 Aprassia bucco-facciale La dissociazione fra incapacità a compiere un movimento a richiesta e conservata abilità ad eseguirlo in via automatica si osserva anche per i muscoli dell’apparato faringo-bucco-facciale. Il paziente non riesce a protrudere la lingua, a fischiare, a dare un bacio, raschiarsi la gola, etc. se ciò gli viene ordinato dall’esaminatore, ma esegue correttamente gli stessi movimenti in modo automatico, senza pensarci. L’aprassia bucco-facciale si associa generalmente a lesione dell’opercolo frontale, corrispondente alla BA44, quindi si riscontra spesso nell’afasia di Broca. La prova che si utilizza per diagnosticarla è una prova di imitazione dei gesti della bocca. 2.5 Altre aprassie Esistono anche aprassie relative ad altri distretti corporei (es. aprassia degli arti inferiori o del tronco), di solito associate a malattie neurodegenerative in fase molto avanzata. Spesso, inoltre, il termine aprassia viene utilizzato in modo improprio: - aprassia dell’abbigliamento: il pz non è in grado di girare il capo d’abbigliamento nel modo corretto o di allineare il proprio corpo per indossarlo. Solitamente, oltre all’aprassia, le cause sono da riscontrarsi nella perdita delle capacità visuospaziali o del ragionamento logico; - aprassia costruttiva: il pz non è in grado di realizzare compiti nello spazio, come ad es. disegnare figure bidimensionali o costruire forme semplici con i lego. Anche in questo caso, la capacità visuospaziale ha una notevole impatto sulla performance; - aprassia dello sguardo (Sindrome di Balint): il pz non è in grado di dirigere lo sguardo da una mira a un’altra e muove casualmente gli occhi finché non aggancia la mira desiderata. È dovuta a lesioni bilaterali della corteccia parieto-occipitale; - aprassia della marcia: alterazione della deambulazione che diventa pseudo-scoordinata e pseudo-paretica. Questo disturbo caratterizza la sindrome da idrocefalo normoteso; - aprassia del respiro: il respiro del pz risulta aprassico o atassico (respiro di Biot) a causa di lesioni del bulbo. Si riscontra in certe forme di coma. 2.6 Modelli cognitivi della funzione prassica Il modello neuropsicologico più estesamente accettato è quello proposto da Rothi e coll. (1991, 1996). Mediando dal modello cognitivo del linguaggio il concetto di “lessico”, gli autori hanno introdotto il concetto di “prassico d’azione”, per indicare un contenitore di informazioni costituenti gli engrammi motori visuocinestesici capaci di fornire un vantaggio nell’elaborazione del comportamento gestuale, consentendo l’esecuzione di movimenti per via automatica attraverso l’attivazione di questi engrammi. Roy e Square (1985) hanno ipotizzato che il sistema prassico che 7 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II regola la normale esecuzione di un’azione sia composto da due parti, e hanno distinto così gli elementi concettuali da quelli produttivi dell’azione. Rothi e coll., condividendo la proposta di Roy e Square, hanno stabilito nel loro modello cognitivo un magazzino semantico di informazioni riguardanti le azioni e articolato il sistema prassico in due parti: il sistema prassico concettuale contenente le “conoscenze semantiche delle azioni” che riguardano la stretta relazione tra un oggetto e il modo di utilizzarlo (un danno a questo sistema causerebbe l’aprassia ideativa) e il sistema prassico di produzione che conterrebbe le caratteristiche sensorimotorie del gesto, cioè gli engrammi visuocinestetici motori, e permetterebbe la traduzione degli engrammi in azioni (un danno a livello di questo sistema causerebbe un disturbo nell’esecuzione di gesti riconducibile all’aprassia ideomotoria). Ochipa e coll. (1989) hanno descritto un paziente mancino che, in conseguenza di un ictus all’emisfero destro, perse la capacità di utilizzare gli utensili in situazioni naturali senza evidenza di deficit agnosici: gli autori hanno concluso che le conoscenze concettuali degli oggetti che consentono di riconoscerli siano distinguibili da quelle che consentono di utilizzarli e che queste ultime siano contenute in un sistema prassico concettuale o “action semantics”. Rothi e coll., quindi, hanno ipotizzato che il sistema semantico delle azioni, e più specificatamente il sistema dei “action semantics”, avesse un ruolo cruciale nell’organizzazione del sistema prassico e che un danno di queste conoscenze causasse un tipo preciso di aprassia, che decisero di denominare “aprassia concettuale”. Un esempio per chiarificare: immaginiamo un pz che vede un paio di forbici (ingresso visivo). L’immagine retinica dell’oggetto viene analizzata dai sistemi di analisi visiva e dal sistema di descrizione strutturale al fine di creare una rappresentazione tridimensionale dell’oggetto. L’accesso al magazzino semantico permette al pz di capire che le forbici servono per tagliare. L’azione astratta diventa concreta con l’ingresso nel magazzino prassico (lessico), in cui sono conservate tutte le azioni conosciute per le loro caratteristiche visuo-cinestesiche (engrammi): ciò consente l’attivazione di pattern che danno luogo all’azione. L’AI viene spiegata come disturbo a livello del prassico d’uscita; l’AIM come disturbo a livelli dei pattern innervatori. La semantica delle azioni resta, in entrambi i casi, conservata: per questo motivo il disturbo prassico viene concepito come disturbo d’uscita. 2.6.1 Agnosia per la pantomime (Rothi, Mack e Heilman, 1986) I pazienti riescono a imitare pantomime ed a eseguirle su comando verbale, ma non sono in grado di riconoscerle. Ipotesi: - è possibile un accesso diretto al prassico di uscita (produzione del gesto) a partire dall’analisi percettiva modalità specifica dello stimolo, senza passare attraverso il prassico di entrata e il “sistema semantico delle azioni”; - esiste una via non-lessicale del linguaggio che permetterebbe a pazienti con afasia sensoriale transcorticale di ripetere le parole dette dall’esaminatore, pur non comprendendole. Rothi e coll. (1996) hanno proposto una via analoga “non-lessicale” per l’imitazione di gesti mediata da una connessione diretta tra l’analisi visuo-percettiva del gesto e sistemi motori che lo producono per imitazione senza alcun passaggio attraverso il sistema prassico di entrata, il sistema semantico delle azioni e il prassico di uscita. 2.6.2 Afasia ottica (Lhermitte e Beauvois,1973; Riddoch e Humphreys, 1987) I pazienti perdono la capacità di denominare elementi presentati visivamente, ma li denominano correttamente se la presentazione avviene attraverso altre modalità sensoriali. La caratteristica 8 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II importante, ai fini di questa trattazione, è che, in pazienti afasici ottici, rimane intatta la capacità di usare gli oggetti non denominati. Riddoch e coll. (1989) e Pilgrim e Humphreys (1991) hanno proposto la possibilità che da un oggetto visto, ancora non “riconosciuto" (quindi, avendo avuto accesso solo alla fase pre- sematica del sistema di riconoscimento-descrizione strutturale) si possa passare direttamente al lessico d’azione in uscita per poterlo utilizzare: questa via permetterebbe di compiere gesti in base alla presentazione visiva di oggetti, senza dover accedere al sistema semantico. Sarebbe allora questa la via usata dai pazienti con afasia ottica quando mostrano integra la capacità di eseguire gesti associati ad utensili che non possono denominare per il mancato accesso al sistema semantico. 3. MEMORIA 3.1 Definizione La memoria è la capacità di formare nella propria mente delle tracce relative ad eventi (registrazione), di conservarle a lungo (conservazione e consolidamento) e di richiamarle quando necessario (rievocazione). È possibile distinguere: - una memoria primaria, ovvero la MBT, che consente di ritenere quantità limitate di informazione per un breve periodo di tempo (secondi); i ricordi immagazzinati restano coscienti per tale periodo e fedeli all’evento; - una memoria secondaria, ovvero la MLT che consente di ritenere quantità più ampie di informazione per un lungo periodo di tempo (da minuti ad anni); i ricordi immagazzinati scompaiono dalla coscienza pur potendo essere richiamati; le informazioni vengono rimaneggiate al fine di permettere e facilitare il richiamo della traccia. Nell’ambito della MLT, in relazione ad un evento di riferimento, si distinguono inoltre una memoria retrograda (semantica ed episodica-autobiografica) e una memoria anterograda. Un’ultima distinzione riguarda la modalità delle informazioni apprese: a seconda delle caratteristiche dello stimolo preso in considerazione, si possono distinguere una memoria verbale e una memoria visuo-spaziale. Prove per misurare le capacità della MBT: - verbali: prove di ripetizione di stringhe di numeri o parole - non verbali: span di cubi (test di Corti). Prove per misurare le capacità della MLT: - memoria anterograda: prove di apprendimento di nuove informazioni, divise in: - verbali: prova della memoria di prosa (ascolto e ripetizione di un racconto), coppie associate; - non verbali: figura complessa di Rey, prova delle facce ricorrenti (memoria visiva); test di Corsi (memoria spaziale); - memoria retrograda: la conservazione dei ricordi viene testa tramite prove: - verbali: rievocazione di eventi trasmessi dai media; rievocazione di cinque episodi per ogni epoca della propria vita (memoria autobiografica); - non verbali: riconoscimento di volti di personaggi famosi. 3.2 Amnesia L’amnesia è caratterizzata dalla compromissione grave e selettiva della MLT, con conservazione degli aspetti a BT. In particolare, si hanno due componenti: - amnesia retrograda per eventi precedenti l’insorgenza della malattia (incostante con gradiente), dimostrabile mediante prove che richiedono la rievocazione di fatti che sono stati famosi per un periodo di tempo limitato (informazioni semantiche). Spesso l’amnesia coinvolge però anche il ricordo del vissuto più strettamente personale, come è possibile dimostrare con interviste strutturate (es. questionario di Kopelman) o compiti in cui il soggetto deve produrre un ricordo autobiografico in risposta ad una parola stimolo (es. test di Crovitz): 9 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II - amnesia anterograda per eventi successivi ad essa (costante), che può essere quantificata in termini psicometrici. Gli amnesici hanno prestazioni scadenti in prove di rievocazione di brani di prosa e di disegni, prove di apprendimento di liste di parole singole o associate in coppie, sequenze di cubetti disposti su un piano o percorsi di labirinti. Il deficit coinvolge sia la rievocazione che il riconoscimento dello stimolo tra alternative. Non vi è dissociazione tra modalità di apprendimento verbale o non verbale. 3.3 Substrati anatomici della memoria e corrispondenti quadri clinici La sindrome amnesica pura sopra descritta, è conseguente a lesioni/degenerazioni bilaterali dell’ippocampo e dell’area paraippocampale (margine della TC, sulla superficie mediale). Tale quadro si riscontra in pazienti con AD, esiti da encefalite da HSV, lesioni chirurgiche (es. caso di HM) o sofferenza vascolare bilaterale. Quest’ultimo caso è dato dalla sofferenza del circolo vertebro-basilare, in particolare dell’arteria impari e mediana basilare, dalla quale si staccano, ad angolo retto, le due arterie cerebrali posteriori che a loro volta danno rami per il tronco cerebrale, per il lobo occipitale e per l’ippocampo. La sofferenza di questa arteria di solito non porta a veri e propri ictus ma, piuttosto, a blocchi della circolazione che si risolvono in pochi minuti. Ne deriva un quadro di amnesia globale transitoria in cui il pz non è momentaneamente in grado di fissare nuovi ricordi. La sindrome amnesica diencefalica è invece conseguente a lesioni/degenerazioni bilaterali del talamo (in particolare del nucleo dorsomediale e dei nuclei anteriori) e dell’ipotalamo. Tipicamente, questo danno è dato da pazienti alcolisti cronici (Sindrome di Korsakoff), con malattie da malassorbimento (es. celiachia) oppure oncologici con tumori sviluppati lungo la linea mediana (es. creaniofaringioma). Dato che i nuclei talamici proiettano alla PFC, i pz diencefalici mostrano la tendenza alla confabulazione riempitiva e/o florida e all’anosognosia. In alcuni casi, l’amnesia è data dalla lesione bilaterale del setto pellucido, una struttura che si trova nella concavità del ginocchio del corpo calloso. Questa lesione è una conseguenza tipica dall’emorragia da rottura di aneurisma dell’arteria comunicante anteriore, che collega le due arterie cerebrali anteriori. Il sangue fuoriuscito da questo tratto può invadere i territori più anteriori, mesiali e bassi delle due cortecce, compromettendo il funzionamento dei setti, ma anche le aree prefrontali circostanti, causando disturbi fronto-esecutivi. Il pz manifesterà quindi una gravissima sindrome mnesica con caratteristiche simili a quelle dell’amnesia diencefalica (confabulazione e anosognosia). Quando la lesione non è bilaterale, il disturbo che ne deriva non è una vera e propria sindrome mnesica ma, piuttosto, una compromissione della memoria anterograda e, in particolare della modalità verbale se la lesione è a sx e della modalità non verbale se la lesione è a dx. 3.4 Modelli della memoria I pazienti amnesici, qualora non vengano distratti, possono essere in grado di ricordare per alcuni secondi, talora fino a qualche minuto, quantità limitate di informazione. Il loro span di MBT è di solito nei limiti di norma. Secondo Atkinson e Shiffrin questa è la dimostrazione più convincente della dicotomia MBT/MLT e della validità dei modelli di memoria seriali, in cui i due depositi mnesici vengono concepiti come in sequenza l'uno rispetto all'altro, e le tracce soggiornano brevemente nel deposito della MBT e poi o decadono o sono trasferite e ricodificate nel deposito della MLT, per esservi a lungo conservate. Nell’amnesia l’informazione avrebbe accesso ad un magazzino a BT funzionante, senza potere poi essere trasferita nel magazzino a LT; verrebbe preservata solo finché gli amnesici vi prestano attenzione, mantenendola nel campo della coscienza, o MBT. Questa ipotesi spiega sia la presenza della amnesia anterograda, che la dicotomia MBT indenne/MLT compromessa, ma non spiega l’amnesia retrograda generalmente presente. In alcuni pazienti, quando il deficit mnesico si instaura progressivamente, l’amnesia retrograda può spiegare almeno in parte la compromissione del ricordo di eventi passati. Nel caso dei pazienti con sindrome di Korsakoff ad eziologia alcoolica, la presenza di un gradiente temporale a 10 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II favore degli eventi remoti potrebbe essere attribuita al fatto che l’amnesia anterograda era iniziata in modo subdolo in epoca anteriore a quanto l’esame clinico facesse sospettare. Questa spiegazione non rende conto in modo completo dell’amnesia retrograda degli etilisti korsakoffiani, che spesso si estende all’indietro per oltre 30 anni interessando periodi precedenti l’inizio dell’intossicazione alcoolica. La dissociazione tra deficit retrogradi e anterogradi è avvalorata anche dall’osservazione che, in pazienti etilisti con sindrome di Korsakoff, la correlazione tra di essi è relativamente bassa, e aumenta andando verso gli eventi più recenti, al cui oblio può contribuire il difetto anterogrado. Un deficit anterogrado non può inoltre spiegare la presenza di amnesia retrograda in pazienti in cui l’evento patologico è un fatto acuto, come un trauma cranio- cerebrale o una lesione vascolare. Infine, i difetti retrogradi non associati ad amnesia anterograda non possono essere attribuiti ad un difetto di memorizzazione. Gli amnesici possono essere inconsapevoli del proprio deficit (anosognosia) e rievocare episodi fittizi, che ritengono di avere realmente vissuto (confabulazione). La presenza di questi sintomi può essere messa in relazione con la sede della lesione cerebrale. L’anosognosia e la confabulazione non rappresentano comunque una componente necessaria alla sindrome amnesica. Nel 1960 Wyke e Warrington indussero in una paziente etilista affetta da sindrome di Korsakoff risposte confabulatorie anche di fronte a stimoli visivi ambigui da identificare, presentati tachistoscopicamente. Quindi la confabulazione non sembra essere una manifestazione compensatoria, secondaria al deficit mnestico, ma un disturbo indipendente dalla amnesia. E’ possibile che la presenza di anosognosia e confabulazione sia legata alla disfunzione di strutture frontali, nonostante siano stati descritti pazienti confabulanti senza altri segni “frontali”. I pazienti affetti da sindrome di Korsakoff alcoolica possono avere anche un difetto di metamemoria, ossia della capacità di stimare l’efficienza delle proprie funzioni mnestiche. Per quanto riguarda l’amnesia retrograda, studi sperimentali hanno fornito risultati contrastanti circa la presenza di un gradiente temporale a vantaggio degli eventi più remoti. Gli studi che dimostrano un gradiente temporale sono compatibili con la teoria del consolidamento, secondo cui la traccia mnesica continua a rafforzarsi nel tempo (mediante processi di riorganizzazione descrivibili a vari livelli, da quello neuropsicologico a quello neurochimico) e diventa quindi più resistente ai fattori che producono amnesia. Alcuni studi condotti nell’ultimo decennio suggeriscono che l’amnesia retrograda possa colpire i ricordi in modo selettivo, configurandosi come amnesia retrograda autobiografica o semantica. L’amnesia retrograda si accompagna di solito ad un difetto anterogrado di apprendimento, ma sono stati descritti pazienti in cui è presente solo l’oblio per eventi accaduti prima dell’esordio della malattia. Nei pazienti in cui, come in questo caso, non vi è una chiara dimostrazione della presenza di una lesione o disfunzione cerebrale a cui ricondurre il deficit, occorre tenere presente il possibile ruolo di componenti funzionali nella genesi dell’amnesia retrograda selettiva. Nei pazienti in cui è stato dimostrato un danno anatomico (TAC, RMN) o funzionale (EEG, PET), esso riguardava in genere le aree temporali, particolarmente anteriori. E’ inoltre possibile che il ruolo di lesioni temporali sinistre sia relativamente più importante: lobectomie temporali sinistre, ma non destre, causano amnesia retrograda per eventi famosi e, meno marcata, autobiografica. 4. FUNZIONI ESECUTIVE 4.1 Anatomia delle funzioni frontali La PFC è visibile: - sulla superficie laterale del LF: è formata dalla circonvoluzione ascendente (M1) e dalla parte più anteriore delle altre tre circonvoluzioni le cui parti posteriori svolgono funzioni motorie; - sulla superficie mesiale: costituisce la parte situata davanti alla scissura di Rolando; - sulla superficie inferiore: è costituita da una circonvoluzione parallela alla scissura interemisferica e da altre quattro circonvoluzioni disposte a raggiera attorno ad un solco a forma di H. La PFC si discosta dal resto della corteccia per alcune sue caratteristiche. Dal punto di vista strutturale, la parte più anteriore del lobo frontale è costituita esclusivamente da granuli (neuroni ad assone corto), diversamente dalla parte più posteriore che invece è costituita 11 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II per la maggior parte di cellule del Purkinje (neuroni ad assone lungo). Inoltre, la PFC è l’area corticale che presenta il maggior numero di connessioni: - cortico-corticali sullo stesso emisfero: essendo ai vertici della scala gerarchica, la PFC non comunica direttamente con le aree primarie sensoriali e motorie, ma lo fa in modo indiretto attraverso l’interposizione di aree di grado superiore al primo; - cortico-corticali con aree omologhe dell’emisfero opposto, grazie ai collegamenti transcallosali; - cortico-diencefo-corticali, grazie all’interposizione di nuclei sottocorticali in circuiti cortico- sottocorticali (circuito dei nuclei della base). Dal punto di vista filogenetico, la PFC appartiene solo agli esseri superiori e, dal punto di vista ontogenetico, si sviluppa tardivamente nell’essere umano (completamento della corteccia associativa a 3 anni; completamento della mielinizzazione delle fibre a 21 anni). 4.2 Funzioni prefrontali Le aree prefrontali pianificano l’attività di tutte le altre aree corticali e delle strutture sottocorticali, in funzione del fine che il soggetto stesso si propone o che l’esaminatore gli impone. Le aree prefrontali modulano pertanto l'intera attività cognitiva e comportamentale, secondo regole e modalità che connotano la personalità dell'individuo e ne determinano lo stile di vita. Pur non assolvendo ad alcuna delle funzioni cognitive in modo esclusivo, la corteccia prefrontale partecipa a ciascuna di esse. Il ruolo della corteccia associativa è, di fatto, quello di far sì che ciò che viene percepito dell’ambiente e il comportamento che viene messo in atto per modificarlo siano collegati (azione finalizzata come maggior espressione dell’intelligenza umana). Per fare ciò la PFC agisce tramite una funzione, definita attenzione selettiva. 4.3 Attenzione L’attenzione diffusa è la facoltà di avvertire gli eventi che accadono nell’ambiente esterno e interno a se stessi, o i propri bisogni. È sinonimo di vigilanza, la cui diminuzione si realizza normalmente nel sonno o in condizioni patologiche nel coma. La parte mediale della sostanza reticolare nel ponte e nel mesencefalo ed i nuclei intralaminari del talamo sono fondamentali per l’attivazione globale della corteccia, assicurando l’attenzione nella forma diffusa. L’attenzione selettiva consiste nella capacità di avvertire solo alcuni eventi, ignorandone altri. Diminuzione di attenzione selettiva corrisponde ad aumentata distraibilità. Si distinguono: - attenzione selettiva sensoriale. Solo stimoli riconosciuti come significativi vengono percepiti ed elaborati, per guidare il comportamento. L’attenzione selettiva sensoriale sarebbe assicurata da un sistema complesso avente il proprio epicentro nelle aree parietali posteriori di convergenza multisensoriale (es. di disfunzione: neglect); - attenzione selettiva motoria o intenzione. È la predisposizione ad attuare specifici comportamenti motori (e a inibire gli altri). Ruolo fondamentale rivestono in tal senso le aree premotorie; - attenzione selettiva motivazionale. Consiste nel dare preminenza all’uno piuttosto che all’altro dei bisogni endogeni dell’organismo e della persona. Ha il proprio fulcro nella corteccia cingolata. Il lobo frontale appare coinvolto in tutte le forme di attenzione selettiva: - le aree 8, 45 e 6 sono connesse con le aree associative sensoriali di primo ordine ed appaiono in rapporto con l’attenzione selettiva di tipo motorio e sensoriale; - la corteccia prefrontale orbitaria e mesiale è connessa al giro del cingolo, e sembra implicata nell’attenzione selettiva motivazionale; - la corteccia prefrontale laterale è connessa con le aree associative sensoriali di ordine più elevato oltre che con gli altri distretti frontali, e sembra indispensabile nella distribuzione intenzionale della attenzione selettiva in tutte le sue forme. Prove di attenzione selettiva: matrici attentive, test di Stroop, trail-making. 12 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II 4.4 Flessibilità cognitiva La flessibilità spontanea è la capacità di produrre spontaneamente e con ricchezza idee e reazioni in risposta ad uno stimolo unico. I pazienti frontali cadono in prove di fluenza verbale su stimolo fonemico, di fluenza di sgorbi, di fluenza di gesti, rivelando un difetto di flessibilità spontanea che li rende monotoni e ripetitivi. La flessibilità reattiva è la disponibilità a mutare il comportamento su richiesta del contesto. I pazienti frontali cadono al test di Stroop, di Weigl e di Wisconsin, e nel determinare i fallimenti è decisiva la tendenza a perseverare. La scarsa flessibilità reattiva rende i pazienti banali e superficiali, incapaci di adeguare il proprio comportamento alle richieste ambientali. 4.5 Giudizio e critica L’insulsaggine nel giudicare la realtà è del resto una caratteristica del paziente prefrontale, che fallisce in prove di stima (di lunghezze, pesi, prezzi, ecc.), e si dimostra incapace anche di valutare le proprie capacità cognitive in questionari di autovalutazione. 4.6 Progettazione Il paziente prefrontale non solo ha difficoltà ad adeguare il proprio comportamento alle richieste ambientali, ma è incapace di prevedere le conseguenze delle proprie azioni, e quindi di progettare il proprio comportamento in prospettiva futura. Fallisce infatti a prove come quella della Torre di Londra. Si dimostra imprevidente e precipitoso. 4.7 Inibizione e autocontrollo L’incapacità a pianificare e a prevedere va spesso di pari passo con la tendenza ad adottare comportamenti abituali e stereotipati, anche se inutili o difformi rispetto allo scopo prefisso, suggeriti da stimoli ambientali. E’ la cosiddetta “sindrome da dipendenza ambientale”, responsabile di comportamenti di uso o di imitazione. La funzione inibitrice e regolatrice del lobo frontale sembra esercitata principalmente dalle aree orbitali la cui lesione causerebbe “sindrome pseudopsicopatica”: disinibizione (volubilità, fatuità, impulsività) ed euforia. La lesione delle aree mesiali darebbe invece “sindrome pseudodepressa” con inerzia, apatia e depressione. 4.8 Memoria La corteccia prefrontale sembra avere solo un ruolo secondario sulle funzioni mnestiche. Un importante aspetto del difetto mnestico nel paziente prefrontale riguarda l’esperienza temporale. Il paziente prefrontale non solo confonde l’ordine degli eventi accaduti, ma non riesce nemmeno a valutare la frequenza con cui li ha sperimentati. Questo difetto ha conseguenze particolarmente gravi: se si ignorano le probabilità (ferquenze relative) con cui gli eventi sono soliti accadere, non si possono nemmeno costruire previsioni realistiche su quale sarà il fututro e ci si presenterà sprovveduti di fronte ad esso. La confabulazione può essere un sintomo saliente del malato frontale. Il paziente inventa avvenimenti falsi, o colloca avvenimenti veri in un contesto fallace, non solo se pressato dalle domande dell’esaminatore (confabulazione da imbarazzo o riempitiva), ma anche senza apparente motivo, abbandonandosi a fantasticherie floride (confabulazione florida o produttiva). E’ verosimile che le confabulazioni dipendano dalla incapacità ad inibire produzioni verbali impulsive, e siano quindi espressione della “disinibizione” frontale. 13 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II 5. DEMENZE 5.1 Definizione Alcune patologie comportano una degenerazione selettiva dei neuroni della corteccia associativa, responsabile di tutte le funzioni fino ad ora elencate; in questo caso si parla di decadimento cognitivo cronico progressivo (demenze primarie). La demenza si distingue dall’oligofrenia (mancato sviluppo di tutto il sistema cognitivo del bambino) e dalla dislessia (mancato sviluppo di una funzione) in quanto il soggetto che ne soffre perde le capacità intellettive avendole però sviluppate a pieno durante l’infanzia; si differenzia inoltre dallo stato confusionale acuto in quanto il decadimento è irreversibile. 5.2 Classificazione La degenerazione corticale si diffonde a macchia d’olio da una zona iniziale fino a coinvolgere dell’intera corteccia associativa. In base all’area in cui la degenerazione ha inizio, si possono distinguere: - demenze a esordio post-rolandico: ad es. l’AD, che inizia nelle zone ippocampale e paraippocampale (area temporale mesiale) causando l’incapacità, per il paziente che ne è colpito, di apprendere nuove informazioni. A mano a mano che il processo avanza, il pz inizia anche a perdere i ricordi del proprio passato. Nel momento in cui vengono coinvolte le aree del linguaggio, il paziente diventa anomico e afasico, fino ad arrivare al mutacismo; quando la degenerazione raggiunge il lobo parietale si evidenzia anche un disturbo prassico progressivo a cui si aggiunge anche l’aprassia costruttiva (coinvolgimento delle aree visive). Quando la malattia è giunta al termine, compaiono inoltre i disturbi prefrontali: prima di questa fase, il paziente si comporta in maniera appropriata, sebbene sia titubante e inerte; - demenze a esordio pre-rolandico: ad es. la demenza frontotemporale che ha esordio a livello prefrontale. Il primo sintomo che si manifesta, in questi pazienti, è il disturbo da controllo del comportamento, che diventa socialmente inappropriato. In seguito il disturbo coinvolge anche le aree del linguaggio (afasia simil-transcorticale motoria), quelle della memoria (inizialmente c’è solo un disturbo di memoria di tipo prefrontale, quindi nella gestione delle strategie di apprendimento e di recupero dei ricordi passati) e, infine, le aree visive (aprassia costruttiva). 5.3 Diagnosi Si può affermare che un pz ha un decadimento cognitivo nel momento in cui non riesce più a gestire il proprio quotidiano (definizione operativa). Esistono però anche delle scale e dei test neuropsicologici globali utili per valutare il livello di decadimento, es. MMSE. 14 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II 6. AGNOSIE 6.1 Definizione Disturbo superiore di riconoscimento di uno stimolo: - limitato a un canale sensoriale (agnosia visiva, tattile oppure acustica); - non spiegabile da disturbi percettivi elementari: non significa che le funzioni sensoriali sono del tutto integre, ma che i deficit compresenti non sono sufficienti a spiegare il disturbo agnosico (sono presenti anche in pazienti non agnosici); - non spiegabile da disordini di oculomozione, attenzione, linguaggio; - non spiegabili da grave deterioramento mentale. 6.2 Agnosie visive L’agnosia che dà in genere più disturbi all’essere umano è l’agnosia visiva. La visione è un processo che procede per stadi successivi e per vie parallele, poiché le diverse caratteristiche percettive dello stimolo sono analizzate in centri specializzati, e che permette la ricostruzione di un oggetto tridimensionale (V1-8) a partire dall’immagine retinica. I disturbi di riconoscimento visivo possono compromettere selettivamente il riconoscimento di alcune categorie di stimoli e lasciarne indenni altre. Si sono così distinte: - agnosie per gli oggetti del mondo animato e inanimato (agnosia visiva propriamente detta); - agnosie per le facce (prosopagnosia); - agnosie per i colori; - agnosie per le parole scritte (alessia). 6.3 Agnosie per gli oggetti Il riconoscimento visivo si attua in due fasi (Lissauer, 1980): - fase percettiva: analisi delle caratteristiche sensoriali dello stimolo fino ad una sua rappresentazione strutturata; segue il recupero del prototipo corrispondente nella memoria (familiarità); - fase associativa: la rappresentazione attiva la rete di conoscenze sulle caratteristiche fisiche, funzionali, categoriali dello stimolo che ne permette l’identificazione; solo dopo l’attivazione della rete semantica, il soggetto può denominare lo stimolo. Si distinguono infatti: - agnosia appercettiva (disturbo della fase percettiva): l’immagine retinica giunge in V1 ma l’elaborazione delle caratteristiche dello stimolo, che viene avviata, non viene completata, dando luogo a una rappresentazione strutturale errata che non evoca nessun ricordo presente nella memoria. Test per distinguere l’agnosia appercettiva dalla cecità corticale: test X0N (discriminazione di figure da sfondi ambigui), test di Efron (presentazione di coppie di quadrati o rettangoli scuri aventi la stessa area ma rapporto base-altezza variabile; si chiede al pz se le figure sono quadrati o rettangoli oppure se due figure sono uguali o diverse). Una volta accertatisi che il pz è agnosico, si procede allo studio del processo percettivo: test delle silhouette di oggetti in prospettiva insolita, test di Popper Roy (individuare e discriminare sagome di oggetti sovrapposte), test delle coppie (identificare la stessa coppia di persone in situazioni differenti). - agnosia integrativa da mancata attivazione del prototipo o agnosia da compromissione della rappresentazione interna: il soggetto percepisce correttamente lo stimolo e ne ricostruisce una rappresentazione strutturata, ma il prototipo non viene matchato e di conseguenza viene impedito l’accesso alla rete delle conoscenze semantiche. Prove utilizzate per la diagnosi: test dell’ippogrifo (riconoscere l’esistenza o meno di figure chimeriche); prove di disegno a mente, test delle differenze percettive e descrizione di lettere su stimolo verbale; - agnosia associativa (disturbo della fase associativa, raro): il pz percepisce bene e costruisce correttamente l’oggetto tridimensionale, ma nonostante l’attivazione del prototipo non riesce ad associarvi alcun significato presente nella memoria semantica. Prove per la diagnosi: prove 15 fi Basi anatomo- siologiche dei processi cognitivi - M.C. Saetti A.A. 2020/2021 - Anno I, semestre II di denominazione visiva rispetto a foto di oggetti (per distinguer dall’afasia ottica: mimare l’utilizzo dello stimolo presentato), evocazione del gesto, categorizzazione semantica di foto sparse di oggetti, test di associazione semantica extracategoriale e intracategoriale (presentazione di tre immagini di cui una solo associabile a livello semantico allo stimolo). questionari (es. farfalla: animale o oggetto inanimato? Vola, striscia o corre? È più o meno grande di una formica?); - afasia ottica (disturbo del linguaggio): compromissione del recupero delle informazioni semantiche. Test per la diagnosi: prova di denominazione visiva (se la sbaglia ma sa fare tutte le altre prove descritte fino ad ora, il paziente non è in grado di accedere all’etichetta). Per distinguerla dall’afasia, si ripete la prova di denominazione su un’altra via (es. verbale per definizione o tattile al posto di visiva). 16 fi