Emoglobinopatie, Talassemie, Anemia Falciforme PDF
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2022
Rusnati Marco
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Summary
These lecture notes cover hemoglobinopathies, thalassemia, and sickle cell anemia. The document details the genetic causes, the role of hemoglobin in oxygen transport, and the different types of hemoglobin throughout different stages of development.
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Sbobinatore: Giliberti Damiana, Lorandi Cristian, Venturini Andrea, Saronni Davide...
Sbobinatore: Giliberti Damiana, Lorandi Cristian, Venturini Andrea, Saronni Davide Revisore: Lorandi Cristian, Giliberti Damiana, Saronni Davide, Venturini Andrea Materia: Patologia Generale Docente: Rusnati Marco Data: 23/09/2022 Lezione n° 4 Argomento: Emoglobinopatie, Talassemie, Anemia falciforme Comunicazioni: nessuna Riassunto/integrazione: nessuna EMOGLOBINOPATIE INTRODUZIONE AL PERCORSO PATOGENETICO Ci troviamo nell’ambito dell’eziologia da cause intrinseche, ovvero l’ambito del genoma come causa di patologia. Descrivendo le caratteristiche generali delle malattie genetiche e della loro patogenesi, che è l’aspetto fondamentale per la comprensione di una patologia, si era fatto riferimento alle emoglobinopatie. Queste: Sono malattie genetiche che interessano l’emoglobina, e quindi il trasporto di O2 nel sangue verso gli organi del nostro corpo Sono malattie molto studiate di cui si hanno molti dati a riguardo e i quali meccanismi sono i più conosciuti1 Rappresentano l’esempio migliore per comprendere tutti gli aspetti di un percorso patogenetico di una patologia: si parte dal gene, con gli effetti primari, per passare ai livelli superiori, definiti cippi miliari o milestones, distribuiti sul percorso patogenetico. Troviamo come primo cippo il DNA, poi l’emoglobina e come terzo e ultimo cippo identificabile il livello cellulare, ovvero le emazie o globuli rossi, in quanto il cippo precedente, cioè l’emoglobina, è contenuta esclusivamente in queste cellule. Qualsiasi altra sua localizzazione, soprattutto quella extracellulare o libera, è indice di una situazione patologica. A livello delle emazie il percorso patogenetico, che fino a quel momento è rimasto lineare e unico, si divide in tanti percorsi paralleli: passando dalle cellule al livello d’organo, infatti, non troviamo un organo preciso interessato, ma è più semplice elencare gli organi non interessati, dato che i globuli rossi svolgono una funzione fondamentale in tutto l’organismo. Si potrà a questo punto intraprendere il percorso, per esempio, del rene o del cervello o della milza o di qualsiasi altro organo. EMOGLOBINA Struttura e funzione I meccanismi attraverso i quali le mutazioni geniche amplificano i loro effetti rendendo evidente il fenotipo malato sono stati proficuamente studiati a livello dell’emoglobina (Hb), delle sue funzioni e dei geni che la codificano. L’emoglobina si trova fisiologicamente solo all’interno dei globuli rossi, mentre libera indica emolisi e quindi una condiziona patologica. L’emoglobina si occupa di trasportare l’O2 nel sangue, captandolo a livello polmonare2 e cedendolo ai tessuti periferici. Questa proteina è un tetramero formato da 4 catene globiniche uguali a 2 a 2 che possiede oltre alle strutture primaria, secondaria e terziaria anche una struttura quaternaria: essendo multimerica presenta un’associazione3 non covalente tra le quattro catene. La struttura terziaria delle catene globiniche identifica una “tasca” entro la quale va a posizionarsi un anello tetrapirrolico definito gruppo eme, struttura peculiare in quanto non presenta una natura peptidica ma è una sostanza chimica. Il nostro organismo degrada facilmente le proteine per poi riutilizzare gli aminoacidi da cui sono composte, perciò in presenza di emolisi, e quindi di una quantità eccessiva di emoglobina extracellulare, l’organismo riconosce la situazione come patologica e degrada la proteina. L’anello pirrolico non può però essere degradato così rapidamente a causa della sua natura diversa, e viene riconosciuto come una proteina esogena, pur non essendolo, perché normalmente si trova nell’emoglobina che a sua volta si localizza all’interno dei globuli rossi, quindi in posizione intracellulare. Si occupa del suo smaltimento e della sua 1 Un importante contributo è stato fornito storicamente dagli studiosi italiani in quanto l’anemia falciforme e l’anemia mediterranea sono endemiche e frequenti in Italia 2 Durante la gestazione, invece, l’ossigeno viene “strappato” dai globuli rossi della madre a livello placentare 3 Un’errata associazione comporta uno stato patologico 22 eliminazione il fegato. Nel caso di emolisi accade che quest’organo non riesce a sostenere il ritmo con cui i gruppi eme vengono liberati e si crea un accumulo di un suo intermedio metabolico nel sangue, la bilirubina, determinando l’ittero. Il gruppo eme coordina gli atomi di ferro svolgendo la funzione dell’emoglobina di legare l’O2 a livello polmonare permettendone il rilascio nei tessuti. Questo avviene in base non solo alla legge di azione di massa4 ma anche in base al pH: a livello periferico è presente un pH più basso che determina una modificazione nella struttura dell’emoglobina e del gruppo eme favorendo il distacco dell’O2. Il gruppo eme, e di conseguenza l’O2, sono stabilizzati nell’emoglobina con un legame forte (legame di coordinazione), ma non covalente, da alcuni amminoacidi che si trovano nella tasca proteica e che risultano quindi importanti per la struttura e la funzione della proteina: una variazione di questi determina una mutazione con una penetranza elevata (se non completa) con effetti quaternari, come nel caso dell’anemia falciforme. In presenza di questa patologia viene mutato proprio uno degli amminoacidi che stabilizzano l’eme e quindi il legame con l’O2. I geni dell’emoglobina L’emoglobina può essere composta da diverse globine che formano diversi tipi di questa proteina, ognuna con un particolare ruolo svolto nei diversi stadi dell’ontogenesi a seconda delle necessità in ogni fase. Ciascuna globina è codificata da un gene e quindi esisteranno diversi geni per la sintesi di questa proteina. L’organizzazione genica delle catene globiniche è complessa: i geni che codificano per queste catene si trovano infatti su due cluster genici su due cromosomi diversi, il cromosoma 11 e il cromosoma 16. Cromosoma 16 Sul cromosoma 16 è presente il cluster di geni che codifica per le globine α. Queste catene sono di due tipi: α propriamente dette (sulla destra) ζ (sulla sinistra) Se dovessimo seguire la legge “un gene, un enzima” dovremmo avere due globine α e due globine ζ; questo però non succede in quanto si hanno due geni α (α1 e α2) e due geni ζ (ζ1 e ζ2) solo per catene di tipo α. La presenza di due geni per tipo in questo caso è dovuta a mutazione non puntiforme: ancestralmente è quindi avvenuta un’enorme mutazione puntiforme che ha portato ad una duplicazione sia del gene α che del gene ζ, che si è rivelata vantaggiosa e si è quindi fissata e tramandata. Avere quattro geni per la stessa globina è un esempio di ridondanza genetica ed una sicurezza dato che, nel caso in cui un gene mutasse, ne rimarrebbero ancora tre completamente funzionali, sopperendo alla mancata azione di quello alterato, garantendo una corretta quantità di emoglobina. È poi presente il gene Ψα (pseudoalfa): il prefisso “pseudo” indica la somiglianza alla sequenza di α ma anche una mancata funzionalità; per questo viene definito “gene5” vestigiale, privo di utilità. Per arrivare all’attuale sequenza ancestralmente si è andati incontro non solo ad una duplicazione, ma anche ad una triplicazione del gene α. Per capire come Ψα si sia inattivato bisogna considerare che i geni in un cromosoma possono trovarsi più internamente o possono essere più esternamente, e quindi maggiormente esposti agli agenti genotossici e quindi con una maggiore probabilità di mutazione. Questo è quello che è avvenuto nel caso del gene precursore di Ψα: ha subito un elevato numero di mutazioni che l’hanno reso privo di funzionalità. I geni α1 e α2 invece sono rimasti attivi. Cromosoma 11 L’organizzazione del cromosoma 11 è ancora più complessa: sono presenti ben quattro tipi di catene globiniche che vengono definite catene non-α. Queste sono: β γ δ ε 4 Maggiore è la quantità di ossigeno che si trova nei polmoni, maggiore è la pressione e più O2 si sposterà sull’emoglobina. A livello periferico minore è la quantità di ossigeno, minore è la pressione di O2 e quindi maggiore sarà la quantità di O2 a staccarsi dall’emoglobina 5 il professore sottolinea come ritiene più corretto definirlo sequenza e non gene dato che non codifica per alcuna proteina 23 I geni δ e ε sono presenti in un’unica copia, mentre β ha subito una triplicazione: tuttavia, a differenza di quanto era successo con il gene α, ben due delle tre copie sono andate incontro a una serie di mutazioni che hanno portato alla loro inattivazione e quindi alla denominazione Ψβ1 (pseudobeta1) e Ψβ2 (pseudobeta2)6. Per quanto riguarda γ possiamo notare come sia andato incontro ad una duplicazione, come α, ma come i nomi dei due geni siano Gγ e Aγ e non γ1 e γ2: i due suffissi fanno infatti riferimento rispettivamente agli amminoacidi glicina e alanina, in quanto questi due geni si diversificano proprio per la presenza delle due diverse triplette e l’espressione di questi due amminoacidi. La diversa sequenza è dovuta ad una mutazione conservativa7 avvenuta ancestralmente in uno dei due geni che l’ha reso strutturalmente diverso dall’altro8 ma che ha permesso di mantenere la stessa funzione; si tratta quindi di un’alterazione primaria che può essere scoperta solamente con il sequenziamento. Emoglobina e ontogenesi Sono presenti diverse tipologie di emoglobina che agiscono nelle varie fasi dell’ontogenesi a partire da quella embrionale fino all’età adulta9 a seconda delle esigenze di ossigenazione che variano nel tempo. Il reperimento dell'ossigeno è infatti diverso tra la vita intrauterina e quella extrauterina: Nella vita intrauterina l'ossigeno viene reperito dalla placenta, è quindi di provenienza materna. Per questo motivo in epoca embrionale e fetale vi è la necessità di un’emoglobina che abbia un'affinità per l'ossigeno molto maggiore rispetto a quella della madre. Negli adulti invece l’ossigeno molecolare che arriva al livello degli alveoli polmonari viene caricata dall'emoglobina vuota senza avere antagonisti, cosa che invece succede a livello dell'interfaccia della placenta nella vita intrauterina. La vita dell’individuo viene distinta in tre fasi: embrionale fetale post-natale Il grafico riporta sull’ascissa i mesi di gestazione fino ad un anno di vita, dato che dalla nascita in poi la situazione non cambia, mentre sull’ordinata troviamo la percentuale delle globine presenti nei vari stadi ontogenetici che determinano l’assemblamento dell’emoglobina. Fisiologicamente si avrà sempre emoglobina formata da due catene α e due catene non-α. Nello specifico: fase embrionale: 80% di catena α e 80% di catena γ, 70% di catena ε, 60% di catena ζ mentre mancano completamente le catene β e δ fase fetale (dal 3° al 9° mese): elevata presenza di α e di γ, ε e ζ smettono di essere sintetizzate, β è poco prodotta e δ non è ancora espressa dalla nascita in poi: α e β rappresentano la maggioranza di catene mentre γ e δ sono poco prodotte Parlando di percentuali di globine nel sangue si parla anche di espressione genica dato che: per 100% di catene α si intende che l’espressione del gene codificante per essa è 100% e quindi che le sue sequenze di controllo sono liberamente accessibili a RNA polimerasi per 0% di catene β si intende che l’espressione per il gene codificante per essa è 0% e che quindi le sue sequenze controllo sono legate a dei repressori, che vengono poi rimossi al momento della nascita: da quel momento l’RNA polimerasi riesce ad accedere al gene e si sintetizza la globina β Durante l’ontogenesi l’espressione di tutte le globine cambierà ad eccezione di α che rimarrà costante, e questo dimostra come quest’ultima sia la catena più importante per tutta la vita, insostituibile ed essenziale a tal punto da averne quattro copie10. β e γ sono esattamente speculari: questo significa che il momento in cui il repressore si toglie da β corrisponde al momento in cui il repressore si lega a γ. 6 A causa della loro inutilità il professore afferma come si consideri solo β come unico gene di sintesi della globina β 7 I due amminoacidi fanno parte dello stesso gruppo biochimico 8 Non si sa quale dei due rappresenta la sequenza originale 9 Il professore specifica come serva considerare l’individuo fin dal concepimento per comprendere il lucido, a prescindere dal pensiero etico di ciascuno 10 Nel caso in cui non vengano espresse le catene α, durante la fase embrionale ζ sopperisce e argina il problema, ma dalla fase fetale in poi la sua azione non è più sufficiente, e si ha l’idrope feto-placentale e aborto spontaneo 24 δ è trascurabile, viene infatti trascritta in piccole quantità a partire dalla nascita e rappresenta al massimo il 10% delle catene presenti nell’adulto, mentre la quasi totalità delle catene non-α è rappresentata dalla catena β. Il motivo per cui δ è comunque stata mantenuta e non eliminata completamente nel corso dell’evoluzione è il fatto che δ è fondamentale nei soggetti che non hanno una corretta espressione della catena β, come coloro che presentano anemia falciforme o β-talassemia. Nei casi più gravi (omozigosi) non essendoci l’espressione della catena β, infatti, la formazione di emoglobina è permessa dalla catena δ, e questo fa vivere meglio gli anni che questa patologia permette di vivere, ma non di estendere l’aspettativa di vita. Associazione delle catene globiniche Per formare l’emoglobina si aggregano quattro catene globiniche, uguali a due a due, due di tipo α e due di tipo non-α, che variano a seconda della fase ontogenetica in cui ci troviamo. A livello embrionale troviamo diverse combinazioni delle catene α embrionali, sia del gene α che del gene ζ, con due catene embrionali non-α, le catene ε e γ. A causa della complessità e dell’importanza della fase embrionale (primi tre mesi di gestazione), troviamo ben tre tipologie di emoglobina in circolo: glower1 (ζ 2ε2) glower2 (α2ε2) Portland (ζ 2γ2). Dopo i tre mesi di gestazione consideriamo la fase fetale, dal 3° al 9° mese di gravidanza, durante la quale la quasi totalità è rappresentata dell’emoglobina fetale HbF (α2γ2). Dopo la nascita, passando ad una respirazione di tipo polmonare, le tipologie di emoglobina utilizzate durante la gestazione non sono più funzionali, smettiamo quindi di esprimere i geni ζ, ε e γ e si iniziano ad esprimere esclusivamente le catene α e β11, che rappresentano il 97% delle catene globiniche. Nello specifico si ha: HbA → α2β2 (97%), forma più importante, svolge la funzione peculiare di trasporto dell’O2 HbA2 → α2δ2 (2%), di minore importanza a causa della presenza di HbA HbF → α2γ2 (1%), che permane nell’adulto ma che non ha rilevanza in condizioni fisiologiche Così come si è descritto in precedenza per δ, anche la continua espressione di γ e la conseguente formazione di HbF sono irrilevanti per i soggetti sani, ma fondamentali per coloro che soffrono di β-talassemia, in quanto questa variante di emoglobina rappresenta insieme ad HbA2 l’unico tipo di emoglobina presente che permette la sopravvivenza. A livello fetale è necessario “strappare” dalle emazie materne l’O2, che però si trova già legato ad HbA con un legame vero e proprio stabile. L’unico modo per ottenerlo sarà quello di prenderlo con la forza, ovvero una maggiore affinità, ed è per questo che HbF presenta un’affinità significativamente maggiore a quella di HbA. L’emoglobina fetale, però, a causa della sua grande forza di legame, farà anche fatica a rilasciare l’O2: a livello fetale non rappresenta una problematica mentre nell’adulto, cedendo meno O2, è meno funzionale di HbA e averne in grandi quantità è estremamente sconveniente e comporta uno stato patologico12. CLASSIFICAZIONE DELLE MALATTIE GENETICHE DELL’EMOGLOBINA I geni che codificano per l’emoglobina possono subire diversi tipi di mutazioni geniche che determinano diversi fenotipi (malattie più o meno conclamate13), le emoglobinopatie. Tali malattie possono essere classificate in due grandi gruppi, a seconda che la mutazione determini difetti quantitativi o qualitativi nella produzione delle globine: Difetti qualitativi: mutazioni a livello di sequenze codificanti, determinano le emoglobinopatie propriamente dette Difetti quantitativi: mutazioni a livello di sequenze controllo, determinano le talassemie 11 L’espressione di δ è trascurabile, con l’eccezione dei casi spiegati precedentemente 12 Il quadro patologico verrà affrontato più avanti 13 La diagnosi di una talassemia di solito non si realizza a partire dai sintomi peculiari come nel caso di un bambino sottopeso, sofferente, pallido, con ritardo mentale e dilatazioni ossee, ma nella maggior parte dei casi si avranno fenotipi non evidenti e sarà possibile diagnosticare la patologia con gli esami del sangue 25 Indipendentemente dal tipo di difetto, la manifestazione fenotipica principale di queste patologie è l’anemia. Questo non significa che sia la conseguenza più grave determinata dalle patologie in analisi, dato che ci sono altri effetti che vengono amplificati a livello di altri organi. La mancanza di globuli rossi rappresenta l’ultimo punto comune lungo il percorso patogenetico, dopodiché si formano le diverse vie parallele con una serie di ripercussioni a livello dei vari organi. LE TALASSEMIE Le talassemie sono disordini genetici ed ereditari della sintesi di emoglobina nelle quali un difetto genetico comporta la riduzione quantitativa, o addirittura l’abolizione della sintesi, di una o più catene emoglobiniche, in particolare della globina β. Possono essere a loro volta classificate in: α-talassemie: parziale o completa assenza dell’α-globina, che determina un mancato assemblaggio dell’emoglobina. La principale manifestazione patologica è l’anemia. A livello embrio-fetale non determina anemia ma gravi problemi di sviluppo che portano a idrope feto placentare e aborto spontaneo. β-talassemie: manca la catena della β-globina, che determina il mancato assemblaggio dell’emoglobina. La principale manifestazione patologica è l’anemia. Durante la gestazione non determina effetti patologici dato che la catena non è trascritta. Le α-talassemie che determinano un effetto quaternario, e quindi dei sintomi, sono rare grazie ai quattro geni codificanti per la globina α che garantiscono una corretta quantità di emoglobina anche in presenza di una o due o tre mutazioni inattivanti su questi. Per la globina β, invece, esiste un solo gene, e in caso di inattivazione i sintomi si mostreranno immediatamente, motivo per il quale le β-talassemie hanno una maggiore rilevanza clinica14. CORRELAZIONE TRA TALASSEMIE E MALARIA Il prefisso “talassa-“ proviene dal greco e significa “mare”; con talassemia si indica quindi una patologia che è più frequente in aree con presenza del mare. In passato, infatti, si notò come queste malattie fossero più comuni in zone costiere e paludose similmente ad un’altra patologia, la malaria; fu poi scoperta una stretta associazione tra quest’ultima e le emoglobinopatie. Potrebbe sembrare contro-intuitivo il fatto che in un soggetto già malato si presenti più facilmente la malaria, ma la situazione è esattamente opposta: nel caso degli individui eterozigoti; quindi, con una gravità limitata e una qualità di vita pressoché normale, questi risultano essere protetti dalla malaria. Vengono punti dall’Anopheles e infettati tanto quanto i sani, ma il Plasmodium Malariae compie una fase del suo ciclo biologico nei globuli rossi, che negli individui talassemici eterozigoti risultano più resistenti di quelli degli individui sani. In conclusione, c’è una co-selezione tra le due patologie. CLASSIFICAZIONE DELLE β-TALASSEMIE La classificazione delle β-talassemie viene fatta in base al difetto che caratterizza il gene per le β globine. Bisogna dimenticarsi del ruolo di medico, assumendo l’atteggiamento dello scienziato che guarda il gene per studiare la mutazione presente e quindi lo stato patologico; guardando il difetto che interessa il singolo gene si possono definire 5 tipi diversi di β-talassemie: β+ talassemia (ridotta sintesi di β globine) β0 talassemia (mancata sintesi di β globine) Hb lepore (fusione dei geni δ e β) Hb kenia (fusione dei geni γA e β) HPFH (persistenza ereditaria di emoglobina F) Si ricorda che questo tipo di classificazione dà un’informazione solo parziale sulla gravità del fenotipo (quindi sulla prognosi) del paziente, in quanto, guardando solo al singolo gene, non tiene conto dell’assetto genotipico, ovvero se il difetto è presente in omo- o eterozigosi.15 Si possono dunque osservare individui omozigoti o eterozigoti con manifestazioni cliniche di gravità diversa. 14 Per questo motivo il professore decide di trattare solo di questo secondo gruppo, tralasciando l’analisi delle α-talassemie. Rivela che in realtà c’è anche un secondo motivo, ovvero che il primo gruppo è estremamente complesso e di difficile comprensione. 15 Più avanti vedremo che ci sono forme di β+ talassemia omozigote che sono molto più gravi di un β0 eterozigote, quando invece, analizzando il singolo gene, è chiaro che β+ è meno grave di β0 26 Nel caso di β0 si ha mancanza di produzione della catena del 50% o del 100%, mentre per quanto riguarda β+ invece si identificano mutazioni che determinano una continuità di fenotipi16, che spaziano dal 100% allo 0% della diminuita produzione della proteina. Mentre β0 identifica un gene che non produce globina, con β+ si identificano moltissime possibilità, ad esempio: β+ talassemici che producono il 99% di globina rispetto al wild-type, indistinguibili dal wild-type; β+ talassemici che dimezzano la produzione della globina; β+ talassemici che producono l’1% di globina rispetto al wild-type, situazione indistinguibile dal β0. Abbiamo poi anche l’emoglobina lepore e l’emoglobina kenia. Si tratta di mutazioni in cui c’è stato un crossing over non equilibrato, e quindi sono stati spostati interi geni (o dei pezzi) per le globine, causando la fusione, nel caso dell’Hb lepore, di geni δ e β, portando alla formazione di geni zetici17 formati da pezzi diversi. La stessa cosa è successa per l’Hb kenia, data dalla fusione dei geni γA e β. L’ultima situazione è quella dell’HPFH (high persistent fetal hemoglobin). Non si tratta di una patologia, ma di una situazione anomala, in cui l’individuo talassemico presenta una quantità di Hb fetale maggiore rispetto alla situazione fisiologica dell’1%. Questa persistenza si ha nel caso in cui il repressore, che normalmente dovrebbe inibire l’espressione del gene F, a causa di una mutazione non si lega bene. L’RNA polimerasi continua quindi a trascrivere il gene F e viene prodotta la proteina. Si tratta di una situazione anomala e non patologica perché, pur essendo l’Hb fetale “egoista”, per una paziente β0 avere una HPFH è un “vantaggio”, perché aiuta la previsione e la qualità di vita, anche se comunque, dal punto di vista medico, una condizione β0 con presenza di HPFH e catene δ non permette all’individuo di avere una vita normale. ORGANIZZAZIONE DEL GENE PER LE β-GLOBINE Le mutazioni che causano β-talassemia devono avvenire nel gene per le β-globine, rappresentato schematicamente in figura. Si tratta di un tipico gene eucariotico, composto da 3 esoni, intervallati da 2 introni, sequenze di controllo e sequenza di poliadenilazione.18 Il gene viene quindi trascritto prima in hnRNA (il trascritto primario), il quale, uscendo dal nucleo, subisce lo splicing, ovvero la excisione o rimozione degli introni, ottenendo l’mRNA maturo. Si ha così la traduzione in peptide lineare, che attraverso folding troverà corretta conformazione. Infine, si ha l’assemblaggio tra 2 catene α con 2 catene non α. Quest’ultimo passaggio costituisce un altro punto di blocco in cui si può arrivare all’assemblaggio di emoglobine non fisiologiche. BASI MOLECOLARI DI β0 TAL E β+ TAL Quali sono le mutazioni che danno β0 tal e β+ tal? Generalmente non ci sono delezioni per il gene della globina β, ad eccezione delle Hb lepore e kenia.19 16 “non c’è solo bianco o solo nero” 17 Dalla registrazione non si capisce esattamente quale termine utilizzi il professore 18 Qui gli introni vengono definiti con il termine desueto “ivs” (intervening sequences), ad indicare che queste sequenze intervengono tra un esone e l’altro e poi vengono eliminate 19 Delle quali però non parleremo a causa della minor frequenza e della complessità 27 Si tratta principalmente di piccole mutazioni (frequentemente puntiformi) a livello di tutte le strutture del gene: introni, esoni, sequenze di controllo e sequenza di poliadenilazione a cui si aggiungono le consensus sequences e le flanking regions. Quest’ultime sono due strutture essenziali per un corretto splicing. Meccanismo di splicing Lo splicing avviene secondo il seguente meccanismo: si ha l’avvicinamento delle estremità degli esoni che fa sì che gli introni prendano una forma ad anello (loop), le giunzioni tra esoni ed introni vengono riconosciute da delle endonucleasi che tagliano in un punto preciso, e si ha infine l’intervento delle ligasi che uniscono le estremità dei due esoni. Lo splicing deve essere estremamente preciso, poiché anche un taglio di una base (in più o in meno) potrebbe portare a conseguenze gravi quali il frame-shift. I confini tra esoni ed introni devono pertanto essere perfettamente riconoscibili dagli enzimi di splicing (endonucleasi). Queste zone di confine sono proprio le consensus sequences, e corrispondono solo a un doppietto di basi azotate: GT a cavallo tra un esone e un introne, e AG tra un introne e l’esone successivo. L’endonucleasi può tagliare solo tra una G e una T e tra una A e una G, permettendo quindi l’unione tra la G dell’esone precedente e la G dell’esone successivo. Tali coppie non si trovano però solo a livello di confine, ma si possono incontrare potenzialmente in tutti i punti del gene. Come fa l’enzima di splicing a scegliere tra tutte le GT e AG quelle giuste? Grazie alle flanking regions. Queste sono formate da 10 basi azotate che stanno in 5’ e in 3’ rispetto alle consensus sequence, e la loro funzione è di far assumere alla consensus sequence una struttura tridimensionale20 precisa, che è più esposta e più riconoscibile dalle endonucleasi rispetto alle altre GT e AG. L’enzima di splicing, quindi, taglia il GT e riconosce la struttura terziaria formata dalle consensus sequence e dalle flanking regions. Abbiamo detto che le mutazioni possono verificarsi in tutte le strutture del gene delle β-globine. Dipendentemente da dove cadono, le mutazioni possono determinare delle alterazioni nella: Trascrizione, nel caso in cui cadano in promoter ed enhancer. Impedendo all’RNA polimerasi di legarsi al gene si avrà quindi un difetto quantitativo di RNA (e quindi della proteina); Maturazione dell’RNA, nel caso in cui cadano in consensus sequences o flanking regions. Ai ribosomi arriveranno meno mRNA maturi, e quindi ancora si ha un difetto quantitativo; Traduzione dell’mRNA Come si può vedere nell’immagine si possono avere mutazioni anche a livello di esoni ed introni. In questo caso ci si aspetterebbe di avere delle conseguenze di tipo qualitativo, il che non avrebbe senso dato che le talassemie sono dei difetti quantitativi. Tuttavia, anche delle mutazioni a questi livelli (esoni e introni) possono dare origine a difetti quantitativi. MAPPAGGIO DELLE MUTAZIONI CHE DETERMINANO β0 TAL E β+ TAL Le bandierine raffigurate nell’immagine sottostante rappresentano le mutazioni del gene per le β globine scoperte fino al 198821. Nel corso degli anni, il numero di mutazioni del gene per le β globine, che determinano β0 tal e β+ tal, è aumentato notevolmente rispetto alla figura sottostante. 20 RNA è infatti una struttura che assume una serie di strutture tridimensionali, non è affatto lineare 21 Il professore afferma di voler dare solo un quadro d’insieme e per questo motivo sceglie uno schema datato, più semplice e sufficiente 28 Mutazioni che alterano la trascrizione Le mutazioni con il pallino bianco sono quelle che alterano la trascrizione, e quindi si verificano in promoter o enhancer. Può avvenire una mutazione per cui il repressore si lega e non si stacca più, oppure per cui l’RNA messaggero non riesce più a legarsi, o ancora che impedisca completamente il legame dell’RNA polimerasi. Come risultato si avrà quindi una minore quantità di trascritto primario e di Hb. Queste mutazioni possono dare origine a una β0, oppure anche ad una β+ se cambia di poco l’affinità della polimerasi per il DNA (ad esempio se invece di legarsi al 100% si lega all’80%). Queste mutazioni sono in accordo con quanto illustrato precedentemente sui difetti quantitativi. Mutazioni che alterano il processamento dell’RNA Le mutazioni con il rombo azzurro alterano il processamento dell’RNA. Quelle che più ci aspetteremmo sono la 3, la 4 e la 10, perché avvengono o nelle consensus sequences o nelle flanking regions. In questo caso la trascrizione è normale, quello che viene a mancare è lo splicing, e di conseguenza si avrà meno mRNA ai ribosomi e meno proteina; Anche in questo caso si tratta di mutazioni che ci aspetteremmo, in quanto in accordo con il discorso sui difetti quantitativi. Esistono però anche mutazioni che avvengono all’interno degli esoni, soprattutto l’1, o all’interno degli introni, come le mutazioni 9, 10 e 11. Queste sono mutazioni che non ci aspetteremmo: come possono causare un difetto quantitativo?22 Mutazioni che producono mRNA non funzionali Queste mutazioni sono rappresentate con dei triangoli viola. La maggior parte di queste sono nell’esone 1, in minore quantità nell’esone 2, mentre l’esone 3 non ne ha neanche una. Nella figura sottostante vengono indicate le singole mutazioni che producono mRNA non funzionali e il tipo di talassemia che determinano. Queste sono per la maggior parte di tipo β0, perché negli anni 80 i pazienti che venivano presi in considerazione per andare ad analizzare il genotipo erano quelli che avevano un fenotipo più importante, riconosciuto subito dal medico come talassemia, e quindi più probabilmente associato a mutazioni di tipo β0. Ad oggi ne sono state scoperte molte di più di tipo β+, perché vengono eseguiti degli screening anche tra persone sane, da cui vengono poi trovate le mutazioni. Si può notare inoltre come per avere un mRNA non funzionale, sono necessarie delle mutazioni non senso o frameshift. Questo tipo di mutazioni non inibiscono né la formazione di hnRNA né lo splincing; pertanto, la quantità di mRNA che giunge ai ribosomi non è ridotta, ma si ha produzione della proteina errata dovuta principalmente a mutazioni non senso o frameshift. Le due mutazioni non senso in rosso sono quelle che verranno analizzate. 22 Verrà analizzato nella seconda parte della lezione 29 mRNA NON FUNZIONALI Mutazioni non senso b0 talassemia cinese: prende questo nome dal luogo in cui è stata scoperta. A livello del codone 17, uno di quelli che dovrebbe codificare per uno dei primi amminoacidi, (contenuto all’interno dell’esone 1), subisce una mutazione puntiforme: si passa da una TTC (che avrebbe portato ad avere una lisina), ad ATC, che dà origine a una sequenza di stop. b0 talassemia mediterranea: avviene la stessa mutazione puntiforme di quella cinese, l’unica differenza consiste nel fatto che non avviene sul codone 17, bensì sul codone 39. Entrambe colpiscono codoni presenti sull’esone 1. Le due mutazioni sono sovrapponibili dal punto di vista patogenetico, nel senso che entrambe portano all’acquisizione di RNA normali dal punto di vista quantitativo. L’RNA è strutturalmente alterato, per questo motivo viene alterata anche la sua funzione (per il principio del binomio struttura-funzione), che risulta essere la produzione di una proteina. Entrambi gli RNA, che hanno subito la mutazione, nel momento in cui devono essere tradotti, produrranno dei corti peptidi, rispettivamente di 16 peptidi per la talassemia cinese e 38 peptidi per quella mediterranea. I peptidi risultano presenti, ma a questi non si può dare il nome di emoglobina; inoltre, questi peptidi difficilmente assumono una forma terziaria, tendendo a rimanere lineari, questo significa che è molto suscettibile all’azione delle esonucleasi. Un difetto che era qualitativo diventa un difetto quantitativo per due ragioni: Il peptide viene degradato dalle proteasi Il peptide non riesce a conformarsi e ad assemblarsi correttamente, non riuscendo a trasportare l’O2 I geni portatori di questi difetti originano una b0 talassemia23. 23 Si legge “beta 0” 30 Variante emoglobinica Mc Kees- Rock: è una particolare situazione genetica (non una patologia), che può essere definita come una mutazione silente, che dà un fenotipo uguale a quello primario. La mutazione è uguale a quella che avviene per la talassemia cinese e per quella mediterranea, in questo caso il codone che subisce la mutazione è il codone 144, che si trova all’interno dell’esone 3. Nel momento in cui la mutazione avviene nell’esone 1, allora a livello di singolo gene si dice che è gravissima, mentre se questa avviene sull’esone 3 è silente. A livello del codone 144 è presente una proteina che funzionalmente è sovrapponibile alla proteina wild-type formata da 143 amminoacidi. Questa variante non ha nessun problema: né durante la trascrizione, né durante la traduzione, né nella struttura terziaria, né nell’assemblaggio insieme alle catene a. Le mutazioni nell’esone 3 ci sono ma esistono delle problematiche legate alla mancanza del fenotipo oppure il fenotipo è assolutamente trascurabile. MUTAZIONI CHE CAUSANO ALTERAZIONI DEL PROCESSAMENTO DELL’mRNA Mutazioni nelle giunzioni di splicing È dovuta a una mutazione che deve avvenire nella sequenza più importante per quanto riguarda l’interferenza nel processo di splicing, le consensus sequence. Andando a cambiare l’amminoacido, l’enzima di splicing può legarsi, dovuto al fatto che il legame dipende dalla struttura terziaria, ma il taglio non avviene perché non viene riconosciuta la corretta sequenza. Questo avviene in una talassemia scoperta nel bacino del Mediterrano, è presente una mutazione puntiforme dove viene sostituita una guanina con una adenina; quindi, l’enzima di splicing non riconosce più quella consensus sequence e il secondo introne non viene più eliminato. L’RNA non arriva alla traduzione e diventa instabile e intraducibile. Per questo gene non avviene una completa sintesi di b-globina e si origina anche in questo caso una b0 talassemia. Mutazioni all’interno delle IVS Anche questa è una talassemia mediterranea, ma definita b+ talassemia; quindi, il gene considerato mantiene una certa quota di produzione di b-globina. Questo particolare tipo di mutazione avviene all’interno di un introne, una zona neutra nella quale qualsiasi mutazione avvenga, non porta a una conseguenza fenotipica. Una mutazione puntiforme determina all’interno del secondo introne la sostituzione di una 31 guanina con una adenina, quest’ultima sostituisce un doppietto GG, che diventa AG e intorno alla GG (e anche alla AG) c’è una sequenza di amminoacidi che assomiglia a una flanking region. Questa mutazione porta alla formazione di una consensus sequence in una zona che per pura coincidenza è presentata all’enzima di splicing. L’enzima di splicing più volte taglia, più volte produce proteina, ma se taglia nel punto sbagliato produce meno proteina, perché l’RNA sarà instabile e intraducibile e questo comporta un deficit di produzione di b-globine. Questo b+ codifica intorno al 75% delle proteine perché la sequenza che riconosce è simile a una flanking region, ma non lo è e in termini di affinità l’enzima di splicing si attaccherà maggiormente alla flanking region propriamente detta piuttosto che a quella che risulta simile. Questo gene porta a una produzione parziale di b-globine, ma questa produzione sarà superiore al 50%. RAPPORTO TRA GENOTIPO E FENOTIPO NELLE b-TALASSEMIE L’assetto genotipico è fondamentale perché ci possono essere delle b+ omozigoti più gravi rispetto a delle b0 eterozigoti. La denominazione b0 o b+ talassemia individua solo un difetto quantitativo a livello del singolo gene e non può caratterizzare la manifestazione clinica e la gravità del fenotipo malato. La talassemia è una malattia a base genetica, tale fenotipo dipende quindi dall’assetto genotipico dell’individuo. L’assetto genotipico rappresenta la presenza singola o doppia, quindi eterozigote oppure omozigote, del gene malato e queste situazioni determinano il dosaggio genico e la quantità di b-globina prodotta. La b-talassemia fu descritta per la prima volta nel Ottocento dal dottor Cooley, da cui venne coniato il termine “morbo di Cooley”, che venne associato alla forma più grave ed evidente di b-talassemia, cioé la malattia in forma omozigote. La b-talassemia omozigote più grave è quella data dalla presenza di due b0, infatti questi individui sono coloro che muoiono se non vengono trattati. Coloro che risultano più fortunati esprimono un HPFH e vivono per un tempo leggermente maggiore, ma generalmente tendono a vivere per poco tempo dal momento in cui insorgono i primi sintomi. Tramite la genetica mendeliana si riuscì a descrivere anche un’altra forma di b-talassemia, la b-talassemia minor; infatti, applicando in modo preciso le regole della genetica mendeliana ed essendo questa una malattia genetica, venne ipotizzato che, oltre alla forma omozigote b0, esistesse pure quella eterozigote, b0 e b wild- type, una forma di malattia meno grave, ed infine ci sarebbero dovuti essere anche gli individui sani, omozigoti b wild-type. Al giorno d’oggi le malattie dovute a una b-talassemia sono 4 e vengono classificate in base all’assetto genotipico e alla gravità della malattia stessa: Talassemia maior Talassemia intermedia Talassemia minor Talassemia minima Talassemia maior (morbo di Cooley o sindrome talassemica) Gli assetti genotipici sono: b0b0: viene prodotto lo 0% delle proteine rispetto alla situazione wild-type. b+b+ tipo mediterraneo grave: quest’ultimo termine si riferisce al difetto del singolo gene, il quale indica che questo difetto porta alla formazione del 5-10% della proteina. La differenza tra il non produrre la proteina e produrne il 5% è quasi nulla. In entrambi i casi si sviluppa una forma di talassemia maior, con manifestazioni cliniche indistinguibili l’una dall’altra. 32 Talassemia intermedia La talassemia intermedia non è intermedia nel senso mendeliano (b0b), ma il termine intermedio è riferito all’essere un qualcosa che si trova tra la talassemia maior e quella minor. È determinata da situazioni in cui delle b+ lievi, cioè con una diminuzione del 60-70% nella produzione di proteine, (un residuo del 30-40% di produzione proteica), che provocano una manifestazione clinica, ma non grave come quella della talassemia maior. Si utilizza il termine morbo oppure sindrome e non il termine malattia, in quanto identificano una malattia multiorgano, un insieme di malattie. Le malformazioni ossee, quelle cardiache e l’anemia sono tutte delle malattie, che messe insieme vanno a formare il morbo di Cooley, detta anche sindrome talassemica. Lo stesso ragionamento vale per la sindrome di Down, la quale è composta da: alterazioni facciali, ritardo della crescita mentale e fisica, alterazioni cardiache e altre malattie. Talassemia minor La talassemia minor insieme a quella maior forma il binomio mendeliano, infatti vengono rispettati i principi mendeliani, secondo cui deve essere presente anche la malattia in forma eterozigote. Vengono prodotte il 50% delle proteine rispetto a quelle prodotte dalla situazione wild-type. Questo 50% di produzione proteica può essere dovuto anche dalla presenza di b+ in forma omozigote, dove i b+ determinano la produzione del 25% delle proteine per ognuno dei b+ e la loro somma porta ad avere il 50% delle proteine. Le combinazioni tra b+ si trovano in ogni tipo di talassemia conosciuta: dalla maior fino alla minima. b-TALASSEMIA MAIOR, MORBO DI COOLEY È una forma d’anemia molto grave, dove l’insorgenza dei primi sintomi si manifesta nel 60% dei casi entro il primo anno e nel 10% dei casi oltre i 2 anni. È caratterizzata da concentrazioni di emoglobina inferiori a 6 g/dl senza regolari trasfusioni. Le trasfusioni sono cure sintomatiche, nel senso che tendono a togliere il sintomo legato alla malattia senza possibilità di eliminare l’agente causale. I sintomi si manifestano principalmente entro il primo anno, perché questa è una sindrome sub-letale, la mutazione è silente a livello intra-uterino perché a questo livello è presente il repressore e il gene b non viene utilizzato. Al momento della nascita avviene il “cambio dell’armadio”, dove vengono dismesse tutte le g a favore delle b. A questo punto la mutazione diventa fenotipicamente evidente e alcuni sintomi sono precocissimi. La differenza percentuale dell’incidenza di insorgenza dei primi sintomi entro il primo anno oppure oltre i due anni è dovuta al fatto che non viene seguita la genetica mendeliana. Il morbo di Cooley può essere dovuto a diversi assetti genotipici, dove un b0b0 è più probabile che mostri sintomi entro il primo anno, mentre il b+b+ grave oltre il secondo anno; anche l’individuo con l’HPFH avrà una manifestazione oltre i due anni, nonostante possa essere un b0b0. Le differenti combinazioni tra le b+ (ricordiamo che b+ indica un gene che produce la catena b in quantità variabili da individuo a individuo) danno origine a una gradualità della gravità della malattia del morbo di Cooley. Il termine “cambio dell’armadio” significa perdere tutte le emoglobine fetali e utilizzare l’emoglobina adulta. Subito dopo la nascita è presente una breve fase dove l’individuo deve gestire, a livello di catabolismo, una quantità enorme di emoglobina, dove l’eliminazione della parte proteica risulta semplice, mentre è più complicato eliminare l’eme, causando quindi l’ittero post-natale. Avviene in bambini con determinate situazioni, come per esempio: una predisposizione per malattie epatiche o comunque, in generale, un fegato che funziona di meno. Per questi bambini il cambio dell’armadio non avviene così velocemente e si accumulano gli intermedi del catabolismo del gruppo eme, cioè la bilirubina e si forma così il colore giallognolo tipico dell’ittero. Le manifestazioni cliniche precoci consistono in pallore e anemia microcitica, si ha perciò una quantità minore di globuli rossi e anche meno emoglobina. Il termine microcitico indica che, oltre ad avere meno globuli rossi, questi sono più piccoli del normale e, frequentemente, tendono a essere leggermente deformi. Se non diagnosticata e curata in tempo con trasfusioni, quindi cure sintomatiche o addirittura 33 palliative, subentrano: rallentamento della crescita, deformazioni scheletriche, epatosplenomegalia oltre a insufficienza cardiaca. La morte sopravviene per queste manifestazioni entro i 5 anni solitamente, se non si interviene con trasfusioni. All’anemia si associano un rallentamento della crescita ponderale e mentale, questo è dovuto a una minor ossigenazione: meno ossigeno al cervello (che può essere acuta o cronica, acuta per i bambini che si strozzano con il cordone ombelicale, per esempio, e cronica per gli anziani con situazioni di insufficienza cardiaca o con aterosclerosi pregressa), porta a un suo non sviluppo adeguato oppure degenera. In seconda battuta l’apparato che consuma più ossigeno è quello muscolo-scheletrico. È più complicato associare questa talassemia alle deformazioni ossee: in questa sindrome le deformazioni sono delle ipertrofie, le ossa hanno delle protuberanze. Inoltre, è complicato associare all’anemia l’aumento del volume del fegato e della milza. Questa era la situazione tipica del secolo scorso e che esiste tutt’oggi nei paesi più poveri, dove i malati probabilmente non sono nemmeno a conoscenza delle trasfusioni. Attualmente, dalle nostre parti, la sopravvivenza del paziente dipende dalla possibilità di trasfusioni regolari e continue, con le quali si tenta di tenere i livelli di emoglobina superiori a 9-10 g/dl, il livello minimo necessario per permettere al paziente di vivere. Questo non implica che coloro che vengono trattati con trasfusioni abbiano una qualità della vita ottimale, perché con la minima quantità di Hb non viene evitata la possibilità di sviluppare un ritardo mentale o fisico, bensì porta a un rallentamento dei sintomi, quindi anche delle deformazioni scheletriche e anche dell’epatosplenomegalia. Inoltre, anche l’atto della trasfusione stessa abbassa la qualità della vita del paziente. Le problematiche della trasfusione cambiano se svolte su un adulto oppure su un bambino; infatti, in quest’ultimo si formano delle problematiche volumetriche di maggiore importanza, legate alla quantità di sangue trasfuso, che hanno delle conseguenze sulla salute. Quando viene eseguita una trasfusione vengono aggiunti: globuli rossi, gruppo eme e il ferro presente al suo interno, che è il classico oligoelemento: un elemento di cui il corpo non può fare a meno, ma che deve essere presente in dosi bassissime; se dovesse uscire dalla sua omeostasi, allora si entra in una condizione patologica, detta siderosi. Questa patologia è colei che porta, nella maggior parte dei casi, alla morte il paziente entro il ventesimo anno di età e per i pazienti affetti dal morbo di Cooley si parla di una morte tardiva, mentre per i pazienti che erano sani si tratterebbe di una morte precoce. La trasfusione e l’eccesso di ferro conseguente non possono essere evitati, per questo motivo sono state create altre terapie che vanno a limitare gli effetti nocivi dati dall’eccesso di ferro. Vengono somministrati dei chelanti per il ferro, i quali fanno si che il ferro venga eliminato più velocemente dall’intestino. Grazie a queste cure, l’aspettativa di vita del paziente è di circa 30 anni. Questa sindrome è sub-letale, quindi dovrebbe permettere la nascita ma non la procreazione; invece, grazie alle trasfusioni e alle terapie citate in precedenza, questa sindrome da sub-letale diventa dis-vitale, quindi in teoria, permette di procreare. Nella pratica ci sono diverse problematiche dovute al fatto che solo pochi riescono ad arrivare ai 30 anni e chi raggiunge questa età si trova in condizioni non ottimali. Inoltre, uno degli effetti della siderosi sono le endocrinopatie; infatti, il ferro tende a distruggere un insieme di funzioni endocrine, tra cui quelle sessuali, per questo motivo si ha anche una probabile sterilità. La malattia continua a permanere perché gli eterozigoti con talassemia intermedia continuano a propagare il gene malato e quando si trova una persona con un b0 o un b+ si dà origine alla talassemia maior. Oltre a questo, esiste anche una selezione data dall’infezione da malaria perché in questa condizione i plasmodi malariae riescono a replicare bene nel globulo rosso, la malattia è quindi selezionata. b-TALASSEMIA INTERMEDIA È una sindrome talassemica caratterizzata dal punto di vista clinico da un livello di emoglobina compreso tra 6 e 9 g/dl senza regolari trasfusioni. I pazienti affetti raggiungono facilmente l’età adulta manifestando anemia, che si manifesta a livello della sclera dell’occhio, e complicanze simili a quelle del morbo di Cooley ma in forma molto meno grave. Le trasfusioni si rendono necessarie saltuariamente solo in particolari condizioni di aumentata richiesta funzionale del trasporto di ossigeno. Queste situazioni vengono definite crisi talassemiche. A un individuo affetto da talassemia intermedia viene controindicata l’attività sportiva, anche se dipende dalla gravità della talassemia stessa. Questo è dovuto dal fatto che, nel momento in cui si viene sottoposti a uno stress fisico, aumenta la richiesta di ossigeno, la quale non può essere rispettata in quanto ci sono pochi globuli rossi ed emoglobina in grado di legare l’ossigeno, altrimenti si entra in crisi talassemica e a questo punto bisogna fare una trasfusione. 34 b-TALASSEMIA MINOR La maggior parte sono privi di sintomi oppure sono affetti da una lieve anemia, hanno una certa debolezza e una mancanza di voglia di fare sport e questo dipende dall’assetto genotipico che la causa, oltre che dalla quantità di emoglobina presente. Esiste una certa eterogeneità nell’espressione clinica del difetto genetico che determina una gradualità delle manifestazioni cliniche, che spaziano da quadri clinici sovrapponibili alla talassemia intermedia (9 g/dl di emoglobina) fino a individui asintomatici (11 g/dl di emoglobina). b-TALASSEMIA MINIMA Individui affetti hanno concentrazioni di emoglobina pari o superiore a 11 g/dl, fino a 13 g/dl considerando questo valore come fisiologico. Non manifestano alcun sintomo e la patologia può essere rilevata solo mediante anamnesi familiare, nei casi più gravi, e conseguenti esami clinici: o conta dei globuli rossi o quantificazione dell’emoglobina o analisi della composizione delle catene globiniche presenti. PATOGENESI DELLE MANIFESTAZIONI CLINICHE NEL MORBO DI COOLEY Come sappiamo il morbo di Cooley si manifesta a livello molecolare con una ridotta/assente sintesi di catene β emoglobiniche nei globuli rossi. Questo porta a due conseguenze principali: Sopravvivenza selettiva di cellule F (contenenti HbF); Eccesso relativo di catene α all’interno dell’eritroblasto; Con sopravvivenza selettiva di cellule F ci riferiamo al fatto che aumenta la proporzione di emoglobina F rispetto all'emoglobina totale prodotta dall'individuo. Parliamo dunque di un aumento relativo di HbF, in quanto, avendo una completa mancanza delle catene β e quindi di Hb α2β2, la percentuale di HbF sul totale della emoglobina sarà maggiore (ricordiamo che fisiologicamente HbF ricopre indicativamente l'1% della Hb totale; in caso di soggetto con morbo di Cooley, invece, HB totale è data per il 25% da HbF e per il 75% da Hb α2δ2). Tale proporzione di HbF in un soggetto affetto da morbo di Cooley sarà ulteriormente aumentata nel caso in cui il soggetto in esame sia HPFH (in quanto di per sé ha una persistenza ereditaria maggiore di HbF rispetto agli individui non HPFH). Un aumento relativo di HbF porta a una maggiore difficoltà da parte dei tessuti di recepire ossigeno da parte di HbF stessa a causa della sua grande affinità per O2. Questo porta ad una condizione di ipossia a livello dei tessuti periferici. Questa ipossia si va ad aggiungere all'ipossia generale data dalla mancanza di Hb totale per via della mancanza di Hb α2β2. Il nostro organismo reagisce all'ipossia misurata a livello renale con la produzione di eritropoietina, che indurrà una maggiore produzione di globuli rossi da parte del midollo osseo per cercare di sopperire la minor quantità di ossigeno con un maggior numero di globuli rossi (tale compensazione si verifica anche in altura, in cui la minor pressione parziale di ossigeno a livello polmonare induce una maggiore produzione di globuli rossi). 35 Affinché l’emoglobina funzioni, è necessario che le catene α e β prodotte si vadano a complessare formando il tetramero emoglobinico. In un individuo beta talassemico, invece, è osservabile negli eritroblasti (presenti nel midollo) un eccesso relativo di catene α, dato dal fatto che queste non si complessano con le β perché inesistenti. Le catene α, in assenza delle catene β, si complessano tra di loro formando un tetramero α anomalo e insolubile, che precipita nel citoplasma dell’eritroblasto. Tale precipitazione provoca danno e morte intramidollare dell’eritroblasto (consideriamo infatti che i globuli rossi sono composti per il 90% da emoglobina e dunque un'anomalia di questa, come la formazione di tetrameri α, ovvero corpi inclusi che precipitano, altera ulteriormente la struttura della cellula portandola, nella maggior parte dei casi, alla morte). Assumendo che il midollo di un individuo sano produca 100 globuli rossi nell'unità di tempo, possiamo affermare che il midollo di un soggetto affetto da morbo di Cooley è in grado di produrre nella stessa unità di tempo solo 10 globuli rossi (90 dei 100 fisiologici, infatti, muoiono prima di uscire dal midollo osseo, a causa della precipitazione dei tetrameri α nel citoplasma cellulare = eritropoiesi inefficace). Questi 10 comprendono i globuli rossi con HbF (1/10), i globuli rossi con Hb α2δ2 (2/10) e una piccola quota di globuli rossi che, pur contenendo tetrameri α, per qualche strana ragione, sono riusciti a maturare e a uscire dal midollo per entrare nel circolo ematico (7/10). Questi ultimi, tuttavia, vanno incontro anch’essi a morte precoce, in quanto, data la loro morfologia ed elasticità modificata, (sempre a causa dei tetrameri α precipitati), non sono in grado di resistere alle pressioni ematiche dei grossi vasi e nemmeno di oltrepassare i piccoli capillari del nostro organismo e periscono (emolisi periferica). L’eritropoiesi inefficace data dalla morte intramidollare di eritroblasti e l'emolisi periferica insieme determinano una condizione di anemia, la quale viene letta a livello renale come una condizione di ipossia e come conseguenza viene aumentata la produzione di eritropoietina, che indurrà il midollo osseo a produrre più globuli rossi. Nonostante l'aumento di eritropoietina, il numero di globuli rossi che escono dal midollo è comunque molto inferiore di quello fisiologico, dunque non si riesce a compensare la situazione (parliamo di lavoro afinalistico). Questa iperattività midollare, (inutile dato che comunque non garantisce una compensazione attraverso una maggiore sintesi di eritroblasti), comporta un notevole consumo di energia aggiuntivo da parte del midollo, il quale andrà a sottrarre energia, glucosio e altre sostanze nutritive al resto dell'organismo (cervello, muscolo, scheletro ecc.), che andrà incontro a un rallentamento di crescita (ricordiamo che questo non è associato esclusivamente al dirottamento delle sostanze nutritive al midollo, ma è anche dovuto alla condizione generale di ipossia). D’altra parte, il midollo, lavorando di più, va incontro a ipertrofia deformando le ossa in cui è contenuto e invadendo anche le ossa vicine (sviluppo di anomalie scheletriche) in un processo paragonabile alla metastatizzazione. Un esempio è la deformazione della spina dorsale riscontrabile attraverso le cosiddette “vertebre a rosario”, ovvero vertebre molto sporgenti, che vengono accentuate anche dalla magrezza del soggetto e sono tipiche dei bambini talassemici. L'aumentato ritmo di lavoro del midollo ha anche un'ulteriore conseguenza negativa sulla salute del soggetto beta talassemico: il maggiore numero di eritroblasti “commissionato” al midollo dalla situazione di ipossia si traduce in un maggiore bisogno di materie prime per la sintesi dagli stessi eritroblasti. Tra queste ritroviamo anche il ferro, che dunque verrà assorbito in quantità maggiore dall'intestino, generando un incipit di siderosi (si parla di incipit di siderosi in quanto la siderosi vera e propria, di maggiore rilevanza, è quella indotta dalle 36 trasfusioni atte a prolungare la vita del malato). Tale condizione, vista la tossicità del ferro, se presente in quantità troppo elevate, ostacola la sintesi di piastrine e globuli bianchi, dando origine a una situazione di piastrinopenia e neutropenia: la prima porterà a diatesi emorragica e la seconda ad un deficit immunitario. Queste due conseguenze sono strettamente correlate l'una con l'altra in quanto un'inadeguata attività piastrinica, nell'occludere eventuali lesioni cutanee e gastrointestinali, favorisce la penetrazione di microrganismi patogeni portatori di infezioni. Come anticipato, i globuli rossi con tetrameri α, che riescono ad uscire dal midollo, vanno incontro a emolisi periferica (fenomeno molto accentuato nei soggetti talassemici), producendo un gran numero di sostanze di scarto che devono essere smaltite dal fegato e dalla milza. Il fegato, infatti, attua processi di emocateresi, eliminazione di emoglobina libera, eliminazione dei componenti delle membrane dei globuli rossi e del gruppo Eme; la milza affianca il fegato nei processi di emocateresi. Un'aumentata iperemolisi periferica, tipica dei soggetti beta talassemici, induce dunque un maggior carico di lavoro per fegato e milza che devono smaltire i prodotti generati dalla distruzione dei globuli rossi. Questo si traduce, similmente a quanto visto per il midollo, in un aumento della necessità di energia e di nutrienti per fegato e milza che li sottraggono ulteriormente a muscoli, cervello, ossa, ecc., provocando un aggiuntivo rallentamento della crescita. Come il midollo, anche fegato e milza vanno incontro a ipertrofia, a causa della maggiore mole di lavoro: si parla dunque di epatosplenomegalia, condizione non fisiologica che può generare eventuali disturbi attraverso la compressione degli organi addominali come reni e intestino. Osservando l'ultimo dei tre schemi, possiamo affermare che il sovraccarico di ferro (sostanza altamente tossica), oltre ad indurre piastrinopenia e neutropenia, intacca fortemente anche il fegato, che entra in un susseguirsi continuo di danno e riparazione, inducendo processi fibrotici (fibrosi) ed epatopatia cronica (la cronicità di tale condizione è correlata alla necessità del paziente di essere sottoposto cronicamente a trasfusioni ematiche, che dunque rappresentano una fonte di ferro che intacca il fegato in maniera continuativa). Nel caso in cui i processi riparativi del fegato vengano completamente sovrastati dai danni causati dal ferro si parla di necrosi epatica (fenomeno autoalimentato dalle sostanze rilasciate dagli stessi epatociti danneggiati) che se cronicizza porta ad un quadro di cirrosi. La siderosi porta anche a endocrinopatie: può colpire le gonadi con alto rischio di perdita di fertilità; maggiore suscettibilità a insorgenza di diabete; minore produzione di ormone della crescita (GH); genesi di turbe tiroidee, traducibili come ipotiroidismo (ricordiamo che la funzione della tiroide è riassumibile con la produzione di ormoni T3 e T4, che garantiscono il corretto funzionamento del nostro metabolismo), le quali portano a letargia (per mancanza di T3 e T4). Minore GH e ipotiroidismo si sommano alla letargia e alle minori energie date dall'ipossia, dal maggiore lavoro midollare, epatico e splenico, intaccando notevolmente la crescita e lo sviluppo fisico e mentale di un bambino affetto. Le continue trasfusioni a cui è sottoposto il paziente si traducono in ipervolemia, (aumento della quantità di sangue nel sistema circolatorio), con conseguente emodiluizione e sovraccarico di lavoro per il cuore (dovrà pompare più sangue), il quale è a sua volta indebolito dalla tossicità data dall’alta quantità di ferro. Questa situazione può rivelarsi insostenibile per il cuore, che andrà incontro a cardiomiopatie come la fibrosi cardiaca, o a eventi acuti che nella maggior parte dei casi si identificano con la morte (exitus). 37 DEFORMAZIONI FACCIALI In figura 1 è possibile osservare una bambina con deformazioni evidenti del cranio, dovute a invasione del midollo nelle ossa piatte come conseguenza di un’ipertrofia midollare indotta da un aumentato carico di lavoro. Il docente sottolinea che la seguente figura non rappresenta un soggetto affetto da β talassemia, bensì da anemia falciforme (drepanocitosi). Questo dimostra che β talassemia (difetto quantitativo) e anemia falciforme (difetto qualitativo), nonostante siano generate da meccanismi molecolari diversi, presentino un percorso patogenetico pressoché sovrapponibile. Per questo motivo tale immagine è applicabile sia all'anemia falciforme che alla β talassemia. Fig1 In figura 2 possiamo osservare la biopsia del cranio di un individuo affetto da talassemia Major. I segni caratteristici sono uno spessore maggiore della scatola cranica, dato dall'invasione del midollo ipertrofico. Tale ispessimento, però, non corrisponde a una maggiore durezza e resistenza delle ossa craniche, ma ad un fenomeno diametralmente opposto, ovvero a un maggiore rischio di rotture e, di conseguenza, di danni cerebrali. Questo è dovuto al fatto che il midollo si inserisce in aree lacunose del tessuto osseo che ne minano la resistenza Fig2 Fig3 complessiva. In figura 3 si può osservare un tipico “cranio a spazzola” di un individuo β talassemico. Esso è caratterizzato da strutture radiali perpendicolari al piano dell'osso con una tipica forma spazzola. ANEMIA FALCIFORME Come anticipato, ipotizzando l’esistenza di una scala graduata che segue un decorso crescente, (ovvero dal dettaglio più piccolo alla manifestazione più grande), anemia falciforme e β talassemia si differenziano da un punto di vista patogenetico, partendo dal livello molecolare (cosa determina la patologia) fino ad arrivare al livello cellulare (caratteristiche del globulo rosso malato). Da questo livello in poi abbiamo invece una completa sovrapposizione delle manifestazioni cliniche (dall'anemia in poi, infatti, anemia falciforme e talassemia sono praticamente indistinguibili: anemia, siderosi, epatosplenomegalia, ipertrofia midollare ecc.) A livello cellulare i pochi globuli rossi tipici di un soggetto talassemico sono caratterizzati da alterazioni morfologiche aspecifiche date dalla precipitazione dei tetrameri α. Al contrario i globuli rossi in un soggetto con anemia falciforme assumono una caratteristica forma a falce, si parla così di un’alterazione morfologica specifica che determina un difetto qualitativo. Tale difetto è causato da una mutazione puntiforme non conservativa al codone numero 6 del gene codificante per le β globine, le quali regolano il coordinamento del gruppo EME. Al posto dell’acido glutammico viene codificata una valina: assistiamo dunque alla scomparsa di un gruppo carbossilico che ha come effetto un’alterazione qualitativa delle catene β. Domanda: anemia falciforme e drepanocitosi si riferiscono a due condizioni diverse o indicano la stessa cosa? Risposta del docente: sono la stessa cosa. I globuli rossi di soggetti affetti da drepanocitosi avranno dunque Hb composta da catene α regolari assemblate a catene β mutate: parleremo quindi di emoglobina S (HbS). 38 L'emoglobina S ha una caratteristica molto particolare, ovvero quella di essere la causa di una morfologia alterata del globulo rosso (tipica forma falce) solo in un ambiente con bassa pressione parziale di ossigeno (per esempio a livello periferico e tissutale). Finché il globulo rosso con HbS si trova in un ambiente molto ossigenato, come nelle grosse arterie, non è osservabile alcuna alterazione della sua struttura, in quanto HbS si trova legata all'ossigeno e quindi l'emoglobina S sarà indistinguibile dall'emoglobina A, A2 o F. Appena però i globuli rossi contenenti HbS arrivano in un ambiente con bassa pO2, l'ossigeno si stacca da HbS rendendo così l'emoglobina insolubile e facendola precipitare all'interno delle emazie (queste assumono così la tipica forma a falce). Tale precipitazione è simile a quella dei tetrameri α nei soggetti talassemici, con la differenza che in quest'ultimo caso la precipitazione dei tetrameri si verifica nel midollo, mentre la precipitazione di HbS in soggetti drepanocitotici si verifica in corrispondenza dei tessuti e di altre aree poco ossigenate. I globuli rossi contenenti HbS, dunque, sono in grado di uscire dal midollo in quanto questo, essendo un ambiente molto ossigenato, non induce la precipitazione di HbS. Ponendo la nostra attenzione all'uscita dei globuli rossi dal midollo osseo in vari soggetti possiamo affermare che: In un soggetto sano usciranno 100 unità di globuli rossi per unità di tempo (il numero 100 è indicativo e finalizzato solo alla comprensione del concetto); In un soggetto talassemico usciranno 10 unità di globuli rossi per unità di tempo (eritropoiesi inefficace); In un soggetto drepanocitotico usciranno 200 unità di globuli rossi per unità di tempo, in quanto questi, all'uscita del midollo, saranno completamente privi di alterazioni morfologiche che tuttavia sorgeranno in periferia, in ambiente poco ossigenato, portando a deformazione e morte degli eritrociti (iperemolisi periferica). Questo processo, analogamente a quanto riguarda la talassemia, induce rilascio di una maggiore quantità di eritropoietina con conseguente aumento di produzione di globuli rossi che, a livello dell’uscita di questi dal midollo, appaiono addirittura più numerosi rispetto ad una condizione fisiologica. Perché le alterazioni morfologiche dei globuli rossi talassemici sono aspecifiche, mentre quelle dei globuli rossi drepanocitotici sono caratterizzate da una specifica forma a falce assunta dall’eritrocita? Questo è dovuto al medesimo processo di precipitazione, ma di proteine completamente diverse: i tetrameri α, infatti, precipitando in maniera disordinata, sono la causa di alterazioni morfologiche aspecifiche; HbS deossigenata, invece, precipitando in maniera più ordinata e assemblando catene con le altre HbS precipitate, assicura una caratteristica struttura rigida falciforme al globulo rosso affetto. Quest'ultimo processo, inoltre, segue un andamento progressivo, ovvero il globulo rosso non passa direttamente da una forma lenticolare (tipica del globulo rosso sano) a una forma falciforme, ma lo fa in maniera graduale in relazione alla diminuzione della pO2 che induce rilascio di O2 da parte di HbS. 39 CIRCOLO SANGUIGNO IN SOGGETTO CON ANEMIA FALCIFORME In quest'ultima immagine è possibile osservare uno schema riassuntivo del circolo sanguigno in relazione ai globuli rossi di un soggetto affetto da anemia falciforme. Come possiamo vedere, il globulo rosso, uscendo dal cuore di sinistra, presenta una morfologia sana in quanto HbS è legata all'ossigeno e quindi non è ancora precipitata nelle emazie; mano a mano che ci avviciniamo al circolo venoso, il globulo rosso cede O2 e va incontro a un processo progressivo di falcemizzazione, assumendo una struttura rigida e a forma di falce che non permette il passaggio nei capillari più stretti, portando la maggior parte dei globuli rossi alla morte (emolisi periferica). Alcuni di questi, tuttavia, sopravvivono e arrivano al fegato, il quale attua un’ulteriore selezione attraverso il passaggio nei capillari epatici e andando a degradare quei globuli rossi che, avendo una forma a falce, vengono riconosciuti come globuli rossi invecchiati e non funzionali, venendo così sottoposti a emocateresi. Questo è il destino a cui va incontro la maggior parte dei globuli rossi di un soggetto drepanocitotico: si può quindi affermare che la vita media dei globuli rossi di un soggetto malato sia nettamente inferiore rispetto a quella dei globuli rossi di un soggetto sano. Esiste però una piccola quantità di globuli rossi che riesce ad attraversare il microcircolo e il circolo venoso senza perire. Questi raggiungono dunque i polmoni e vengono riossigenati (pO2 polmonare alta), riassumendo così la morfologia originale sana del globulo rosso. Tale quantità è tuttavia irrilevante in relazione al totale dei globuli rossi che vanno incontro a emolisi periferica. Per questo si può affermare che l'anemia falciforme, partendo da un difetto qualitativo (forma falce), giunge a generare un difetto complessivo quantitativo (anemia). 40