Riassunto Manuale Psicologia Generale PDF
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2024
Fabio Rosa Angela
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Questo documento riassume i fondamenti di psicologia generale. Il testo esplora l'evoluzione della psicologia come scienza, descrivendo i contributi di filosofi e psicologi del passato, e illustra le interconnessioni della psicologia con altre discipline. I concetti chiave come mente e comportamento sono definiti, insieme ai livelli nomotetici e idiografici di studio.
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FONDAMENTI DI PSICOLOGIA GENERALE MANUALE DI PSICOLOGIA GENERALE CORSO DI LAUREA: L24 DOCENTE: FABIO ROSA ANGELA ANNO ACCADEMICO: 2024 / 2025 SEMESTRE: PRIMO CAPITOLO 1 – PSICOLOGIA: EVOLUZIONE DI UNA SCIENZA Le radici della psicologia: il percorso storico verso una scie...
FONDAMENTI DI PSICOLOGIA GENERALE MANUALE DI PSICOLOGIA GENERALE CORSO DI LAUREA: L24 DOCENTE: FABIO ROSA ANGELA ANNO ACCADEMICO: 2024 / 2025 SEMESTRE: PRIMO CAPITOLO 1 – PSICOLOGIA: EVOLUZIONE DI UNA SCIENZA Le radici della psicologia: il percorso storico verso una scienza della mente Il termine “PSICOLOGIA” deriva dal greco psyché (= mente / spirito / anima) e da logos (= studio / discorso), quindi è lo studio scientifico della mente e del comportamento. Con la parola “MENTE” s’intende nostra personale esperienza interiore di percezioni, pensieri, ricordi e sentimenti, che danno forma a un incessante flusso di coscienza. Con il termine “COMPORTAMENTO” si fa riferimento alle azioni osservabili degli esseri umani e degli animali non umani, alle cose che facciamo nel mondo, da soli o con gli altri. La psicologia è un tentativo di affrontare mediante metodi scientifici interrogativi fondamentali sulla mente e sul comportamento. La psicologia ha molte interconnessioni con altre discipline ad esempio a livello: biologico studia: come il nostro corpo crea ed è influenzato dal comportamento esempio 1: una persona che è grassa se si allena ce la fa (ciò significa che la sua mente, facendola allenare tanto, influenzerà il suo corpo) come la nostra mente può influenzare il nostro corpo esempio 2: dopo un’intensa attività fisica il corpo si ossigena meglio, e in generale si hanno maggiori benefici (infatti tutte le persone che si allenano non vanno incontro a fasi depressive) cognitivo (riguarda la psicologia cognitiva) studia (come pensiamo): i vari fattori cognitivi tra cui: l’attenzione, la memoria e il ragionamento logico dello sviluppo (riguarda la psicologia dello sviluppo) studia: come avviene l'evoluzione della mente nel tempo (dai bambini fino agli anziani) delle differenze individuali studia: come mai persone diverse hanno tendenze diverse come si fa attraverso la forza del pensiero a farsi esplodere (esempio i kamikaze) il principio stesso che sottostà alla categorizzazione mentale, che è lo stesso principio di quello che c'è dietro al fenomeno del razzismo sociale studia: cosa succede quando si interagisce con gli altri Inoltre, la psicologia studia come la mente aiuta l'uomo ad adattarsi all’ambiente esterno, poiché riesce ad adattarsi a situazioni davvero estreme (esempio morte di un figlio), quindi spiega il motivo e le modalità per il quale questi fenomeni di resilienza avvengono. Al giorno d’oggi la psicologia ha risposto a una serie di domande: Come arriviamo a esperire l’attività elettrica e chimica del nostro cervello sotto forma di pensieri, sentimenti e comportamenti? In che modo la nostra mente riesce con tanta rapidità a rispondere al, e apprendere dal, mondo che ci circonda, e ciò con modalità tali da garantirci la sopravvivenza? Che cosa fa sì che la mente funzioni in maniera tanto poco efficace in certe persone, per esempio in coloro che esperiscono allucinazioni, o drammatici sbalzi d’umore o l’intenso impulso a porre fine alla propria vita? Gli studi condotti dalla psicologia si dividono quindi in due livelli diversi: o a livello NOMOTETICO spiega tutte quelle leggi generali che regolano i fenomeni psichici esempio: se una persona viene gratificata dopo aver fatto una determinata cosa, lei in futuro tenderà a rifarla, proprio perché è stata gratificata o o a livello IDIOGRAFICO descrive sia i singoli eventi che situazioni esempio: casi estremi per cui una massa di persone non si può studiare (come lo sviluppo di un individuo particolare) Gli antenati della psicologia: i grandi filosofi Il desiderio di capire noi stessi non è nuovo. Pensatori greci come Platone e Aristotele furono tra i primi ad affrontare gli interrogativi fondamentali su come funziona la mente umana. Platone, infatti, sosteneva l’innatismo, cioè credeva che certi tipi di conoscenza siano innati o connaturati. Aristotele, invece, riteneva che la mente del bambino fosse una sorta di tabula rasa (una lavagna vuota) su cui si possono scrivere le esperienze, ed era un sostenitore dell’empirismo filosofico, secondo cui tutte le conoscenze si acquisiscono attraverso l’esperienza. Per certi versi, è abbastanza sorprendente che i filosofi antichi riuscissero a mettere a fuoco così tante delle domande centrali per la psicologia moderna, e a offrire come risposta molte eccellenti intuizioni, senza potersi avvalere di alcuna prova scientifica. Le loro idee scaturivano da osservazioni, intuizioni e riflessioni personali. Infatti, loro utilizzavano un approccio che non prevedeva alcun metodo per la verifica delle teorie proposte. Nella psicologia moderna, la capacità di sottoporre a verifica una teoria è il fondamento dell’approccio scientifico ed è la base per poter trarre conclusioni. Dal cervello alla mente: la pattuglia francese Tutti sappiamo che il cervello e il corpo sono oggetti fisici che possiamo vedere e toccare, e che i contenuti soggettivi della nostra mente (le percezioni, i pensieri e le emozioni) non lo sono. Secondo il filosofo francese René Descartes (Cartesio), corpo e mente sono cose di natura differente: il corpo è fatto di sostanza materiale; la mente (o anima) è fatta di sostanza incorporea o spirituale. Ma se mente e corpo sono cose diverse, fatte di sostanze diverse, come riescono a interagire? Come fa la mente a dire al corpo di muovere in avanti un piede? Questo esempio illustra il problema del dualismo, ovvero di come l’attività mentale (rex cogitans) possa accordarsi e coordinarsi con il comportamento fisico (rex extensa). Descartes successivamente concepì che la mente influenza il corpo attraverso una minuscola struttura posta nel cervello chiamata ghiandola pineale. Il dualismo cartesiano diede inizio a una serie di impostazioni esotiche che misero sempre il corpo contrapposto alla mente e l'anima contrapposta al comportamento. Nel corso degli anni, grazie ai molti studi effettuati, che diedero l’opportunità di osservare il cervello mentre pensa, si è giunti alla conclusione che: “non esiste il pensiero senza il comportamento, e dunque non esiste il comportamento senza il pensiero". Infatti, mentre il filosofo inglese Thomas Hobbes sosteneva che mente e corpo non sono affatto cose diverse; piuttosto la mente è ciò che il cervello fa. Anche Franz Joseph Gall, un medico di origine tedesca, pensava che cervello e mente fossero collegati. Gall esaminò i cervelli di animali e di esseri umani morti di malattia oppure sani, adulti o bambini, e trovò che l’abilità mentale spesso aumentava con l’aumentare delle dimensioni del cervello e diminuiva se il cervello aveva subìto un danno. Questi aspetti degli studi di Gall furono in generale accettati. Tuttavia, Gall si spinse molto al di là delle evidenze di cui disponeva, per arrivare a sviluppare una teoria psicologica nota come frenologia, secondo la quale specifiche abilità e caratteristiche mentali, dalla memoria alla capacità di essere felici, sono localizzate in specifiche aree del cervello. L’idea che parti diverse del cervello siano specializzate a svolgere specifiche funzioni psicologiche si è poi rivelata corretta. Infatti, una regione cerebrale chiamata ippocampo è strettamente collegata alla memoria, e una struttura detta amigdala è intimamente coinvolta nella paura. Ma Gall spinse la sua teoria a estremi assurdi, fino ad asserire che la dimensione delle protuberanze o delle rientranze del cranio rifletteva la dimensione delle aree cerebrali sottostanti, e che tramite la palpazione di quelle protuberanze fosse possibile stabilire se una persona era amichevole, prudente, assertiva, idealista ecc. Ciò che sfuggì del tutto a Gall è che le protuberanze del cranio non rivelano assolutamente nulla sulla forma del cervello sottostante. La frenologia divenne una sorta di gioco di società e diede ai giovani una buona scusa per toccarsi la testa a vicenda, ma alla fine si riduceva a una serie di affermazioni forti basate su prove deboli. Anche se all’inizio aveva avuto un vasto seguito, la frenologia fu in breve tempo screditata. Mentre Gall giocava a fare l’esperto di protuberanze craniche, altri scienziati francesi cominciarono a stabilire una relazione tra cervello e mente con metodi più convincenti. Il biologo Marie Jean Pierre Flourens, inorridito per le asserzioni di vasta portata di Gall basate su metodi approssimativi, condusse esperimenti in cui asportava chirurgicamente parti specifiche del cervello di cani, uccelli e altri animali. In questo modo trovò che le loro azioni e i loro movimenti differivano da quelli degli animali con cervello intatto. Il chirurgo francese Paul Broca lavorò con un paziente che aveva subìto una lesione in una piccola area del lato sinistro del cervello (ora chiamata area di Broca). Il paziente, Louis Victor Leborgne, era praticamente incapace di parlare e riusciva soltanto ad articolare un’unica sillaba, “tan”; tuttavia, capiva tutto quel che gli si diceva ed era in grado di comunicare a gesti. Broca ebbe un’intuizione cruciale e capì che il danno subito da una specifica area del cervello comprometteva una specifica funzione mentale; ciò era una chiara dimostrazione del nesso che univa cervello e mente. Dunque, Broca e Flourens furono i primi a dimostrare che la mente si fonda su una sostanza materiale, il cervello. Lo strutturalismo: il primo passo verso il metodo scientifico A metà del XIX secolo la psicologia fece grandi passi avanti grazie al lavoro di scienziati tedeschi con una specifica formazione in fisiologia, ovvero lo studio dei processi biologici, in particolare del corpo umano. I fisiologi avevano sviluppato metodi che consentivano di misurare cose come la velocità degli impulsi nervosi, e alcuni di loro avevano iniziato a servirsi di quei metodi per misurare le capacità mentali. Helmholtz misura la velocità delle risposte Brillante sperimentatore con profonda formazione sia in fisiologia che in fisica, Helmholtz aveva sviluppato un metodo con cui misurava la velocità degli impulsi nervosi nella zampa di rana, e che in seguito adattò allo studio degli esseri umani. Helmholtz addestrò i partecipanti ai suoi esperimenti a reagire quando uno stimolo – cioè un input sensoriale proveniente dall’ambiente – veniva loro applicato a parti diverse della gamba. Somministrato lo stimolo, Helmholtz registrava il tempo di reazione dei partecipanti, ovvero la quantità di tempo che impiegavano a rispondere a uno specifico stimolo. In questo modo egli scoprì che quando stimolava l’alluce il tempo di reazione era generalmente più lungo rispetto a quando stimolava la coscia, e che la differenza tra i due tempi di reazione gli permetteva di valutare il tempo necessario perché un impulso nervoso arrivasse al cervello. Questi risultati suscitarono grande sorpresa dato che nel XIX secolo gli scienziati presumevano che i processi neurologici sottostanti agli eventi mentali dovessero essere istantanei visto che tutto è così ben sincronizzato, ma Helmholtz dimostrò che ciò non corrispondeva al vero. Così facendo, egli dimostrò anche che il tempo di reazione poteva essere un utile strumento per studiare la mente e il cervello. La nascita della psicologia scientifica Lo psicologo Weber, uno tra i più importanti, formulò la relazione di proporzionalità diretta tra la soglia differenziale (o variazione) e lo stimolo percettivo che è costante: ∆S = S Dove: S = è lo stimolo iniziale ΔS = è la variazione K = è la costante che dipende dal tipo di stimolo dunque, per percepire un cambiamento da uno stimolo iniziale, lo stimolo successivo deve essere significativo. esempio 1: il suono ∆S − 110 − 100 = = = 0.1 S 100 Dove: S = è lo stimolo iniziale S1 = è lo stimolo finale ΔS = è la variazione tra i due stimoli esempio 2: ∆S − 120 − 100 = = = 0.2 S 100 il suono POTREBBE ESSER PERCEPITO COME UN SUONO PIÙ FORTE Dove: S = è lo stimolo iniziale S2 = è lo stimolo finale ΔS = è la variazione tra i due stimoli In seguito, Fechner, un alunno di Weber, proseguì gli studi del maestro, affermando che la percezione di uno stimolo segue una funzione logaritmica (in particolare la sensazione aumenta in funzione del logaritmo dell’intensità dello stimolo) e non una funzione costante. Lui, quindi, creò la formula di Weber - Fechner secondo la quale la percezione è data dalla somma tra il prodotto fra la costante e il logaritmo dello stimolo iniziale e la costante specifica, che varia a seconda dei canali sensoriali = ln + Dove: C = è una costante specifica K = è la costante che dipende dal tipo di stimolo S = è lo stimolo iniziale Dunque, a stimoli bassi o alti (facendo il logaritmo di un numero piccolo o grande) non si distinguono in modo netto gli stimoli (non si nota la differenza) mentre a stimoli intermedi (facendo il logaritmo di un numero intermedio) si riescono a percepire. Quindi con questa formula la sensazione è studiabile attraverso qualcosa di materiale e positivo, inoltre grazie ad essa, nacque il concetto di “reaction time”, ovvero il periodo di tempo necessario ad una persona per rispondere ad uno specifico stimolo. Wundt apre il primo laboratorio di psicologia Sebbene Helmholtz abbia dato un contributo importante, gli storici generalmente attribuiscono il merito per la nascita ufficiale della psicologia all’assistente di Helmholtz, Wilhelm Wundt, che tenne all’Università di Heidelberg il primo corso di psicologia fisiologica, un’esperienza che portò alla pubblicazione del suo Principi di psicologia fisiologica. Nel 1879, Wundt aprì all’Università di Lipsia il primo laboratorio dedicato esclusivamente agli studi psicologici, avvenimento che segna la nascita ufficiale della psicologia come campo d’indagine indipendente. Il nuovo laboratorio era affollato di giovani laureati che conducevano ricerche su argomenti loro assegnati da Wundt, che riteneva che la psicologia scientifica dovesse concentrarsi sull’analisi della coscienza, ovvero l’esperienza soggettiva che ogni persona fa del mondo e della mente. La coscienza abbraccia una gamma molto vasta di esperienza soggettive. Mentre cercava di capire come si potesse studiare la coscienza in modo scientifico, Wundt osservò che i chimici tentavano di comprendere la struttura della materia scomponendo le sostanze naturali nelle loro componenti elementari. Perciò, insieme ai suoi studenti, Wundt sviluppò un approccio che fu poi detto strutturalismo, ossia l’analisi degli elementi fondamentali che costituiscono la mente. Tale approccio consisteva nello scomporre la coscienza in sensazioni ed emozioni elementari. L’introspezione: un tentativo di misurare la coscienza Ad ogni dato istante, ogni genere di cose naviga nel flusso della coscienza e Wundt cercò di analizzare tutto in maniera sistematica utilizzando il metodo dell’introspezione, che implica l’osservazione soggettiva della propria esperienza personale. In un tipico esperimento si presentava agli osservatori (in genere studenti) uno stimolo (di solito un colore o un suono), poi si chiedeva loro di riferire le proprie introspezioni. Gli osservatori descrivevano la brillantezza di un colore o l’intensità di un suono e dovevano riferire la loro esperienza sensoriale senza fornirne interpretazioni. Wundt cercò allora di descrivere attentamente le sensazioni associate alle percezioni elementari. Per esempio, nell’ascoltare i battiti di un metronomo alcune serie di suoni risultavano più piacevoli di altre. Analizzando il rapporto tra emozioni e sensazioni percettive, Wundt e i suoi studenti speravano di svelare la struttura fondamentale dell’esperienza cosciente, cercando anche di ottenere stime oggettive dei processi di coscienza misurando i tempi di reazione, una tecnica simile a quella sviluppata in origine da Helmholtz. Tramite i tempi di reazione Wundt iniziò a indagare la distinzione tra percezione e interpretazione di uno stimolo. I partecipanti alle sue ricerche venivano istruiti a premere un pulsante non appena udivano un certo suono. Ma mentre ad alcuni veniva detto di concentrarsi sulla percezione del suono prima di schiacciare il pulsante, altri dovevano concentrarsi soltanto sull’azione di premere. I soggetti che si concentrarono sul suono reagirono con circa un decimo di secondo di ritardo rispetto a quelli che si concentrarono solo sull’atto di premere il pulsante. Secondo il ragionamento di Wundt, sia i partecipanti veloci nella risposta sia quelli lenti dovevano registrare il suono a livello di coscienza (percezione), ma solo i partecipanti più lenti dovevano anche interpretare il significato del suono e poi premere il pulsante. Il gruppo dei partecipanti più veloci, che si concentrarono solo sulla risposta da dare, poté reagire in modo automatico al suono perché non doveva impegnarsi nell’ulteriore passaggio dell’interpretazione. Questo tipo di sperimentazione aprì nuovi orizzonti, dimostrando che gli psicologi potevano utilizzare tecniche scientifiche per districare processi di coscienza anche molto elusivi. Titchener diffonde lo strutturalismo nel Nord America Molti psicologi europei e americani si recavano a Lipsia per studiare con Wundt. Tra i più eminenti vi fu Edward Titchener, che per due anni studiò con Wundt agli inizi degli anni Novanta dell’Ottocento. In seguito, si trasferì poi negli Stati Uniti e qui fondò un proprio laboratorio di psicologia presso la Cornell University. Titchener portò in America alcuni elementi dell’approccio di Wundt, ma introdusse anche alcuni cambiamenti. Per esempio, mentre Wundt era soprattutto interessato ai rapporti tra gli elementi fondamentali della coscienza, Titchener si concentrò sull’identificazione di quegli elementi in quanto tali. Nel suo manuale Aspetti essenziali della psicologia, Titchener propose una lista di oltre 44 000 qualità elementari dell’esperienza cosciente. L'emergere dei difetti L’approccio strutturalista divenne gradualmente sempre meno influente, e la ragione stava soprattutto nel metodo introspettivo. La scienza richiede osservazioni replicabili. Purtroppo, anche osservatori ben addestrati fornivano spesso analisi introspettive contraddittorie delle loro esperienze coscienti, cosa che rendeva difficile a psicologi diversi di mettersi d’accordo sugli elementi fondamentali dell’esperienza cosciente. In effetti alcuni psicologi mettevano persino in dubbio che fosse possibile, attraverso la sola introspezione, arrivare a identificare tali elementi. Uno dei più importanti tra questi scettici fu William James. Il funzionalismo: i processi mentali come adattamenti James tornò dal suo viaggio in Europa nel 1875 tenne quello che fu il primo corso di un’università americana ispirato alla nuova psicologia sperimentale sviluppata da Wundt e dai suoi collaboratori tedeschi. Lui era d’accordo con Wundt su alcuni punti, come l’importanza di concentrare l’esame sull’esperienza immediata e l’utilità dell’introspezione, ma dissentiva dalla visione di Wundt che si potesse scomporre la coscienza in parti elementari separate. Secondo James, cercare di isolare un momento particolare della coscienza per poi analizzarlo voleva dire distorcere la natura della coscienza, la sua stessa essenza. Per James la coscienza era più simile a un flusso continuo che non a un fascio di componenti distinte. Perciò decise di affrontare la psicologia da una prospettiva completamente diversa e sviluppò un approccio che prese il nome di funzionalismo, ossia lo studio di come i processi mentali consentano alle persone di adattarsi al proprio ambiente (mente come significato adattivo, come funzione; non è importante la natura, ma il “come” ed il “perché”). Dunque, è una concezione olistica della mente caratterizzata da una successione ininterrotta di esperienze (flusso di coscienza) ➠ apprendimento, pensiero, emozioni, motivazione. Mentre lo strutturalismo esaminava la struttura dei processi mentali, il funzionalismo si proponeva di individuare quali funzioni svolgessero quei processi. James trae ispirazione da Darwin Il pensiero di James fu profondamente ispirato dalla lettura di On the Origin of Species by Means of Natural Selection, il libro sull'evoluzione biologica scritto da Charles Darwin. In questo libro Darwin proponeva il principio della selezione naturale, secondo cui le caratteristiche utili alla sopravvivenza e alla riproduzione dei singoli membri di una specie hanno maggiori probabilità, rispetto ad altre caratteristiche, di essere trasmesse alle generazioni successive. Considerate in questa prospettiva, rifletté James, le abilità mentali devono essersi evolute in quanto adattative, cioè perché aiutavano gli esseri umani a risolvere i problemi, aumentando così le loro probabilità di sopravvivenza. Facendo proprio il principio della selezione naturale proposto da Darwin, James sostenne che la coscienza doveva assolvere a qualche funzione biologica importante e che il compito degli psicologi consisteva nel capire quali fossero tali funzioni. Il lavoro di Wundt e degli altri strutturalisti era confinato nei laboratori e James riteneva che ciò limitasse la capacità di quegli studi di svelare come funzioni la coscienza nell'ambiente naturale. A sua volta Wundt riteneva che James non tenesse insufficiente considerazione i nuovi dati che lui e gli altri strutturalisti avevano iniziato a produrre nei loro laboratori. Hall campione del funzionalismo Il resto del mondo non fu dello stesso parere e in breve tempo la psicologia funzionalista di James attrasse numerosi seguaci, soprattutto nel Nord America. Nel 1881 G. [12:23, 22/10/2024] Marika: Stanley Hall, che aveva studiato sia con Wundt che con James, aprì il primo laboratorio per la ricerca psicologica del Nord America, presso la Johns Hopkins University. L'attività di Hall si concentrò sull'età evolutiva e sull'educazione e fu fortemente influenzata dal pensiero evoluzionista. Secondo Hall, durante lo sviluppo i bambini passano attraverso fasi che ricapitolano la storia evolutiva del genere umano. Quindi le capacità mentali di un bambino piccolo sono simili a quelle dei nostri antichi progenitori, e nell'arco della sua esistenza ogni bambino ripercorre il cammino evolutivo seguito dalla specie in migliaia e migliaia di anni. Nel 1887 Hall fondò l'American Journal of Psychology ed ebbe un ruolo fondamentale anche nella fondazione dell'American Psychological Association di cui fu il primo presidente. L'intensa attività di James e di Hall creò le condizioni perché il funzionalismo diventasse una delle più importanti scuole del pensiero psicologico nel Nord America. Dipartimenti di psicologia, in cui si adottava l'approccio funzionalista, cominciarono a comparire in molte delle più importanti università americane, e il funzionalismo diventò più influente di quanto non fosse mai stato lo strutturalismo. Lo sviluppo della psicologia clinica Nello stesso periodo dello strutturalismo e del funzionalismo, altri psicologi che svolgevano la loro attività all’interno degli ospedali o di strutture sanitarie ambulatoriali iniziarono a studiare persone con disturbi psicologici. Le lezioni emerse dal lavoro con i pazienti I medici francesi Jean - Martin Charcot e Pierre Janet registrarono dati sorprendenti osservando pazienti che presentavano una condizione allora chiamata isteria, caratterizzata da perdita temporanea delle funzioni cognitive o motorie, di solito in seguito a esperienze emotivamente sconvolgenti. I pazienti isterici diventavano ciechi, paralizzati o perdevano la memoria, ma ogni volta era impossibile risalire a una causa fisica dei loro problemi. Tuttavia, quando in questi pazienti si induceva uno stato di trance mediante l’ipnosi, i loro sintomi scomparivano: i pazienti ciechi vedevano, quelli paralizzati potevano camminare e quelli senza memoria ricordavano. Ma una volta usciti dallo stato di trance, i pazienti non avevano alcun ricordo di quanto era accaduto durante l’ipnosi e presentavano di nuovo gli stessi sintomi; in pratica si comportavano come due persone diverse nello stato di veglia e sotto ipnosi. Wundt, Titchener e gli altri scienziati ignorarono queste condizioni eccezionali, perché non le ritenevano un oggetto d’indagine appropriato per la psicologia scientifica. William James, invece, pensava che questi disturbi avessero implicazioni importanti sulla possibilità di chiarire la natura della mente. Nello stato normale di esperienza conscia siamo consapevoli di un unico “io” o “sé”, ma le aberrazioni descritte da Charcot, Janet e altri clinici suggeriscono che il cervello possa creare molti “sé” consci, ma inconsapevoli dell’esistenza degli altri. Freud elabora la teoria psicoanalitica Il padre della psicoanalisi Sigmund Freud nacque nel 1856 in Repubblica Ceca. All’età di quattro anni insieme alla sua famiglia si trasferì a Vienna. In seguito, si iscrisse alla facoltà di medicina laureandosi e diventando un ottimo medico. La tendenza dell'epoca di Freud, (tardo ‘800, inizio ‘900), era quella di spiegare la malattia mentale sulla base di disfunzioni a livello organicistico. In seguito, insieme a Charcot si recò a Parigi per studiare i primi casi di pazienti isterici (in questi pazienti si manifestavano i sintomi ma nella realtà non c’erano dei danni a carico dell’organo preso in questione), attraverso l’uso dell'ipnosi, che rappresenta una metodologia attraverso cui il campo mentale dell'individuo viene ipnotizzato e ridotto, facendo tendere l'individuo a iperpercepire la voce e i messaggi che vengono dati dal terapeuta stesso (l'autoipnosi invece è uno stato in cui progressivamente i soggetti di solito reimparano progressivamente a rilassarsi). (Il termine isteria deriva dal greco hystéria, che significa “utero”. Un tempo, infatti, si credeva che solo le donne soffrissero di isteria.) Lavorando con il dottor Joseph Breuer, Freud ebbe modo di studiare casi di pazienti isterici e di sviluppare sue personali teorie per spiegarne gli strani sintomi e comportamenti. Freud teorizzò che all’origine di molti problemi dei suoi pazienti vi fossero esperienze infantili dolorose che la persona non riusciva a ricordare, e si convinse che il potente influsso esercitato da questi ricordi in apparenza perduti rivelava l’esistenza di una mente inconscia. Secondo Freud, l’inconscio è la parte della mente che opera al di fuori della consapevolezza cosciente e tuttavia influenza le azioni, i pensieri e i sentimenti consci. In base a questa idea Freud elaborò la teoria psicoanalitica, un approccio che sottolinea l’importanza dei processi mentali inconsci nel plasmare sentimenti, pensieri e comportamenti. Secondo la teoria freudiana, è importante far riemergere quelle prime esperienze e mettere in luce le ansie, i conflitti e i desideri inconsci della persona. Sulla sua teoria psicoanalitica Freud sviluppò una terapia che chiamò psicoanalisi, la quale, attraverso l'induzione ipnotica, ha come scopo quello di far emergere il materiale inconscio e portarlo al livello della consapevolezza cosciente, così da chiarire i disturbi psicologici che affliggono il paziente. Nel corso della psicoanalisi, i pazienti riportavano alla memoria le esperienze passate e riferivano sogni e fantasie. Servendosi delle teorizzazioni di Freud, gli psicoanalisti interpretavano quello che i pazienti dicevano. Infatti, essi per accedere all’inconscio utilizzavano 3 metodi: Metodo delle associazioni libere: risposte impulsive da parte del paziente, fare attenzione alle risposte date e al linguaggio utilizzato. Analisi degli atti mancati: ovvero l’interpretazione dei sogni, che secondo Freud sono la forma elaborata e travestita in cui si presentano i desideri latenti. Quindi bisogna comprendere la natura dei lapsus (dire involontariamente qualcosa), o degli atti mancati, cioè quei piccoli contrattempi della vita quotidiana che si è soliti attribuire al caso. Metodo del transfer o traslazione: i giovani pazienti cominciavano a trasferire tutte quelle emozioni che provavano (di amore e odio) sulla figura del terapeuta. La teoria della psicoanalisi si basa dunque su 2 topiche: la I TOPICA (istituita nel 1900) è formata da: Conscio: ciò che è consapevole; Preconscio: contenuti mentali non presenti ma rievocabili; Inconscio: ciò che in condizioni mentali non è presente alla coscienza. la II TOPICA (istituita nel 1920) è formata da: Es: è la forza impersonale e caotica che costituisce la matrice originaria della nostra psiche. L'Es non conosce «né il bene e il male, né la moralità», ma obbedisce unicamente all'«inesorabile principio del piacere». Essa inoltre è la sede delle pulsioni primarie, Eros e Thanatos, libido; Super Io: anche detto "coscienza morale", è l'insieme di quelle proibizioni che sono state instillate nell'individuo nei suoi primi anni di vita e che negli anni a seguire lo accompagnano sempre, anche in forma inconsapevole. Io: è il mediatore tra Es, Super Io e mondo esterno, ed è la parte organizzata della personalità; La mediazione tra l’Es e il Super Io è INTRAPSICHICA; mentre quella tra l’Es e il mondo esterno è INTERPSICHICA. Vi sono casi in cui l’Es ha pulsioni talmente forti che il Super Io non riesce ad accettare, quindi l’Io interviene con i suoi meccanismi di difesa. Questi ultimi sono moltissimi, alcuni dei quali: 1. RIMOZIONE: l’individuo rimuove sia il luogo che le emozioni provate. Esempio: se un bambino entra nella stanza dei genitori durante l’atto sessuale, proverà talmente tanta rabbia nei confronti del padre che l’Io gli farà dimenticare tutto, salvandolo da quest’ira. 2. FORMAZIONE REATTIVA: quando le emozioni dell’individuo vengono trasformate da positive in negative e viceversa, per via di un confitto che il Super Io non riesce ad accettare. Fa cambiare le emozioni in modo tale da “consolare” il soggetto e fargli pensare di star facendo la cosa giusta, per il solo scopo appunto di difenderlo. 3. NEGAZIONE: quando l’Io nega l’emozione che ha provato, non l’evento. Esempio: quando qualcuno parla di un trauma non provando emozioni nel raccontarlo. Esempio 1: Un bambino che racconta, ridendo, che da piccolo veniva picchiato dai suoi genitori, nega, attraverso la risata, il terrore e il dolore che aveva provato in quel momento. Quando uno psicologo assiste al racconto di uno di questi episodi, il trucco è NON essere presi emotivamente dal racconto, perché l’empatia dello psicologo nei confronti del paziente peggiora la situazione, in particolare fa rivenire a galla le emozioni che erano state dimenticate dal paziente e contribuisce al malessere stesso del paziente. Esempio 2: Dopo il lutto di una persona cara, gli affetti inizialmente attraversano una fase in cui quasi non si riesce a credere ed accettare che quella persona sia venuta a mancare, per questo motivo tendono a negare le loro emozioni. Approfondendo meglio le fasi di un lutto sono 4: negazione, rabbia, disperazione e ricostruzione. 4. INTELLETTUALIZZAZIONE / RAZIONALIZZAZIONE / MISTIFICAZIONE: quando l’io cerca di dare un motivo razionale e valido all’impulso per giustificarlo. Indica quindi il tentativo di giustificare attraverso spiegazioni o ipotesi “di comodo”, un fatto che il soggetto ha trovato angoscioso. Consiste nell' atteggiamento mentale di mascherare sentimenti, idee e comportamenti percepiti come conflittuali con le proprie vere motivazioni pulsionali o con la realtà. Esempio: Nella favola di Fedro “La volpe e l’uva”, quando la volpe non riuscì ad arrivare all’uva disse che era troppo acerba; la volpe disprezzando quindi l’uva utilizzò questa forma di razionalizzazione. Infatti, reagire a una sconfitta sostenendo di non aver mai desiderato la vittoria, o disprezzando il premio che si è mancato di ottenere, è una forma di razionalizzazione. All’inizio del XX secolo, Freud e una schiera sempre crescente di seguaci fondarono il movimento psicoanalitico, che ebbe in Carl Gustav Jung e Alfred Adler due figure di spicco. Entrambi questi studiosi erano però pensatori indipendenti e Freud, mal tollerava che si mettessero in discussione le sue idee. La teoria psicoanalitica suscitò molte controversie, in quanto sosteneva che per comprendere pensieri, emozioni e comportamenti di una persona si dovessero esplorare le sue prime esperienze sessuali e i suoi desideri sessuali inconsci, temi ritenuti a quel tempo troppo scabrosi per poter essere oggetto di dibattito scientifico. La teoria della sessualità quindi costituisce l’aspetto storicamente e culturalmente più sconvolgente della psicoanalisi. Freud infatti amplia il concetto di sessualità, riconducendola a un'energia che può dirigersi verso le mete più diverse, investendo gli oggetti più disparati, ricorrendo a una parola latina (libido, libidinis): egli denomina tale energia libido (= piacere). La libido è una spinta energetica che nelle fasi dello sviluppo dell'individuo migra in diverse parti del corpo, che Freud chiama "zone erogene", generatrici di piacere. Nello sviluppo sessuale del bambino si presentano delle fasi: Fase orale: che dura fino al primo anno e mezzo di vita, ha come zona erogena la bocca. Il bambino durante questa fase riceve piacere principalmente attraverso l'attività del poppare. Fase anale: che va da un anno e mezzo a tre anni, ha come zone erogena l'ano. In questa fase il bimbo impara a trattenere le feci, da qui prova piacere. Fase fallica: è detta così perché coincide con la «scoperta del pene», che costituisce un centro di attrazione tanto per il bambino quanto per la bambina. In questa fase l'organo di eccitamento sessuale è appunto il pene, oppure l'equivalente femminile: il clitoride. Secondo Freud, durante questa fase sia il maschietto sia la femminuccia soffrono di un «complesso di castrazione»: il primo perché teme di essere evirato dal padre; la seconda perché si sente di fatto evirata e prova l'«invidia del pene». Inoltre in questa fase si inizia a manifestare una sorta di piacere etero - diretto, si comincia dunque a percepire un sentimento di repulsione nei confronti del genitore dello stesso sesso e di amore nei confronti del genitore di sesso opposto (complesso di Edipo o Elettra). Fase di latenza: fase compresa tra i 6 anni e la pubertà in cui la libido è "dormiente" e le pulsioni sessuali dell'individuo vengono indirizzate verso altri scopi. Secondo Freud, questa fase serve al bambino per incrementare la socializzazione e sviluppare rapporti amichevoli con i membri dello stesso sesso, focalizzando la sua attenzione sulle attività che caratterizzeranno il suo sviluppo fisico (scuola e atletica), infatti si ha una sorta di attivazione sessuale. Fase genitale: fase in cui l'individuo non indirizza più l'amore che prima provava per il genitore del sesso opposto verso il genitore, bensì verso terzi. Se queste fasi non vengono vissute a pieno e in maniera soddisfacente si cercherà di recuperarle in seguito, in particolare: o Fase orale: si cercherà di recuperarla nella fase adulta attraverso l'eccessiva assunzione di cibo, alcolismo o dipendenza da sigarette. o Fase anale: il trattenere le feci si proietterà nel trattenere a sé gli oggetti, diventando quindi un cosiddetto accumulatore seriale. o Fase fallica: se si sono verificate mancanze in questa fase, in cui per esempio si è ricevuto troppo o troppo poco amore, l'individuo cercherà nel partner una figura genitoriale per compensare gli affetti che sono o non sono stati ricevuti. Molte volte questo si vede quando individui giovani stanno con persone più grandi, o che hanno quantomeno qualche comportamento che rispecchi ciò che avrebbero voluto ricevere dal genitore stesso. o Fase di latenza: se si sono verificate mancanze in questa fase l’individuo cercherà di estraniarsi dalle relazioni con un partner: questo succede nel caso delle relazioni tossiche o quando l’individuo prosegue in maniera massiva nella ricerca di un partner. Freud e la maggioranza dei suoi seguaci avevano una formazione medica e non conducevano esperimenti di psicologia in laboratorio. In generale, gli psicoanalisti non ricoprirono incarichi all’interno di università e svilupparono le loro idee lontano dall’approccio sperimentale su cui si fondava il lavoro di Wundt, Titchener, James, Hall e di altri. La maggior parte degli storici considera Freud uno dei due o tre principali pensatori del XX secolo, e il movimento psicoanalitico ha esercitato una notevole influenza su ogni cosa, dalla letteratura alla storia, dalla politica all’arte. Nell’ambito della psicologia, la psicoanalisi ha prodotto il suo impatto più forte sulla pratica clinica. La nascita della psicologia umanistica Freud le persone erano ostaggi di esperienze infantili dimenticate e di impulsi sessuali primitivi, e il pessimismo intrinseco a tale visione risultava frustrante per quegli psicologi che della natura umana avevano una visione più ottimistica. In America gli anni che seguirono alla Seconda Guerra Mondiale furono animati da uno spirito molto positivo, energico e ottimista: la tecnologia sconfiggeva povertà e malattie, il livello di vita dell’americano medio era in rapida ascesa e di lì a poco l’uomo sarebbe arrivato sulla Luna. Fu allora che psicologi come Abraham Maslow e Carl Rogers divennero i capofila di un nuovo movimento chiamato psicologia umanistica, un approccio alla comprensione della natura umana che attribuisce importanza soprattutto alle potenzialità positive delle persone. Al centro dell’attenzione degli psicologi umanisti vi erano le aspirazioni più elevate delle singole persone. Anziché vederle prigioniere di eventi accaduti in un remoto passato, gli psicologi umanisti vedevano le persone come liberi agenti dotati di un bisogno innato di evolversi, crescere e realizzare a pieno il proprio potenziale. Questo movimento giunse al culmine del suo sviluppo negli anni Sessanta del XX secolo. I terapeuti umanistici cercavano di aiutare le persone a realizzare tutte le proprie potenzialità e per indicarle usavano il termine “clienti” e non “pazienti”. Nella relazione terapeuta - cliente il rapporto era paritario. La ricerca di misure oggettive: il comportamentismo occupa la scena Le scuole di pensiero presenti sulla scena della psicologia agli inizi del XX secolo – lo strutturalismo, il funzionalismo, la psicoanalisi – differivano tra loro in modo sostanziale, ma condividevano tutte un aspetto importante: ciascun approccio cercava di capire il funzionamento profondo della mente esaminandone i contenuti coscienti – percezioni, pensieri, ricordi, sentimenti ed emozioni – oppure cercando di far affiorare materiale in precedenza inconscio, il tutto attraverso quanto riferivano i partecipanti a esperimenti di laboratorio oppure pazienti osservati in ambiente clinico. Con l’avanzare del XX secolo un nuovo approccio, detto comportamentismo, fece la sua comparsa. Esso affermava che gli psicologi dovevano limitarsi allo studio scientifico del comportamento oggettivamente osservabile. Watson e la nascita del comportamentismo John Broadus Watson riteneva che l’esperienza individuale fosse troppo vaga e soggettiva per costituire l’oggetto adeguato dell’indagine scientifica. Infatti, secondo lui, la scienza richiedeva misurazioni oggettive e replicabili di fenomeni accessibili a qualunque osservatore, e i metodi introspettivi di strutturalisti e funzionalisti erano decisamente troppo soggettivi per rispondere a quei requisiti. Egli, perciò, propose che gli psicologi concentrassero il loro lavoro unicamente sullo studio del comportamento – cioè su quello che le persone fanno – perché il comportamento è osservabile da chiunque e può essere misurato in maniera oggettiva. Secondo Watson, la psicologia scientifica doveva avere l’obiettivo di prevedere e controllare il comportamento in modi che fossero utili e vantaggiosi per la società. Nel 1908 Margaret Floy Washburn pubblicò The Animal Mind (La mente animale), in cui passava in rassegna tutto quello che allora si conosceva su percezione, apprendimento e memoria nelle diverse specie animali. Washburn arrivava a concludere che gli animali non umani avevano esperienze mentali consapevoli, in maniera del tutto simile agli animali umani. Watson reagì con fermezza a quest’affermazione. Egli decise che, se non si potevano interrogare gli animali sulle loro esperienze soggettive, interiori, l’unico modo per capire come gli animali apprendono e si adattano era concentrarsi unicamente sul loro comportamento, e propose che lo studio degli esseri umani dovesse essere basato su quegli stessi presupposti. Grande influenza su Watson ebbe anche il lavoro del fisiologo russo Ivan Pavlov, autore di una pionieristica ricerca sulla fisiologia della digestione. Nel corso di questo lavoro, Pavlov notò un dato interessante nei cani che stava studiando: gli animali salivavano non soltanto alla vista del cibo, ma anche nel vedere gli inservienti che portavano loro da mangiare. Questi però non indossavano una divisa particolare. Pavlov sviluppò una procedura in cui, ogni volta che si dava loro da mangiare, i cani udivano anche un certo suono; dopo qualche tempo, gli animali iniziarono a salivare al solo udire il suono. Negli esperimenti di Pavlov il suono fungeva da stimolo – un input sensoriale proveniente dall’ambiente – capace di influenzare la salivazione dei cani, la quale costituiva la risposta, cioè un’azione o una modificazione fisiologica evocata dallo stimolo. Questi due concetti divennero per Watson e per gli altri comportamentisti gli elementi su cui fondarono le loro teorie; per questa ragione il comportamentismo viene a volte chiamato anche “psicologia stimolo-risposta” o “psicologia S-R”. Watson applicò le tecniche di Pavlov a bambini piccoli. In uno studio famoso, ma alquanto controverso, Watson e la sua allieva Rosalie Rayner insegnarono a un bambino, chiamato in letteratura il Piccolo Albert, ad avere paura di un innocuo ratto bianco che in precedenza non gli suscitava alcun timore. Watson, dunque, riteneva che il comportamento umano fosse fortemente influenzato dall’ambiente e gli esperimenti condotti sul Piccolo Albert gli permisero di dimostrare che tale influenza si esercita fin dalle prime fasi della vita. Né Watson né gli altri comportamentisti dopo di lui credevano che l’ambiente fosse l’unica forma di influenza sul comportamento, ma la ritenevano la più importante. B.F. Skinner e lo sviluppo del comportamentismo Nel 1926, Burrhus Frederic Skinner si laureò all’Hamilton College, nello Stato di New York e completò gli studi con un dottorato in psicologia a Harvard, cominciando a elaborare un nuovo genere di comportamentismo. Negli esperimenti di Pavlov i cani erano stati partecipanti passivi che se ne stavano fermi, ascoltavano suoni e sbavavano. Skinner considerò che nella vita di ogni giorno gli animali non si limitano a starsene fermi, ma agiscono sugli ambienti in cui vivono mossi dal bisogno di trovare riparo, cibo e partner sessuali, e Skinner si chiese se fosse possibile sviluppare dei principi comportamentali in grado di spiegare in che modo gli animali apprendono ad agire in quelle situazioni. Così costruì un dispositivo sperimentale che egli chiamò camera di condizionamento, ma che per il resto del mondo sarebbe sempre stato la gabbia di Skinner o Skinner box. Questa gabbia era dotata di una leva e di un vassoio per il cibo; premendo la leva, un ratto affamato poteva ottenere il rilascio di una pallina di cibo nel vassoio. Skinner osservò che, appena introdotto nella gabbia, un ratto si muoveva al suo interno annusando ed esplorando tutt’attorno, e di solito arrivava per caso a fare pressione sulla leva; a quel punto una pallina di cibo cadeva nel vassoio. In seguito a questo fatto, si poteva osservare un crescendo rapidissimo del numero di pressioni che il ratto esercitava sulla leva, dopo di che la frequenza si manteneva alta finché l’animale non si sentiva sazio. Skinner riuscì così a dimostrare quello che egli chiamava principio del rinforzo, secondo cui le conseguenze di un comportamento determinano le sue maggiori o minori probabilità di essere prodotto di nuovo. Il concetto di rinforzo diventò la base del nuovo approccio comportamentista di Skinner, visione che egli descrisse nel fondamentale libro The Behavior of Organisms. An Experimental Analysis (Il comportamento degli organismi). L’applicazione alla realtà quotidiana Skinner iniziò a cercare il modo di applicare le proprie idee sul rinforzo allo scopo di migliorare la vita quotidiana. Durante una visita alla classe della figlia, Skinner si rese conto che avrebbe potuto migliorare l’insegnamento scomponendo un compito complicato in piccole parti e poi, sfruttando il principio del rinforzo, insegnare ai bambini ogni singola parte. Egli sviluppò a questo scopo dei congegni automatici, chiamati macchine da insegnamento, che ponevano una serie di domande di difficoltà crescente, in base alle risposte date dai bambini a domande più semplici. Per risolvere un complicato problema di matematica, ad esempio, inizialmente veniva fatta una domanda facile sulla parte più semplice del problema. In seguito ai bambini veniva detto se avevano dato una risposta giusta o sbagliata e, se era corretta, le macchine passavano a una domanda più difficile. Lo studioso pensava che la soddisfazione di sapere di avere dato la risposta giusta avrebbe avuto la funzione di rinforzo e aiutato gli alunni a imparare. Nelle sue opere molto controverse Beyond Freedom and Dignity (Oltre la libertà e la dignità) e Walden II, Skinner espose la sua visione di una società utopistica in cui il comportamento è controllato dall'accorta applicazione del principio del rinforzo. In quei libri egli avanzò la semplice ma destabilizzante idea che la nostra sensazione soggettiva di libera volontà non è che un'illusione, e che quando pensiamo di esercitare il nostro libero volere in realtà non facciamo altro che produrre risposte sulla base di modelli di rinforzo presenti e passati. Nel presente facciamo cose che hanno ottenuto rinforzi nel passato, e la sensazione di "scegliere" di farle non è che un'illusione. Inoltre, Skinner sostenne che le sue intuizioni potevano servire a migliorare il benessere delle persone e a risolvere i problemi della società. In seguito, una rivista arrivò ad affermare che Skinner voleva "l'addomesticamento del genere umano, attraverso un sistema di scuole basate sui principi con cui si addestrano all'obbedienza i cani". Ma Skinner non voleva trasformare la società in una "scuola di addestramento per cani" o privare le persone della libertà individuale. Piuttosto egli sosteneva che capire i principi che sono alla base del comportamento poteva essere utile per accrescere il benessere sociale, il che è precisamente ciò che succede quando un governo si serve di campagne pubblicitarie per incoraggiare i cittadini a bere latte o a smettere di fumare. Il ritorno della mente: la psicologia si espande Watson, Skinner e i comportamentisti dominarono la psicologia americana dagli anni Trenta agli anni Cinquanta del XX secolo. Il comportamentismo, tuttavia, non avrebbe dominato la scena ancora a lungo, infatti fu soppiantato perché, anche se permetteva agli psicologi di misurare, prevedere e controllare il comportamento, lo faceva ignorando alcuni aspetti fondamentali. Innanzitutto, ignorava i processi mentali che avevano affascinato psicologi come Wundt e James e, nel far ciò, si ritrovò incapace di spiegare alcuni fenomeni molto importanti, ad esempio come avviene nei bambini l’apprendimento del linguaggio. In secondo luogo, non teneva in nessun conto la storia evolutiva degli organismi che studiava, quindi non riusciva a spiegare perché, per esempio, un ratto potesse imparare ad associare la nausea al cibo molto più in fretta di quanto non riuscisse a farlo con un suono o una luce. Nuove pioneristiche idee portano alla nascita della psicologia cognitiva Anche nel pieno della dominazione del comportamentismo alcuni rivoluzionari continuarono, con ricerche e scritti, a mettere al centro della propria indagine i processi mentali. Questo indirizzo, a cui poi fu dato il nome di psicologia cognitiva, concentrava la ricerca su processi mentali o cognitivi quali la percezione, la memoria, l’esperienza soggettiva, l’attenzione e il linguaggio. Le prime scoperte su come la mente organizza ciò che vediamo Lo psicologo tedesco Max Wertheimer si concentrò sullo studio delle illusioni, cioè quegli errori di percezione, di memoria o di giudizio in cui l’esperienza soggettiva e la realtà oggettiva differiscono. In uno dei suoi esperimenti Wertheimer mostrava al soggetto due luci lampeggianti che apparivano rapidamente su uno schermo, una dopo l’altra. Una luce lampeggiava attraverso una fessura verticale, l’altra attraverso una fessura diagonale. Quando l’intervallo di tempo tra i due lampi di luce era relativamente lungo, l’osservatore vedeva due luci che lampeggiavano alternate. Ma quando l’intervallo tra i due stimoli luminosi veniva ridotto da Wertheimer a circa un ventesimo di secondo, l’osservatore vedeva un’unica luce muoversi avanti e indietro. Secondo il ragionamento sviluppato da Wertheimer, il movimento percepito non si poteva spiegare tramite i due elementi distinti che sono all’origine dell’illusione (le due luci lampeggianti), ma piuttosto con il fatto che il lampo di luce mobile viene percepito come un tutt’uno anziché come somma delle due parti. L’interpretazione dell’illusione elaborata da Wertheimer fu il punto di partenza per lo sviluppo della psicologia della GESTALT (in tedesco significa FORMA), un approccio psicologico che mette in evidenza come spesso percepiamo l’intero anziché la somma delle parti. In altre parole, la mente impone un’organizzazione a quello che percepisce, perciò le persone non vedono quello che effettivamente lo sperimentatore mostra loro (due luci distinte), ma vedono invece gli elementi come un insieme unico (un’unica luce che si muove). Köhler e Dunker Ai comportamenZsZ veniva criZcato di me[ere gli animali in condizioni troppo controllate e poco naturali. In queste condizioni, dunque, l’animale non aveva la possibilità di esprimere comportamenZ creaZvi e intuiZvi. Nel libro "L'intelligenza delle scimmie antropoidi", Köhler, uno psicologo della Gestalt, descrisse gli studi da lui compiuZ sulle scimmie dell’isola di Tenerife. Tra gli esperimenZ più famosi ricordiamo ad esempio: quello sullo scimpanzè Sultan, che nonostante fosse rinchiuso in una gabbia, ebbe una intuizione improvvisa (INSIGHT); riuscì infa], uZlizzando 2 bastoni corZ, a prendere una banana, posta al di fuori della gabbia…. o ancora ricordiamo quello della scimmia, a cui venne insegnato come spegnere il fuoco inizialmente a[raverso l’uso di un secchio contenente l’acqua del mare, e in seguito a[raverso l’uso di un secchio contenente acqua di rubine[o; che era posto all’interno di una za[era. In seguito Karl Dunker, un altro psicologo della Gestalt interessato ai meccanismi cognitivi del problem solving, riprese e approfondì gli studi effettuati da Kohler sull’insight e sulla fissità funzionale (in tedesco EINSTELLUNG), ovvero l'incapacità di un soggetto di vedere in un oggetto una funzione diversa da quella abituale. Durante uno dei suoi tanZ esperimenZ Dunker presentò, ai vari partecipanZ, un foglio con nove punZ, dicendo loro di unirli senza mai staccare la penna dal foglio e uZlizzando solo qua[ro segmenZ. I partecipanZ purtroppo però non riuscirono a risolvere tale problema, nonostante fossero persone molto intelligenZ, poiché secondo loro i punZni si dovevano unire senza uscire dai confini del quadrato… questo secondo Dunker è un chiaro esempio di fissità funzionale. Dunque questo limite che i partecipanZ hanno se lo sono posZ essenzialmente da soli, ciò succede anche nella realtà. Un esempio famoso è quello dei cuccioli di elefante, che possono compiere dei movimenZ limitaZ, poiché vengono legaZ ad un palo con una catena. Man mano che gli elefanZ diventano adulZ sono condizionaZ a stare legaZ, a[raverso la catena, a quel palo, poiché nonostante possiedono la forza necessaria affinché la rompano la catena, pensano che non ce la farebbero. Prime scoperte su come la mente organizza ciò che ricordiamo Un altro studioso che condusse ricerche pionieristiche sulla mente fu Sir Frederic Bartlett, uno psicologo britannico interessato ai processi della memoria. Bartlett non si sentiva soddisfatto da quanto era emerso fino ad allora dalle ricerche dello psicologo tedesco Hermann Ebbinghaus, che aveva condotto esperimenti molto innovativi. Fungendo lui stesso da soggetto della sua ricerca, Ebbinghaus cercò di scoprire in quanto tempo e con quanta precisione una persona sarebbe stata in grado di memorizzare informazioni prive di significato, ad esempio liste di sillabe senza senso composte da tre lettere come dap, kir e sil. Bartlett riteneva più importante esaminare la memoria rispetto al tipo di informazioni che le persone incontrano nella vita di ogni giorno; quindi, chiese ai suoi soggetti di leggere e ricordare delle storie per poi analizzare attentamente quali errori essi commettevano nel tentativo di ricordarle. In questo modo Bartlett scoprì molte cose interessanti che Ebbinghaus, con le sue sillabe senza senso, non avrebbe mai potuto scoprire. Per esempio, Bartlett trovò che spesso i partecipanti ricordavano quello che sarebbe dovuto succedere, o che essi si aspettavano che succedesse, anziché quello che era davvero successo. Questi e altri tipi di errori indussero Bartlett a ipotizzare che la memoria non fosse una riproduzione fotografica delle esperienze passate, e che i nostri tentativi di ricordare il passato siano fortemente influenzati dai contenuti della nostra mente: conoscenze, credenze, speranze, aspirazioni e desideri. Le prime scoperte sullo sviluppo evolutivo Jean Piaget fu uno psicologo svizzero che si dedicò allo studio degli errori percettivi e cognitivi dei bambini, allo scopo di chiarire la natura e lo sviluppo della mente umana. Per esempio, in uno dei compiti da lui stesso elaborati, Piaget forniva a un bambino di 3 anni due mucchietti di creta, uno grande e uno piccolo, poi chiedeva al bambino di renderli uguali. Dopo che questo era stato fatto, Piaget scomponeva uno dei due mucchietti in tante piccole pallottole; quindi, chiedeva al bambino quale dei due mucchietti a quel punto contenesse più creta. Benché la quantità nei due mucchietti fosse rimasta uguale, il bambino di 3 anni rispondeva quasi sempre che adesso il mucchietto più grande era quello diviso in tante piccole parti, ma i bambini di 6 o 7 anni non facevano più quell’errore. Secondo Piaget i bambini più piccoli mancano di una particolare abilità cognitiva, la quale consente ai bimbi più grandi di capire che la massa di un oggetto resta costante anche se viene suddivisa in parti più piccole. Per Piaget, questo tipo di errore permetteva di cogliere aspetti cruciali del mondo mentale del bambino. L’importanza dell’esperienza personale Un altro pioniere nello studio della mente, e in particolare del pensiero, lo psicologo tedesco Kurt Lewin, affermò che è possibile prevedere il comportamento di una persona nella vita reale, se si conosce la sua esperienza soggettiva del mondo. Una serie televisiva si riduce a una sequela di azioni scollegate dei suoi personaggi, se non si conosce il carattere delle loro esperienze. Lewin si rese conto che non era lo stimolo, ma piuttosto l’interpretazione (construal) che la persona dava dello stimolo, a determinare il suo successivo comportamento. Un pizzicotto sulla guancia può risultare piacevole o spiacevole, a seconda di chi lo dà, in quali circostanze e su quali guance. Lewin costruì un modello dell’esperienza soggettiva servendosi di uno speciale tipo di matematica, detto topologia. Il tentativo di Lewin di rappresentare la vita mentale mediante un modello matematico e la sua insistenza sul fatto che l’oggetto di studio della psicologia dovesse consistere nel modo in cui le persone interpretano il proprio mondo produssero invece un impatto duraturo sulla psicologia. L’entrata in scena del computer Fatta eccezione per questa manciata di pionieri, nel complesso gli psicologi dei primi anni del XX secolo ignorarono bellamente i processi mentali fino agli anni Cinquanta del XX secolo, quando fece la sua comparsa sulla scena una novità importante: il computer. L’avvento del computer ebbe ovviamente un enorme impatto pratico sulla ricerca in psicologia. Le persone e i computer sono certo molto differenti, ma entrambi paiono registrare, archiviare e poi recuperare informazioni, il che portò gli psicologi a chiedersi se il computer potesse essere utile come modello della mente umana. I computer sono sistemi per l’elaborazione delle informazioni e il flusso di informazioni che scorre nei loro circuiti chiaramente non è una favola. Se gli psicologi potevano pensare agli eventi mentali – quali ricordare, prestare attenzione, pensare, credere, valutare, sentire e giudicare – come a un flusso di informazioni che attraversa la mente, allora, dopo tutto, era possibile per la psicologia studiare questi fenomeni in maniera scientifica. L’emergere del computer fece riemergere l’interesse per i processi mentali in tutto il campo della psicologia e diede origine a un nuovo approccio detto psicologia cognitiva, ovvero lo studio scientifico dei processi mentali, comprendenti la percezione, il pensiero, la memoria e il ragionamento a6raverso le neuroscienze cogni7ve. In seguito dalla psicologia cogniZva si affermò a sua volta anche la psicologia evoluzionista, che spiega il comportamento umano nei termini di ada[amento, ed è diversa dalla psicologia evoluEva (psicologia dello sviluppo), che studia lo sviluppo del nostro cervello e del nostro comportamento a parZre dai neonaZ fino ad arrivare agli anziani. Le prime scoperte sui limiti dell’attenzione Durante la Seconda Guerra Mondiale, i militari fecero ricorso agli psicologi per capire quale fosse il modo migliore per far apprendere ai soldati l’uso di nuove tecnologie quali il radar. Gli operatori radar dovevano tenere a lungo concentrata l’attenzione sugli schermi dei loro apparecchi, mentre cercavano di capire se le tracce luminose che vedevano erano aerei amici, aerei nemici, o stormi di oche selvatiche destinate a ben altra caccia. Così lo psicologo britannico Donald Broadbent fu tra i primi a studiare che cosa accade quando si cerca di prestare attenzione a più cose nello stesso momento. Broadbent osservò, che i piloti non riescono a occuparsi contemporaneamente di molti strumenti diversi, ma devono spostare attivamente l’attenzione dall’uno all’altro. Inoltre, dimostrò che la capacità limitata nel gestire il flusso di informazioni in ingresso è una caratteristica fondamentale della cognizione umana, e che tale limite poteva spiegare molti degli errori commessi dai piloti. Nello stesso periodo, lo psicologo americano George Miller rilevò che i limiti della capacità mentale restavano straordinariamente costanti in situazioni diverse: è possibile, infatti, prestare attenzione e trattenere in memoria per breve tempo soltanto sette pezzi di informazione. Gli psicologi cognitivi iniziarono a condurre esperimenti e a elaborare teorie per comprendere meglio questi limiti della capacità mentale. Il dono del linguaggio mentale L’invenzione del computer negli anni Cinquanta del secolo scorso ebbe un profondo impatto sul pensiero psicologico. Un computer è costituito da un hardware e da un software. Se il cervello era grosso modo analogo all’hardware di un computer, allora forse la mente era grosso modo analoga al software. Seguendo questa linea di pensiero gli psicologi cognitivi cominciarono a scrivere programmi per computer per vedere quali tipi di software riuscissero a imitare il linguaggio e il comportamento umani. Paradossalmente, all’emergere della psicologia cognitiva contribuì anche la pubblicazione di un libro di B.F. Skinner intitolato Verbal Behavior (Comportamento verbale), che proponeva un’analisi comportamentista del linguaggio. Un linguista del Massachusetts Institute of Technology (MIT), Noam Chomsky, pubblicò una critica feroce di quel libro; in essa Chomsky sostenne che l’insistenza sul comportamento osservabile aveva fatto perdere di vista a Skinner alcuni degli aspetti più importanti del linguaggio, poiché credeva che il linguaggio si basasse su regole mentali che ci consentono di comprendere e produrre parole e frasi nuove. La capacità che perfino il bambino più piccolo possiede di generare frasi nuove, che non ha mai sentito prima, si scontrava con la teoria comportamentista secondo cui i bambini imparano a usare il linguaggio grazie al rinforzo. Chomsky fornì un’interpretazione del linguaggio intelligente, dettagliata e interamente cognitiva, in grado di chiarire molti dei fenomeni che i comportamentisti non riuscivano a spiegare. Gli psicologi cognitivi svilupparono metodi nuovi e ingegnosi che consentivano loro lo studio dei processi coinvolti nella cognizione. L’entusiasmo suscitato dal nuovo approccio fu espresso in un testo di capitale importanza, Cognitive Psychology (Psicologia cognitiva), scritto da Ulric Neisser. Il cervello incontra la mente: la nascita delle neuroscienze cognitive Sebbene studiassero il software, cioè la mente, gli psicologi cognitivi avevano ben poco da dire sull’hardware, il cervello. Eppure, il rapporto tra software e hardware è di cruciale importanza: ciascun elemento ha bisogno dell’altro perché le cose possano funzionare. Le nostre attività mentali spesso ci appaiono così naturali e spontanee che non ci rendiamo affatto conto che esse dipendono da operazioni estremamente complesse eseguite dal cervello. Ma questa dipendenza diventa evidente nei casi drammatici in cui un danno in una certa area cerebrale causa la perdita di una specifica abilità cognitiva. Infatti, nel XIX secolo il medico francese Paul Broca descrisse il caso di un paziente il quale, in seguito a un danno in un’area limitata dell’emisfero sinistro, non riusciva più a parlare, e tuttavia capiva perfettamente quello che gli si diceva. Inoltre, un danno in altre parti del cervello può provocare sindromi caratterizzate dalla perdita di specifiche abilità mentali (per es., nella prosopagnosia la persona non è in grado di riconoscere i volti umani) o dall’emergere di comportamenti o convinzioni bizzarri (per es., nella sindrome di Capgras la persona crede che un impostore abbia preso il posto di un suo parente stretto). Dunque, questi casi straordinari ci ricordano che persino i processi cognitivi più semplici dipendono dal cervello. La nascita delle neuroscienze del comportamento Karl Lashley, uno psicologo che aveva studiato con Watson, condusse una famosa serie di esperimenti in cui addestrava dei ratti a percorrere un labirinto. Dopo avere rimosso chirurgicamente parti diverse del cervello di questi animali, Lashley misurava di nuovo la capacità dei ratti nel percorrere il labirinto. Egli sperava di riuscire in questo modo a individuare l’esatta area cerebrale in cui ha sede l’apprendimento. Purtroppo risultò che maggiore era l’area cerebrale asportata, maggiori erano le difficoltà del ratto a percorrere il labirinto. Lashley si sentì frustrato dall’impossibilità di identificare un’area cerebrale deputata all’apprendimento, ma i suoi tentativi spinsero altri scienziati a raccogliere la sfida. Al lavoro di questi studiosi si deve la nascita di un nuovo campo di ricerca, che fu chiamato psicologia fisiologica. Questo campo si è poi evoluto nelle attuali neuroscienze del comportamento, un approccio che collega i processi psicologici alle attività del sistema nervoso e ad altri processi organici. Le tecniche di visualizzazione non invasive svelano i misteri del cervello Per ovvie ragioni etiche, non è possibile praticare la chirurgia sperimentale sul cervello degli esseri umani, quindi gli psicologi che vogliono studiare il cervello umano devono spesso affidarsi agli esperimenti crudeli e imprecisi messi in atto dalla natura. Difetti congeniti, incidenti e malattie sono spesso causa di danni a particolari regioni del cervello, e se tali danni compromettono una specifica abilità mentale, allora gli psicologi ne deducono che quella regione è coinvolta in quella abilità. Tuttavia, sul finire degli anni Ottanta del XX secolo nuove conquiste tecnologiche portarono allo sviluppo di tecniche non invasive di visualizzazione cerebrale (neuroimaging), grazie alle quali è divenuto possibile osservare ciò che accade nel cervello di una persona mentre essa è impegnata in compiti che implicano di leggere, immaginare, ascoltare o ricordare. Le tecniche di visualizzazione sono strumenti d’indagine preziosi in quanto consentono di osservare il cervello in azione, e di rilevare quali parti sono coinvolte e in quali operazioni. Per esempio, le tecniche di visualizzazione sono state usate per identificare le aree dell’emisfero cerebrale sinistro coinvolte in aspetti specifici del linguaggio, come la comprensione o invece la produzione delle parole. Esiste in effetti un nome per questo campo d’indagine: le neuroscienze cognitive sono il campo di ricerca che tenta di comprendere i nessi tra processi cognitivi e attività cerebrale. La mente adattiva: la nascita della psicologia evoluzionistica Il rinnovato interesse per i processi mentali e quello sempre crescente per il cervello furono determinanti nel portare la psicologia lontano dal comportamentismo, ma anche un terzo progresso contribuì a favorire lo sviluppo di un nuovo indirizzo. In esperimenti condotti tra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, lo psicologo John Garcia e i suoi collaboratori dimostrarono che un ratto impara ad associare la nausea all’odore del cibo molto più in fretta di quanto non impari ad associarla a una luce lampeggiante. Questo perché non era solo la sua storia di apprendimento individuale a determinare la sua capacità di apprendere, ma anche tutte le storie di apprendimento dei suoi antenati. Questo cruciale mutamento di visione diventò il credo di un nuovo indirizzo della psicologia. La psicologia evoluzionistica spiega la mente e il comportamento in termini di valore adattivo delle abilità conservate nel corso del tempo ad opera della selezione naturale. La psicologia evoluzionistica affonda le sue radici nella teoria dell'evoluzione per selezione naturale di Charles Darwin secondo la quale le caratteristiche che favoriscono la sopravvivenza e la riproduzione di un organismo hanno maggiori probabilità rispetto ad altre caratteristiche di essere trasmesse alle generazioni successive. La teoria della selezione naturale ispirò l'approccio funzionalista di William James e di G. Stanley Hall, in quanto li portò a focalizzare l'attenzione su come le abilità mentali aiutassero le persone a risolvere i problemi posti dalle esigenze quotidiane. Ma è solo dal 1975, anno in cui fu pubblicato Sociobiology (Sociobiologia) che la presenza del pensiero evoluzionista si manifestò con chiarezza nel campo della psicologia. Gli psicologi evoluzionisti pensano che la mente umana sia un insieme di "moduli" specializzati, atti a risolvere i problemi che i nostri antenati hanno affrontato per milioni di anni nei loro sforzi di mangiare, accoppiarsi e riprodursi. Secondo la psicologia evoluzionistica, il cervello è un computer costruito in modo da fare bene alcune cose e tutte le altre non farle affatto. È un computer intrinsecamente dotato di una ridotta serie di applicazioni, costruitesi in modo da fare le cose che le precedenti versioni del computer hanno avuto bisogno di fare. Tuttavia, è probabile che molti dei tratti ora presenti negli esseri umani e negli altri animali si siano evoluti per assolvere a funzioni diverse da quelle che svolgono oggi. I biologi ritengono probabile, per esempio, che le penne degli uccelli servissero inizialmente a regolare la temperatura del corpo o catturare prede, e che solo in seguito si sia evoluta una funzione totalmente differente qual è quella del volo. Analogamente, le persone mostrano un notevole grado di adattamento nell’apprendere a guidare un’automobile, ma a nessuno verrebbe in mente di sostenere che questa capacità sia frutto della selezione naturale; le abilità di apprendimento che ci consentono di diventare degli automobilisti provetti devono essersi evolute per scopi diversi dal guidare un’auto. Oltre l’individuo: la psicologia sociale e quella culturale Gli psicologi non perdono mai di vista che gli esseri umani sono fondamentalmente animali sociali, e in quanto tali fanno parte di una vasta rete di famigliari, amici, insegnanti e colleghi. Le due aree della psicologia che hanno maggiormente sottolineato questo aspetto sono la psicologia sociale e la psicologia culturale. Lo sviluppo della psicologia sociale La psicologia sociale è lo studio delle cause e delle conseguenze della socialità; quindi, gli psicologi sociali si occupano di una gamma di temi molto vasta. Gli storici fanno risalire la nascita della psicologia sociale a un esperimento condotto nel 1895 da Norman Triplett, psicologo e appassionato di bicicletta, il quale notò che i ciclisti pedalavano più in fretta quando correvano insieme ad altri. Stimolato da questa osservazione, Triplett condusse un esperimento con cui dimostrò che dei bambini riavvolgevano più velocemente sul mulinello le loro lenze da pesca quando erano esaminati in presenza di altri bambini piuttosto che da soli. Lo scopo di Triplett era quello di dimostrare che la semplice presenza di altre persone può influenzare la prestazione persino nei compiti più banali. La psicologia sociale cominciò ad affermarsi sul serio intorno agli anni Trenta del Novecento, sotto la spinta di vari eventi storici. L’ascesa del nazismo in Germania spinse molti tra i migliori scienziati tedeschi a emigrare in America e tra loro vi erano anche psicologi come Solomon Asch e Kurt Lewin. Questi ultimi erano stati fortemente influenzati dalla psicologia della Gestalt, la quale, sosteneva che “l’intero è maggiore della somma delle sue parti”. Anche se con quella frase i Gestaltisti si riferivano alla percezione visiva degli oggetti, questi psicologi sentivano che essa racchiudeva una verità fondamentale sul rapporto tra i gruppi sociali e gli individui che li compongono. Questi rifugiati tedeschi furono i primi a proporre teorie sul comportamento sociale simili a quelle formulate dagli studiosi di scienze naturali e, cosa ancora più importante, furono i primi a sottoporre a verifiche sperimentali le loro teorie sociali. Lewin, per esempio, adottò il linguaggio della fisica del tempo per proporre una “teoria del campo”, che considerava il comportamento sociale come il prodotto di “forze interne” (quali la personalità, gli obiettivi e le convinzioni personali) e di “forze esterne” (come la pressione sociale e la cultura di appartenenza), mentre Asch si dedicò a indagare con esperimenti di laboratorio quella “chimica mentale” che ci permette di combinare poche e frammentarie informazioni su una persona in un’impressione generale della sua personalità. Anche altri eventi storici influenzarono la fase iniziale dello sviluppo della psicologia sociale. L’Olocausto, per esempio, mise in piena luce i problemi del conformismo e dell’obbedienza all’autorità, inducendo psicologi come Asch e altri a indagare quali condizioni possano favorire nelle persone influenze reciproche tali da portarle a pensare e ad agire in modo disumano e irrazionale. Il crescere del movimento per i diritti civili negli USA e delle tensioni tra americani neri e bianchi spinse Gordon Allport e altri psicologi a studiare la formazione degli stereotipi, il pregiudizio e il razzismo, e a scioccare l’intero mondo della psicologia suggerendo che il pregiudizio è il risultato di un errore percettivo, non meno naturale e inevitabile di un’illusione ottica. Secondo Allport, in questi fenomeni va ravvisato l’intervento di un errore mentale: gli stessi processi percettivi che ci consentono di categorizzare in maniera efficiente gli elementi del nostro mondo sociale e fisico ci portano anche a categorizzare in modo erroneo interi gruppi di persone. La nascita della psicologia culturale Il termine “cultura” fa riferimento ai valori, alle tradizioni e alle credenze condivise da un particolare gruppo di persone. Sebbene siamo soliti pensare alla cultura in termini di nazionalità e gruppi etnici, è possibile definire le culture anche in base all’età, al genere, all’orientamento sessuale, alla religione o all’occupazione. La psicologia culturale è lo studio del modo in cui le culture rispecchiano e plasmano i processi psicologici dei loro appartenenti. Gli psicologi culturali studiano un’ampia gamma di fenomeni, che spazia dalla percezione visiva all’interazione sociale, cercando d’individuare quali fenomeni abbiano un carattere universale e quali invece presentino variazioni da luogo a luogo e da un’epoca all’altra. Forse sorprenderà sapere che uno dei primi psicologi a prestare attenzione all’influenza della cultura fu Wilhelm Wundt, al quale viene oggi riconosciuta la paternità della psicologia sperimentale. Egli riteneva che, per essere completo, l’approccio psicologico avrebbe dovuto unire gli studi di laboratorio a un'ampia visione culturale. Ma le idee di Wundt non suscitarono granché l'interesse degli altri psicologi. Al di fuori della psicologia, antropologi come Margaret Mead e Gregory Bateson cercavano di capire i fondamenti della cultura viaggiando in remote regioni del mondo e osservando attentamente il modo con cui si allevavano i bambini, i rituali, le cerimonie religiose ecc. Questi studi rivelarono pratiche che assolvevano a funzioni importanti nell'ambito di una certa cultura, come ad esempio il doloroso rituale, in uso presso tribù di montagna della Nuova Guinea, che implicava violente mutilazioni corporee e sanguinamento, col quale i giovani maschi venivano iniziati alla pratica guerriera. Ma a quel tempo la maggioranza degli antropologi prestava alla psicologia la stessa scarsa attenzione che gli psicologi prestavano all'antropologia. La psicologia culturale iniziò ad affermarsi come branca importante della psicologia solo negli anni Ottanta e Novanta del XX secolo, quando psicologi e antropologi iniziarono a condividere idee e metodi. Secondo la corrente dell’assolutismo, la cultura incide poco o nulla sulla maggior parte dei fenomeni psicologici e “l’onestà è onestà e la depressione è depressione, in qualunque luogo le si osservi”. Eppure, come qualsiasi viaggiatore sa bene, le culture differiscono in modi stimolanti, piacevoli o spaventosi, e ciò che è vero per chi appartiene a una data cultura non è necessariamente vero per gli appartenenti a un’altra. La corrente del relativismo sostiene che i fenomeni psicologici tendono a variare notevolmente da una cultura all’altra e che dovrebbero essere presi in considerazione solo nel contesto di una cultura specifica. Anche se la depressione si osserva praticamente in ogni cultura, i suoi sintomi mutano enormemente da un luogo all’altro. Nelle culture occidentali, per esempio, si tende a dare maggior peso ai sintomi cognitivi, per esempio alla disistima di sé, mentre nelle culture orientali assumono maggiore rilevanza i sintomi corporei, come la stanchezza e i dolori fisici. La maggioranza dei fenomeni psicologici può subire l’influsso della cultura di appartenenza, ma mentre alcuni ne sono completamente determinati, altri sembrano esserne del tutto indipendenti. Per esempio, l’età dei primi ricordi di una persona varia notevolmente da cultura a cultura, mentre non variano i criteri per giudicare la bellezza di un volto. L’unico modo per stabilire se un fenomeno sia variabile o costante nelle diverse culture è, naturalmente, condurre una ricerca in grado di indagare su queste possibilità, appunto ciò che fanno gli psicologi culturali. Gli psicologi si associano: l’American Psychological Association (APA) Nel luglio del 1892 James e altri cinque psicologi si recarono alla Clark University per partecipare a una riunione indetta da G. Stanley Hall. Ognuno di loro lavorava in una grande università americana, dove teneva corsi di psicologia, conduceva ricerche e scriveva libri. Pur essendo troppo pochi, questi sette uomini decisero che era tempo di dar vita a un’organizzazione che rappresentasse la psicologia come professione: così quel giorno nacque l’American Psychological Association (APA). Nel 1988, 450 psicologi fondarono l’American Psychological Society (APS), poiché sentivano il bisogno di avere un’organizzazione specificamente dedicata alle esigenze degli psicologi impegnati nella ricerca. L’APS, ribattezzata nel 2006 Association for Psychological Science, è cresciuta in fretta, arrivando in sei mesi ad avere 5000 iscritti; attualmente ne fanno parte quasi 12 000 psicologi. Il ruolo crescente delle donne e delle minoranze Nel 1892 l’APA contava 31 associati, tutti bianchi e tutti uomini. Oggi circa la metà dei suoi iscritti è costituita da donne e la percentuale dei membri non bianchi continua a crescere. Il livello attuale di presenza delle donne e delle minoranze dentro l’APA, e più in generale nel campo della psicologia, deve molto ad alcune pionieristiche figure, che hanno tracciato anche per gli altri un nuovo sentiero. Nel 1905 Mary Whiton Calkins fu la prima donna a ricoprire la carica di presidente dell’APA. Calkins cominciò a interessarsi alla psicologia mentre insegnava greco al Wellesley College. Studiò a Harvard con William James e in seguito ebbe la cattedra di psicologia al Wellesley College. Nel discorso con cui si insediò alla presidenza dell’APA, Calkins espose la sua teoria sul ruolo del “sé” nella funzione psicologica. In contrasto con le idee strutturaliste di Wundt e di Titchener che ritenevano possibile suddividere la mente in varie componenti, Calkins sosteneva che il sé è un’unica entità, inscindibile in singole parti. Oggi le donne ricoprono ruoli di primo piano in tutti gli ambiti della psicologia. Probabilmente alcuni degli uomini che fondarono l’APA sarebbero sorpresi nel vedere l’importanza assunta dalle donne in questo campo. Proprio come non erano presenti donne alla fondazione dell’APA, così non vi erano neppure persone non bianche. Il primo appartenente a una minoranza etnica a ricoprire la carica di presidente dell’APA fu Kenneth Clark, che condusse un intenso lavoro di ricerca sull’immagine di sé nei bambini afroamericani; egli sosteneva che la segregazione razziale produceva gravi danni psicologici. Le conclusioni di Clark esercitarono un’influenza profonda sulle politiche sociali, e i suoi studi contribuirono nel 1954 alla decisione della Corte Suprema di abolire la segregazione razziale nelle scuole pubbliche americane. Che cosa fanno gli psicologi: le carriere nella ricerca La psicologia oggi è un’importante disciplina dal punto di vista accademico, scientifico e professionale, collegata a molte altre discipline e ad altri tipi di carriera. In genere, gli studenti si laureano e poi si iscrivono a un corso di dottorato per ottenere un PhD (Doctor of Philosophy) in qualche branca particolare della psicologia (per es., sociale, cognitiva o evolutiva). Durante questo dottorato, gli studenti generalmente familiarizzano con la materia frequentando specifici corsi e imparano a condurre ricerche collaborando con i docenti. Una volta ottenuto il PhD, la formazione accademica può continuare seguendo un indirizzo più specifico per la ricerca mediante un dottorato post laurea sotto la supervisione di un ricercatore già affermato nel suo settore. Oppure si può fare domanda per un incarico di insegnamento al college o all'università, o ancora lavorare come ricercatore in una struttura pubblica o nell'industria e in genere nel settore privato. Le carriere accademiche di solito combinano attività d'insegnamento e di ricerca, mentre le carriere in ambito pubblico o nell'industria privata di regola sono dedicate solo alla ricerca. La varietà di percorsi professionali La maggioranza di coloro che si definiscono "psicologi" non insegna né fa ricerca, ma piuttosto si occupa della diagnosi e del trattamento di persone con problemi psicologici. La maggior parte di questi psicologi clinici esercita la sua professione in uno studio privato, che spesso condivide con altri psicologi o con psichiatri (i quali hanno una laurea in medicina e possono prescrivere farmaci). Altri psicologi clinici lavorano negli ospedali o nelle scuole di medicina, alcuni ricoprono incarichi nelle università o nei college, e altri ancora uniscono l'attività privata a una posizion accademica. Molti psicologi clinici si occupano di problemi o disturbi specifici, come la depressione o l'ansia, mentre altri si concentrano su particolari settori della popolazione come i bambini, le minoranze etniche o gli anziani. Una percentuale di poco superiore al 10% dei membri dell'APA si occupa di counseling, cioè aiuta le persone a gestire i problemi e i cambiamenti legati al lavoro o alla carriera. Gli psicologi che si occupano di counseling possono aver conseguito un PhD o un MA (master) in psicologia del counseling, oppure un MSW (master of social work; equiparabile alla nostra laurea in Servizio sociale). Un altro ambito in cui trovano applicazione le competenze degli psicologi è quello educativo. Circa il 5% degli iscritti all'APA è costituito da psicologi scolastici, che offrono assistenza a studenti, genitori e insegnanti. Una percentuale analoga di membri dell'APA, costituita dagli psicologi specializzati in organizzazione del lavoro, si occupa dei problemi legati al mondo del lavoro. Di regola l'attività di questi psicologi si svolge nell'ambito degli affari o dell'industria ed essi possono essere coinvolti nella selezione del personale, nel cercare modi per incrementare la produttività, oppure nell'aiutare dipendenti e dirigenti a sviluppare strategie efficaci per far fronte a cambiamenti presenti o a sviluppi futuri previsti. Gli psicologi dello sport aiutano gli atleti a migliorare la performance, gli psicologi forensi appoggiano con le loro perizie il lavoro di avvocati e corti di giustizia, e gli specialisti in psicologia del consumatore aiutano le aziende a sviluppare e a pubblicizzare nuovi prodotti. CAPITOLO 3 – NEUROSCIENZE E COMPORTAMENTO I neuroni: l’origine del comportamento Ci sono circa 100 miliardi di cellule nel nostro cervello impegnate a eseguire una vasta gamma di compiti per consentirci di funzionare quali esseri umani. Negli esseri umani, pensieri, sentimenti e comportamenti spesso sono accompagnati da segnali visibili. Per esempio, pensate a come potreste sentirvi mentre andate all’appuntamento con l’amica del cuore. Un osservatore esterno potrebbe vedere un sorriso sul vostro viso oppure notare la velocità con cui camminate. Ma tutti questi segni, quelli visibili come quelli esperienziali, sono coordinati dall’attività delle vostre cellule cerebrali. Il senso di grande attesa che provate, la felicità che sentite e la velocità dei vostri piedi sono il risultato dei processi di elaborazione delle informazioni che avvengono nel vostro cervello. In un certo senso, tutti i vostri pensieri, sentimenti e comportamenti hanno origine da cellule del cervello che acquisiscono informazioni e producono un qualche tipo di risultato milioni di volte al giorno. Queste cellule sono i neuroni, ovvero le cellule del sistema nervoso che comunicano tra loro per elaborare le informazioni. Le componenti del neurone Nel XIX secolo gli scienziati cominciarono a spostare la loro attenzione dallo studio della meccanica degli arti, dei polmoni e del fegato allo studio del funzionamento del cervello. I filosofi hanno scritto pagine poetiche sul “telaio fatato” che tesse in modo misterioso un arazzo di comportamenti, e molti scienziati hanno poi confermato quella metafora, poiché il cervello appariva composto da un reticolo fittamente interconnesso di sottilissimi fili, il che portava a concludere che si trattasse di un’unica grande rete di elementi tra loro continui. Tuttavia, verso la fine degli anni Ottanta dell’Ottocento, un medico e istologo spagnolo, Santiago Ramón y Cajal, venne a conoscenza di una nuova tecnica per colorare i neuroni del cervello. La colorazione evidenziò cellule intere, rivelando che erano di forme e dimensioni diverse. Cajal scoprì così che i neuroni sono strutture complesse, composte di tre parti fondamentali: il corpo cellulare (detto anche soma), la componente più grande del neurone che coordina i compiti di elaborazione delle informazioni e mantiene in vita la cellula. Qui hanno luogo funzioni come la sintesi proteica, la produzione di energia e il metabolismo. Il corpo cellulare contiene un nucleo che ospita i cromosomi che contengono il nostro DNA. Inoltre, esso è circondato da una membrana porosa che permette ad alcune molecole di fluire verso l'interno e verso l'esterno della cellula. I dendriti ricevono informazioni dagli altri neuroni e le ritrasmettono al corpo cellulare. Il termine dendrite deriva dal greco dèndron che significa "albero" (in effetti, nella maggior parte dei casi i neuroni hanno numerosi dendriti che assomigliano ai rami degli alberi). L'assone trasmette informazioni ad altri neuroni, muscoli o ghiandole. Ogni neurone ha un unico assone che a volte può essere molto lungo, arrivando a misurare anche un metro dalla base del midollo spinale fino all'alluce. In molti neuroni l'assone è rivestito da una guaina di mielina, uno strato isolante di sostanza grassa formata da cellule della glia (il termine glia deriva dalla parola greca "colla"), che sono cellule di supporto presenti nel sistema nervoso (hanno la funzione di proteggere, sostenere e nutrire i neuroni e mantenere l’omeostasi del liquido interstiziale in cui sono immersi). Infatti, nel nostro cervello ci sono 100 miliardi di neuroni impegnati a elaborare informazioni, ma per ogni neurone vi sono da 10 a 50 cellule della glia che svolgono una varietà di funzioni. (Alcune cellule gliali digeriscono parti di neuroni morti, altre forniscono sostegno fisico e nutritivo ai neuroni e altre ancora formano la mielina per aiutare l'assone a trasmettere le informazioni in modo più efficiente. Un assone isolato con la guaina mielinica può trasmettere con maggiore efficienza i segnali ad altri neuroni, organi o muscoli). Nelle malattie demielinizzanti, come la sclerosi multipla, la guaina mielinica si deteriora, provocando un rallentamento nella trasmissione delle informazioni da un neurone all'altro. Questo rallentamento porta a una gamma di problemi, fra cui perdita di sensibilità negli arti, cecità parziale e difficoltà cognitive e nella coordinazione dei movimenti. Ramón y Cajal potè anche osservare che i dendriti e gli assoni dei neuroni in realtà non arrivano a toccarsi. Tra l’assone di un neurone e i dendriti o il corpo cellulare di un altro c’è un piccolo spazio, che è parte integrante della sinapsi, la giunzione o regione compresa tra l’assone di un neurone e i dendriti o il corpo cellulare di un altro. Molti dei 100 miliardi di neuroni del nostro cervello presentano ciascuno alcune migliaia di sinapsi; perciò, non dovrebbe essere una sorpresa apprendere che la maggior parte degli adulti possiede tra i 100 e i 500 trilioni di sinapsi. Inoltre, la trasmissione dell’informazione attraverso la sinapsi è fondamentale per la comunicazione neurale, il processo che ci consente di pensare, sentire e agire. I neuroni sono specializzati rispetto alla funzione Vi sono tre tipi principali di neuroni, ciascuno dei quali svolge una funzione distinta: i NEURONI SENSORIALI ricevono informazioni dal mondo esterno e le trasmettono al cervello tramite il midollo spinale. I neuroni sensoriali hanno sui loro dendriti terminazioni specializzate a ricevere segnali luminosi, sonori, tattili, gustativi e olfattivi; i NEURONI MOTORI o MOTONEURONI trasmettono i segnali neurali dal cervello ai muscoli per generare il movimento. Questi neuroni hanno spesso lunghi assoni che possono estendersi fino ai muscoli situati alle nostre estremità. gli INTERNEURONI connettono i neuroni sensoriali, i neuroni motori o altri interneuroni. Il sistema nervoso è composto per la maggior parte da interneuroni. Alcuni interneuroni trasmettono informazioni dai neuroni sensoriali al sistema nervoso, altri le trasmettono dal sistema nervoso ai neuroni motori, e altri ancora svolgono una varietà di funzioni legate all’elaborazione delle informazioni all’interno del sistema nervoso. Gli interneuroni operano insieme in piccoli circuiti per eseguire compiti semplici, come identificare la posizione di un segnale sensoriale, e compiti molto più complicati, come riconoscere un volto familiare. I neuroni sono specializzati rispetto alla posizione i neuroni presentano anche delle forme di specializzazione a seconda della loro posizione: Le CELLULE DI PURKINJE sono un tipo di interneurone che dal cervelletto veicola informazioni al resto del cervello e al midollo spinale. Questi neuroni hanno dendriti fitti, intricati, che somigliano a cespugli. Le CELLULE PIRAMIDALI, che si trovano nella corteccia cerebrale, hanno un corpo cellulare di forma piramidale e un singolo dendrite lungo tra molti dendriti più corti. Le CELLULE BIPOLARI, un tipo di neurone sensoriale localizzato nella retina dell’occhio, hanno un unico assone e un unico dendrite. Il cervello elabora tipi differenti di informazione, quindi per gestire i diversi compiti si è evoluta una gamma molto ampia di specializzazioni a livello cellulare. Le azioni elettrochimiche dei neuroni: l’elaborazione delle informazioni I neuroni sono cellule eccitabili dal punto di vista elettrico, e la comunicazione delle informazioni avviene nella forma di segnali elettrici all’interno del singolo neurone e tra neuroni diversi. La comunicazione delle informazioni è un processo che implica due fasi: la conduzione, cioè il passaggio di un segnale elettrico all’interno del singolo neurone, (dai dendriti al corpo cellulare e poi lungo tutto l’assone); la trasmissione, cioè il passaggio di segnali elettrici tra neuroni attraverso la sinapsi. Insieme queste due fasi costituiscono quella che gli scienziati chiamano con un termine generale azione elettrochimica dei neuroni. Il segnale elettrico: la conduzione dell’informazione all’interno del singolo neurone La membrana cellulare del neurone presenta minuscoli pori che fungono da canali attraverso i quali piccole molecole cariche elettricamente, dette ioni, entrano o escono dalla cellula. È questo flusso di ioni attraverso la membrana cellulare del neurone a creare la conduzione di un segnale elettrico attraverso la cellula neurale. Il potenziale di riposo: l’origine delle proprietà elettriche del neurone I neuroni sono naturalmente dotati di una carica elettrica chiamata potenziale di riposo, che è la differenza di carica elettrica tra l’interno e l’esterno della membrana cellulare di un neurone. Quando, negli anni ‘30 del Novecento il potenziale di riposo fu scoperto, il suo valore fu calcolato in –70 millivolt (mV). Il potenziale di riposo nasce dalla differenza nelle concentrazioni degli ioni all’interno e all’esterno della membrana cellulare del neurone. Gli ioni possono avere una carica positiva (+) o negativa (–). Nello stato di riposo, all’interno del neurone vi è un’elevata concentrazione dello ione potassio che è positivo (K+), ma prevalgono gli ioni proteici a carica negativa (A–). Invece all’esterno del neurone un’elevata concentrazione di ioni sodio positivi (Na+) prevale su una concentrazione relativamente bassa di ioni cloro negativi (Cl–). Ne consegue che, durante il potenziale di riposo, l’interno della membrana cellulare è carico negativamente rispetto all’esterno. I normali processi di diffusione porterebbero gli ioni a spostarsi da un’area di maggiore concentrazione verso un’area di concentrazione minore, fino a quando le due concentrazioni non fossero in equilibro; ma la presenza di speciali canali nella membrana cellulare limita il movimento degli ioni verso l’interno e verso l’esterno della cellula. Nella membrana cellulare è presente un’attiva “pompa” chimica che contribuisce a mantenere alta la concentrazione degli ioni K+ all’interno della cellula, spingendo verso l’esterno ioni Na+ e trascinando all’interno ioni K+. Questa pompa e altre strutture presenti nella membrana cellulare fanno sì che durante il potenziale di riposo si accumulino all’interno della cellula ioni K+ in eccesso, pronti a fuoriuscire per ristabilire l’equilibrio con le basse concentrazioni di K+ all’esterno della membrana. Analogamente, gli ioni Na+ si accumulano all’esterno della membrana, pronti a entrare nella cellula in modo da ristabilire l’equilibrio con le basse concentrazioni di Na+ al suo interno. Speciali canali voltaggio-dipendenti specifici per gli ioni K+ e Na+ sono chiusi durante il potenziale di riposo, consentendo così alla membrana cellulare di mantenere sulla sua faccia interna la carica elettrica negativa rispetto alla faccia esterna e pari a –70 millivolt. Il potenziale d’azione: il passaggio di segnali attraverso il neurone I biologi che lavorarono con l’assone di un calamaro gigante osservarono che potevano produrre un impulso elettrico per tutta la lunghezza dell’assone stimolandolo con una breve scarica elettrica. Questo impulso elettrico prende il nome di potenziale d’azione, definito un segnale elettrico che si propaga lungo tutto l’assone di un neurone fino a raggiungere una sinapsi. Il potenziale d’azione si verificava solo quando la scarica elettrica raggiungeva un certo valore, o soglia. Quando l’intensità della scarica era al di sotto di questa soglia, gli scienziati registravano solo segnali ridottissimi, che si disperdevano rapidamente. Quando la scarica raggiungeva il valore di soglia, si osservava un segnale molto più intenso, il potenziale d’azione. Un risultato molto interessante fu l’osservazione che, aumentando la forza della scarica elettrica al di sopra della soglia, la forza del potenziale d’azione non aumentava. Cioè, il potenziale d’azione segue una “LEGGE DEL TUTTO O NIENTE”. Una stimolazione elettrica inferiore alla soglia non riesce a generare un potenziale d’azione, mentre una stimolazione elettrica pari o superiore al livello di soglia genera sempre il potenziale d’azione. Inoltre, indipendentemente dal fatto che lo stimolo sia pari o superiore alla soglia, il potenziale d’azione ha sempre esattamente le stesse caratteristiche e la stessa ampiezza. I biologi che lavorarono con l’assone del calamaro gigante osservarono un’altra sorprendente proprietà del potenziale d’azione: la sua carica oscillava attorno ai + 40 millivolt, un valore ben superiore allo zero. Dunque, il meccanismo che sta alla base del potenziale d’azione non poteva essere semplicemente la perdita del potenziale a riposo di –70 millivolt, perché questo avrebbe solamente riportato la carica a zero. L’impulso nervoso, dunque, è unidirezionale e consiste nel propagarsi del potenziale d’azione senza diminuire d’intensità. La velocità di propagazione del potenziale d’azione dipende da: 1. diametro dell’assone (più veloce negli assoni con diametro maggiore) 2. presenza della guaina mielinica (più veloce quando è presente) 3. vasocostrizione (il freddo e la pressione sul nervo rallentano la propagazione, per minore afflusso di sangue) Negli assoni non mielinizzati la propagazione è continua con velocità di circa 2 m/sec mentre in quelli mielinizzati la propagazione è saltatoria con velocità fino a 100 m/sec. Il cambiamento dei canali nella membrana consente l’ingresso nella cellula di ioni positivi Il potenziale d’azione si genera in seguito a un cambiamento dello stato dei canali nella membrana del l’assone. Durante il potenziale di riposo i canali K+ e Na+ sono chiusi. Ma dietro allo stimolo di una carica elettrica che raggiunge il valore di soglia, i canali specifici del sodio (Na+) si aprono come le paratoie di una diga e gli ioni Na+ si riversano all’interno della cellula. In meno di un millisecondo, il rapido afflusso di ioni postivi Na+ fa aumentare la