Appunti Criminologia PDF

Document Details

Uploaded by Deleted User

Cascavilla

Tags

criminology deviance sociology criminal justice

Summary

These notes cover criminology and victimology, including concepts of deviance and crime. The document discusses the difference between deviance and crime, and the sociology of deviance. The author also explores the various types of norms, and relevant sanctions and their functions. It also touches on concepts of restorative justice and the 2022 Cartabia reform.

Full Transcript

CRIMINOLOGIA E VITTIMOLOGIA Professore Cascavilla Libro “Devianza e criminalità” parziale crocette orale (17/12) 22 lezioni CONCETTI E DEFINIZIONI DI DEVIANZA E CRIMINALITÀ Devianza e criminalità sono due fenomeni profondamente congiunti ma che non coincidono, alcuni atti possono essere devian...

CRIMINOLOGIA E VITTIMOLOGIA Professore Cascavilla Libro “Devianza e criminalità” parziale crocette orale (17/12) 22 lezioni CONCETTI E DEFINIZIONI DI DEVIANZA E CRIMINALITÀ Devianza e criminalità sono due fenomeni profondamente congiunti ma che non coincidono, alcuni atti possono essere devianti ma non criminali. Tuttavia entrambe si possono definire come forme di violazione a norme poste dalla società, ma si differenziano perché le norme che vengono trasgredite da fenomeni devianti non sono le stesse per i fenomeni criminali: - la devianza si definisce come la non osservanza di norme di tipo sociale - la criminalità si definisce come la non osservanza di norme giuridiche di diritto penale. La sociologia della devianza La sociologia della devianza e della criminalità è la disciplina che si propone di descrivere i fenomeni della devianza e della criminalità e come questi mutano nel tempo, interpretando i fenomeni criminali e tenendo presente che non esistono comportamenti che in se sono considerati criminali ma che ciò dipende dalla società in cui si ci trova e da cosa essa stabilisce. La sociologia della devianza e della criminalità non guarda esclusivamente al crimine ma anche ad altre forme di prevaricazione, violenza, stili di vita marginali. Studia le cause dietro i comportamenti devianti e la reazione delle istituzioni, le quali creano politiche di prevenzione, controllo, trattamento e repressione verso i comportamenti considerati devianti. Una volta individuate le cause di questi comportamenti si passa allo studio dei rimedi, i quali possono essere ritenuti efficaci o meno, ciò svolgendo delle ricerche empiriche. La devianza Deviante è chi non rispetta determinate norme, esistenti in un contesto sociale e culturale, che sono seguite dalla maggior parte dei componenti di un determinato gruppo sociale. E chi è deviante mette in atto dei comportamenti che si discostano dalle normative prevalenti in un determinato contesto. La devianza implica necessariamente alcune condizioni: - l'esistenza di uno specifico gruppo sociale in cui tale definizione sia riconosciuta e condivisa - l'esistenza di norme o aspettative giudicate legittime o comunque rispettate dalla maggior parte dei membri di una società - il riconoscimento che la violazione di tali regole è valutato negativamente dalla maggior parte dei componenti della collettività o almeno da quelli più influenti - la verifica che, dopo aver constatato la violazione di una regola, i membri del gruppo tendono a reagire proporzionatamente alla gravità dell'infrazione - l'esistenza di conseguenze negative a carico dei soggetti che sono stati individuati come autori della violazione. In senso statistico, è deviante un comportamento che si scosta da dei comportamenti ritenuti ‘normali’ in un dato contesto sociale, ed è allora ritenuto normale un fenomeno che si osserva con maggiore frequenza in una data popolazione ed in determinate condizioni. Tuttavia non tutti i comportamenti tenuti da una minoranza di individui sono considerati devianti, come non tutti gli individui che presentano tratti che li connotano come appartenenti ad una minoranza sono deviati. Affinché un fenomeno sia considerato deviante deve suscitare riprovazione o reazioni negative da parte dei membri del contesto sociale e culturale in cui si tiene perché percepito e giudicato come violazione di norme che regolamentano la collettività in quello specifico momento. Inoltre il fenomeno deviante viene considerato tale anche tenendo conto delle differenze tra i membri della collettività, e le differenze sotto il profilo sociologico che riguardano i ruoli ricoperti da ciascuno, ossia l’insieme di aspettative che gli altri nutrono nei confronti di chi ricopre il ruolo. Ciò significa che un identico comportamento può essere deviante o meno a seconda di chi lo mette in atto (es: sparare a qualcuno è considerato un comportamento deviante a seconda del ruolo ricoperto da chi lo mette in atto, infatti è un comportamento legittimo se a farlo è un poliziotto in determinate circostanze necessarie, ed è deviante se a farlo è lo stesso poliziotto ma in una situazione diversa da quella lavorativa). Dunque abbiamo detto che devianza significa trasgressione di norme sociali, è determinata dalle norme culturali presenti in una società in un certo momento, mentre criminalità significa trasgressione di norme giuridiche penali. Le norme penali sono quelle che vietano i comportamenti più dannosi per la società. La sociologia inoltre pone attenzione sull’attribuzione della devianza piuttosto che sul comportamento deviante, evidenziando che una persona potrebbe non essere mai identificata come deviante se non colta in flagrante, oppure al contrario potrebbe subire l’etichetta pur essendo innocente. Questo mostra che la devianza dipende dalla percezione sociale, anche se non sempre corrisponde a criteri etici. Il concetto di devianza è quindi relativo e mutevole, influenzato da fattori storici, culturali e sociali. Le norme Per comprendere il concetto di devianza è fondamentale il riconoscimento delle norme accettate da un determinato gruppo sociale, norme che stabiliscono ciò che è considerato appropriato o meno. Le norme possono essere definite come regole che orientano il comportamento degli individui, generando una reazione negativa in caso di violazione, sia da parte degli altri membri della società sia da parte delle istituzioni. Le norme variano e di conseguenza anche le sanzioni. Possiamo suddividere: - norme prescrittive, che indicano comportamenti obbligatori - norme proibitive, che specificano i comportamenti vietati. Ogni società trasmette alle nuove generazioni un insieme di messaggi normativi che stabiliscono cosa sia opportuno e cosa invece sia sconveniente o proibito. Questi messaggi possono derivare dalle consuetudini o dalle leggi dello Stato, che definiscono e puniscono le azioni considerate reati. La formulazione delle norme può variare in base alle tradizioni giuridiche (es: la normativa francese e quella italiana trattano l’omicidio in modo simile ma con formulazioni diverse. In Francia la legge descrive l’atto proibito e stabilisce la pena specifica, mentre in Italia si lascia implicita la descrizione specificando solo la pena). La distinzione principale da fare è tra norme sociali e norme giuridiche: - le norme sociali sono pensieri condivisi che regolano il comportamento all’interno di specifici gruppi sociali. Queste norme non vengono necessariamente formalizzate in testi scritti, ma sono trasmesse tre le persone del gruppo sociale, per esempio attraverso la socializzazione. L’esistenza delle norme sociali è subordinata al consenso e alla condivisione di quelle norme da parte della maggioranza dei membri della società; - le norme giuridiche sono invece create da istituzioni legittimate, come lo Stato, e prevedono sanzioni formalmente predefinite. Queste norme restano valide fino a revoca, in quanto la loro abrogazione richiede un altro atto formale di pari valore giuridico. Le norme sociali sono associate a sanzioni informali, che variano in base al contesto ed agli attori. Diversamente dalle sanzioni giuridiche, le sanzioni sociali non sono predefinite formalmente, ma dipendono dalla percezione dei comportamenti da parte dei membri della società. Le sanzioni Le sanzioni sono intrinsecamente legate alle norme, rafforzano l’efficacia e la probabilità che le norme vengano rispettate. Le norme funzionano come linee guida per i comportamenti degli individui e la loro forza risiede nelle sanzioni previste in caso di violazione. Le sanzioni si distinguono in varie categorie: - le sanzioni negative (punizioni o limitazioni della libertà) si associano alla violazione delle norme e si manifestano in conseguenza a comportamenti percepiti come dannosi; - le sanzioni positive sono invece premi e incentivi per chi rispetta le regole, come per esempio le riduzioni di pena per buona condotta o le agevolazioni fiscali per le aziende eco-sostenibili. - le sanzioni formali sono ufficiali e istituzionali (es: pene penali o amministrative) e vengono applicate attraverso procedure definite, si basano su codici di diritto penale destinati a tutti i cittadini, e codici di procedura che regolano il processo penale e le attività degli organi coinvolti. Queste sanzioni sono vincolanti per tutti i cittadini, e il loro rispetto viene monitorato dalle autorità competenti; - le sanzioni informali sono invece reazioni sociali non ufficiali, come l’esclusione sociale o la perdita di fiducia. Possono derivare dalle famiglie, dagli amici, dai colleghi, o anche dall’opinione pubblica e dai social media, portando all’isolamento chi viola le norme. Il peso e l’efficacia di sanzioni formali ed informali può variare, e non sempre le sanzioni istituzionali sono le più onerose. Lo stigma sociale a volte può risultare più pesante di una multa o della detenzione. Le funzioni delle sanzioni Sul piano sociologico il problema è interrogarsi su quale sia la funzione effettiva che la società attribuisce alla pena, non sul perché la previsione di una pena sia o meno giusta. Quali sono le ragioni positive della sanzione? Quali sono le funzioni principali? 1) funzione retributiva, la retribuzione serve a restituire al colpevole il male causato, perché è giusto che chi trasgredisce paghi, è giusto che chi ha commesso un delitto patisca anche lui una sofferenza, questa funzione considera la violazione della norma come una colpa morale da espiare; 2) funzione deterrente, ideata da Cesare Beccaria, riguarda la prevenzione dei reati, si previene la violazione di norme attraverso l’imposizione di conseguenze negative per chi le viola; 3) funzione rieducativa, si tratta della riabilitazione o emendazione del colpevole per evitare che un comportamento dannoso ricapiti, si cerca di cambiare il deviante rendendolo consapevole degli errori commessi; 4) funzione incapacitante per cui le persone pericolose vengono messe nelle condizioni di non nuocere di nuovo, mira ad escludere il deviante dalla società per impedire che causi ulteriori danni. E le pene non devono essere degradanti per l’uomo, ma devono rieducare l’uomo, anche se nella realtà non avviene proprio così (es: spesso chi esce dal carcere è recidivo piuttosto che rieducato). Le sanzioni penali inducono gli individui di una comunità politica a rispettare le norme. Ma se una norma è ingiusta vale la pena rispettarla? Spesso dietro i comportamenti devianti, la persona deviata vede la norma da rispettare come ingiusta. Perché dobbiamo obbedire alla leggi? E se fossero ingiuste? Posso esserci leggi poco puntali, leggi che tutelano interessi particolari, ma l’insieme di leggi, prese nel loro complesso, è un sistema che tutela i beni ed i diritti di tutti. Il compito del sociologo è riflettere sull’efficacia delle sanzioni e sui loro esiti. L’effettività di una norma e l’effettiva applicazione delle sanzioni, non è sempre correlata all’efficacia della norma. Il caso della ‘guerra alla droga’ è emblematico: nonostante l’alta effettività delle norme proibizioniste, l’efficacia è dubbia e ha spesso peggiorato il problema. Il sociologo deve interrogarsi sulla funzione effettiva che la società attribuisce alla norma. A è importante parlare anche di giustizia ripartiva. La giustizia ripartiva è forma di giustizia complementare alla giustizia punitiva tradizionale, cerca di riparare alle fratture di chi ha compiuto un reato ed è stato punito per questo. Video: “Giustizia ripartiva. Voci di un incontro di garante infanzia e adolescenza”. Con la riforma Cartabia del 2022 la giustizia ripartiva si può applicare sempre, in ogni grado del giudizio, e per qualsiasi tipo di reato. La giustizia ripartiva permette una mediazione, uno spazio di ascolto, spazio sia fisico che interiore. La mediazione serve a dare un ordine al disordine. Ciò nel processo penale non avviene, il colloquio che avviene nel processo italiano è un colloquio filtrato, non si pongono domande liberamente, come invece potrebbe avvenire in un’aula di mediazione. La comunicazione che avviene durante il processo è rigida, ci sono norme da rispettare. La comunicazione che invece avviene nell’aula di mediazione è libera e senza squilibri. La mediazione ovviamente prevede un lungo percorso, e alla mediazione ci si partecipa volontariamente senza obblighi. La partecipazione viene chiesta prima all’autore del reato per evitare una vittimizzazione secondaria (se chiedessimo ciò prima alla vittima e questa accettasse, e poi lo chiedessimo all’autore del reato e lui rifiutasse, andando poi a dire alla vittima che la cosa non può essere fatta lei vivrebbe una seconda volta ciò che ha subito). Il mediatore è un soggetto laureato che ha fatto dei master teorici e pratici che lo portano a poter svolgere questo lavoro. Il mediatore è un soggetto equi prossimo, ha una vicinanza uguale alla vittima e all’autore del reato. Il mediatore acquisisce un consenso da parte delle due parti, consenso sempre revocabile. Il mediatore gestisce gli incontri tra i soggetti e cercherà anche di risolvere. E la mediazione è importante anche per mettere al centro la vittima, vittima che nel processo penale sta sempre dietro, nascosta. La vittima del reato con la mediazione riacquista l’empowerment, la gestione della situazione, la vittima può ‘avere in mano la vita’ dell’autore del reato. Socializzaione normativa e controllo sociale La società per mantenere il suo equilibrio e condizioni ordinate del vivere sociale deve fare in modo che le norme vengano rispettate. Le sanzioni non sono l’unico strumento per far si che le norme vengano rispettate da tutti, ci sono altri due metodi: socializzazione normativa e controllo sociale. La socializzazione normativa è un processo che avviene all’interno degli individui, attraverso il quale gli individui interiorizzano le norme del contesto sociale in cui vivono. Questo processo avviene partecipando attivamente alla vita sociale, ai diversi gruppi sociali in cui ci ritroviamo. Un primo gruppo sociale è la famiglia, la quale permette un processo di educazione per i figli. Il processo di socializzazione lo sperimentiamo quando entriamo in un gruppo nuovo e per essere accettati cerchiamo di comprendere quale norme vengono considerate importanti e ci adeguiamo a quelle, altrimenti non verremmo accettati da quel gruppo. Siccome a nessuno piace essere emarginato, ci si adegua interiorizzando le norme che in quel gruppo vengono considerate rilevanti. Non sempre il processo di socializzazione ha successo, può essere che gli individui non interiorizzino le norme del contesto sociale o le norme rilevanti nella società, e quando avviene ciò si ha il fenomeno della criminalità. Quando il processo di socializzazione sociale non si svolge in modo corretto e pieno, la conseguenza è la devianza o la criminalità. Nella socializzazione normativa è l’individuo ad interiorizzare le norme, il soggetto di questo processo è l’individuo, è un’iniziativa che parte dall’individuo che agisce. Il controllo sociale invece parte dalla società e arriva all’individuo, si ha quando la società fa pressione sull’individuo affinché si comporti in un determinato modo. Ci può essere un controllo: sociale formale attuato attraverso apparati istituzionali come polizia, magistrati, ecc., che fanno pressione sull’individuo affinché si comporti correttamente, quindi facendo pressione sull’individuo la società lo induce e lo stimola a rispettare le norme giuridiche; sociale informale attuato da giudizi, pregiudizi, reazioni della gente: la gente non accetta che gli individui si comportino in modo difforme da come si comporta la maggioranza, è la società che con il giudizio esercita una forma di pressione sugli individui, è un controllo che mira a far rispettare norme sociali. Il processo di criminalizzazione è un processo che avviene all’interno della società, un processo in base al quale un individuo viene qualificato come criminale. Perché un individuo sia considerato criminale è necessario che avvenga un processo, e secondo i sociologi è la società a considerare un individuo criminale o meno. E non tutti coloro che trasgrediscono le norme sono considerati criminali dalla società (es: coloro che commettono reati di tipo economico). Il piano sociale va sempre distinto da quello giuridico. Le forme della criminalità Le azioni, i comportamenti criminali non sono tutti uguali. Distinguiamo due piani: quello giuridico e quello sociologico. Sul piano del diritto ci sono delle distinzioni e su quello sociologico altre. Per quanto riguarda il piano giuridico, il diritto, nel codice di diritto penale, distingue i vari comportamenti criminali in: delitti e contravvenzioni —> i delitti sono violazioni di norme penali poste a tutela di beni e diritti essenziali della persona, quindi violazione di norme molto rilevanti; le contravvenzioni sono illeciti che riguardano norme meno importanti per l’ordine pubblico. Verso i delitti sono previste le pene più gravi (es: carcere, ergastolo), per le contravvenzioni sono previste pene più leggere (es: multe). I delitti inoltre vengono distinti in delitti dolosi, preterintenzionali e colposi. I delitti dolosi avvengono quando l’azione illecita viene compiuta con consapevolezza, con l’intenzione di ledere l’altra persona. I delitti preterintenzionali riguardano un danno provocato ad un’altra persona, ma un danno che non era stato previsto, la conseguenza dell’azione illecita compiuta si rivela più grave di ciò che si sarebbe voluto provocare (es: tiro un pugno ad un amico, lui cade, sbatte la testa e muore, io non avevo preventivato ciò, la mia intenzione non era quella). Sono delitti colposi quelli in cui la conseguenza dell’azione non è assolutamente voluta (es: in un incidente stradale causo la morte di un’altra persona, la sua morte è causa di una mia azione ma io quell’azione non volevo commetterla e tanto meno volevo avvenisse quella conseguenza), nei delitti colposi non c’è volontarietà di provocare danni, ma c’è l’errore di non aver calcolato le conseguenze che le nostre azioni avrebbero potuto provocare. Tutti i comportamenti considerati delittuosi sono definiti dal codice di diritto penale italiano, promulgato nel 1930, durante il periodo fascista, codice che ha subito poi diverse riforme. Normalmente le norme di diritto penale vengono ordinate dalle norme che puniscono i delitti più gravi a quelli meno gravi. Il codice penale è organizzato in tre libri: il libro primo, dei reati in generale; il libro secondo, dei delitti in particolare; ed il libro terzo, delle contravvenzioni in particolare. Sul piano sociologico invece vengono distinte le modalità in cui si prestano le leggi penali: sotto forma di obblighi o di divieti —> una legge penale può imporre un comportamento obbligatorio, o può vietare un comportamento. Ma tutte le norme possono essere poste sia in maniera positiva che negativa (es: chi guida la moto deve usare il casco; non si può guidare la moto senza casco). Tuttavia alcuni studiosi del diritto ritengono che non sia la stessa cosa scrivere una formula o l’altra, solitamente si utilizza la forma dell’obbligo quando la società è più favorevole all’osservazione delle norme, mentre il divieto è più adatto quando c’è meno predisposizione al rispetto delle norme. Un’importante distinzione a livello sociologico si poi tra: 1) reati strumentali e reati espressivi —> i reati strumentali vengono commessi per raggiungere determinati vantaggi, come vantaggi economici (es: furto, reati economici, i delitti di mafia), e solitamente questi reati presuppongono la premeditazione. I reati espressivi non si commettono con finalità di guadagno, ma si commettono per passione, spinti da impulsi incontrollati, si commettono per una reazione impulsiva, e spesso un sono premeditati (es: reati delle bande giovali). 2) reati individuali e reati di gruppo. Alcuni reati vengono compiuti in gruppo, ma nonostante ciò la legislazione italiana punisce sempre il singolo individuo, in qualunque caso va valuta la responsabilità di ogni singolo membro. 3) reati con le vittime e senza vittime. Alcuni reati vengono compiuti nei confronti di vittime concrete, mentre in altri reati è difficile individuare la vittima del delitto (es: quando un’industria getta in un fiume prodotti inquinanti e di conseguenza provoca dei danni a delle persone, vittime diffidi da individuare). Le rappresentazioni sociali del crimine e delle devianze La conoscenza del fenomeno criminale può avvenire in due modi differenti: in modo scientifico come facciamo noi all’università, in un modo basato sulle rappresentazioni sociali. Lo studio scientifico si basa su analisi di dati, su esprimenti, raccolte di dati, verifiche, statistiche e studi sociali. Di conseguenza si acquisisce una conoscenza approfondita del fenomeno. Invece la coscienza della criminalità che avviene per mezzo delle rappresentazioni sociali si basa su stereotipi, rappresentazioni e luoghi comuni. Le rappresentazioni sociali non sono frutto di una conoscenza scientifica, ma di semplificazioni comuni, e queste potrebbero basarsi su opinioni personali, sbagliate e non fondate. Tutti i fatti criminosi avvenuti vengono resi noti dall’ISTAT. Ma nemmeno questo basta, perché qui vengono catalogati i delitti che vengono denunciati e conosciuti. È dunque difficile avere una conoscenza approfondita della criminalità, e quindi a maggior ragione non si può conoscere il fenomeno della criminalità soltanto attraverso rappresentazioni sociali, che sono scientificamente infondate. A distorcere la visone della criminalità nell’opinione pubblica sono i mezzi di comunicazione e gli interessi politici. Alcuni luoghi comuni: i giovani sono sempre più violenti; i delinquenti sessuali sono sempre recidivi; le pene non sono severe; …. : si tratta di frasi che sentiamo spesso ma non hanno un fondamento, non si basano su alcun studio scientifico. La sociologica e la criminologia invece studiano il fenomeno criminale in maniera scientifica. LA RICERCA SOCIOLOGICA SU CRIMINALITÀ E DEVIANZE I problemi e i limiti della ricerca sul tema Fare ricerca sui comportamenti qualificati come criminali o devianti è un compito difficile e complesso, questo perché si tratta di comportamenti che, in quanto oggetto di disapprovazione, generalmente sono tenuti nascosti, e quindi non possono essere facilmente oggetto di indagini o ricerche sociologiche. I comportamenti tenuti in violazione di leggi penali, se non scoperti in flagranza o a seguito di indagini, sono, nella grande maggioranza dei casi, nascosti dagli autori. Ma anche in caso di scoperta, i comportamenti devianti sono difficili da delineare, e di conseguenza è difficile identificare le cause, le dimensioni quantitative e le caratteristiche qualitative di questi fenomeni. Gli obiettivi perseguibili Innanzitutto fare ricerca nel campo della sociologia della devianza significa impegnarsi, con riferimento a comportarti devianti, sul piano descrittivo e sul piano interpretativo. Il piano descrittivo è rappresentato dalla raccolta e ricostruzione di un insieme di dati che sono: a) la quantificazione delle azioni o dei comportamenti considerati criminali o devianti, e dunque una misurazione del loro numero che consenta di descrivere l’incidenza di quei comportamenti in un dato periodo, in una data società. È una misurazione necessaria per analizzare l’andamento dei fenomeni, per comparare diversi contesti sociali, per ricostruire ipotesi su fattori che incidono. b) la descrizione dei soggetti che sono protagonisti o hanno relazione con tali fenomeni. I soggetti possono distinguersi in coloro che mettono in atto i comportamenti criminali; coloro che sono vittime di tali comportamenti; coloro che entrano in contatto con attori e vittime. La descrizione di questi soggetti può essere fatta attraverso ricerche quantitative sulle loro caratteristiche demografiche, culturali e sociali o attraverso ricerche qualitative che riguardano le ragioni del loro agire o subire, le percezioni soggettive delle esperienze. c) le caratteristiche dei contesti in cui tali comportamenti si verificano, e dunque l’ambiente geografico, le culture, l’economia, le condizioni materiali di vita. d) i contenuti delle norme che rispondono a questi comportamenti devianti e criminali. Qui la sociologia della devianza si unisce con la sociologia del diritto e con la sociologia politica, per elaborare e definire le norme formali. Il piano interpretativo ha come presupposto una buona qualità dei dati ottenuti sul piano descrittivo. Su questo piano ci sono altri obiettivi, che si possono perseguire attraverso diversi studi e ricerche: a) la ricerca delle relazioni tra andamento e caratteristiche di specifici fenomeni e fattori che sono considerati potenziali variabili in grado di causare o incidere sul cambiamento del fenomeno oggetto di ricerca. b) la ricerca delle ragioni che influenzano le motivazioni dei comportamenti posti in essere dagli attori, ed i significati attribuiti a tali comportamenti, le giustificazioni. c) la ricerca sui fattori che spiegano le reazioni istituzionali alla criminalità e alla devianza, fattori che definiscono le norme e le politiche di prevenzione, controllo, trattamento. Tutti questi aspetti sono ancora oggi oggetto di elaborazione sia di schemi interpretativi di carattere generale, sia delle caratteriste specifiche dei singoli fenomeni. Le statistiche sulla criminalità: maneggiare con cura Non è facile conoscere la criminalità, si tratta di un fenomeno nascosto in quanto nessun individuo che commette un crimine lo vuole far sapere. Il metodo più efficace ed importante per avere dati sul fenomeno criminale sono le statistiche, i dati. Ma le statistiche sono uno strumento valido di conoscenza? È necessario prima sapere come vengono fatte queste statistiche. Queste si basano o sulle denunce fatte presso gli uffici di polizia o sulle indagini fatte dai pubblici ufficiali e dai magistrati. Per fare le statistiche vengono raccolti i dati sulle denunce e sulle indagini, i dati vengono in seguito catalogati, classificati e trasmessi all’ISTAT (Istituto nazionale di statistica) che elabora i dati. La fonte principale sui delitti commessi sono le banche dati che si trovano sul sito dell’ISTAT. Ma i dati raccolti, anche se considerati per molto tempo attendibili ed accurati, non sempre sono esaustivi. È dunque importante saper interpretare i dati che si raccolgono. Qual è la procedura che si segue per raccogliere ed elaborare i dati utili a fare delle statistiche? Riguardo a cosa rappresentano le statistiche criminali e, di conseguenza, come possono essere utilizzate, ci sono tre visioni diverse: 1) la visione positivista tende a considerare le statistiche, fatti salvi errori di registrazione cui è possibile porre rimedio, lo specchio fedele di quella realtà oggettiva che è la criminalità; 2) la visione costruzionista, al contrario, sostiene che le statistiche ufficiali non possono affatto descrivere la criminalità reale o le caratteristiche degli individui che commettono reati perché hanno troppi limiti. Questa visione considera le statistiche costruzioni sociali, ossia il riflesso e il risultato di processi complessi, come la definizione di determinati atti come reati; il riconoscimento dei comportamenti reato nelle pratiche di controllo e la conseguente scoperta del loro verificarsi e dei loro autori; 3) la visione realista si pone in una posizione intermedia e considera le statistiche, pur con i loro limiti, una parziale ma utile rappresentazione della realtà, soprattutto se tali statistiche sono integrate con altre modalità di studio del fenomeno. Le visioni che appaiono più valide sono le ultime due. Per capire meglio è inoltre necessario distinguere tre categorie in cui sono collocabili le violazioni delle leggi penali: 1) la criminalità ufficiale è l’insieme che comprende le condotte criminali o le violazioni delle leggi penali di cui vengono a conoscenza e che sono registrate dalle forze dell’ordine o dalla magistratura; 2) la criminalità nascosta è l’insieme dei reati commessi ma che non sono conosciuti in quanto non sono stati denunciati o non sono stati scoperti, si parla di numero oscuro della criminalità; 3) la criminalità reale è l’insieme di tutti i reati commessi in un determinato periodo e in un certo ambito territoriale, indipendentemente dal fatto che siano stati o meno oggetto di denuncia, di indagine e di condanna. È dunque l’insieme costituito dalla somma della criminalità ufficiale e della criminalità nascosta, da cui si dovrebbero tuttavia sottrarre gli eventi denunciati o registrati come crimini, ma che non risultano tali. Il problema che emerge è che le statistiche fanno conoscere una sola parte della criminalità, la criminalità ufficiale, le statistiche riportano i dati relativi alla criminalità conosciuta. Ma la criminalità nascosta non emerge nelle statistiche. Il rapporto tra criminalità reale, ufficiale e nascosta è correlabile alle riflessioni sulla rigidità che riguarda i passaggi tra: denuncia di un reato da parte della vittima o scoperta da parte delle forze dell’ordine, presa in considerazione del fatto da parte della magistratura, arresto o rinvio a giudizio del presunto colpevole, processo penale ed esecuzione della pena. Questi passaggi sono rappresentati dalle diverse tipologie di statistiche ufficiali: 1) statistiche della criminalità, riguardano tutti i reati denunciati e catalogati dall’ISTAT; 2) statistiche della delittuosità, si differenziano dalle prime perché non riguardano tutti i reati che si conoscono con le denunce e le indagini, ma solo quelli che riguardano denunce che vengono effettivamente considerate come fondate e per le quali si darà allora avvio ad un procedimento penale; 3) statistiche dei procedimenti penali, riguardano un numero ancora più ristretto di casi perché non tutti i reati compresi nelle statistiche della delittuosità vengono poi considerate per avviare un procedimento penale, si da avvio al procedimento che però poi potrebbe essere archiviato. Sono statistiche che riguardano i processi; 4) statistiche delle condanne, riguardano un numero ancora più ristretto di casi perché non tutti i processi hanno come esito una condanna, e in queste statistiche rientrano i dati relativi alle condanne; 5) statistiche delle esecuzioni penali, riguardano solo coloro che dopo essere condannati scontano effettivamente la loro pena. Man mano che scendiamo le statistiche riguardano un numero sempre più ristretto di casi, tuttavia cresce la ricchezza dei dati relativi ai tipi di reati, si arriva a conoscere nello specifico i tipi di reati commessi. È necessario sapere come maneggiare le statistiche che si stanno utilizzando così da utilizzarle nel modo migliore. Ci sono altri elementi da tenere presenti nella valutazione dell’attendibilità delle statistiche come fonte di conoscenza della criminalità. I dati riportati nelle statiche a volte non sono dati di valore assoluto, dati che danno una conoscenza esatta, infatti nemmeno nella criminalità ufficiale (quella nascosta non emerge proprio nelle statistiche) è detto che le statistiche diano un’immagine oggettiva della criminalità. È necessario approfondire come vengono raccolti i dati utilizzati nelle statistiche. Come si costruiscono i dati Nella raccolta dei dati ci sono tanti fattori discrezionali, i dati sono frutto di libere scelte, scelte opinabili nella loro raccolta. Di conseguenza l’immagine della criminalità che esce dalle statistiche non è un’immagine totalmente oggettiva. Le scelte individuali influenzano molto i dati delle statistiche criminali. E di conseguenza si faranno anche politiche sul contrasto alla criminalità inesatte, in quanto basate su dati statistici inesatti. Da tutte queste influenze e scelte discrezionali dipendono i dati considerati per le statistiche che potrebbero risultare distorte. Le statistiche sono uno strumento fondamentale ma non affidabile al cento per cento. - Scelte delle vittime Come agisce la discrezionalità dalla parte delle vittime? Il fatto che per esempio una vittima scelga di denunciare o meno un delitto dipende da scelte discrezionali, eppure dalle scelte delle vittime dipendono poi i dati delle statistiche. Se un reato non viene denunciato non comparirà mai nelle statistiche e non sarà un dato utilizzabile per conoscere il fenomeno della criminalità. Più denunce ci sono e più reati compaiono nelle statistiche, meno ce ne sono meno dati compaiono. Per quanto riguarda i reati contro la persona possono intervenire diversi fattori: per esempio una donna che subisce violenza può fare denuncia o scegliere anche di non farla, magari perché prova vergogna o per proteggere i figli o per non mettere in cattiva luce la famiglia o perché ha paura delle ritorsioni che può avere la denuncia, ha paura di cosa potrebbe fare l’aggressore se venisse anche denunciato. La paura delle ritorsioni si può manifestare anche nei reati contro la proprietà, il proprietario potrebbe avere paura che la sua attività venga distrutta. Un altro fattore rilevante è la fiducia nelle istituzioni. Un altro può essere lo spirito civico delle persone, che nelle persone in cui è più sviluppato le rende più propense a denunciare. - Scelte delle agenzie di controllo Inoltre anche nelle agenzie di controllo, istituzioni predisposte a far si che i cittadini rispettino le norme, agiscono dei fattori discrezionali nella raccolta dei dati. I pubblici ufficiali hanno il dovere di denunciare qualsiasi reato di cui vengono a conoscenza, ma anche loro nel denunciare e nell’indagare fanno delle scelte, e ciò compromette l’oggettività dei dati inseriti nelle statistiche. Per esempio, se la polizia dedica più tempo ai reati sul traffico di droga invece che a quelli relativi agli abusi, è ovvio che risulteranno più numerosi i primi rispetto ai secondi. Anche i mezzi di comunicazione di massa influiscono sulla conoscenza dei reati, manipolano fortemente l’opinione pubblica, e anche le forze di polizia subiscono il condizionamento delle informazioni date dai media e dall’opinione pubblica. C’è da considerare anche il condizionamento da parte dei politici i quali agiscono per interessi personali come guadagnarsi il voto degli elettori, il consenso dei cittadini. - I limiti delle statistiche della delittuosità e della criminalità In conclusione si può sostenere che le statistiche ufficiali, in quanto esito di scelte, offrono sempre una visione parziale e condizionata della realtà. I limiti delle statistiche riguardano l’incidenza e la prevalenza dei differenti reati, ma in particolare riguardano il profilo degli autori, in quanto un gran numero di denunce solitamente viene effettuato verso un autore ignoto. Questo insieme di limiti rende le statistiche difficilmente comparabili a livello internazionale e non. Di conseguenza è sempre necessario interrogarsi sulla qualità dei dati oggetto di divulgazione al pubblico, contrastando le semplificazioni riguardo l’aumento o la diminuzione della criminalità in generale, e la qualifica dei soggetti definiti criminali. Peraltro, proprio il riconoscimento dei limiti consente di utilizzare correttamente le statistiche raccolte e di considerarle uno strumento di comprensione di alcuni aspetti. Per esempio, il fenomeno di immigrazione e criminalità va studiato in modo serio: senza negare che gli immigrati compiano reati, gli studiosi seri sottolineano l’errore di collegare immigrati e fenomeni crimini. Vanno infatti considerati tanti fattori come: la condizione giuridica degli stranieri immigrati, la nazionalità, la situazione economico-sociale, il genere, l’età eccetera, oltre che i tipi di reati, le modalità del coinvolgimento nell’attività illecita, la qualificazione giuridica del reato, le norme. E soprattutto, per comparare l’incidenza di un dato elemento in due entità, occorre conoscere nello specifico entrambe le entità. - Statistiche processuali, dei condannati, penitenziarie Abbiamo parlato essenzialmente delle statistiche della delittuosità e della criminalità. Ci sono anche altri tipi di statistiche (processuali, dei condannati, penitenziarie) che presentano diversi limiti. Ne consegue una scarsa oggettività della percezione tra le caratteristiche degli autori di un reato con quelle che riguardano gli imputati riconosciuti colpevoli ovvero condannati. In Italia c’è un costante contrasto tra l’obbligatorietà dell’azione penale, che imporrebbe di portare a processo tutte le denunce non infondate, e inevitabili scelte di priorità o attenzione da parte della magistratura verso determinati reati. Una prima selezione dei casi portati a conoscenza dell’autorità giudiziaria riguarda l’archiviazione di casi in cui è impossibile conoscere l’autore del reato. La chiusura dei casi o, inversamente, l’impegno nel portare a giudizio determinati presunti autori di reati, sono l’esito di dinamiche simili alla selettività nell’agire da parte delle forze di polizia. Anche le procure devono scegliere in cosa e come investire le loro risorse. E l’attenzione in determinate direzioni piuttosto che in altre è espressione di vincoli normativi, ma anche di scelte organizzative e di valutazioni transitorie. Valutazioni che non rappresentano solo la cultura dell’ufficio, ma anche sollecitazioni esterne. Un ruolo, in modo indiretto, lo giocano le pressioni del sistema mediatico e del sistema politico. La produttività del sistema giudiziario è uno dei temi più ampiamente discussi dal sistema politico, con inevitabili conseguenze sulle scelte quotidiane dell’amministratura. Questo è un un primo elemento di selettività del sistema che poi si ripercuote: negli esiti dei processi che alimentano alimentano poi le statistiche processuali penali e quelle sugli imputati condannati. Le statistiche processuali penali rendono conto del lavoro di tutti gli uffici giudiziari, dei tribunali e di quanto siano produttivi. Queste statistiche interessano più che altro per comprendere la differenza tra numero e tipi di denunce, e numero e tipologia di reati che finiscono a processo. Ci sono poi le statistiche sugli imputati condannati, cui dati dipendono dalla probabilità di essere riconosciuti come autori di reati, probabilità che non è distribuita in maniera casuale tra tutti gli imputati. Gli esisti dei processi penali infatti sono condizionati, da fattori economici, sociali e culturali. La distribuzione ineguale delle risorse materiali, relazionali, culturali ha un evidente riflesso nelle modalità con cui ognuno può affrontare un processo, sostenere la propria innocenza o comunque occultare le proprie responsabilità, o chiedere di revisionare le sentenze, difendersi. Le statistiche penitenziarie riguardano i dati raccolti dall’amministrazione penitenziaria, le modalità in cui viene scontata una pena dentro e fuori il carcere Le possibilità di conoscere il numero oscuro Criminologi e sociologi della devianza, sapendo che le statistiche ufficiali presentano dei limiti, hanno provato ad elaborare delle modalità di ricerca che consentano di conoscere, almeno in parte, la consistenza e le caratteristiche della criminalità nascosta, e anche gli autori di reati. Queste modalità di ricerca sono essenzialmente due: le indagini di autoconfessione e le indagini di vittimizzazione. Indagini effettuate tramite questionari anonimi che sotto il profilo metodologico hanno due punti in comune: si fondano su un campione casuale e rappresentativo dell’intera popolazione che si vuole studiare o su reati che hanno una collocazione particolare, su un campione quindi che consenta di estendere i risultati ottenuti all’universo che si intende conoscere; garantiscono assoluto anonimato e impossibilità di risalire a loro. - Le indagini di autoconfessione Si tratta di indagini rivolte ad un campione casuale e rappresentativo della popolazione intera o di determinati gruppi, per mezzo di questionari strutturati che gli individui compilano da sé e restituiscono in modo che sia impossibile il loro riconoscimento. Gli individui sono invitati a confessare eventuali comportamenti o azioni messi in atto e qualificati dalla legge come reati. All’intervistato si possono porre le più svariate domande riguardo tali comportamenti. Le indagini di autoconfessione sembrerebbero rappresentare lo strumento che può soddisfare tutte domande riguardo i fenomeni criminali. Può essere possibile: quantificare la criminalità reale; ricostruire la distribuzione della delinquenza nei diversi gruppi sociali; mostrare come la violazione delle norme penali sia un fenomeno sociale ben più vasto e diffuso di quello raffigurato nelle statistiche ufficiali; valutare l’efficacia delle politiche di controllo e i limiti dell’agire delle forze di polizia e della magistratura; ragionare sulle politiche di prevenzione. Tuttavia ci sono molti problemi nel concretizzare quanto appena esposto. Le principali difficoltà che si incontrano nelle indagini di autoconfessione sono: la difficoltà a includere nel campione tutte le parti di una popolazione; le eventuali difficoltà di comprensione del senso dell’indagine e delle diverse domande; l’impossibilità materiale di porre davanti agli intervistati la lista di tutti i possibili reati, dal momento che si dovrebbero sottoporre alla scelta tutti gli articoli del codice penale e tutte le leggi speciali; l’ostilità di molti a confessare eventuali reati gravi commessi e non scoperti; la possibilità che vengano confessati reati non realmente commessi; Per superare queste difficoltà si potrebbero condurre indagini più ristrette, che riguardino gruppi definiti della popolazione, e che riguardino un numero limitato di illeciti, magari i più comuni. Ciò però porterebbe ad una limitazione delle potenzialità di queste indagini. - Le indagini di vittimizzazione Si tratta di indagini condotte intervistando un campione rappresentativo di persone di una determinata popolazione per individuare quali di queste siano state vittime di alcuni reati, e raccogliere informazioni sulla dinamica del fatto e sulle sue conseguenze. Con le indagini di vittimizzazione ci di prefissa di: indagare il numero oscuro per alcuni reati avendo informazioni anche su quelli che non sono stati denunciati; scoprire le caratteristiche delle vittime di questi reati sotto diversi profili; ottenere indicazioni sull’autore del reato; raccogliere elementi sulle esperienze di vittimizzazione; valutare gli effetti e le conseguenze dell’esperienza di vittimizzazione. Anche le indagini di vittimizzazione incontrano diversi ostacoli. Alcuni combaciano con le difficoltà già evidenziate. Ma qui il limite più rilevante è rappresentato dal fatto che queste indagini possono porre attenzione solo su reati definiti, dei quali la vittima ha conoscenza diretta. Inoltre può esserci paura di ritorsioni da parte della vittima. Nonostante ciò queste indagini consentono di ottenere alcune informazioni sull’estensione delle diverse forme di vittimizzazione Le frontiere della ricerca criminologica: logica attuariale, ricerca sui rischi, profiling di individui e categorie La collaborazione tra criminologia e istituzioni di polizia e della magistratura offre spesso una giustificazione scientifica alla rappresentazione diffusa di ciò che merita di essere oggetto di controllo e di quali siano le categorie pericolose. Le ricerche intraprese da criminologi clinici e forensi, aiutati da statistici ed economisti, sono riconducibili a due categorie: 1) la ricerca che adottando gli strumenti della statistica attuariale si interessa alla distribuzione dei tassi di delinquenza nella popolazione, in modo da concentrare gli sforzi di controllo dove c’è maggiore pericolosità; 2) la ricerca che, adottando gli strumenti della psicologia clinica, delle neuroscienze e della criminalistica forense, va alla ricerca dei profili e dei tratti che connotano i criminali, non solo per scoprirli, ma anche per prevenirne. La criminologia attuariale ha origine con il positivismo e la statistica. Ne fanno parte esperti in grado di operare nel campo delle attività assicurative, finanziarie e nell’analisi dei rischi, tra cui quello della criminalità. L’analisi del rischio fa riferimento ai metodi di valutazione della pericolosità di eventi o situazioni ai fini di adottare le misure necessarie per evitarli o almeno ridurne le conseguenze. Le ricerche sul rischio possono aiutare a capire con chi, quando, come intervenire, per ridurre i comportamenti criminali e violenti. Un altro tipo ricerca riguarda gli autori dei reati, soprattutto reati gravi e non facili da identificare. Si tratta di fare una profilazione degli individui criminali, questo grazie alla criminologia investigativa. Gli esperti di profiling offrono le loro competenze non solo ex post, ossia quando un crimine è stato compiuto e si deve ricercarne l’autore. La profilazione ora si avvale di tecnologie informatiche sempre nuove. LE CAUSE DI DEVIANZA E CRIMINALITÀ Perché gli individui violano le norme? Il piano descrittivo che abbiamo precedentemente affrontato descrive come si manifesta la criminalità, evidenzia le sue forme. Spostandoci sul piano esplicativo la domanda principale diventa ‘perché?’ e dunque perché alcuni individui mettono in atto comportamenti criminali. La ricerca sulle cause della delinquenza è un aspetto fondamentale della criminologia. Dalla fine del ‘700 sono fiorite tante teorie che hanno cercato di dare una risposta alla domanda riguardo il perché. Questo quesito è motivo di dibattito pubblico, e si hanno molte risposte comuni a riguardo, risposte che si basano su una conoscenza proveniente dalle rappresentazioni sociali sul fatto, conoscenza dunque non sempre appropriata e corretta. Le risposte di senso comune: la colpa è di Quali sono le possibili risposte elaborate sul piano del senso comune riguardo la colpa della criminalità? A chi attribuiamo questa colpa? Qual è la causa della criminalità? 1) mancanza di: educazione, risorse economiche, cure e assistenza nell’infanzia, socializzazione, integrazione nella società, quindi deficit di valori e conseguente disgregazione di valori sociali; 2) comportamenti condizionati dai social o da determinati ambienti criminalizzati o da delle ideologie politiche presenti nella società; 3) inadeguate misure di contrasto da parte delle istituzioni, mancanza di politiche adeguate; (in questi primi tre punti si attribuisce la responsabilità del fenomeno criminale alla società) 4) predisposizione naturale, indole, malformazioni genetiche che sviluppano aggressività, ciò comprende anche passioni incontrollabili che si impongono sulla nostra volontà; 5) scelta libera e volontaria di commettere un crimine, magari per ottenere un vantaggio senza fatica, quindi adottare comportamenti criminali per facilità di guadagno (es: commettere una rapina e guadagnare soldi senza lavorare). Le varie risposte raggiunte con il buon senso corrispondono abbastanza a quelle elaborate dai teorici e dai criminologi che da anni cercano di dare una risposta al perché del fenomeno della criminalità. I diversi paradigmi scientifici succedutisi nel tempo: il pendolo individuo-società-individuo Una teoria è una formulazione di principi generali che possono interpretare fatti sperimentali noti. Noi utilizzeremo il termine paradigma, termine introdotto da Thomas Khun, evoca un concetto più comprensivo rispetto la teoria. È un insieme di interpretazioni ed elaborazioni su un determinato fenomeno che in un certo periodo e contesto storico sono prevalenti, vengono seguiti dalla maggior parte degli studiosi. E quando le condizioni sociali cambiano, evolvono, il paradigma inizia ad apparire inadeguato, di conseguenza quel paradigma viene sostituito da un paradigma successivo che reinterpreta i fenomeni sulla base delle nuove condizioni sociali, e via via così. Solo dal 1700 inizieranno a fiorire diversi paradigmi, anche se ciò non significa che prima del 1700 la criminologia non esistesse. Tuttavia la criminologia veniva soltanto associata al diritto criminale, veniva considerata solo dai giudici. Solo in seguito alcuni criminologi iniziano a dare una spiegazione completa riguardo il fenomeno criminologico. Ma dal 1700 ad oggi quali sono stati i paradigmi che si sono avvicendati in campo criminologico? 1) paradigma classico il quale si basa sull’idea che l’individuo commette dei delitti per libera scelta, perché vuole farlo, in quanto considera più vantaggioso commettere l’azione delittuosa anziché seguire la legge; 2) alla fine dell’800 il paradigma classico inizia a presentare delle crepe e nasce il paradigma positivista cui massimo rappresentante è Cesare Lombroso, secondo lui la colpa della criminalità va attribuita alla natura, lui rietine che il delinquente sia un malato, una persona che commette comportamenti delittuosi perché affetto da una malattia che non ha scelto lui di avere; 3) nel ‘900 il paradigma positivista non viene più considerato idoneo ed iniziano a prendere piede le teorie sociologiche della criminalità, nasce il paradigma sociale che ritiene che le cause della criminalità debbano essere ricercate all’interno della società la quale presenta delle mancanze; 4) negli ultimi decenni si sono affermati nuovi paradigmi, tra cui il paradigma neoclassico che ristabilisce la centralità della responsabilità individuale e della devianza come espressione di scelte razionali; ed il paradigma neopositivista che riprendeva l’idea di Lombroso per cui la causa della criminalità sta nella natura, ma questa idea viene integrata anche dalle scoperte delle nuove neuro scienze secondo le quali la responsabilità del comportamento criminale dell’individuo è da attribuire a ciò che avviene all’interno del sistema nervoso dello stesso, ed alla propensione naturale di certi individui di agire e reagire a determinate condizioni in modo inappropriato. Il passaggio da un paradigma all’altro può essere sintetizzato nell’immagine del pendolo: un pendolo oscilla tra due estremi, e lo stesso fa l’andamento dei diversi paradigmi scientifici ponendo ad un estremo l’individuo e all’altro la società. I primi paradigmi hanno puntato tutta la responsabilità dei comportamenti criminali sull’individuo, che sia per scelta o per propensione naturale, poi nel ‘900 il pendolo ossia il paradigma si è spostato verso la società, si è passati a mettere al centro delle cause della criminalità la società, ma successivamente negli ultimi anni il pendolo si è rispostato verso l’idea che il fenomeno criminale sia causato dall’individuo. Le spiegazioni non sociologiche: la responsabilità è dell’individuo - Il paradigma classico Il paradigma classico, appartenente al ‘700, è un paradigma di cui Cesare Beccaria (scrisse “Dei delitti e delle pene” nel 1763 ) è il massimo rappresentate, ma ne sono riferimenti anche Rousseau e Bentham. Questo paradigma viene riconosciuto anche come paradigma della scelta razionale. Vigeva l’dea che l’individuo commettesse dei delitti per libera scelta, perché vuole farlo, in quanto considera più vantaggioso commettere l’azione delittuosa anziché seguire la legge. Beccaria nella sua opera sostiene che gli individui agiscono e commettono delitti per loro libera scelta quando ritengono quel delitto vantaggioso. Beccaria dice che gli individui sono liberi, prendono le loro scelte ma nel farlo si basano su uno schema razionale, schema che rappresenta la ricerca della maggiore felicità personale, del guadagno: principio utilitaristico. La scelta dell’individuo è una scelta razionale, alla base della scelta dell’individuo c’è un calcolo, una valutazione sull’azione che andrà a commettere, e se l’individuo dedurrà che quell’azione porterà un vantaggio piuttosto che uno svantaggio andrà a commetterla seppur criminale. È necessario comprendere come il periodo, il contesto culturale in cui ci si trova influenza i diversi paradigmi, infatti nel 1700 era presente un’ideologia illuminista che esaltava la ragione dell’uomo e di conseguenza si afferma un paradigma che vede la causa della criminalità nell’individuo stesso. Inoltre nel 1700 si diffondeva la sete economica che esaltava il desidero di guadagno, e queste idee spingevano maggiormente le persone a cercare in qualsiasi modo una fonte di guadagno intraprendendo la via meno faticosa (es: commetto un delitto ma avrò un gran guadagno ed il rischio in cui incorro è anche lieve). L’utilitarismo si era diffuso parallelamente alle scienze economiche, secondo le quali si facevano scelte che miravano al guadagno. Tuttavia il criterio economicistico, utilitaristico, non è assoluto in quanto spesso le persone scelgono di commettere un delitto perché spinte da propensioni naturali e non solo dalla ricerca del guadano. In questo contesto e clima intellettuale e politico che gli esponenti principali della scuola classica propongono un primo tentativo di rispondere alla domanda sul perché gli individui commettono atti criminali. Cesare Beccaria, artefice del pensiero illuminista, elabora la sua riflessione sui delitti e sulle pene avendo come riferimento i valori del primato della ragione, della libertà dei cittadini, dell’uguaglianza di tutti di fronte alla legge, ed offre una prima moderna risposta al quesito su quali siano le ragioni per cui gli individui compiono delitti, arrivando ad affermare che la non adeguatezza del sistema delle pene fa considerare conveniente la scelta del reato nel valutatone tra i benefici che esso procura e le conseguenti sanzioni. Beccaria giunge a questa risposta attraverso un ragionamento presente nel suo libro più famoso “Dei delitti e delle pene”. Innanzitutto va considerato che l’uomo agisce spinto da interessi e desideri e compie le sue scelte sulla base di una valutazione tra costi e benefici. I cittadini decidono di privarsi di parte della propria libertà individuale al fine di garantirsi di poter godere della restante libertà. Così il crimine va considerato come mera violazione delle leggi umane, diverso dalla colpa morale, è esclusivamente una scelta degli uomini. Al pari, il diritto penale non ha il compito di affermare concezioni morali, non deve compiere la giustizia divina, ma solamente regolare al meglio le relazioni e i rapporti tra gli individui secondo il principio della massima utilità. Il diritto penale stabilito dal legislatore illuminato ha il solo compito di tutelare il bene pubblico costituito dall’ordine sociale, ed il diritto deve essere fissato attraverso la stesura di codici validi per tutti, codici in cui sono raccolti tutti i comportamenti che una data società considera delitti, con la corrispondente pena. E la pena deve essere idonea a rispondere efficacemente all’agire razionale dell’uomo quando si esprime in una trasgressione della legge, dunque deve procurare all’individuo un danno maggiore rispetto ai benefici che lui ha ottenuto, così che non desideri più trasgredire la legge. La pena deve rendere un reato non conveniente. Per lo stesso principio di utilità la pena deve minimizzare il ricorso alla violenza poiché è solo un mezzo di prevenzione del crimine. Per fare questo la pena deve possedere alcune caratteristiche fondamentali: 1) prontezza, per cui ad un reato deve seguire immediatamente una sanzione; 2) infallibilità, per cui ad una violazione della legge penale deve corrispondere sempre una pena; 3) certezza, per cui la pena una volta comminata deve essere scontata interamente senza possibilità di accedere a misure di clemenza o perdono; 4) dolcezza, per cui la pena deve risparmiare al condannato ogni inutile sofferenza. - Il paradigma positivista Il paradigma positivista si sviluppa alla fine dell’800, quando nel paradigma classico iniziano a presentarsi delle anomalie: questo paradigma fornisce spiegazioni per determinati delitti ma non per tutti, per esempio lo fa per i reati strumentali, i reati economici o della mafia, compiuti in vista di un guadagno, ma invece non fornisce una spiegazione per i delitti passionali, delitti nei quali il delinquente non compie calcoli razionali, non segue un principio utilitaristico. Il criterio economicistico, utilitaristico, non è assoluto in quanto spesso le persone scelgono di commettere un delitto perché spinte da propensioni naturali e non solo dalla ricerca del guadano. Il motivo principale dell’abbandono del paradigma classico è che si è percepito che l’individuo agisce anche per motivi esterni, non dovuti alla sua volontà, agisce perché subisce pressioni esterne. Questi elementi di debolezza del paradigma classico portano ad intraprendere un altro percorso. Inoltre alla fine dell’800 il contesto storico è cambiato, si è evoluto, e questi cambiamenti hanno influito anche sui paradigmi, sul modo di interpretare i fenomeni criminali. Innanzitutto si è diffuso il capitalismo industriale che ha determinato il fenomeno dell’urbanesimo, la fuga dalle campagne, e chi non riusciva ad inserirsi nel contesto cittadino commetteva angherie, criminalità. Parallelamente si creò anche una nuova classe sociale ossia il proletariato. Anche a livello culturale e scientifico ci sono delle evoluzioni e cambia il tipo di approccio alla conoscenza del mondo: mentre fino al ‘700 è prevalsa un’impostazione culturale di tipo metafisico, e dunque si cercava di andare al di là delle cose fisiche, si voleva studiare cosa stava oltre il mondo naturale e reale, nell’800 questo approccio con la realtà entra in crisi e viene sostituito dall’approccio positivista. Il positivismo è una corrente filosofica che stabilisce che per avere una conoscenza adeguata della realtà è necessario affidarsi soltanto ai fatti, che sono osservabili, misurabili. Di conseguenza il metodo della scienza deve essere un metodo empirico. Il positivismo si afferma anche grazie agli enormi progressi della scienza, alle nuove scoperte ed invenzioni. Invece le discipline che non hanno adottato il metodo empirico, come la filosofia, non arrivavano mai a delle conclusioni, a dei risultati condivisi, ma erano solo oggetto di continua discussione. Alla fine del 1800 il metodo positivista basato sull’osservazione dei fatti e delle sperimentazioni, che ebbe grande successo nelle scienze e fisiche naturali, inizia ad essere ritenuto applicabile anche alle scienze umani e sociali. L’idea positivista verrà applicata anche all’ambito della criminologia, soprattutto grazie a Cesare Lombroso, considerato il padre della criminologia moderna, ed Enrico Ferri. Tutto ciò comunque non sta a significare che il metodo positivista sia assoluto e la metafisica sia completamente da scartare. È vero che i metodi empirici offrono una conoscenza più certa della realtà, ma è anche vero che i problemi fondamentali dell’uomo, i problemi che la semplice esistenza ci pone, sono problemi che trovano spiegazione con un approccio di tipo metafisico e non positivista. Un esempio sono i quesiti riguardo la morte, il dolore, ecc.: la scienza può dirci come avvengono determinati fenomeni ma non perché avvengono. Quindi anche le scienze empiriche possono essere insoddisfacenti. Cesare Lombroso ha applicato all’ambito criminologico l’impostazione tipica dell’ideologia positivista. Lombroso era un medico ed aveva dunque una formazione di tipo scientifico, viene influenzato da alcuni studi fatti nell’ambito della frenologia (attuale psichiatria, cercava di comprendere i comportamenti umani partendo dallo studio del cervello), fino ad arrivare a studiare in autonomia l’anatomia dei corpi dei carcerati poiché svolgeva la funzione di medico in un carcere di Pesaro. Lombroso pensava che queste ricerche anatomiche sul corpo dei detenuti avrebbero potuto svelare qualcosa riguardo il fenomeno della criminalità, questo perché studiando l’anatomia dei delinquenti morti in carcere notò che il loro cranio presentava delle anomalie, più precisamente aveva notato che in una zona del loro cranio c'era una fossetta, presente allo stesso modo nelle scimmie. Di conseguenza Lombroso pensò che se i delinquenti avevano queste malformazioni craniche presenti anche negli animali, il loro comportamento sarebbe potuto dipendere dal fatto che sono persone anormali con anomalie genetiche, persone molto simili agli animali. Inoltre a quel tempo aveva preso piede la teoria dell’evoluzione di Darwin, secondo la quale l’uomo non deriva da un atto di creazione (concetto metafisico) ma è nato in seguito ad un processo di evoluzione da specie inferiore a specie superiore. Questa idea Lombroso la utilizza per spigare anche la sua teoria sulla criminalità, e ritiene che i delinquenti non sono persone normali, ma uomini che presentano difetti collegabili ad una costituzione patologica. La malattia da cui sarebbero affetti è l’atavismo (atavico significa antico), malattia individuabile attraverso dei segni fisici ben riconoscibili: la forma del cranio, la forma della mascella. L’opera fondamentale di Lombroso è “L’uomo delinquente”, cui prima edizione risale al 1874 e l’ultima edizione al 1897, opera in cui Lombroso esprime le sue idee. Lombroso compie le sue ricerche basandosi sull’osservazione, sulla misurazione, sulla ricerca di cause, segue un metodo positivista. Lombroso pensava di aver individuato la causa della criminalità ossia una malattia, l’atavismo, segni fisici caratterizzanti gli uomini delinquenti che non si sono perfettamente evoluti. La teoria di Lombroso è poi stata perfezionata ed ampliata da Enrico Ferri, teorizzando anche una sociologia criminale oltre all’antropologia criminale di Lombroso che ricercava solo le cause della criminalità nell’uomo. Ferri afferma che oltre alle cause antropologiche vanno ricercare le cause che stanno nella società. In conclusione nel paradigma positivista la spiegazione del comportamento criminale è completamente diversa da quella della scuola classica. Quest’ultima metteva al centro dell’attenzione la libertà dell’uomo, un uomo libero che sceglie di delinquere sulla base di un criterio utilitaristico, lui sceglie liberamente e si porta le cause di ciò che ha scelto. Tutto ciò scompare nel paradigma positivista perché la libertà era ritenuta un’idea metafisica, non è misurabile, è un elemento interno all’uomo. L’uomo delinquente secondo Lombroso nasce tale, non lo diventa: chi nasce con certe patologie è destinato a diventare delinquente, e se compie delitti non è perché lo vuole ma perché la malattia che non si è scelto lui l’ha portato a fare ciò. Ma dunque se il delinquente è un malato che colpa ha nel commettere un delitto? Non ha nessuna colpa perché viene spinto da cause esterne, non ha responsabilità in ciò che commette. Allora tutto il discorso di Beccaria sulle pene, per Lombroso non serve a nulla in quanto l’uomo non è spinto da una scelta personale ma da una forza esterna. Ciò che si può fare non è punire l’individuo perché una punizione implica la responsabilità, ma si possono adottare delle misure di sicurezza nei confronti delle persone che manifestano una certa pericolosità, nei confronti di queste persone che per cause esterne sono spinte alla delinquenza: si tende alla difesa piuttosto che alla punizione. L’articolazione delle teorie sociologiche Le teorie sociologiche hanno avuto prevalenza per tutto il ‘900. Diversamente dai paradigmi classico e positivista, queste teorie inducono a cercare le cause della criminalità nella società. In questo periodo si afferma anche la sociologia e di conseguenza nascono le teorie sociologiche per comprendere il fenomeno criminale. Nel ‘900 il centro delle idee sui fenomeni criminologici si sposta dall’Italia agli Stati Uniti. I massimi criminologi finora erano stati italiani, ma ora, con lo sviluppo del paradigma sociale, si inizia ad operare negli Stati Uniti dove nasce anche la prima scuola cirminologica ossia la Scuola di Chicago. Esistono diverse classificazioni, approcci all’interno delle teorie sociologiche: il paradigma delle assenze presenti nella società, e il paradigma delle presenze. - Il paradigma delle assenze o dei deficit Questa prima classificazione delle teorie sociologiche si basa sulle condizioni di mancanza nella società, interpreta il fenomeno sociologico sulla base delle mancanze. E cosa manca nella società? Come interpretiamo i deficit della società? Secondo l’autore Franco Prina un modo è individuare tre approcci diversi ai deficit, ossia mancanza di: risorse economiche (es: povertà, disoccupazione, emarginazione); valori condivisi; relazioni adeguate. 1) Il primo ad elaborare una teoria che ha interpretato il deficit delle risorse economiche è stato, nel 1800, Karl Marx che cercava di comprendere la società partendo dal fattore economico, in particolare dal materialismo storico dove secondo lui la materia che regolava la società era l’economia, quell’attività necessaria a soddisfare i bisogni degli uomini. Marx pur non essendo un criminologo è stato necessario per comprendere i deficit della società dal punto di vista economico. Per Marx grazie ai metodi di produzione, grazie alla sfera economica, era possibile comprendere e spiegare tutte le altre dimensioni dell’attività umana. Dunque anche la criminalità può essere spiegata partendo dalla struttura economica della società: la criminalità è la conseguenza di un’ingiusta struttura economica, di un ingiusto modo di produzione che prevede da una parte i capitalisti che detengono tutto il potere e dall’altra il proletariato che detiene esclusivamente la forza lavoro. E nel rapporto economico tra capitalisti e proletari, i primi sfruttano i secondi non dandogli il salario giusto per il lavoro svolto così da arricchirsi. Ci sono addirittura i sotto proletari che vengono deprivati anche del minimo necessario per vivere. Di conseguenza, con questo modo di produzione, chi non può soddisfare in modo lecito i suoi bisogni primari va a rubare non avendo nessun’altra alternativa. Anche Engels concorda sulla visione di Marx. In una sua opera dice che gli operai spesso si trovano di fronte alla scelta di morire di fame o andare a rubare per sopravvivere. Perciò la causa della criminalità, non è dell’individuo che per causa estrema è costretto a rubare, ma è della società che ha un’ingiusta struttura economica e sociale. Tanti altri autori arricchiscono la teoria di Marx, per esempio l’autore olandese Bonger, il quale dice che non solo i proletari commettono reati, ma anche chi appartenne a classi sociali superiori, ma l’origine della criminalità va sempre ricercata nella struttura economica della società che genera egoismo, avidità, diseguaglianze sociali. Il determinismo sociale è una concezione etico giuridica che nega la libertà umana: l’uomo è considerato come un essere che non agisce sulla base di libere scelte, ma il cui comportamento è determinato da fattori esterni a lui. Il determinismo nega il libero arbitrio, a fronte di determinate condizioni sociali ed economiche l’uomo non può che compiere crimini, anche se volesse poter operare diversamente. Le condizioni sociali esercitano una forza cosi grande sull’individuo tanto che lui non può comportarsi in altro modo. E se si nega la libertà non si può nemmeno parlare di responsabilità e tanto meno di punizioni. 2) Un altro approccio del paradigma delle assenze riconduce i deficit della società alle mancanze di valori condivisi, mancanze quindi sul piano culturale. Quando in un gruppo c’è una forte condivisione di alcuni valori, la società sta riuscendo a svolgere sugli individui di quel gruppo una forte pressione, un condizionamento. Quando i valori vengono a mancare, la società si disgrega e non esercita più un controllo sui comportamenti individuali. La mancanza di valori condivisi si riconduce dunque alla mancanza di coesione, di norme condivise, di controllo sociale. Questo approccio è stato rilevante con Durkheim, uno dei primi sociologi che ha cercato di comprendere i fattori che rendono stabile e coesa una società. Lui ha posto al centro della sua attenzione il concetto di solidarietà, ossia ciò che tiene insieme gli individui di una società. Le società antiche erano molto più coese e quindi esercitavano un controllo maggiore sui comportamenti individuali. Durkheim chiama l’insieme dei comportamenti condivisi coscienza collettiva, che nell’età moderna si è indebolita a causa delle diffuse tendenze individualistiche. La criminalità si spiega dunque con l'indebolimento della coscienza collettiva, della condivisione di valori: la società esercita meno controllo e gli individui si discostano dalle norme. Quando la coscienza collettiva perde forza, la società si sfilaccia, si disorganizza e si crea l’anomia ossia la mancanza di norme condivise. Durkheim ha anche studiato il fenomeno del suicidio ed è arrivato a dire che dove manca la condivisione di valori comuni si creano le condizioni per l’attuazione di comportamenti devianti. Raccogliendo e comprando i dati ha notato che nei gruppi con una forte fede religiosa, e quindi una forte solidarietà, il tasso di suicidi era molto basso. Mentre nei gruppi sociali dove la condivisione di valori non c’era, il tasso di suicidi aumentava. La colpa del fenomeno criminale è sempre della società, ma qui in particolare viene ricercata nella mancanza di valori condivisi. Durkheim inoltre pensa che: - non esistono azioni che in se possono essere considerate criminali, la qualifica di criminosità di un’azione dipende solo dalla coscienza collettiva, dal pensiero condiviso nella società. Nessuna azione in se è criminale (mali in sé), ma è tale se così giudicata dal sentire comune (mala proibita). - la criminalità sia un fenomeno fisiologico, pensa che che ci sarà sempre un certo grado di criminalità in tutte le società in quanto la coscienza collettiva non sarà mai così forte da accomunare ogni individuo. Il tasso di criminalità è allora fisiologico e diventa se mai patologico quando raggiungere livelli troppo elevati. - la criminalità non solo entro certi limiti è fisiologica, ma a volte è anche una cosa positiva. Infatti partendo dal presupposto che non esistono comportamenti considerati malvagi, a volte alcuni comportamenti criminali contribuiscono addirittura al miglioramento della società, al cambiamento delle norme e anticipano gli orientamenti della società futura. Tuttavia la tesi di Durkheim non è così condivisibile: ci sono comportamenti negativi e non solo perché vietati dalla legge, ma perché anche se non fossero vietati sarebbero comportamenti negativi. Quindi i mali in sé esistono e devono essere considerai tali anche se fossero consentiti. 3) Il terzo deficit presente nella società è la mancanza di relazioni adeguate, approccio al paradigma sociologico delle mancanze che prende piede dall’idea di Durkheim sull’anomia. Ma questo approccio prende effettivamente piede grazie ai criminologi della scuola di Chicago, città in cui si è sviluppata questa importante scuola criminologica in seguito a due importanti avvenimenti: - Chicago era una città che aveva avuto uno sviluppo straordinario, la città passò dall’avere migliaia di cittadini ad averne milioni in pochi anni, e questa enorme grandezza favorì anche uno sviluppo criminologico perché la città stessa poteva essere considerata un laboratorio naturale per la criminologia. Molti gruppi di persone non riuscendo a trovare stabilità in una città così sviluppata, rimanevano ai margini creando di conseguenza seri problemi sociali. - Inoltre in quegli anni arrivarono a Chicago, nell’università di sociologia, dei ricercatori intenti a studiare i problemi sociali e trovare delle soluzioni. Studiando vari aspetti della società hanno sviluppato un sapere che ha fornito poi risposta anche a tematiche criminali. Tra i diversi metodi dei ricercatori di Chicago ci sono: la raccolta di dati, le statistiche, gli studi comparativi, l’esamina dei rapporti di polizia ed il metodo dell’osservazione partecipante. Quest’ultimo è un metodo nel quale il ricercatore si inserisce di nascosto nel gruppo sociale che vuole studiare, condividendo sentimenti, abitudini del gruppo, osservando la realtà del gruppo dall’interno. Dunque questi ricercatori hanno iniziato a studiare la società e i social problems dall’interno elaborano poi delle risposte. Gli studiosi della scuola di Chicago riprendendo il concetto di anomia e lo combinano con il concetto di disorganizzazione sociale della società affermano che la criminalità dipende da quest’ultimo fattore. La disorganizzazione sociale della società si ha quando nella società i legami tra gli individui si allentano. A Chicago proprio per il grande sviluppo, e quindi anche per l’immigrazione che creò un enorme multiculturalismo, era difficile che tra le persone si creasse una comunanza, una condivisone di norme. E dove i legami sociali sono allentati, anche a causa della mancanza di istituzioni che esercitino un controllo sociale sugli individui, si pongono le basi di condotte devianti e criminali. Un altro studio che compiono gli studiosi della scuola di Chicago è lo studio ecologico, studio che rivolge l'attenzione verso l'ambiente urbano ed il contesto sociale in cui gli edifici sono inseriti. Con questo studio si individua che anche la struttura urbana della città può creare disorganizzazione. Per esempio la suddivisone in quartieri tipica di una grande città comporta anche la formazione di tanti gruppi di individui diversi, tra cui anche tanti gruppi composti da persone delinquenti. Con questo studio si ricondusse la condotta criminale alla zona in cui si abitava piuttosto che ai comportamenti individuali. Questi studiosi fanno risalire le cause della devianza a cause sociali, di cui la più importante è la disorganizzazione sociale. Un altro autore rilevante è Robert Merton, celebre criminologo che non fu uno studioso della scuola di Chicago, ma che ha vissuto ed operato negli Stato Uniti. Merton basandosi sul concetto di anomia elabora un nuovo tipo di risposta al perché gli individui trasgrediscono le norme, lui interpreta il concetto di anomia in modo molto articolato. Merton appartiene alla corrente struttural-funzionalista. Lo struttural-funzionalismo è una particolare condizione sociologica che rietine che la società sia un sistema dotato di un equilibrio, e dunque che sia formata da tanti organismi che devono equilibrarsi tra di loro suddividendosi le funzioni, e quando ogni organo svolge bene la propria funzione l’intero sistema sta bene, è equilibrato. La teoria struttural-funzionalista si contrappone all’individualismo metodologico che sottolinea l'importanza degli individui come unità fondamentali per spiegare i fenomeni sociali; e alle teorie del conflitto che ritengono che la società sia composta da gruppi che lottano tra loro per la supremazia. Secondo gli struttural-funzionalisti si possono individuare due piani nella società: un piano strutturale, il piano dei ruoli, delle funzioni, degli status; ed il piano culturale, le norme, i valori. Merton nota che a volte nella società si creano delle tensioni e quindi l’equilibrio che ci dovrebbe essere si perde, ed è allora che si manifestano i fenomeni devianti. Merton per spiegare come si formano le tensioni all’interno della società, definisce i concetti di mete e mezzi: - le mete sono gli obiettivi che una società prospetta agli individui come obiettivi da raggiungere pena il fallimento, l’infelicità, e queste mete nella società del ‘900, in particolare negli Stati Uniti in cui la competizione per il raggiungimento del successo è all’ordine del giorno, sono la ricchezza, un elevato status sociale; - Merton aveva colto che la società da una parte prospetta le mete ma dall’altra non offre a tutti gli stessi mezzi per raggiungere le mete imposte. Tra mete e mezzi si crea una situazione si tensione, di anomia, di assenza di norme. La società impone degli obiettivi da raggiungere, da anche dei mezzi leciti come le leggi, le regole, ma non da altri strumenti necessari all’effettivo raggiungimento delle mete imposte. Di conseguenza gli individui reagiscono in diversi modi per adattarsi: - alcuni reagiscono trasgredendo le norme, ricorrendo a mezzi illeciti, si tratta dell’adattamento dell’innovatore; - l’adattamento del conforme invece è quello di colui che rispetta le mete, non riesce a raggiungerle ma rimane comunque conforme alle norme; - l’adattamento del ritualista, del burocrate, è quello proprio di colui che rinuncia alle mete non ritenendole importanti. Anche questo risulta essere un comportamento deviante, deviante nel momento in cui l’individuo non si adegua alle tendenze della società. - il rivoluzionario invece rinuncia sia alle mete che ai mezzi, rifiuta la società nel suo complesso ritenendola completamente sbagliata. L’adattamento dell’innovatore è quello che da adito ai comportamenti devianti. In questo caso i deficit, le mancanze della società stanno nei mezzi leciti messi a disposizione per raggiungere le mete, gli obiettivi preposti dalla società stessa. - Il paradigma delle presenze o dei condizionamenti forti In questa categoria possiamo collocare: le teorie che puntano sulla rilevanza dell’apprendimento di modelli devianti; le teorie che attribuiscono responsabilità ai processi di definizione ed etichettamento provocati dalla reazione sociale. Nell’apprendimento del comportamento deviante la teoria più nota è quella di Edwin Sutherland, il quale elabora una ricerca sulla criminalità dei colletti bianchi. Lo sguardo viene spostato su luoghi diversi da quelli studiati solitamente, i colletti bianchi sono coloro che lavorano nel mondo delle imprese, degli affari, del commercio. È una teoria procedurale della devianza, cerca di spiegare il processo con il quale gli individui diventano devianti, e ritiene che il comportamento deviante può essere appreso da tutti in qualsiasi contesto sociale, tramite l’interazione sociale. Questa considerazione mette in crisi la credenza maggiormente diffusa, ossia che gli individui più propensi alla criminalità fossero gli emarginati. Sutherland cerca di elaborare una teoria che possa spiegare le scelte devianti sia dei poveri che dei ricchi. La sua prospettiva si basa sui concetti di: conflitto normativo, per cui le società moderne sono composte da gruppi che esprimono differenti tradizioni culturali e che quindi possono entrare in conflitto tra loro, più la società è differenziata più c’è la possibilità che avvengano conflitti normativi in merito ai comportamenti leciti e non; organizzazione sociale differenziale, ossia la presenza in una stessa società di gruppi che si riferiscono a culture differenti da quella dominante; associazione differenziale, per cui il comportamento criminale si apprende attraverso un processo di interazione e di associazione con altri individui. Gli elementi che giocano ruolo un importante nell’acquisizione dell’identità deviante sono: la frequenza con cui l’individuo si incontra con il gruppo deviante; la durata dell’esplosione ai modelli criminali; la priorità, il momento in cui l’individuo decide di associarsi; l’intensità dell’associazione. Il concetto di associazione differenziale fornisce gli strumenti teorici per spiegare la criminalità dei colletti bianchi, persone di elevata condizione sociale lavorativa. I reati che compiono questi individui sono per esempio: falsificazione di banconote, bancarotta fraudolenta, corruzione, infrazione di norme per la sicurezza o di norme che tutelano l’ambiente. E come per qualsiasi criminale, il colletto bianco apprende il comportamento deviante a contatto con il suo gruppo sociale di riferimento. Questo tipo di criminale è però capace di conservare la propria reputazione, e spesso rimanere nel numero oscuro. Ciò è legato all’appartenenza di classe che consente di opporsi facilmente all’azione delle agenzie di controllo o della magistratura, e di impedire che determinanti comportamenti vengano qualificati come reati. Partendo dalle idee di Sutherland, Matza aggiunge che ciò che consente il comportamento trasgressivo è l’apprendimento e l’utilizzo di tecniche di neutralizzazione, rendere possibile la trasgressione delle norme. Ciò può essere messo in pratica sia prima del compimento dell’atto sia dopo, come una giustificazione della devianza. Le tecniche di neutralizzazione permettono al deviante di liberarsi dal legame morale con le leggi e definire favorevole la violazione delle stesse. Secondo Matza le tecniche di neutralizzare sono cinque: 1) la negazione della responsabilità, come avere avuto un’infanzia difficile, cattive compagnie, essere stati provocati, ecc; 2) la negazione del danno, come aver fatto una bravata; 3) la negazione della vittima, pensare che si meritasse di subire quel danno; 4) la condanna di chi condanna; 5) il rischiamo ad obblighi di lealtà più alti, come la necessità di conformarsi al gruppo di appartenenza. La teoria dell’etichettamento, invece, nasce negli anni ’60 all’interno della scuola di Chicago. I sociologi di questa scuola partono dal presupposto di una concezione relativistica della devianza: il controllo sociale non è più visto come una risposta al comportamento deviante, ma diventa un fattore che spiega il comportamento deviante stesso e che può rafforzare la devianza. Spostano poi l’attenzione dall’analisi dei comportamenti devianti al processo attraverso il quale gli individui diventano devianti. La reazione sociale esprime atteggiamenti di stigmatizzazione, condanna, etichetta negativamente e pubblicamente una persona. Ci sono due tipi di conseguenze: 1) sul piano personale, la stigmatizzazione può avere l’effetto di profezia che si autodetermina, dunque il soggetto definito deviante ridefinirà la propria identità conformandosi a quell’immagine che la gente ha di lui. Mead afferma che l’identità di un individuo, il ‘sé’, è il prodotto dell’interazione tra la sua vera personalità, l’ ‘io’, e ciò che pensa che gli altri pensino sia, il ‘me’. 2) Sul piano sociale, l'etichetta applicata al deviante ha effetti concreti, per esempio l’isolamento dalle relazioni. Ciò che conta non è più l’aver o meno commesso il reato, ma l’etichetta che è stata attribuita: deviante non si è, ma si diventa. Diventare deviante è un processo che assume i caratteri di una carriera, e secondo Becker la carriera deviante si articola in quattro fasi: la violazione della norma (devianza primaria), lo sviluppo di motivazioni favorevoli alla devianza, l’etichettamento (passaggio a devianza secondaria), l’attaccamento ad una cultura deviante. L’etichettamento porta all’auto esclusione dal gruppo convenzionale e l’entrata in un gruppo deviante, ciò consentirà anche all’attore di affinare le tecniche per continuare la sua attività deviante. È importante, però, non generalizzare. Il ritorno alla centralità dell’individuo Alla fine del XX secolo il pendolo torna a concentrarsi sulla centralità dell’individuo, uomo libero ed indipendente. In alternativa, si ripropone anche l’idea di un uomo segnato da deficit personali. - Le teorie neoclassiche Attorno al 1980 torna a riemerge la centralità dell’individuo. Ci troviamo in una società ormai globalizzata, società post industriale, e l’uomo viene visto come unico responsabile del proprio destino. Secondo le teorie dell’azione per spiegare i fenomeni sociali è necessario partire dal punto di vista degli attori, dal significato che loro danno al loro agire. L’individuo deviante l’unico responsabile, ed è motivato dal desiderio di massimizzare il proprio benessere. I fattori che determinano la scelta del comportamento criminale sono: la probabilità di essere scoperti, l’inclinazione personale, la severità delle sanzioni, le circostanze ambientali e la valutazione dei benefici ricavabili. Di conseguenza il diritto penale deve imporre delle punizione alle attività criminali, così da fermare l’individuo deviante. Ci sono tre teorie dell’azione: 1) la teoria della scelta razionale, Cornish e Clarke pensano che i criminali siano attori razionali mossi dal desiderio di massimizzare il proprio benessere. Tuttavia la razionalità dell’uomo è limitata e i vantaggi che si possono ottenere non sono solo quelli economici. Il processo decisionale del criminale si articola nel coinvolgimento nell’attività criminale, e nelle decisioni di evento per commettere il reato. I teorici si focalizzano sulle decisioni di evento. 2) la teoria delle attività abituali, Cohen e Felson cercano di spiegare la variazione nello spazio e nel tempo dei tassi di criminalità e di vittimizzazione. Le condizioni che rendono possibile la commissione di un reato sono: la presenza di una persona disposta a commettere un reato, un bersaglio interessante, l’assenza di un soggetto che impedisca il reato. I criteri che spiegano le motivazioni dell’agire criminale sono: prossimità, remuneratività (produttività), accessibilità. 3) la teoria degli stili di vita, Hindelang, Gottfredson e Garofano spiegano la diversa distribuzione dei rischi di vittimizzazione rispetto ai gruppi cui si appartiene. È centrale è il concetto di rischio collegato alla scelta degli stili di vita che possono rendere la vittimizzazione più o meno probabile. Gli stili di vita sono influenzati da almeno tre elementi: il ruolo sociale che le persone ricoprono nella società, la posizione ricoperta nella struttura della società, la componente razionale del comportamento. Secondo questo paradigma il comportamento criminale è il risultato di decisioni consapevoli del criminale, in certe situazioni, condizioni, verso certi bisogni ed interessi, e date certe credenze. - Le teorie neopositiviste Nel corso del Novecento è stato ripreso da più autori il modello di Cesare Lombroso, secondo cui la criminalità sarebbe influenzata dalla costituzione biologica e psichica delle persone. La tesi dell’ereditarietà della criminalità riguarda delle ricerche verso quelle famiglie in cui comparivano molti criminali negli alberi genealogici. La ricerca più famosa è quella sulla famiglia Jukes. Con il rapporto tra delinquenza e costituzione fisica, Sheldon individua possibili criminali in base alla loro struttura fisica. Secondo lui i mesomorfi, individui muscolosi, robusti, sono quelli che hanno maggiore probabilità di diventare criminali. Invece secondo le teorie sulle anomalie cromosomiche del patrimonio genetico, in un gran numero di criminali analizzati viene identificata la sindrome dell’extra Y. Tuttavia molte di queste posizioni sono state rifiutate da scienziati stessi. Questo paradigma tende a vedere il deviante come un individuo segnato da deficit personali che lo rendono predisposto al crimine e alla devianza. Interpretare le realtà contemporanee: sintesi possibili e specificità irriducibili La sociologia considera le cause dei fenomeni devianti come costituite dall’insieme delle condizioni accumulatesi nel tempo, delle situazioni sperimentate, degli eventi, delle considerazioni operate. Un insieme di elementi la cui relazione provoca delle reazioni non sempre immaginabili. - Perché la devianza Sono stati numerosi i tentativi di integrare le teorie passate cercando di ottenere una spiegazione generale sul fenomeno della devianza. I punti essenziali di questa prospettiva integrata possono essere così espressi: - ogni atto deviante è tale in conseguenza del prodursi di definizioni sociali che così lo connotano, è frutto delle regole e consuetudini informali e delle leggi formali; - il comportamento deviante si manifesta in relazione a condizioni sociali e culturali, prodotte da basi strutturali, in un contesto economico di un determinato periodo storico; - le condizioni strutturali rappresentano condizioni abitative, occupazionali, economiche, culturali, relazionali, che determinano le condizioni materiali dell’individuo, la socializzazione; - il comportamento può essere condizionato anche da carenze vissute e percepite. All’interno di condizioni oggettive e soggettive l’individuo opera le sue scelte, sia razionali che emotive; - assieme alle scelte individuali possono essere espressione di particolari caratteri dell’individuo, il suo profilo genetico e biologico; - tra i fattori che definiscono le scelte individuali ci sono anche gli effetti della stigmatizzazione ed esclusione dalla società. E gli effetti dell’etichettamento e della stigmatizzazione influiscono sulla costruzione delle carriere devianti, sebbene non vanno intesi come valori con effetti deterministici. È stato fatto anche un richiamo alla figura della vittima, figura che concretamente subisce il problema della devianza. È interesse della sociologia della devianza interessarsi del rischio di vittimizzazione e dei rapporti tra vittime e aggressori. - I fattori e le motivazioni favorenti le diverse forme di devianza I fattori e le motivazioni orientano le scelte degli individui, e vanno distinti vari tipi di devianze e di reati in base alle diverse motivazioni che spingono gli individui. Reati: strumentali o espressivi; con vittime o senza vittime; se arrecano danni fisici, psichici o a beni; individuali o di gruppo o organizzazioni criminali complesse. La scelta razionale avrà un peso maggiore nei reati strumentali, tesi all’ottenimento di beni. La carenza di risorse e opportunità in rapporto a bisogni essenziali non soddisfatti si rispecchia nella microcriminalità. Il contributo della genetica e delle neuroscienze, integrato alle condizioni sociali e relazionali, riguardano le dipendenze da sostanze psicoattive, o i reati espressivi gravi, ossia reazioni violente ed estreme a comportamenti altrui. La questione che si pone in questi casi è se i reati sono posti in essere da persone capaci di intendere e di volere o meno. La dimensione del deficit inoltre è ascrivibile anche a contesti più limitati come il bullismo, fenomeno che causa malessere ed isolamento, che ha determinato la prevaricazione del più forte sul più debole. - La devianza nelle traiettorie di vita Non si può non dare importanza alle traiettorie di vita degli individui, nella creazione della loro carriera professionale, e quindi anche della carriera deviante. I cambiamenti di vita investono aree biologiche, psicologiche, relazionali e occupazionali. Da questa prospettiva si evincono tre principi fondamentali: 1) il non determinismo, per cui nessun individuo nella sua traiettoria di vita è in balia degli eventi, delle condizioni e delle situazioni esterne; 2) la non linearità delle traiettorie, per cui nessun percorso di vita è costituito solo da un punto di partenza e uno di arrivo, ma anche da passaggi progressivi influenzati da stili di vita, anche devianti; 3) la non sequenzialità degli eventi, per cui ci sono possibili diversi sequenze degli eventi di vita. CHE COSA FANNO LE SOCIETÀ PER CONTRASTARE CRIMINI E DEVIANZE? Uno schema sui nessi tra spiegazioni e politiche Molte, se non tutte, le teorie richiamate hanno avuto una certa influenza sulle politiche, su leggi, istituzioni, servizi ed interventi tesi alla prevenzione, al contenimento e alla repressione dei fenomeni criminali, nonché alla punizione degli autori. Il nesso teorie-politiche riguarda le implicazioni politiche in relazione a ciascuna teoria: è possibile esprimere i nessi tra i paradigmi dominanti in un dato periodo e l’impostazione che hanno assunto le politiche. PARADIGMI E TEORIE IMPOSTAZIONI DELLE POLITICHE adeguamento del sistema penale-sanzionatorio; affermazione paradigma classico della scelta della funzione deterrente della sanzione; definizione delle regole razionale di funzionamento della giustizia introduzione delle misure di sicurezza e affermazione del paradigma positivista della ‘doppio binario’ di risposta ai reati e alle pericolosità dei rei; predisposizione naturale nascita dei manicomi giudiziari riforme economiche per ridurre le diseguaglianze; lotta alla paradigma sociale delle carenze povertà; sostegno alle istituzioni della socializzazione, famiglia e economiche, sociali e culturali scuola; sviluppo di politiche sociali di inclusione attraverso i servizi dello Stato, sistema welfare paradigma sociale riorientamento della cultura dominante; politiche educative dell’apprendimento e dei orientate alla legalità; promozione e sostegno a forme di condizionamenti forti associazionismo sano critica alle definizioni dominanti di devianza; teoria dell’etichettamento decriminalizzazione dei reati senza vittime critica alle definizioni dominanti di devianza; ridefinizione delle teorie critiche e del realismo di priorità dei sistemi penali; lotta alla criminalità economica e sinistra organizzata; attenzione e sostegno alle vittime; promozione della sicurezza urbana teorie neoclassiche della ridefinizione delle funzioni delle istituzioni penali; sviluppo della responsabilità individuale prevenzione situazionale teorie neopositiviste delle sviluppo di screening precoci di anomalie e fragilità; rinnovo connotazioni genetiche e delle degli strumenti di contenzione; medicalizzazione della devianza neuroscienze attraverso farmaci

Use Quizgecko on...
Browser
Browser