Geometria e Algebra Lineare PDF
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Università di Pisa
Bruno Martelli
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This textbook provides an introduction to geometry and linear algebra, topics typically covered in university science courses. It explains the relationship between algebraic and geometric concepts, particularly using vector visualization. The book covers fundamental topics, exercises, and complements to develop a deep understanding of the subject.
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Geometria e algebra lineare Bruno Martelli Bruno Martelli Dipartimento di matematica Università di Pisa people.dm.unipi.it/martelli Versione 3, agosto 2023 A Mariette e Sabatino Il testo è rilasciato con la licenza Creative Commons-BY-NC-SA1. Le figu- re sono tutte...
Geometria e algebra lineare Bruno Martelli Bruno Martelli Dipartimento di matematica Università di Pisa people.dm.unipi.it/martelli Versione 3, agosto 2023 A Mariette e Sabatino Il testo è rilasciato con la licenza Creative Commons-BY-NC-SA1. Le figu- re sono tutte di pubblico dominio, eccetto le seguenti, che hanno una licenza CC-BY-SA2 e sono state scaricate da Wikimedia Commons ed eventualmente modificate successivamente: Figura 1.2 (partizione di un insieme), creata da Wshun; Figura 1.5 (numeri complessi), creata da Wolfkeeper; Figura 1.6 (numeri complessi), creata da Kmhkmh; Figura 1.10 (numeri razionali), creata da Cronholm144; Figura 3.9 (prodotto riga per colonna), creata da Bilou; Figura 4.3 (cubi distorti) creata da Irrons; Figure 3.5, 3.6 e 9.2 (regola della mano destra), creata da Acdx; Figura 13.10 (toro), creata da YassineMrabet; Figure 13.12 e 13.14 (quadriche), create da Sam Derbyshire; Figura 13.13-(sinistra, iperboloide rigato) creata da Ag2gaeh. La copertina raffigura un’opera di Mariette Michelle Egreteau. Si ringraziano Mariette Michelle Egreteau e Silvio Martelli per i contributi dati alla veste grafica. 1È possibile distribuire, modificare, creare opere derivate dall’originale, ma non a scopi commerciali, a condizione che venga riconosciuta la paternità dell’opera all’autore e che alla nuova opera vengano attribuite le stesse licenze dell’originale (quindi ad ogni derivato non sarà permesso l’uso commerciale). 2Come la licenza precedente, ma con anche la possibilita di uso commerciale. Indice Introduzione 1 Capitolo 1. Nozioni preliminari 3 1.1. Gli insiemi 4 1.2. Funzioni 12 1.3. Polinomi 21 1.4. Numeri complessi 25 1.5. Strutture algebriche 34 Esercizi 36 Complementi 38 1.I. Infiniti numerabili e non numerabili 38 1.II. Costruzione dei numeri reali 40 Capitolo 2. Spazi vettoriali 43 2.1. Lo spazio euclideo 43 2.2. Spazi vettoriali 46 2.3. Dimensione 60 Esercizi 75 Capitolo 3. Sistemi lineari 79 3.1. Algoritmi di risoluzione 79 3.2. Teorema di Rouché - Capelli 85 3.3. Determinante 93 3.4. Algebra delle matrici 104 Esercizi 111 Capitolo 4. Applicazioni lineari 115 4.1. Introduzione 115 4.2. Nucleo e immagine 123 4.3. Matrice associata 130 4.4. Endomorfismi 137 Esercizi 146 Complementi 147 4.I. Spazio duale 147 Capitolo 5. Autovettori e autovalori 151 v vi INDICE 5.1. Definizioni 151 5.2. Teorema di diagonalizzabilità 163 Esercizi 170 Capitolo 6. Forma di Jordan 173 6.1. Forma di Jordan 173 6.2. Teorema di Cayley – Hamilton 186 6.3. Polinomio minimo 190 Esercizi 195 Complementi 196 6.I. Forma di Jordan reale 196 Capitolo 7. Prodotti scalari 199 7.1. Introduzione 199 7.2. Matrice associata 210 7.3. Sottospazio ortogonale 213 7.4. Classificazione dei prodotti scalari 219 7.5. Isometrie 227 Esercizi 231 Complementi 233 7.I. Tensori 233 Capitolo 8. Prodotti scalari definiti positivi 239 8.1. Nozioni geometriche 239 8.2. Isometrie 253 Esercizi 261 Complementi 264 8.I. Angoli fra tre vettori nello spazio 264 Capitolo 9. Lo spazio euclideo 267 9.1. Prodotto vettoriale 267 9.2. Sottospazi affini 272 9.3. Affinità 291 Esercizi 307 Capitolo 10. Poligoni e poliedri 311 10.1. Poligoni 311 10.2. Poliedri 332 Esercizi 341 Complementi 342 10.I. Coordinate baricentriche 342 Capitolo 11. Teorema spettrale 347 11.1. Prodotti hermitiani 347 11.2. Endomorfismi autoaggiunti 350 11.3. Il teorema 352 INDICE vii Esercizi 355 Complementi 356 11.I. Dimostrazione del criterio di Cartesio 356 Capitolo 12. Geometria proiettiva 359 12.1. Lo spazio proiettivo 359 12.2. Completamento proiettivo 367 12.3. Proiettività 372 Esercizi 377 Complementi 377 12.I. I Teoremi di Desargues e di Pappo 377 12.II. Dualità 380 Capitolo 13. Quadriche 383 13.1. Introduzione 383 13.2. Coniche 389 13.3. Quadriche proiettive 409 13.4. Quadriche in R3 418 Esercizi 427 Complementi 429 13.I. Il Teorema di Pascal 429 Soluzioni di alcuni esercizi 431 Indice analitico 439 Introduzione L’algèbre n’est qu’une géométrie écrite, la géométrie n’est qu’une algèbre figurée. Sophie Germain Il presente libro contiene una introduzione agli argomenti trattati abi- tualmente negli insegnamenti di geometria e algebra lineare dei corsi di studio universitari di tipo scientifico. La matematica contemporanea può essere suddivisa sommariamente in tre settori: l’algebra concerne i numeri, i simboli e le loro manipolazioni tramite le quattro operazioni; la geometria riguarda lo studio delle figure nel piano e nello spazio; l’analisi si basa sul calcolo infinitesimale e si occupa di quegli ambiti (successioni, funzioni, derivate, integrali) collegati al concetto di limite. Nella storia del pensiero scientifico degli ultimi secoli, i progressi più rilevanti sono stati fatti nel momento in cui si è scoperto che fenomeni ap- parentemente scollegati sono in realtà descrivibili pienamente nel quadro di un unico formalismo matematico: la gravitazione di Newton descrive sia il moto di caduta di un grave che quello di rivoluzione dei pianeti; le equazioni di Maxwell fondono ellettricità e magnetismo in un’unica teoria; la mecca- nica quantistica spiega alcuni fenomeni fisici bizzarri e fornisce un quadro solido alla chimica ed in particolare alla tabella periodica degli elementi, eccetera. Ciascun processo di fusione di due ambiti scientifici differenti ha portato ad una migliore comprensione dei fenomeni di entrambi. In matematica si è sviluppato un processo unificante di questo tipo con la costruzione del piano cartesiano. Interpretando un punto del piano come una coppia (x, y ) di numeri reali, abbiamo implicitamente iniziato a fondere la geometria euclidea con una parte dell’algebra chiamata algebra lineare. La geometria si occupa di figure quali punti, rette, piani, coniche, poligoni, poliedri. L’algebra lineare tratta invece sistemi di equazioni in più variabili di primo grado (cioè lineari), equazioni di secondo grado (riducendole quanto possibile ad uno studio di tipo lineare), ed oggetti algebrici più complessi come le matrici ed i vettori. La geometria e l’algebra lineare sono oggi così unite che si fa fatica ormai a decidere quale argomento sia “algebra lineare” e quale sia “geo- metria”. Il punto di contatto fra i due ambiti è la nozione di vettore, a 1 2 INTRODUZIONE cui si può dare contemporaneamente una valenza geometrica (un punto nel piano o una freccia) ed algebrica (una sequenza di numeri). I vettori giocano un ruolo centrale in questo testo. La suddivisione in capitoli del libro rispecchia la struttura di un inse- gnamento standard di geometria e algebra lineare. Iniziamo revisionando alcuni preliminari algebrici (insiemi, polinomi, funzioni, eccetera) e quindi passiamo a definire la nozione di spazio vettoriale che è fondamentale in tutta la trattazione. Impariamo come risolvere i sistemi di equazioni lineari e introduciamo alcune funzioni particolari dette applicazioni lineari. Questo ci porta naturalmente allo studio di autovalori e autovettori. Il Capitolo 6 sulla forma di Jordan è opzionale e può essere saltato (come del resto tutti gli argomenti presentati come complementi alla fine dei capitoli). Passiamo quindi a studiare i prodotti scalari ed infine applichiamo tutti gli strumenti costruiti nei capitoli precedenti per studiare più approfondi- tamente la geometria euclidea con i suoi protagonisti: punti, rette, piani, poligoni, poliedri, coniche e quadriche. Un ruolo a parte è giocato dal teo- rema spettrale, un risultato profondo di algebra lineare che ha applicazioni in vari ambiti della matematica e della scienza. Nell’ultima parte del libro introduciamo una geometria non euclidea, detta geometria proiettiva, ot- tenuta aggiungendo i punti all’infinito allo spazio euclideo. Il Capitolo 10 è dedicato a poligoni e poliedri e contiene numerosi teoremi di geometria pia- na e solida. I Capitoli 12 e 13 riguardanti geometria proiettiva e quadriche sono entrambi opzionali e in buona parte indipendenti l’uno dall’altro. Il libro contiene vari esercizi, alcuni posizionati lungo la trattazione ed altri alla fine dei capitoli. Teoria ed esercizi sono entrambi essenziali per una piena comprensione del testo. Nella scrittura mi sono posto due obiettivi, a volte non semplici da conciliare: descrivere in modo trasparente e rigoroso i passaggi logici che formano il corpo di ogni tipo di ragionamento astratto, con un particolare accento sulle motivazioni che hanno portato i matematici a seguire una strada invece che un’altra, e fornire una notevole quantità di esempi e di strumenti utili ad applicare proficuamente queste nozioni per affrontare problemi concreti in vari ambiti della scienza. Bruno Martelli CAPITOLO 1 Nozioni preliminari L’aspetto che caratterizza maggiormente una teoria matematica è l’approccio assiomatico-deduttivo: si parte da alcuni concetti primitivi che non vengono definiti, si fissano degli assiomi, cioè dei fatti che vengono supposti veri a priori, e quindi sulla base di questi si sviluppano dei teoremi. Nella geometria euclidea i concetti primitivi sono alcune nozioni geo- metriche basilari come quella di punto, retta e piano. Gli assiomi sono quelli formulati da Euclide nei suoi Elementi tra il IV e il III secolo a.C., perfezionati poi da Hilbert nel 1899. Nella geometria analitica che seguiamo in questo libro, i concetti pri- mitivi e gli assiomi da cui partiamo sono invece quelli della teoria degli insiemi. Partiamo con gli insiemi numerici Z, Q e R formati dai numeri interi, razionali e reali. Interpretiamo quindi R come una retta e definiamo il piano e lo spazio cartesiano come gli insiemi R2 e R3 formati da coppie (x, y ) e triple (x, y , z) di numeri reali. Questo approccio più astratto ci permette di definire subito lo spazio n-dimensionale Rn per qualsiasi n. Con la teoria degli insiemi e l’algebra possiamo definire e studiare rigorosamente oggetti pluridimensionali che la nostra intuizione non può afferrare. In questo primo capitolo introduciamo alcune nozioni preliminari che saranno usate in tutto il libro. Supponiamo che la lettrice abbia già dime- stichezza con gli insiemi e con l’algebra che viene insegnata nelle scuole superiori. Più raramente useremo alcuni teoremi di analisi. Iniziamo richiamando la teoria degli insiemi, quindi passiamo alle fun- zioni, che hanno un ruolo fondamentale in tutta la matematica moderna. Fra le funzioni, spiccano per semplicità i polinomi. Lo studio delle radici dei polinomi ci porta quindi ad allargare l’insieme R dei numeri reali a quello C dei numeri complessi. Infine, tutti questi insiemi numerici hanno delle operazioni (somma e prodotto) che soddisfano alcune proprietà algebriche (commutativa, associativa, eccetera). Studieremo più in astratto gli in- siemi dotati di operazioni di questo tipo e ciò ci porterà a definire delle strutture algebriche note come gruppi, anelli e campi. I complementi contengono un paio di approfondimenti: una discussio- ne sugli insiemi infiniti, in cui mostriamo che i numeri reali sono “di più” degli interi e dei razionali (pur essendo infiniti sia gli uni che gli altri) e la loro costruzione rigorosa. 3 4 1. NOZIONI PRELIMINARI 1.1. Gli insiemi La teoria degli insiemi è alla base di tutta la matematica moderna. 1.1.1. Gli insiemi numerici. Un insieme è generalmente indicato con due parentesi graffe {}, all’interno delle quali sono descritti tutti i suoi elementi. A volte si descrivono solo alcuni elementi e si usano dei puntini... per indicare il resto. Ad esempio, questo è l’insieme dei numeri naturali: N = {0, 1, 2, 3,...} L’insieme N contiene infiniti elementi. Se aggiungiamo i numeri negativi otteniamo l’insieme dei numeri interi Z = {... , −2, −1, 0, 1, 2,...}. Se oltre ai numeri interi consideriamo tutti i numeri esprimibili come frazioni a b , otteniamo l’insieme dei numeri razionali 2 1 9 Q =...,− ,..., ,..., ,.... 5 8 4 Sappiamo inoltre che in aritmetica esiste un insieme ancora più grande, chiamato R, formato da tutti i numeri reali. Questi insiemi numerici dovrebbero già essere familiari fin delle scuole superiori. Da un punto di vista più rigoroso, l’insieme N è un concetto primitivo, mentre gli insiemi Z, Q e R sono costruiti ciascuno a partire dal precedente in un modo opportuno. La costruzione dell’insieme R dei numeri reali è abbastanza complessa ed è descritta nella Sezione 1.II. 1.1.2. Dimostrazione per assurdo. Possiamo subito convincerci del fatto che molti numeri reali che ci sono familiari non sono razionali. Quella che segue è la prima proposizione del libro ed è illuminante perché contiene un esempio di dimostrazione per assurdo. √ Proposizione 1.1.1. Il numero 2 non è razionale. √ √ Dimostrazione. Supponiamo per assurdo che 2 sia razionale. Allora 2 = ba , dove ba è una frazione. Elevando al quadrato e moltiplicando per 2 b entrambi i membri otteniamo a2 = 2b2. Questa uguaglianza però non è possibile: il doppio di un quadrato non è mai un quadrato (esercizio: usare la decomposizione in fattori primi). In una dimostrazione per assurdo, si nega la tesi e si dimostra che questo porta ad un assurdo. Ne deduciamo che la tesi non può essere falsa, e quindi è vera per esclusione. 1.1. GLI INSIEMI 5 1.1.3. Sottoinsiemi. Introduciamo un po’ di notazione insiemistica. Se x è un elemento dell’insieme A, scriviamo x ∈A per dire che x appartiene ad A. Se questo non accade, scriviamo x 6∈ A. Ad esempio √ 2 ∈ Z, 2 6∈ Q. Un sottoinsieme di A è un insieme B formato da alcuni elementi di A. Se B è un sottoinsieme di A, scriviamo B ⊂ A. In questo caso tutti gli elementi di B sono anche elementi di A. Ad esempio {1, 3, 5} ⊂ {−1, 1, 3, 4, 5}. Se esiste almeno un elemento di A che non sia contenuto in B, allora diciamo che A contiene B strettamente e possiamo usare il simbolo B ( A. Ad esempio gli insiemi numerici descritti precedentemente sono cia- scuno contenuto strettamente nel successivo: N ( Z ( Q ( R. D’altro canto, se valgono entrambi i contenimenti A ⊂ B, B⊂A allora chiaramente A = B, cioè A e B sono esattamente lo stesso insieme di elementi. Questo fatto verrà usato spesso nelle dimostrazioni presenti in questi libro. Il simbolo ∅ indica l’insieme vuoto, cioè l’insieme che non contiene nessun elemento. 1.1.4. Unione, intersezione e differenza. Dati due insiemi A e B, possiamo considerare la loro intersezione e la loro unione, indicate rispet- tivamente: A ∩ B, A ∪ B. L’intersezione consiste di tutti gli elementi che stanno sia in A che in B, mentre l’unione consiste di quelli che stanno in A oppure in B. Ad esempio, se A = {1, 2, 3} e B = {3, 5}, allora A ∩ B = {3}, A ∪ B = {1, 2, 3, 5}. La differenza A \ B è l’insieme formato da tutti gli elementi di A che non stanno in B. Se B è un sottoinsieme di A, la differenza A \ B è anche chiamata il complementare di B in A ed è indicata con B c. 6 1. NOZIONI PRELIMINARI A B A B C C Figura 1.1. Le leggi di De Morgan. Proposizione 1.1.2 (Leggi di De Morgan). Siano A e B due sottoin- siemi di un insieme C. Valgono le seguenti uguaglianze: (A ∩ B)c = Ac ∪ B c (A ∪ B)c = Ac ∩ B c Qui X c indica il complementare di X in C, cioè X c = C \ X. Dimostrazione. In ciascuna uguaglianza, entrambi gli insiemi indicano lo stesso sottoinsieme di C descritto (in grigio) nella Figura 1.1. 1.1.5. Notazione insiemistica. Un insieme A è spesso definito nel modo seguente: A = {tutti quegli elementi x tali che valga una certa proprietà P }. Tutto ciò in linguaggio matematico si scrive più brevemente così: A = {x | P }. La barra verticale | è sinonimo di “tale che”. Ad esempio, intersezione, unione e complemento possono essere descritti in questo modo: A ∩ B = {x | x ∈ A e x ∈ B}, A ∪ B = {x | x ∈ A oppure x ∈ B}, A \ B = {x | x ∈ A e x 6∈ B} Si possono anche usare i simboli ∧ e ∨ come sinonimi di e ed oppure, ed i due punti : al posto della barra |. Ad esempio, la prima legge di De Morgan (Proposizione 1.1.2) può essere dimostrata notando che entrambi gli insiemi (A ∩ B)c e Ac ∪ B c possono essere descritti nel modo seguente: {x ∈ C | x 6∈ A oppure x 6∈ B}. Questa notazione per gli insiemi è molto flessibile. Ad esempio l’insieme P dei numeri pari può essere descritto nel modo seguente: P = {2n | n ∈ N}. Otteniamo ovviamente P = {0, 2, 4,...}. 1.1. GLI INSIEMI 7 Analogamente, l’insieme dei numeri dispari è D = {2n + 1 | n ∈ N} = {1, 3, 5,...}. Infine, l’insieme dei quadrati è Q = {n2 | n ∈ N} = {0, 1, 4, 9, 16,...}. Un numero pari generico si scrive come 2n, mentre un numero dispari gene- rico si scrive come 2n + 1. Usando questa notazione si possono dimostrare agevolmente dei teoremi, ad esempio questo: Proposizione 1.1.3. Ogni numero dispari è differenza di due quadrati. Dimostrazione. Un generico numero dispari si scrive come 2n + 1, per qualche n ∈ N. Questo è effettivamente la differenza di due quadrati successivi: 2n + 1 = (n + 1)2 − n2. La dimostrazione è conclusa. 1.1.6. Quantificatori. Due simboli che giocano un ruolo fondamen- tale in matematica sono i quantificatori: ∀ ∃ I simboli sono una A ed una E rovesciate ed indicano le espressioni per ogni (for All) e esiste (Exists). I quantificatori sono essenziali nella formulazione dei teoremi, e più in generale di affermazioni matematiche che possono essere vere o false. Ad esempio, l’espressione ∀x ∈ R ∃y ∈ R : 2y = x dice che qualsiasi numero reale x può essere diviso per due, ed è un’affer- mazione vera. I due punti “:” sono sinonimo di “tale che”. D’altro canto, la stessa espressione con Z al posto di R: ∀x ∈ Z ∃y ∈ Z : 2y = x è falsa perché se x = 1 non esiste nessun y ∈ Z tale che 2y = 1. Il simbolo ∃! indica l’espressione esiste ed è unico. L’affermazione ∀x ∈ R ∃!y ∈ R : 2y = x continua ad essere vera: ogni numero reale è il doppio di un unico numero reale. Invece l’affermazione ∀x ∈ R : x > 0 ∃!y ∈ R : y 2 = x è falsa: ogni numero reale positivo x ha effettivamente una radice quadrata reale y , però questa non è unica perché le radici di x sono sempre due ±y. 8 1. NOZIONI PRELIMINARI 1.1.7. Dimostrazioni. Come facciamo a capire se una data afferma- zione matematica sia vera o falsa? Non c’è una regola generale, ma ci sono alcune indicazioni importanti: una affermazione del tipo Per ogni x in un insieme A vale una certa proprietà P può essere vera o falsa. Per dimostrare che è vera, serve una dimostrazione che mostri che la proprietà P è verificata da tutti gli elementi x nell’insieme A. Per dimostrare che è falsa, è invece sufficiente esibire un singolo x ∈ A per cui P non sia soddisfatta. Ad esempio, l’affermazione ∀x ∈ N, x 2 ≥ 0 è vera, perché i quadrati sono sempre positivi. L’affermazione ∀x ∈ N, x 2 ≥ 5 non è vera, perché non è soddisfatta ad esempio dal valore x = 1. 1.1.8. Prodotto cartesiano. Il prodotto cartesiano di due insiemi A e B è un nuovo insieme A × B i cui elementi sono tutte le coppie (a, b) dove a è un elemento qualsiasi di A e b è un elemento qualsiasi di B. Più brevemente: A × B = {(a, b) | a ∈ A, b ∈ B}. Ad esempio, se A = {1, 2} e B = {−1, 3, 4}, allora A × B = {(1, −1), (1, 3), (1, 4), (2, −1), (2, 3), (2, 4)}. Più in generale, se A e B sono insiemi finiti con m e n elementi rispettiva- mente, allora il prodotto cartesiano A × B contiene mn elementi. Il prodotto A × A è anche indicato con A2. Il caso A = R è partico- larmente interessante perché ha una forte valenza geometrica. L’insieme R dei numeri reali può essere interpretato come una retta. Il prodotto cartesiano R2 = R × R è l’insieme R2 = {(x, y ) | x ∈ R, y ∈ R} formato da tutte le coppie (x, y ) di numeri reali. In altre parole, R2 non è nient’altro che il piano cartesiano già studiato alle superiori: un elemento di R2 è un punto identificato dalla coppia (x, y ). Possiamo definire in modo analogo il prodotto di un numero arbitrario di insiemi. Il prodotto cartesiano di k insiemi A1 ,... , Ak è l’insieme A1 × · · · × Ak i cui elementi sono le sequenze (a1 ,... , ak ) di k elementi in cui ciascun ai è un elemento dell’insieme Ai , per ogni i = 1,... , k. Possiamo scrivere: A1 × · · · × Ak = (a1 ,... , ak ) ai ∈ Ai ∀i. Se k = 2 ritroviamo il prodotto cartesiano di due insiemi già definito sopra. Se tutti gli insiemi coincidono, il prodotto A × · · · × A può essere 1.1. GLI INSIEMI 9 indicato semplicemente come Ak. Come sopra, il caso geometricamente interessante è quello in cui A = R e quindi Rk è l’insieme Rk = (x1 ,... , xk ) xi ∈ R ∀i. Ad esempio, se k = 3 otteniamo R3 = {(x, y , z) | x, y , z ∈ R}. Questo insieme è l’analogo tridimensionale del piano cartesiano e può es- sere chiamato lo spazio cartesiano. Possiamo pensare ad ogni punto di R3 come ad un punto dello spazio con tre coordinate x, y , z. 1.1.9. Ragionamento per induzione. Uno degli strumenti più raffi- nati della matematica è il ragionamento per induzione, con il quale è possi- bile dimostrare in poche righe teoremi piuttosto complessi. Il ragionamento funziona nel modo seguente. Sia P (n) una certa proposizione matematica che dipende da un numero naturale n ≥ 1. Il nostro scopo è dimostrare che P (n) è vera per ogni n. Per ottenere ciò, è sufficiente completare due passi: (1) Dimostrare la proposizione P (1). (2) Per n generico, dare per buona P (n − 1) e dimostrare P (n). La proposizione P (n − 1) che viene data per buona e che quindi viene usata per dimostrare P (n) è detta ipotesi induttiva. Il ragionamento è ben illustrato con un esempio. Proposizione 1.1.4. La somma dei primi n numeri naturali è (n + 1)n 1 + 2 + 3 + ··· + n =. 2 Dimostrazione. Dimostriamo l’uguaglianza per induzione su n. Il pas- so iniziale n = 1 è facile: l’uguaglianza da dimostrare è semplicemente 1 = 1. Adesso supponiamo che l’uguaglianza sia vera per n − 1 e la dimostriamo per n. Scriviamo: 1 + 2 + 3 + · · · + n = (1 + 2 + 3 + · · · + n − 1) + n. Usando l’ipotesi induttiva, sappiamo che n(n − 1) 1 + 2 + 3 + ··· + n − 1 =. 2 Il secondo membro dell’equazione precedente adesso diventa n(n − 1) n(n − 1) + 2n (n + 1)n 1 + 2 + 3 + ··· + n = +n = = 2 2 2 ed abbiamo concluso. 10 1. NOZIONI PRELIMINARI Figura 1.2. Una partizione di un insieme X è una suddivi- sione di X in sottoinsiemi disgiunti. Una partizione è di fatto equivalente a una relazione di equivalenza. 1.1.10. Relazione di equivalenza. Introduciamo adesso una nozione che verrà usata sporadicamente in questo libro. Sia X un insieme. Definizione 1.1.5. Una relazione di equivalenza su X è una relazione ∼ che occorre fra alcune coppie di elementi di X e che soddisfa queste proprietà: (1) x ∼ x ∀x ∈ X (riflessività) (2) se x ∼ y allora y ∼ x, ∀x, y ∈ X (simmetria) (3) se x ∼ y e y ∼ z, allora x ∼ z, ∀x, y , z ∈ X (proprietà transitiva) Diciamo che x e y sono in relazione fra loro se x ∼ y. Esempio 1.1.6. Fissiamo n ∈ N. Ricordiamo che un numero intero x ∈ Z è divisibile per n se esiste un k ∈ Z per cui kn = x. Definiamo una relazione sull’insieme Z degli interi nel modo seguente: x ∼ y ⇐⇒ x − y divisibile per n. Mostriamo che ∼ è una relazione di equivalenza verificando i tre assiomi: (1) x ∼ x perché x − x = 0 è divisibile per n; (2) se x ∼ y allora y ∼ x, infatti se x − y è divisibile per n allora lo è anche il suo opposto y − x; (3) se x ∼ y e y ∼ z, allora x ∼ z, infatti se x − y e y − z sono divisibili per n lo è chiaramente anche la loro somma x − y + y − z = x − z. Una partizione di un insieme X è una suddivisione di X in sottoinsiemi disgiunti, come nella Figura 1.2. Data una partizione, possiamo definire una semplice relazione di equivalenza su X nel modo seguente: x ∼ y ⇐⇒ x e y appartengono allo stesso sottoinsieme della partizione. Viceversa, data una relazione di equivalenza otteniamo una partizione in sottoinsiemi formati da elementi che sono in relazione fra loro. La definizione più formale è descritta sotto. 1.1. GLI INSIEMI 11 Osservazione 1.1.7. La nozione di relazione di equivalenza è molto più concreta di quanto sembri ed è spesso lo strumento usato per partizionare un insieme in sottoinsiemi. Ad esempio, la nozione di specie biologica è definita (semplificando molto) nel modo seguente. Sia X l’insieme di tutti gli animali sulla terra. Diciamo che due animali x, y ∈ X sono in relazione x ∼ y se questi (o alcuni loro parenti stretti) possono accoppiarsi fra loro e generare dei figli fertili: due asini sono in relazione, ma un asino ed un cavallo no. Questa ovviamente non è una definizione matematica rigorosa, ma concretamente funziona bene nella maggior parte dei casi: con una buona approssimazione, la relazione ∼ è una relazione di equivalenza e da questa discende una partizione di X in sottoinsiemi come gatti, cani, ecc. Ciascun sottoinsieme è per definizione una specie biologica. Definiamo formalmente come passare da una relazione d’equivalenza ∼ ad una partizione di X. In realtà useremo questa costruzione solo in un paio di punti in questo libro, quindi può essere saltata ad una prima lettura. Per ogni x ∈ X definiamo Ux ⊂ X come l’insieme di tutti gli y ∈ X tali che x ∼ y. Un insieme del tipo Ux ⊂ X è detto classe di equivalenza. Usando la proprietà transitiva si vede facilmente che tutti gli elementi di Ux sono in relazione fra loro, ma non sono mai in relazione con nessun elemento al di fuori di Ux. Se x, y ∈ X possono accadere due casi: se x ∼ y , allora Ux = Uy , se x 6∼ y , allora Ux ∩ Uy = ∅. Due classi di equivalenza distinte sono anche disgiunte e l’unione di tutte le classi di equivalenza è X. Quindi le classi di equivalenza formano una partizione di X. Esempio 1.1.8. La relazione ∼ dell’Esempio 1.1.6 produce una parti- zione di Z in n classi di equivalenza U0 , U1 ,... , Un−1 , dove Ui = {i + kn | k ∈ Z}. L’insieme Ui è formato da tutti quei numeri interi che, se divisi per n, danno come resto i. In particolare U0 è l’insieme dei numeri divisibili per n. Ad esempio, per n = 3 otteniamo U0 = {... , −3, 0, 3, 6,...}, U1 = {... , −2, 1, 4, 7,...}, U2 = {... − 1, 2, 5, 8,...}. Se ∼ è una relazione di equivalenza su X, l’insieme quoziente X/∼ è l’insieme i cui elementi sono le classi di equivalenza di X. Ciascuna classe di equivalenza è adesso considerata un singolo elemento in X/∼. Esempio 1.1.9. Con la relazione ∼ dell’Esempio 1.1.6, l’insieme quo- ziente Z/∼ è un insieme formato da n elementi: Z/∼ = {U0 , U1 ,... , Un−1 }. Ciascun Ui è un sottoinsieme di Z. 12 1. NOZIONI PRELIMINARI Esempio 1.1.10. Secondo l’assiomatica moderna, i numeri razionali Q sono costruiti a partire dagli interi Z nel modo seguente. Sia Z∗ = Z \ {0} l’insieme dei numeri interi non nulli. Consideriamo il prodotto cartesiano Z × Z∗ formato dalle coppie (p, q) di interi con q 6= 0. Definiamo una relazione di equivalenza su Z × Z∗ nel modo seguente: (p, q) ∼ (p 0 , q 0 ) ⇐⇒ pq 0 = p 0 q. Si verifica facilmente che ∼ è una relazione di equivalenza. Definiamo infine Q come l’insieme quoziente: Q = (Z × Z∗ )/∼. Cosa c’entra questa definizione astratta con l’usuale insieme dei numeri razionali? Il collegamento è il seguente: interpretiamo una coppia (p, q) come una frazione qp. La relazione di equivalenza è necessaria qui per- ché, come sappiamo tutti, in realtà lo stesso numero razionale può essere 0 espresso come due frazioni differenti qp e qp0 , ad esempio 32 e 46 , e questo 0 0 accade precisamente quando pq = p q, nell’esempio 2 · 6 = 3 · 4. Quindi alla domanda “che cos’è un numero razionale?” rispondiamo “è una classe di equivalenza di frazioni”, cioè una classe di equivalenza di coppie (p, q) dove la relazione ∼ è quella descritta sopra. 1.2. Funzioni Dopo aver richiamato la teoria degli insiemi e la notazione matematica, introduciamo alcuni fra gli oggetti più usati in matematica: le funzioni. 1.2.1. Definizione. Siano A e B due insiemi. Una funzione da A in B è una legge f che trasforma qualsiasi elemento x di A in un qualche elemento y di B. L’elemento y ottenuto da x tramite f è indicato come y = f (x). L’insieme di partenza A è detto dominio e l’insieme di arrivo B è detto codominio. Per indicare f useremo la nozione seguente: f : A −→ B. È importante ricordare che gli insiemi A e B sono parte integrante della funzione f , non è cioè possibile definire una funzione senza chiarire con precisione quali siano il suo dominio ed il suo codominio. Ad esempio, possiamo prendere A = B = R e definire le funzioni f (x) = x 2 − 1, f (x) = sen x. Analogamente, possiamo definire A = {x ∈ R | x ≥ 0} e f : A → R come √ f (x) = x. In questo caso è però fondamentale chiarire quale delle due radici di x stiamo considerando, perché f (x) deve dipendere da x senza ambiguità. √ Generalmente si suppone che f (x) = x sia la radice positiva. 1.2. FUNZIONI 13 Osservazione 1.2.1. La nozione di funzione è molto generale e non si limita a considerare solo quelle funzioni che si possono scrivere espli- citamente usando le quattro operazioni +.−, ×, : ed altre funzioni note come ad esempio quelle trigonometriche. Ad esempio, possiamo scegliere A = B = N e definire f (n) come l’(n + 1)-esimo numero primo. Oppure scegliere A = R, B = N e definire f (x) come la 127-esima cifra di x nel suo sviluppo decimale. In entrambi i casi è impossibile (oppure molto diffi- cile o inutile) scrivere f come una funzione algebrica esplicita. Dobbiamo rassegnarci al fatto che la maggior parte delle funzioni non sono scrivibili esplicitamente usando le usuali operazioni algebriche. Due funzioni f e g sono considerate uguali se hanno lo stesso dominio e lo stesso codominio, e se f (x) = g(x) per ogni elemento x del dominio. Quindi ad esempio le funzioni f : R → R, f (x) = x 2 , g : N → R, g(x) = x 2 non sono uguali perché hanno domini diversi, mentre le funzioni f : N → N, f (x) = 1, g : N → N, g(x) = (x − 1)2 − x 2 + 2x sono invece in realtà la stessa funzione e scriviamo f = g. Un modo molto semplice per modificare una funzione data consiste nel restringere il dominio ad un sottoinsieme. Se f : A → B è una funzione e A0 ⊂ A è un sottoinsieme, la restrizione di f a A0 è la funzione f 0 : A0 → B definita esattamente come f , ponendo cioè f 0 (x) = f (x) per ogni x ∈ A0. La restrizione f 0 è indicata generalmente con il simbolo f |A0. Ad esempio, la restrizione di f : R → R, f (x) = x 2 al sottoinsieme N è indicata con f |N ed è ovviamente la funzione f |N : N → R, f |N (x) = x 2. 1.2.2. Immagine e controimmagine. Il concetto di funzione è estre- mamente importante in matematica e nelle scienze, ed ha quindi diritto ad un vocabolario tutto suo, che viene purtroppo raramente introdotto nelle scuole e con cui il lettore deve acquistare familiarità. Sia f : A → B una funzione. L’immagine di un elemento x ∈ A è l’elemento f (x) associato a x tramite f. Più in generale, se C ⊂ A è un qualsiasi sottoinsieme, l’immagine di C è l’insieme f (C) = {f (x) | x ∈ C} ⊂ B. L’immagine f (C) è un sottoinsieme del codominio B, ed è l’unione di tutte le immagini di tutti gli elementi di C. Ad esempio, se f : R → R, f (x) = x 2 e C = N, allora f (N) = {0, 1, 4, 9, 16,...}. L’immagine della funzione f è per definizione l’immagine f (A) dell’intero dominio A. Ad esempio l’immagine della funzione f : R → R, f (x) = x 2 appena descritta è la semiretta f (R) = [0, +∞) formata da tutti i numeri reali positivi o nulli. 14 1. NOZIONI PRELIMINARI Esiste un’altra nozione che è in un certo senso opposta a quella di immagine. Se y ∈ B è un elemento del codominio, la sua controimmagine è il sottoinsieme f −1 (y ) ⊂ A del dominio che consiste di tutti gli elementi x la cui immagine è y , in altre parole: f −1 (y ) = {x ∈ A | f (x) = y }. Più in generale, se C ⊂ B è un sottoinsieme del codominio, la sua contro- immagine è il sottoinsieme f −1 (C) ⊂ A del dominio che consiste di tutti gli elementi la cui immagine è contenuta in C. In altre parole: f −1 (C) = {x ∈ A | f (x) ∈ C}. Esempio 1.2.2. Consideriamo la funzione f : R → R, f (x) = x 2 e verifichiamo i fatti seguenti: la controimmagine di 4 è l’insieme con due elementi f −1 (4) = {−2, 2}; la controimmagine del segmento chiuso C = [4, 9] è l’unione di due segmenti chiusi f −1 (C) = [−3, −2] ∪ [2, 3]. la controimmagine del segmento chiuso [−10, −5] è l’insieme vuoto f −1 ([−10, −5]) = ∅. Il lettore è invitato ad assimilare bene queste nozioni che compariranno in molti punti del libro. Raccomandiamo in particolare di non accettare acriticamente gli esempi, ma di verificarne la correttezza. Esempio 1.2.3. Consideriamo la funzione f : R → R, f (x) = sen x. L’immagine di f è il segmento chiuso [−1, 1]. La controimmagine di N è l’insieme n 3π π π 3π nπ o f −1 (N) =... , − , −π, − , 0, , π, ,... = |n∈Z. 2 2 2 2 2 Esercizio 1.2.4. Dimostra che vale sempre l’inclusione C ⊂ f −1 (f (C)). Costruisci un esempio in cui il contenimento ⊂ è un’uguaglianza = ed un altro esempio in cui il contenimento è stretto (. 1.2.3. Funzioni iniettive, suriettive e bigettive. Sia f : A → B una funzione. Definiamo alcune nozioni che saranno di fondamentale impor- tanza nei capitoli successivi. Definizione 1.2.5. La funzione f è iniettiva se due elementi distinti x 6= x 0 del dominio hanno sempre immagini distinte. In altre parole se ∀x, x 0 ∈ A, x 6= x 0 =⇒ f (x) 6= f (x 0 ); suriettiva se ogni elemento del codominio è immagine di almeno un elemento del dominio, cioè ∀y ∈ B, ∃x ∈ A : f (x) = y. 1.2. FUNZIONI 15 A B A B A B 2 9 2 9 2 9 4 7 4 7 4 7 6 5 6 5 6 5 3 8 8 3 Figura 1.3. Una funzione iniettiva (sinistra), suriettiva (centro) e bigettiva (destra). In altre parole, se l’immagine di f è l’intero codominio B, cioè f (A) = B. Si veda la Figura 1.3. Qualche esempio: Esempio 1.2.6. La funzione f : N → N, f (x) = x 2 è iniettiva, perché i quadrati di due numeri naturali diversi sono sempre diversi; non è suriettiva, perché esistono dei numeri naturali (ad esempio il numero 2) che non sono quadrati e quindi f (N) ( N. Esempio 1.2.7. La funzione f : R → [0, +∞), f (x) = x 2 è suriettiva perché qualsiasi numero reale y ≥ 0 ha una radice quadrata; non è iniettiva perché questa radice non è unica, infatti f (−x) = f (x). I due esempi precedenti ci mostrano ancora quanto sia importante la scelta del dominio e del codominio nello studio delle proprietà di una funzione. Una funzione f : A → B che è sia iniettiva che suriettiva è detta bigettiva; in questo caso si dice anche che f è una bigezione o una cor- rispondenza biunivoca. Se f è una bigezione, ogni elemento y ∈ B ha esattamente una controimmagine: ne ha almeno una perché è suriettiva, e non può averne più di una perché è iniettiva. Questo è un ragionamento cruciale che il lettore deve assimilare bene prima di proseguire. Se f : A → B è una bigezione, possiamo definire la funzione inversa f −1 : B −→ A nel modo seguente: per ogni y ∈ B, l’elemento f −1 (y ) è proprio quell’unico x tale che f (x) = y. Nella Figura 1.3 a destra, la funzione inversa f −1 è ottenuta da f semplicemente invertendo il verso delle frecce. La funzione inversa f −1 è anch’essa una bigezione. 1.2.4. Composizione di funzioni. È utile pensare ad una funzione f : A → B come ad una trasformazione che prende come input un qualsiasi elemento x ∈ A e restituisce come output la sua immagine f (x) ∈ B. L’e- lemento f (x) può essere a sua volta trasformato usando un’altra funzione 16 1. NOZIONI PRELIMINARI g : B → C e questa successione di due trasformazioni è detta composizione di funzioni. Più formalmente, date due funzioni f : A −→ B, g : B −→ C definiamo la loro composizione h come una nuova funzione h : A −→ C nel modo seguente: h(x) = g(f (x)). La funzione composta h è indicata come h = g ◦ f. Si usa quindi il simbolo ◦ per indicare l’operazione di composizione di due funzioni. Notiamo che due funzioni f e g possono essere composte solo se il codominio di f è uguale al dominio di g. Notiamo anche che la composizione di due funzioni va letta da destra a sinistra: la funzione h = g ◦ f è ottenuta applicando prima f e poi g. Esempio 1.2.8. Componendo le funzioni f : R → R, f (x) = x 3 e g : R → R, g(y ) = sen y otteniamo h = g ◦ f , h(x) = sen x 3. Notiamo che la composizione generalmente non è commutativa: se scambiamo l’ordine delle funzioni otteniamo un’altra funzione j = f ◦ g, j(x) = (sen x)3. Proposizione 1.2.9. Siano f : A → B e g : B → C due funzioni. (1) Se f e g sono iniettive, allora anche g ◦ f è iniettiva. (2) Se f e g sono suriettive, allora anche g ◦ f è suriettiva. (3) Se f e g sono bigettive, allora anche g ◦ f è bigettiva e la sua inversa è la funzione f −1 ◦ g −1. Dimostrazione. (1). Supponiamo che f e g siano iniettive e dimo- striamo che anche g ◦ f lo è. Dobbiamo quindi mostrare la proposizione x 6= x 0 =⇒ g(f (x)) 6= g(f (x 0 )) ∀x, x 0 ∈ A. Siccome f è iniettiva, x 6= x 0 =⇒ f (x) 6= f (x 0 ). Siccome g è iniettiva, f (x) 6= f (x 0 ) =⇒ g(f (x)) 6= g(f (x 0 )). La dimostrazione è conclusa. (2). Supponiamo che f e g siano suriettive e dimostriamo che anche g ◦ f lo è. Dato z ∈ C qualsiasi, dobbiamo mostrare che esiste un x ∈ A tale che g(f (x)) = z. Poiché g è suriettiva, esiste un y ∈ B tale che g(y ) = z. Poiché f è suriettiva, esiste un x ∈ A tale che f (x) = y. Quindi g(f (x)) = z. (3). La composizione g ◦ f è bigettiva per i punti (1) e (2) già dimostrati. L’inversa è f −1 ◦ g −1 perché per ogni x ∈ A otteniamo f −1 (g −1 (g(f (x)) = f −1 (f (x)) = x. La dimostrazione è conclusa. Esercizio 1.2.10. Siano f : A → B e g : B → C due funzioni. 1.2. FUNZIONI 17 (1) Se g ◦ f è iniettiva, allora f è iniettiva. (2) Se g ◦ f è suriettiva, allora g è suriettiva. 1.2.5. Permutazioni. Sia X un insieme di n elementi. Una permuta- zione è una bigezione σ : X −→ X. Proposizione 1.2.11. Ci sono n! possibili permutazioni per X. Dimostrazione. Costruiamo una permutazione σ definendo in ordine le immagini σ(1), σ(2),... , σ(n). L’immagine σ(1) è un qualsiasi elemento di X e quindi abbiamo n possibilità; successivamente, σ(2) è un qualsiasi elemento di X diverso da σ(1), e abbiamo n − 1 possibilità; andando avanti in questo modo possiamo costruire σ in n · (n − 1) · · · 2 · 1 = n! modi differenti. Notiamo che l’inversa σ −1 di una permutazione σ è sempre una per- mutazione, e la composizione σ ◦τ di due permutazioni σ e τ è una permu- tazione. La permutazione identità è la permutazione id che fissa ciascun elemento, cioè id(x) = x ∀x ∈ X. A meno di rinominare gli elementi di X, possiamo supporre per sem- plicità che X sia l’insieme formato dai numeri naturali da 1 a n: X = {1,... , n}. Vediamo come possiamo scrivere e studiare una permutazione σ. Un modo consiste nello scrivere la tabella 1 2 ··· n σ(1) σ(2) · · · σ(n) oppure più semplicemente [σ(1) σ(2) · · · σ(n)]. Un altro metodo consiste nello scrivere σ come prodotto di cicli. Se a1 ,... , ak sono elementi distinti di X, il ciclo (a1 · · · ak ) indica la permutazione che trasla ciclicamente gli elementi a1 ,... , ak e lascia fissi tutti gli altri, cioè tale che: σ(a1 ) = a2 , σ(a2 ) = a3 ,... σ(ak−1 ) = ak , σ(ak ) = a1 , σ(a) = a, ∀a 6∈ {a1 ,... , ak }. Due cicli (a1... ak ) e (b1... bh ) sono indipendenti se ai 6= bj per ogni i, j. Ogni permutazione si scrive come prodotto (cioè composizione) di cicli indipendenti. Ad esempio: 1 2 3 4 5 6 4 5 3 6 2 1 si scrive come prodotto di cicli (1 4 6)(2 5)(3) = (1 4 6)(2 5). 18 1. NOZIONI PRELIMINARI Il prodotto di cicli come composizione va inteso da destra a sinistra, come le funzioni. I cicli di ordine uno possono chiaramente essere rimossi. L’ordine dei cicli indipendenti non è importante: (1 4 6)(2 5) e (2 5)(1 4 6) sono la stessa permutazione. Inoltre il ciclo (1 4 6) può essere scritto anche come (4 6 1) oppure (6 1 4), ma non come (1 6 4). La notazione come prodotto di cicli ha il pregio di funzionare molto bene con le operazioni di inversione e composizione. Per scrivere l’inver- sa di una permutazione basta invertire i cicli. L’inversa della permutazione (1 4 6)(2 5) è (5 2)(6 4 1). Per comporre due permutazioni basta affianca- re i clicli da destra a sinistra: se componiamo (2 4 1)(3 5 6) e (1 4 6)(2 5) otteniamo (1 4 6)(2 5)(2 4 1)(3 5 6) = (1 5)(6 3 2). Infatti leggendo da destra a sinistra vediamo che 4 → 1 → 4 sta fisso mentre 1 → 2 → 5 e 5 → 6 → 1. 1.2.6. Segno di una permutazione. Vediamo adesso che ciascuna permutazione σ ha un segno che può essere 1 oppure −1. Questo fatto sarà usato solo nella definizione del determinante nella Sezione 3.3 e quindi può essere saltato ad una prima lettura. Un ciclo di ordine 2 è chiamato una trasposizione. Una trasposizione è una permutazione che scambia due elementi e lascia fissi tutti gli altri. Si dimostra facilmente che ciascun ciclo è prodotto di trasposizioni, infatti (a1... ak ) = (a1 ak )(a1 ak−1 ) · · · (a1 a2 ). Conseguentemente, ogni permutazione può essere ottenuta come prodot- to di un certo numero di trasposizioni. Facciamo un esempio concreto: prendiamo 4 assi da un mazzo di carte e li poniamo sul tavolo uno dopo l’altro, secondo la successione CQFP (cuori quadri fiori picche). Adesso permutiamo le carte in modo da ottenere la successione QFPC. Possia- mo ottenere questa successione come composizione di trasposizioni, ad esempio in questo modo: CQFP −→ QCFP −→ QFCP −→ QFPC Ci sono anche altri modi, ad esempio: CQFP −→ CQPF −→ FQPC −→ QFPC oppure CQFP −→ FQCP −→ FPCQ −→ PFCQ −→ QFCP −→ QFPC Abbiamo trasformato CQFP in QFPC in tre modi diversi, con un numero di trasposizioni che è 3 nei primi due casi e 5 nel terzo. Notiamo che questo numero è dispari in tutti e tre gli esempi. Questo non è un caso: la proposizione seguente ci dice in particolare che non è possibile trasformare CQFP in QFPC con un numero pari di trasposizioni. Proposizione 1.2.12. Se una permutazione σ si scrive in due modi diversi come prodotto di n e m trasposizioni, il numero n − m è sempre pari (cioè n e m sono entrambi dispari o entrambi pari). 1.2. FUNZIONI 19 Dimostrazione. Abbiamo per ipotesi σ = (a1 a2 )(a3 a4 ) · · · (a2n−1 a2n ), σ = (b1 b2 )(b3 b4 ) · · · (b2m−1 b2m ). Quindi id = σ ◦ σ −1 = (a1 a2 ) · · · (a2n−1 a2n )(b2m b2m−1 ) · · · (b2 b1 ). Dimostriamo che l’identià id non è realizzabile come prodotto di un numero dispari h = 2k + 1 di trasposizioni: questo implica che m + n è pari e quindi m − n è pari. Procediamo per induzione su k ≥ 0. Se k = 0, è ovvio che id non è realizzabile come una singola trasposizione. Supponiamo il fatto dimostrato per k − 1 e passiamo a k ≥ 1. Supponiamo che id = (a1 a2 ) · · · (a2h−1 a2h ) con h = 2k + 1. Siccome la permutazione è l’identità, il termine a1 deve comparire, oltre che nella prima trasposizione a sinistra, almeno una seconda volta (letto da sinistra a destra): id = (a1 a2 ) · · · (a1 ai ) · · · (a2h−1 , a2h ). Notiamo le seguenti uguaglianze, in cui lettere diverse indicano numeri diversi: (c d)(a b) = (a b)(c d), (b c)(a b) = (a c)(b c). Possiamo usare queste “mosse” per modificare due trasposizioni successive senza cambiare il numero totale h = 2k + 1 di trasposizioni. Usando le mosse con a = a1 , possiamo spostare il secondo a1 verso sinistra di un passo alla volta, finché non arriva in seconda posizione e otteniamo: id = (a1 a2 )(a1 a3 ) · · · (a2h−1 , a2h ). Se a2 = a3 , abbiamo (a1 a2 )(a1 a2 ) = id e possiamo cancellare le prime due trasposizioni. Troviamo una successione di 2(k − 1) + 1 elementi e giungiamo ad un assurdo per l’ipotesi induttiva. Se a2 6= a3 possiamo sostituire (a1 a2 )(a1 a3 ) con (a1 a3 )(a2 a3 ). In questo modo la successione di trasposizioni contiene un a1 in meno di prima e ripartiamo da capo. Siccome prima o poi gli a1 finiscono, ad un certo punto ricadremo nel caso precedente a2 = a3. Definiamo il segno sgn(σ) di una permutazione σ come sgn(σ) = (−1)n dove σ si decompone in n trasposizioni. Il segno è 1 oppure −1 ed è ben definito grazie alla Proposizione 1.2.12. Un ciclo di ordine n ha segno (−1)n−1. Una trasposizione ha segno −1. L’identità ha segno 1. 20 1. NOZIONI PRELIMINARI Figura 1.4. Una configurazione irrisolvibile del gioco del 15. Osservazione 1.2.13. Usando il segno di una permutazione si può dimostrare che la configurazione mostrata nella Figura 1.4 del gioco del 15 non è risolvibile (cosa ben nota a molti bambini nati nell’era pre-digitale). Si procede in questo modo. La prima cosa da notare è che per trasformare la configurazione in figura in quella giusta dobbiamo fare un numero pari di mosse: questo è dovuto al fatto che, se pensiamo ad una scacchiera 4 × 4 con caselle bianche e nere, la casella vuota è inizialmente in una casella nera (in basso a destra), e ad ogni passaggio salta da una casella nera ad una bianca e viceversa. Siccome alla fine deve tornare su una nera (sempre in basso a destra), deve fare un numero pari di salti. Ogni configurazione del gioco può essere descritta come una permuta- zione σ dell’insieme X = {1,... , 15, 16} dove 16 indica in realtà la casella vuota. La casella i è occupata dal tassello σ(i). Scopo del gioco è otte- nere la permutazione identità id, in cui la casella i è occupata dal tassello i ∀i ∈ X. La configurazione σ mostrata nella Figura 1.4 è una trasposizione (14 15) e quindi ha segno negativo sgn(σ) = −1. Ad ogni mossa che fac- ciamo componiamo σ con una trasposizione e quindi cambiamo segno alla σ. Dopo un numero pari di mosse otterremo sempre una permutazione con segno negativo, e quindi mai l’identità. Se partiamo dalla configurazione mostrata in figura, il gioco del 15 non si può risolvere. Il segno cambia in modo controllato per inversione e composizioni: Proposizione 1.2.14. Per ogni σ, τ ∈ Sn abbiamo: sgn(σ −1 ) = sgn(σ), sgn(σ ◦ τ ) = sgn(σ) · sgn(τ ). Dimostrazione. Se σ e τ sono scritte come prodotto di m e n tra- sposizioni, possiamo scrivere σ −1 e σ ◦ τ come prodotto di m e m + n trasposizioni. 1.3. POLINOMI 21 1.3. Polinomi I polinomi sono tipi particolarmente semplici di funzioni ottenute com- binando numeri e variabili ed usando solo le operazioni +, − e ×. 1.3.1. Definizione. Ricordiamo che un monomio è una espressione algebrica che ha una parte numerica (il coefficiente) ed una parte letterale; ad esempio questi sono monomi: √ 3 4x, −2xy , 5x. Il grado di un monomio è la somma degli esponenti presenti sulle parti letterali: i tre monomi descritti sopra hanno grado 1, 2 e 3. Un monomio di grado zero è semplicemente un numero. Un polinomio è una somma di monomi, ad esempio: √ 7 + 3x 2 − 2y 3. Un polinomio è ridotto in forma normale se è scritto come somma di mono- mi con parti letterali differenti e coefficienti non nulli, oppure è il polinomio 0. Per ridurre un polinomio in forma normale è sufficiente raccogliere i mo- nomi con la stessa parte letterale e quindi eliminare quelli con coefficiente nullo. Il grado di un polinomio scritto in forma normale è il massimo grado dei suoi monomi. I polinomi possono essere sommati e moltiplicati fra loro nel modo usuale. Ci interessano particolarmente i polinomi in cui compare una sola va- riabile x. Un polinomio di questo tipo viene indicato con p(x) oppure più semplicemente con p. Un polinomio p(x) con una sola variabile può essere sempre descritto ordinando i suoi monomi da quello di grado più alto a quello di grado più basso: otteniamo quindi una scrittura del tipo p(x) = an x n + · · · + a1 x + a0 dove n è il grado di p(x) e an 6= 0. Ad esempio: x 3 − 2x + 5, 4x 2 − 7. Il coefficiente a0 è detto termine noto del polinomio. Un polinomio di grado zero è semplicemente un numero a0. 1.3.2. Divisione con resto fra polinomi. I polinomi assomigliano ai numeri interi: possono essere sommati, moltiplicati, e si possono fare le divisioni con resto. Prendiamo due numeri interi, ad esempio 26 e 11. Se dividiamo 26 per 11 otteniamo come quoziente 2 e come resto 4. In altre parole, otteniamo: 26 = 2 · 11 + 4. Notiamo che il resto 4 è ovviamente sempre più piccolo del divisore 11. Analogamente, dati due polinomi p(x) (il dividendo) e d(x) (il divisore), esistono sempre (e sono unici) due polinomi q(x) (il quoziente) e r (x) (il resto) per cui p(x) = q(x)d(x) + r (x) 22 1. NOZIONI PRELIMINARI con la proprietà che il resto r (x) abbia grado strettamente minore del divisore d(x). Le divisioni fra polinomi si risolvono con carta e penna esattamente con la stessa procedura usata per i numeri interi. Ad esempio, se dividiamo p(x) = x 3 + 1 per d(x) = x 2 − 1 otteniamo x 3 + 1 = x(x 2 − 1) + (x + 1) e la divisione ha come quoziente x e come resto x + 1. Diciamo che il numero intero 7 divide 14 ma non divide 15, perché la divisione di 14 per 7 ha resto nullo, mentre la divisione di 15 per 7 invece ha un certo resto. Usiamo la stessa terminologia per i polinomi: se la divisione fra due polinomi p(x) e d(x) ha resto nullo, allora p(x) = q(x)d(x) per qualche quoziente q(x) e diciamo che d(x) divide p(x). Possiamo usare la barra verticale | come sinonimo di “divide” e scrivere ad esempio: 9 | 18, (x + 1) | (x 3 + 1). Notiamo che effettivamente (x 3 + 1) = (x 2 − x + 1)(x + 1). 1.3.3. Radici di un polinomio. Ricordiamo adesso una delle defini- zioni più importanti dell’algebra. Se p(x) è un polinomio e a è un numero, indichiamo con p(a) il numero che otteniamo sostituendo a al posto di x. Ad esempio, se p(x) = x 2 − 3, allora p(−2) = 4 − 3 = 1. Definizione 1.3.1. Un numero a è radice di un polinomio p(x) se p(a) = 0. Ad esempio, il numero −1 è radice del polinomio p(x) = x 3 + 1 perché p(−1) = 0. La determinazione delle radici di un polinomio è uno dei problemi più classici dell’algebra. A questo scopo enunciamo un criterio. Proposizione 1.3.2. Il numero a è radice di p(x) se e solo se (x − a) | p(x). Dimostrazione. Se dividiamo p(x) per (x − a), otteniamo p(x) = q(x)(x − a) + r (x) dove q(x) è il quoziente e r (x) il resto. Sappiamo che il grado di r (x) è strettamente minore di quello di (x − a), che è uno: quindi r (x) ha grado zero, in altre parole è una costante che scriviamo semplicemente come r0. Quindi p(x) = q(x)(x − a) + r0. Se sostituiamo a al posto di x, otteniamo p(a) = q(a)(a − a) + r0 = 0 + r0 = r0. Quindi a è radice di p(x) se e solo se r0 = 0. D’altra parte r0 = 0 se e solo se (x − a) divide p(x) e quindi concludiamo. Introduciamo un’altra definizione che useremo spesso in questo libro. 1.3. POLINOMI 23 Definizione 1.3.3. La molteplicità di una radice a di un polinomio p(x) è il massimo numero k tale che (x − a)k divide p(x). Informalmente, la molteplicità misura “quante volte” a è radice di p(x). Esempio 1.3.4. Il polinomio x 3 − 1 ha la radice 1 con molteplicità 1 perché x 3 − 1 = (x − 1)(x 2 + x + 1) e (x − 1) non divide x 2 + x + 1, semplicemente perché 1 non è radice di x 2 + x + 1. Analogamente il polinomio x 3 − 2x 2 + x = (x − 1)2 x ha la radice 1 con molteplicità 2 e la radice 0 con molteplicità 1. Osserviamo un fatto semplice: se moltiplichiamo un polinomio p(x) per una costante k diversa da zero, otteniamo un altro polinomio q(x) = kp(x) che ha le stesse radici di p(x) con le stesse molteplicità. Per questo motivo, quando studiamo le radici di un polinomio di grado n del tipo p(x) = an x n + an−1 x n−1 + · · · + a1 x + a0 possiamo dividerlo per an 6= 0; in questo modo ciascun coefficiente ai si trasformerà in un nuovo coefficiente bi = ai /an e otterremo un nuovo polinomio q(x) = x n + bn−1 x n−1 + · · · + b1 x + b0 che ha il pregio di avere il primo coefficiente pari a 1. Un polinomio di questo tipo è detto monico. Proposizione 1.3.5. Sia p(x) = q1 (x)q2 (x). Le radici di p(x) contate con molteplicità sono l’unione di quelle di q1 (x) e di q2 (x). Dimostrazione. Se a ha molteplicità m1 in q1 (x) e m2 in q2 (x), allora q1 (x) = (x − a)m1 d1 (x), q2 (x) = (x − a)m2 d2 (x) con d1 (a) 6= 0 e d2 (a) 6= 0. Quindi p(x) = (x − a)m1 +m2 d1 (x)d2 (x) con d1 (a)d2 (a) 6= 0 e deduciamo che a ha molteplicità m1 +m2 in p(x). Esempio 1.3.6. I polinomi q1 (x) = x 2 − 2x + 1, q2 (x) = x 2 − 1 possono essere scritti come q1 (x) = (x − 1)2 , q2 (x) = (x + 1)(x − 1). Questi hanno rispettivamente la radice 1 con molteplicità 2 e le radici −1, 1 entrambe con molteplicità 1. Il prodotto p(x) = q1 (x)q2 (x) = (x − 1)3 (x + 1) ha la radice 1 con molteplicità 3 e la radice −1 con molteplicità 1. 24 1. NOZIONI PRELIMINARI Teorema 1.3.7. Un polinomio p(x) di grado n ≥ 1 ha al più n radici, contate con molteplicità. Dimostrazione. Dimostriamo il teorema per induzione su n. Per quan- to appena visto, a meno di dividere tutto per il primo coefficiente possiamo supporre che il polinomio p(x) sia monico. Se n = 1, il polinomio è del tipo p(x) = x + a0 ed ha chiaramente una sola radice −a0. Quindi la tesi è soddisfatta. Supponiamo la tesi vera per n −1 e la dimostriamo per n. Se p(x) non ha radici, siamo a posto. Se ha almeno una radice a, allora per la Proposi- zione 1.3.2 possiamo dividere p(x) per x − a e ottenere un altro polinomio q(x), cioè vale p(x) = (x − a)q(x). Il polinomio q(x) ha grado n − 1 e quindi per ipotesi induttiva ha al più n − 1 radici contate con molteplicità. Per la Proposizione 1.3.5, le radici di p(x) contate con molteplicità sono esattamente quelle di q(x) più a. Quindi p(x) ha al più n − 1 + 1 = n radici e abbiamo concluso. Un polinomio di grado 1 è sempre del tipo p(x) = ax + b ed ha quindi sempre una sola radice x = −b/a. Un polinomio di grado 2 è del tipo p(x) = ax 2 + bx + c e come sappiamo bene dalle scuole superiori le sue radici dipendono da ∆ = b2 − 4ac nel modo seguente. Proposizione 1.3.8. Si possono presentare i casi seguenti: Se ∆ > 0, il polinomio p(x) ha due radici distinte √ −b ± ∆ x± = 2a entrambe di molteplicità uno. Se ∆ = 0, il polinomio p(x) ha una sola radice b x =− 2a con molteplicità due. Se ∆ < 0, il polinomio p(x) non ha radici reali. Dimostrazione. Possiamo riscrivere il polinomio p(x) in questo modo 2 2 b2 b b ∆ p(x) = a x + +c − =a x+ −. 2a 4a 2a 4a Se ∆ > 0, è sufficiente sostituire x± in p(x) per verificare che sono radici: √ 2 −b ± ∆ b ∆ ∆ ∆ p(x± ) = a + − =a 2 − = 0. 2a 2a 4a 4a 4a 1.4. NUMERI COMPLESSI 25 Se ∆ = 0, otteniamo 2 b p(x) = a x + 2a e quindi la radice −b/(2a) ha chiaramente molteplicità due. Se ∆ < 0, 2 b ∆ p(x) = a x + − 2a 4a è sempre strettamente positivo o strettamente negativo per ogni x, a se- conda che a sia positivo o negativo. Quindi non può mai essere nullo, in altre parole p(x) non ha radici. Come sapevamo dalle superiori, esistono polinomi di secondo grado senza radici reali. Come vedremo nella prossima sezione, è possibile ovviare a questo “problema” aggiungendo all’insieme R altri numeri, così da formare il più vasto insieme C dei numeri complessi. 1.4. Numeri complessi I numeri complessi sono un ampliamento dell’insieme dei numeri reali R, costruito con lo scopo di ottenere migliori proprietà algebriche. 1.4.1. Definizione. Un numero complesso è un oggetto algebrico che si scrive nel modo seguente: a + bi dove a e b sono numeri reali arbitrari e i è un nuovo simbolo chiamato unità immaginaria. Ad esempio, questi sono numeri complessi: √ 7, 2 + i, 23i, 4 − i, −1 + πi. I numeri complessi si sommano e si moltiplicano nel modo usuale, tenendo a mente un’unica nuova relazione: i 2 = −1. La somma e la moltiplicazione di due numeri complessi a + bi e c + di si svolge quindi nel modo seguente: (a + bi) + (c + di) = a + c + (b + d)i, (a + bi) · (c + di) = ac + bci + adi + bdi 2 = ac − bd + (ad + bc)i. Nel prodotto abbiamo usato che i 2 = −1. Ad esempio: (7 + i) · (4 − i) = 29 − 3i. L’insieme dei numeri complessi è indicato con il simbolo C. Abbiamo esteso la nostra sequenza di insiemi numerici: N ( Z ( Q ( R ( C. 26 1. NOZIONI PRELIMINARI 1.4.2. Coniugio, norma e inverso. Sia z = a + bi un numero com- plesso. I numeri a e b sono detti rispettivamente la parte reale e la parte immaginaria di z. Il numero z è reale, cioè appartiene al sottoinsieme R ⊂ C, se e solo se la sua parte immaginaria è nulla. Il coniugio di z = a + bi è il numero complesso z̄ = a − bi ottenuto da z cambiando il segno della sua parte immaginaria. Notiamo che z = z̄ precisamente quando b = 0, cioè quando z è reale. Scriviamo quindi z ∈ R ⇐⇒ z = z̄. Il modulo di z = a + bi è il numero reale p |z| = a2 + b2. Il modulo |z| è nullo quando z = 0, cioè quando a = b = 0, ed è strettamente positivo se z 6= 0. Notiamo inoltre che z · z̄ = (a + bi) · (a − bi) = a2 + b2 = |z|2. Mostriamo adesso un fatto non banale: come nei numeri razionali e reali, ogni numero complesso z 6= 0 ha un inverso z −1 rispetto all’opera- zione di moltiplicazione, dato da z̄ z −1 =. |z|2 Infatti se moltiplichiamo z e z −1 otteniamo z z̄ |z|2 z · z −1 = = = 1. |z| 2 |z|2 Esempio 1.4.1. L’inverso di i è −i, infatti i · (−i) = 1. L’inverso di 2+i è 2−i 2−i (2 + i)−1 = =. |2 + i|2 5 Si verifica che effettivamente 2−i (2 + i) · = 1. 5 1.4.3. Il piano complesso. Mentre i numeri reali R formano una ret- ta, i numeri complessi C formano un piano detto piano complesso. Ogni numero complesso a + bi può essere identificato con il punto di coor- dinate (a, b) nel piano cartesiano o equivalentemente come un vettore applicato nell’origine 0 e diretto verso (a, b), come illustrato nella Figura 1.5-(sinistra). Gli assi delle ascisse e delle ordinate sono rispettivamente l’asse reale e l’asse immaginaria di C. L’asse reale è precisamente il sottoinsieme R ⊂ C formato dai numeri reali. L’asse immaginaria consiste di tutti i numeri complessi del tipo bi al variare di b ∈ R. 1.4. NUMERI COMPLESSI 27 Im Im b a + bi r Re θ Re a Figura 1.5. Il piano complesso (sinistra) e le coordinate polari (destra). Im z1 + z2 z1 z2 Re Figura 1.6. La somma z1 + z2 di due numeri complessi z1 e z2 può essere calcolata con la regola del parallelogramma. Qui z1 = 1 + 3i, z2 = 4 + i e quindi z1 + z2 = 5 + 4i. La somma z1 + z2 di due numeri complessi z1 e z2 viene calcolata interpretando z1 e z2 come vettori e sommandoli quindi con l’usuale regola del parallelogramma, come mostrato nella Figura 1.6. Il prodotto z1 ·z2 di due numeri complessi è apparentemente più compli- cato, ma può essere visualizzato agevolmente usando le coordinate polari, che ora richiamiamo. 1.4.4. Coordinate polari. Come ricordato nella Figura 1.5-(destra), un punto (x, y ) diverso dall’origine del piano cartesiano può essere identifi- cato usando la lunghezza r del vettore corrispondente e l’angolo θ formato dal vettore con l’asse reale. Le coordinate polari del punto sono la coppia (r, θ). Per passare dalle coordinate polari (r, θ) a quelle cartesiane (x, y ) 28 1. NOZIONI PRELIMINARI Im z Im z i r θ 0 Re -1 0 1 Re −θ z −1 r −i z̄ Figura 1.7. Il coniugio z̄ di z si ottiene specchiando z lungo l’asse reale (sinistra). L’inverso z −1 di z ha argomento −θ opposto a quello θ di z e modulo |z −1 | inverso rispetto a |z|. La circonferenza unitaria è mostrata in figura (destra). basta usare le formule x = r cos θ, y = r sen θ. Viceversa, p x r = x 2 + y 2, θ = arccos p. x2 + y2 Tornando ai numeri complessi, un numero z = x + y i può essere scritto in coordinate polari come z = x + y i = r cos θ + (r sen θ)i = r (cos θ + i sen θ). Notiamo che p |z| = x 2 + y 2 = r. Il modulo di z è quindi la lunghezza del vettore che descrive z. Il coniugio z̄ = a − ib è il punto ottenuto cambiando il segno della coordinata imma- ginaria: geometricamente questo corrisponde a riflettere il punto rispetto all’asse reale. In coordinate polari, questo corrisponde a cambiare θ in −θ lasciando fisso r. Si veda la Figura 1.7-(sinistra). Tornando alle coordinate polari, è comodo scrivere e iθ = cos θ + i sen θ. In questo modo ogni numero complesso z 6= 0 si scrive come z = r e iθ. Il numero r = |z| è il modulo di z mentre l’angolo θ è detto fase o argomento di z. Il motivo profondo per cui introduciamo inaspettatamente qui la co- stante e di Nepero è dovuto alle rappresentazioni delle funzioni e x , sen x e 1.4. NUMERI COMPLESSI 29 cos x come serie di potenze. Giustificare questa scelta ci porterebbe trop- po lontano; per noi è sufficiente considerare questa misteriosa esponenziale complessa e iθ come un simbolo che vuol dire semplicemente cos θ + i sen θ. Si tratta di una simbologia azzeccata, perché e iθ ha le proprietà usuali dell’esponenziale: Proposizione 1.4.2. Vale la relazione e i(θ+ϕ) = e iθ · e iϕ. Dimostrazione. Otteniamo e i(θ+ϕ) = cos(θ + ϕ) + i sen(θ + ϕ) = cos θ cos ϕ − sen θ sen ϕ + i(sen θ cos ϕ + cos θ sen ϕ) = (cos θ + i sen θ) · (cos ϕ + i sen ϕ) = e iθ · e iϕ. La dimostrazione è completa. Adesso capiamo perché le coordinate polari sono particolarmente utili quando moltiplichiamo due numeri complessi. Se z1 = r1 e iθ1 , z2 = r2 e iθ2 allora il loro prodotto è semplicemente z1 z2 = r1 r2 e i(θ1 +θ2 ). In altre parole: Quando si fa il prodotto di due numeri complessi, i moduli si moltiplicano e gli argomenti si sommano. Notiamo in particolare che se z = r e iθ 6= 0, il suo inverso è z −1 = r −1 e −iθ. L’inverso z −1 ha argomento −θ opposto a quello θ di z e ha modulo |z −1 | = r −1 inverso rispetto a |z| = r , si veda la Figura 1.7-(destra). I numeri complessi e iθ al variare di θ sono precisamente i punti che stanno sulla circonferenza unitaria, determinati dall’angolo θ. In particolare per θ = π otteniamo la celebre identità di Eulero: e iπ = −1. Notiamo infine che due numeri complessi non nulli espressi in forma polare r0 e iθ0 , r1 e iθ1 sono lo stesso numero complesso se e solo se valgono entrambi questi fatti: r 0 = r1 , θ1 = θ0 + 2kπ per qualche k ∈ Z. 30 1. NOZIONI PRELIMINARI 1.4.5. Proprietà dei numeri complessi. I numeri complessi hanno nu- merose proprietà. Queste si dimostrano facilmente: in presenza di un prodotto, è spesso utile usare la rappresentazione polare. Lasciamo la dimostrazione di queste proprietà per esercizio. Esercizio 1.4.3. Valgono i fatti seguenti per ogni z, w ∈ C: 1 |z + w | ≤ |z| + |w |, |zw | = |z||w |, |z|−1 = , |z| |z| = |z̄|, z + w = z̄ + w̄ , zw = z̄ w̄. 1.4.6. Radici n-esime di un numero complesso. Sia z0 = r0 e iθ0 un numero complesso fissato diverso da zero. Mostriamo come risolvere l’equazione z n = z0 usando i numeri complessi. In altre parole, determiniamo tutte le radici n-esime di z0. Scriviamo la variabile z in forma polare come z = r e iθ. L’equazione adesso diventa r n e inθ = r0 e iθ0. L’equazione è soddisfatta precisamente se valgono entrambi questi fatti: √ r = n r0 , nθ = θ0 + 2kπ per qualche k ∈ Z. La seconda condizione può essere riscritta richiedendo che θ0 2kπ θ= + n n per qualche k ∈ Z. Otteniamo quindi precisamente n soluzioni distinte: per i valori k = 0, 1,... , n − 1 otteniamo gli argomenti θ0 θ0 2π θ0 2(n − 1)π θ= , + ,..., +. n n n n n √ Le n soluzioni dell’equazione z n = z0 hanno tutte lo stesso modulo n r0 e argomenti che variano in una sequenza di angoli separati da un passo costante 2π n. Geometricamente, questo significa che le soluzioni formano i √ vertici di un poligono regolare centrato nell’origine con n lati e raggio n r0. Si veda la Figura 1.8. Esempio 1.4.4. L’equazione z n = 1 ha come soluzioni 2kπ z = ei n dove k = 0, 1,... , n − 1. Queste n soluzioni sono i vertici di un poligono regolare di raggio 1 con n lati, avente 1 come vertice. Questi numeri complessi sono le radici n-esime dell’unità. 1.4. NUMERI COMPLESSI 31 Im Im √ 1+ 3i √ √ − 12 + 2 3 i 1 2 + 2 3 i 0 Re 0 Re -1 1 -2 √ √ − 12 − 2 3 i 1 2 − 2 3 i √ 1− 3i Figura 1.8. Le radici seste di 1, cioè le soluzioni di z 6 = 1, sono i vertici di un esagono regolare centrato nell’origine con un vertice in 1 (sinistra). Le soluzioni di z 3 = −8 sono i vertici√di un triangolo equilatero centrato nell’origine e di raggio 3 8 = 2 (destra). Esempio 1.4.5. Come mostrato nella Figura√ 1.8-(destra), le tre solu- zioni dell’equazione z 3 = −8 hanno modulo 3 8 = 2 e argomento π3 , π e 5π 3. Si tratta dei numeri complessi π π π √ z1 = 2e i 3 = 2 cos + i sen = 1 + 3i, 3 3 z2 = 2e iπ = −2, √ i 5π 5π 5π z3 = 2e 3 = 2 cos + i sen = 1 − 3i. 3 3 Esercizio 1.4.6. Calcola le soluzioni dell’equazione z 4 = i. 1.4.7. Teorema fondamentale dell’algebra. Veniamo infine al vero motivo per cui abbiamo introdotto i numeri complessi. Teorema 1.4.7 (Teorema fondamentale dell’algebra). Ogni polinomio a coefficienti complessi ha almeno una radice complessa. Esistono varie dimostrazioni di questo teorema, che possono essere agevolmente trovate in rete. Quelle più accessibili usano degli strumenti analitici che si discostano da quanto trattato in questo libro e quindi le omettiamo. Corollario 1.4.8. Un polinomio p(x) a coefficienti complessi di grado n ha esattamente n radici, contate con molteplicità. Dimostrazione. Dimostriamo il corollario per induzione su n. Possia- mo supporre senza perdita di generalità che p(x) sia monico. Se n = 1 allora p(x) = x − a0 ha una sola radice x = a0. 32 1. NOZIONI PRELIMINARI Dimostriamo il caso generico n dando per buono il caso n −1. Sappia- mo per il teorema fondamentale dell’algebra che p(x) ha almeno una radice a. Quindi per la Proposizione 1.3.2 possiamo scrivere p(x) = (x − a)q(x) dove q(x) è un altro polinomio di grado n − 1. Per l’ipotesi induttiva q(x) ha n − 1 radici contate con molteplicità, e quindi p(x) ha queste n − 1 radici più a, quindi p(x) ha esattamente n radici (sempre contate con molteplicità). Per un polinomio di secondo grado p(x) = ax 2 + bx + c le due radici complesse si trovano usando la nota formula √ −b ± ∆ x± =. 2a √ Qui ± ∆ indica le due radici quadrate complesse di ∆, che coincidono solo se ∆ = 0. Esempio 1.4.9. Le radici del polinomio x 2 + 1 sono ±i. Le radici del polinomio x 2 + (1 − i)x − i sono √ −1 + i ± 2i −1 + i ± (1 + i) x± = =⇒ x± = =⇒ x+ = i, x− = −1. 2 2 Scriviamo il Corollario 1.4.8 in un’altra forma: Corollario 1.4.10. Ogni polinomio p(x) a coefficienti complessi si spez- za come prodotto di polinomi di primo grado: p(x) = an (x − z1 ) · · · (x − zn ) dove an è il coefficiente più grande di p(x) e z1 ,... , zn sono le radici complesse di p(x) contate con molteplicità. 1.4.8. Polinomi a coefficienti reali. Sappiamo che un polinomio p(x) di grado n ha esattamente n soluzioni complesse contate con molteplicità. Se p(x) ha coefficienti reali, possiamo dire qualcosa di più sulle sue radici complesse. Proposizione 1.4.11. Sia p(x) un polinomio a coefficienti reali. Se z è una radice complessa di p(x), allora z̄ è anch’essa radice di p(x). Dimostrazione. Il polinomio è p(x) = an x n + · · · + a1 x + a0 e per ipotesi i coefficienti an ,... , a0 sono tutti reali. Se z è radice, allora p(z) = an z n + · · · + a1 z + a0 = 0. Applicando il coniugio ad entrambi i membri e l’Esercizio 1.4.3 troviamo an z̄ n + · · · + a1 z̄ + a0 = 0̄ = 0. 1.4. NUMERI COMPLESSI 33 Siccome i coefficienti sono reali, il coniugio di ai è sempre ai e quindi an z̄ n + · · · + a1 z̄ + a0 = 0. In altre parole, anche z̄ è radice di p(x). Possiamo dedurre un teorema di spezzamento per i polinomi a coef- ficienti reali che preveda una scomposizione in fattori di grado 2 e 1. I fattori di grado 2 hanno radici complesse z e z̄ coniugate fra loro, quelli di grado 1 hanno radici reali. Corollario 1.4.12. Ogni polinomio p(x) a coefficienti reali si scompone nel modo seguente: p(x) = q1 (x) · · · qk (x) · (x − x1 ) · · · (x − xh ) dove q1 (x),... , qk (x) sono polinomi di grado due a coefficienti reali con ∆ < 0, e x1 ,... , xh sono le radici reali di p(x) contante con molteplicità. Dimostrazione. Ragioniamo come sempre per induzione sul grado n di p(x). Se p(x) ha grado 1 allora p(x) = x − x1 e siamo a posto. Se p(x) ha grado n, ha qualche radice complessa z. Se z è reale, scriviamo z = x1 , spezziamo p(x) = (x − x1 )q(x) e concludiamo per induzione su q(x). Se z è complesso, allora sappiamo che anche z̄ è soluzione. Quindi p(x) = (x − z)(x − z̄)q(x). Se z = a + bi allora q1 (x) = (x − z)(x − z̄) = (x − (a + bi))(x − (a − bi)) = x 2 − 2ax + a2 + b2 è un polinomio a coefficienti reali con ∆ = −4b2 < 0. Scriviamo p(x) = q1 (x)q(x) e concludiamo per induzione su q(x). Abbiamo capito che le radici complesse non reali di un polinomio p(x) a coefficienti reali sono presenti a coppie coniugate z, z̄. In particolare, sono in numero pari. Ne deduciamo il fatto seguente. Proposizione 1.4.13. Un polinomio p(x) a coefficienti reali di grado dispari ha sempre almeno una soluzione reale. Dimostrazione. Sappiamo che p(x) ha grado n dispari e ha n soluzioni complesse contate con molteplicità. Di queste, un numero pari non sono reali. Quindi restano un numero dispari di soluzioni reali – quindi almeno una c’è. Osservazione 1.4.14. Esiste un’altra dimostrazione di questa proposi- zione che usa l’analisi. Siccome p(x) ha grado dispari, i limiti limx→+∞ p(x) e limx→−∞ p(x) sono entrambi infiniti, ma con segni opposti. Quindi la funzione p(x) assume valori sia positivi che negativi. Dal teorema di esi- stenza degli zeri segue che la funzione p(x) assume anche il valore nullo per qualche x0 ∈ R. Quindi x0 è radice di p(x). 34 1. NOZIONI PRELIMINARI 1.5. Strutture algebriche Quando abbiamo introdotto i numeri complessi, abbiamo notato che questi hanno diverse proprietà algebriche simili a quelle dei numeri reali. In questa sezione esplicitiamo queste proprietà e diamo un nome agli insiemi dotati di operazioni che le soddisfano. 1.5.1. Gruppi. Un gruppo è un insieme G dotato di una operazione binaria, cioè di una funzione che associa ad ogni coppia a, b di elementi in G un nuovo elemento di G che indichiamo con a ∗ b. Il simbolo ∗ indica l’operazione binaria. L’operazione deve soddisfare i seguenti tre assiomi: (1) ∃e ∈ G : e ∗ a = a ∗ e = a ∀a ∈ G (esistenza dell’elemento neutro e), (2) a ∗ (b ∗ c) = (a ∗ b) ∗ c ∀a, b, c ∈ G (proprietà associativa), (3) ∀a ∈ G, ∃a0 ∈ G : a ∗ a0 = a0 ∗ a = e (esistenza dell’inverso). Ad esempio, l’insieme Z dei numeri interi con l’operazione di somma è un gruppo. Infatti: (1) esiste l’elemento neutro 0, per cui 0 + a = a + 0 = a ∀a ∈ Z, (2) vale la proprietà associativa a+(b+c) = (a+b)+c ∀a, b, c ∈ Z, (3) ogni numero intero a ∈ Z ha un inverso a0 = −a, per cui a + (−a) = (−a) + a = 0. Notiamo invece che non sono gruppi: l’insieme Z con la moltiplicazione, perché non è soddisfatto (3), l’insieme N con la somma, sempre perché non è soddisfatto (3). Il gruppo G è commutativo se vale anche la proprietà commutativa a ∗ b = b ∗ a ∀a, b ∈ G. I numeri interi Z formano un gruppo commutativo. Formano un grup- po commutativo anche gli insiemi numerici Q, R e C con l’operazione di somma. Un altro esempio di gruppo è l’insieme Sn formato da tutte le n! permutazioni dell’insieme X = {1,... , n}, con l’o- perazione ◦ di composizione, si veda la Sezione 1.2.5. Sappiamo infatti che: (1) esiste l’elemento neutro id ∈ Sn , la permutazione identità id(i) = i, (2) vale la proprietà associativa ρ◦(σ ◦τ ) = (ρ◦σ)◦τ , ∀ρ, σ, τ ∈ Sn , (3) ogni permutazione σ ha una inversa σ −1. Il gruppo Sn delle permutazioni è detto gruppo simmetrico. A diffe- renza dei gruppi numerici Z, Q, R e C, notiamo che Sn contiene un numero finito di elementi e non è commutativo se n ≥ 3: è facile trovare permu- tazioni che non commutano, ad esempio le trasposizioni (1 2) e (2 3) non 1.5. STRUTTURE ALGEBRICHE 35 commutano: (2 3 1) = (1 2)(2 3) 6= (2 3)(1 2) = (1 3 2). In algebra si dimostrano vari teoremi sui gruppi. Il primo fatto da notare è che in un gruppo l’inverso di un qualsiasi elemento a ∈ G è sempre unico. Proposizione 1.5.1. Se ∃a, a0 , a00 ∈ G tali che a ∗ a0 = a0 ∗ a = e, a ∗ a00 = a00 ∗ a = e, allora a0 = a00. Dimostrazione. Troviamo a0 = a0 ∗ e = a0 ∗ (a ∗ a00 ) = (a0 ∗ a) ∗ a00 = e ∗ a00 = a00. La dimostrazione è conclusa. Un altro fatto importante è che con i gruppi si può semplificare. Se troviamo una espressione del tipo a∗b =a∗c con a, b, c ∈ G, allora possiamo moltiplicare per l’inverso a−1 a sinistra in entrambi i membri e ottenere a−1 ∗ a ∗ b = a−1 ∗ a ∗ c =⇒ b = c. Notiamo che abbiamo usato l’esistenza dell’inverso e la proprietà associa- tiva. 1.5.2. Anelli. Negli insiemi numerici Z, Q, R e C ci sono in realtà due operazioni + e ×. Introduciamo adesso una struttura algebrica che prevede la coesistenza di due operazioni binarie. Un anello è un insieme A dotato di due operazioni binarie + e × che soddisfano questi assiomi: (1) A è un gruppo commutativo con l’operazione +, (2) a × (b × c) = (a × b) × c ∀a, b, c ∈ A (proprietà associativa del ×), (3) a×(b+c) = (a×b)+(a×c) ∀a, b, c ∈ A (proprietà distributiva), (4) ∃1 ∈ A : 1 × a = a × 1 = a ∀a ∈ A (elemento neutro per il ×). Gli interi Z con le operazioni di somma e prodotto formano un anello. L’elemento neutro della somma è lo 0, mentre quello del prodotto è 1. Anche gli insiemi Q, R e C sono un anello con le operazioni di somma e prodotto. Un anello è commutativo se vale la proprietà commutativa anche per il prodotto: a × b = b × a ∀a, b ∈ A. Gli anelli Z, Q, R e C sono tutti commutativi. In un anello A gli elementi neutri per le operazioni + e × sono generalmente indicati con 0 e 1. Dagli assiomi di anello possiamo subito dedurre qualche teorema. Ad esempio: Proposizione 1.5.2. Vale 0 × a = a × 0 = 0 per ogni a ∈ A. 36 1. NOZIONI PRELIMINARI Figura 1.9. Intersezione, unione, differenza e differenza simmetrica di due insiemi. Dimostrazione. Abbiamo 0 × a = (0 + 0) × a = 0 × a + 0 × a. Semplificando deduciamo che 0 = 0 × a. Dimostrazione analoga per a × 0. 1.5.3. Campi. Definiamo infine un’ultima struttura algebrica, che è forse quella più importante in questo libro. Un campo è un anello commutativo K in cui vale anche il seguente assioma: ∀a ∈ K, a 6= 0 =⇒ ∃a0 ∈ K : a×a0 = a0 ×a = 1 (esiste inverso per il prodotto) Chiediamo quindi che ogni elemento a diverso da zero abbia anche un inverso rispetto al prodotto. Esempi di campi sono Q, R e C. Notiamo invece che Z non è un campo, perché ovviamente 2 non ha un inverso per il prodotto dentro l’insieme Z. Riassumendo: N non è un gruppo. Z è un anello ma non è un campo. Q, R e C sono campi. In modo analogo alla Proposizione 1.5.1 dimostriamo che, in un qual- siasi anello A, se un elemento a ∈ A ha un inverso per il prodotto, questo è unico. L’inverso per il prodotto di a è generalmente indicato con a−1. Esercizi √ Esercizio 1.1. Sia n ∈ N. Dimostra che n è razionale ⇐⇒ n è il quadrato di un numero naturale. Esercizio 1.2. Dimostra che esistono infiniti numeri primi, nel modo seguen- te. Se per assurdo ne esistesse solo un numero finito p1 ,... , pn , allora mostra che il numero p1 · · · pn + 1 non è divisibile per nessuno di loro. Esercizio 1.3. La differenza simmetrica di due insiemi A e B è l’insieme A∆B = (A \ B) ∪ (B \ A). Si veda la Figura 1.9. Mostra che ∆ è commutativa e associativa: A∆B = B∆A, (A∆B)∆C = A∆(B∆C). Esercizio 1.4. Dato un insieme X, l’insieme delle parti P(X) è l’insieme formato da tutti i sottoinsiemi di X, incluso il vuoto ∅ e X stesso. Ad esempio, se X = {1, 2}, P(X) = ∅, {1}, {2}, {1, 2}. ESERCIZI 37 Mostra che se X contiene n elementi allora P(X) ne contiene 2n. Esercizio 1.5. Mostra per induzione l’uguaglianza seguente per ogni n ≥ 1: n X n(n + 1)(2n + 1) k2 =. k=1 6 Esercizio 1.6. Mostra per induzione che qualsiasi numero del tipo n3 + 2n con n ∈ N è divisibile per 3. Esercizio 1.7. Dimostra per induzione su n che n rette a coppie non parallele dividono il piano in (n+1)n 2 + 1 regioni differenti. Esercizio 1.8. Determina l’unica fra le seguenti che non è una relazione di equivalenza su R: x ∼ y ⇐⇒ x − y ∈ Z, x ∼ y ⇐⇒ x 3 − 4x = y 3 − 4y , x ∼ y ⇐⇒ x 6= y + 1. Esercizio 1.9. Sia f : A → B una funzione e S, T ⊂ A due sottoinsiemi. Dimostra: f (S ∪ T ) = f (S) ∪ f (T ), f (S ∩ T ) ⊂ f (S) ∩ f (T ). Costruisci un esempio in cui l’inclusione ⊂ è stretta e un altro esempio in cui è un’uguaglianza. Esercizio 1.10. Sia f : A → B una funzione e S, T ⊂ B due sottoinsiemi. Dimostra: f −1 (S ∪ T ) = f −1 (S) ∪ f −1 (T ), f −1 (S ∩ T ) = f −1 (S) ∩ f −1 (T ). Esercizio 1.11. Sia X un insieme finito. Mostra che una funzione f : X → X è iniettiva ⇐⇒ è suriettiva. Mostra che questo fatto non è necessariamente vero se X è infinito. Esercizio 1.12. Sia p(x) un polinomio e p 0 (x) la sua derivata. Sia a una radice di p(x) con molteplicità m ≥ 1. Mostra che a è radice di p 0 (x) se e solo se m ≥ 2, ed in questo caso a è radice di p 0 (x) con molteplicità m − 1. Esercizio 1.13. Determina tutte le radici del polinomio complesso z 4 = −16. Esercizio 1.14. Determina tutti i numeri complessi z tali che z 4 = z̄ 3. Esercizio 1.15. Sia n ∈ N, n ≥ 1 fissato. Considera l’insieme Cn = {0, 1,... , n − 1} e definisci la seguente operazione binaria ∗ su Cn : per ogni x, y ∈ Cn , l’elemento x ∗ y ∈ Cn è il resto della divisione di x + y per n. Mostra che Cn con questa operazione ∗ è un gruppo commutativo con elemento neutro 0. Il gruppo Cn si chiama il gruppo ciclico do ordine n. L’operazione ∗ è generalmente chiamata somma ed indicata con il simbolo +. Esercizio 1.16. Sia n ≥ 2. Sul gruppo ciclico Cn definito nell’esercizio precedente definiamo analogamente il prodotto x · y come il resto della divisione di xy per n. Mostra che Cn con le operazioni di somma e prodotto appena definite è un anello commutativo. Per quali valori di n secondo te Cn è un campo? 38 1. NOZIONI PRELIMINARI Esercizio 1.17. Considera l’insieme di numeri complessi S = {z ∈ C | |z| = 1}. Mostra che S è un gruppo con l’operazione di prodotto. Chi è l’elemento neutro? Esercizio 1.18. Un elemento a ∈ A in un anello A è invertibile se esiste un inverso a−1 per il prodotto, cioè un elemento tale che a × a−1 = a−1 × a = 1. Dimostra che il prodotto ab di due elementi invertibili è anch’esso invertibile, e che (ab)−1 = b−1 a−1. Complementi 1.I. Infiniti numerabili e non numerabili. Nella matematica basata sulla teoria degli insiemi, gli infiniti non sono tutti uguali: ci sono infi- niti più grandi di altri. Descriviamo questo fenomeno in questa sezione, concentrandoci soprattutto sugli insiemi numerici N, Z, Q e R. Questi in- siemi sono tutti infiniti, ma mentre i primi tre hanno tutti lo stesso tipo di infinito, l’ultimo è in un certo senso più grande dei precedenti. Tutto parte come sempre dalla teoria degli insiemi e dalle funzioni. Definizione 1.5.3. Un insieme infinito X è detto numerabile se esiste una bigezione fra N e X. Gli insiemi numerabili sono tutti in bigezione con N e quindi anche in bigezione fra loro: possiamo dire che contengono “lo stesso numero di elementi”, anche se questo numero è chiaramente infinito. Concretamente, scrivere una bigezione f : N → X equivale a rappre- sent