LINGUISTICA EDUCATIVA PDF
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This document introduces the subject of educational linguistics, focusing on applied linguistics, second language acquisition, and the processes of language learning and teaching. It discusses Krashen's theory and concept of second language acquisition, encompassing topics such as acquisition versus learning, the affective filter, and comprehensible input. The document highlights the importance of natural language acquisition and the role of the environment in language learning.
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LINGUISTICA EDUCATIVA MODULO 1 – Introduzione alla disciplina Linguistica applicata: applicazioni della linguistica teorica e generale. Settore delle scienze del linguaggio che ha per oggetto la lingua considerata in funzione dell’apprendimento linguistico e dello svil...
LINGUISTICA EDUCATIVA MODULO 1 – Introduzione alla disciplina Linguistica applicata: applicazioni della linguistica teorica e generale. Settore delle scienze del linguaggio che ha per oggetto la lingua considerata in funzione dell’apprendimento linguistico e dello sviluppo delle capacità semiotiche. Della lingua o delle lingue da apprendere (lingua materna, lingue seconde, lingue straniere, lingue specialistiche, ecc.) focalizza i processi di insegnamento e di valutazione. I processi dinamici dell’uso in prospettiva sociale, storica ed educativa, a partire dal patrimonio linguistico in possesso di chi apprende. Rientrano nel settore le questioni metodologiche e didattiche, le problematiche della traduzione, quelle del rapporto tra lingua e cultura nonché della comunicazione interculturale e dell’educazione linguistica a persone con bisogni speciali, l’analisi del ruolo delle tecnologie e delle risorse digitali e di rete per l’insegnamento linguistico, lo studio delle dinamiche fra competenze linguistiche e ricadute sul sistema economico- produttivo, nonché le politiche linguistiche relative al sistema formativo. L1 = lingua materna (NON lingua madre, ovvero quella che da origine a un’altra lingua). Le lingue materne possono essere tante, ma non sono tutte uguali. LS = lingua straniera, lingua altra, non nativa. Viene acquisita nel luogo in cui non viene utilizzata. L2 = lingua seconda, viene appresa nel luogo in cui quella lingua viene utilizzata. L3 = lingua appresa nel luogo in cui la si parla ma mentre si sta imparando anche un’altra lingua. LO = LT lingua target o lingua obiettivo, l’apprendente si da come obiettivo la lingua target. Concetto che adattiamo alle nostre decisioni ma soprattutto alle nostre esigenze. Individuo alinguo è colui che non è stato esposto a nessuna lingua dalla nascita. I repertori linguistici sono molto variegati → Berruto parla di un italiano formale (solenne per Berruto). Italiano aulico Italiano standard Italiano semi-standard Italiani regionali Varietà non native. Repertori semiotici e multiculturali: gesti, espressioni facciali, politeness (parti del discorso che fanno in modo che teniamo un contatto) → ELEMENTI PARALINGUISTICI. I seguenti termini sono rimasti cristallizzati nel tempo ma a cui abbiamo aggiunto significati nuovi e ulteriori: - SLA SECOND LANGUAGE ACQUISITION nasce con KRASHEN (1981), primo linguista a creare una teoria linguistica su come vengono acquisite le lingue seconde. Prima dell’81 c’erano stati articoli e dissertazioni, ma senza avere una teoria organica. Si discute di una linguistica applicata. Krashen è il primo che da via a un filone di ricerca e di speculazione e produzione di materiali didattici. Lui stesso era un linguista ma anche apprendente di tante lingue; perciò, riesce a realizzare questa teoria linguistica. A lui sono dovuti: ACQUISIZIONE e APPRENDIMENTO. La distinzione ha a che fare con il modo con cui razionalmente pensiamo all’oggetto lingua. Se ragioniamo in maniera ragionale attiviamo dei processi di memoria, inizialmente breve e poi trasformiamo con fatica in memoria a lungo termine. Questo processo determina una fatica consapevole. L’acquisizione è un processo non consapevole ma che RICHIEDE FATICA, richiede un carico cognitivo. La distinzione, quindi, non è data dall’ambiente che ci circonda, ma dal processo mentale in atto. Questi processi sono sovrapponibili, già lo diceva Krashen; infatti, l’idea della dicotomia tra acquisizione e apprendimento è venuta molto dopo. Sovrapponibili ma possono esistere simultaneamente. L’acquisizione è frutto di una memoria a lungo termine (es. chi guida da 15 anni sa già tutti i meccanismi perché ha già acquisito), l’apprendimento ci da una bussola per orientarci dove l’acquisizione non è arrivata (es. chi ha appena preso la patente e deve mettersi alla guida). Posso anche acquisire prima di apprendere. ➔ NOZIONARIO APPRENDIMENTO – ACQUISIZIONE. Krashen distingue tra l’acquisizione profonda, stabile, che genera comprensione e produzione linguistica con processi automatici, e l’apprendimento razionale e volontario, ma di durata relativamente breve, che funge da monitor per l’esecuzione linguistica. Si è spesso discussa la possibilità che l’apprendimento razionale possa trasformarsi, alla fine, in acquisizione; la risposta di Krashen è di solito negativa, mentre altri studiosi credono che, in condizioni adatte, anche l’apprendimento possa portare all’acquisizione. L’insegnamento linguistico mira all’acquisizione. Perché essa avvenga devono verificarsi le condizioni descritte nelle altre ipotesi della Second Language Acquisition Theory [SLA]. Secondo alcuni autori l’acquisizione è tipica della lingua materna e seconda, mentre nelle lingue straniere predomina l’apprendimento. MONITOR è la vocina interiore che ti dice “errore”, ovvero una forma di controllo sulla propria competenza linguistico-educativa. Si sviluppa solo quando acquisizione e apprendimento lavorano e sono attivi. Rimane attivo per tutto il processo di vita della lingua. → NOZIONARIO MONITOR. La funzione “monitor” è il controllo che l’apprendimento razionale esercita sulla lingua prodotta dalla competenza acquisita. Tale funzione si esplica, rallentando la velocità di eloquio, prima che le frasi vengano effettivamente articolate. FILTRO AFFETTIVO è sempre innescato dall’ambiente: meccanismo di apertura o chiusura verso una lingua che dipende da fatti che sono esterni alla lingua (emotivi, ambientali, comportamentali). Krashen ne parla come una difesa psicologica: se ho la percezione che la lingua in quel momento rappresenta un qualcosa di negativo io chiuderò il filtro e lì si blocca il processo didattico. Questo accade e si parla del concetto di attrito linguistico, fenomeno per cui una lingua diviene ostile (ad esempio i tedescofoni che emigravano dopo la Seconda guerra mondiale non parlavano il tedesco perché se ne vergognavano). ➔ NOZIONARIO FILTRO AFFETTIVO. Si tratta di una difesa psicologica che la mente erge quando si agisce in stato di ansia, quando si ha paura di sbagliare, si teme di mettere a rischio la propria immagine, e così via. In presenza di un filtro affettivo attivato non si può avere acquisizione ma solo apprendimento. INPUT definito da Krashen come COMPRENSIBILE, cioè la parte che ci rimane dall’apprendimento. Si trasformerà in INTAKE, ciò che interiorizziamo. → NOZIONARIO INPUT VS INTAKE: “Input” indica quanto viene offerto e reso comprensibile all’allievo, “intake” indica quella parte dell’input che l’allievo deve acquisire in un’unità didattica. Tradizionalmente, soprattutto nell’insegnamento delle lingue a bambini a principianti, si tendeva a far coincidere input e intake, mentre oggi ci sono approcci, quali quello lessicale che prevedono un input molto maggiore dell’intake atteso. INPUT COMPRENSIBILE O INPUT + 1 è un input in cui io so che il mio apprendente è arrivato a un certo punto e io posso dare un pezzettino in più, non di più. → NOZIONARIO INPUT COMPRENSIBILE: La Second Language Acquisition Theory di Krashen afferma che la lingua viene acquisita esponendo l’allievo ad un input, purché questo sia reso comprensibile e segua l’ordine naturale di acquisizione. L’input può essere orale, scritto o audiovisivo. Krashen aggiunge una “regola”, la rule of forgetting: si ha acquisizione senza problemi solo se ci si dimentica che si sta imparando una lingua, solo quando ci si concentra sul contenuto pragmatico e sul portare a termine la transazione in cui si è impegnati. Immergendo le strutture che non si conoscono in una quantità di strutture che sono familiari, col tempo si sente riacquisire le nuove strutture grammaticali e di interiorizzarle. L’input non deve essere forzato, l’input comprensibile deve essere un processo naturale. Secondo Krashen, non dobbiamo forzare le strutture grammaticali all’interno dell’input, ma dobbiamo lasciare che l’acquisizione naturale (input comprensibile) ci lasci assimilare man mano le nuove strutture che in forma spontanea incontreremo qui e lì. Perché l’input sia comprensibile deve essere interessante. Krashen disse nella sua prima edizione “All you need is love”: cita la canzone per dire che tutto quello di cui hai bisogno è innamorarti di quello che stai studiando, di quello che stai apprendendo. L’amore supera tutte le teorie e le dissertazioni possibili. Se qualcosa non è interessante tendo a non avere lo stimolo per capirla. L’input comprensibile per sua natura deve essere interessante: se non mi interessa il contenuto il cervello non lo assimila. Ciò vale molto a maggior ragione per l’insegnamento della lingua: imparare la lingua è qualcosa che noi facciamo in modo spesso involontario e fa parte del nostro interfacciarci con il mondo e la realtà. Input comprensibile + 1 vuol dire imparare qualcosa mentre siamo in qualcosa che già conosciamo. L’apprendimento dovrebbe procedere così. L’input comprensibile è filtrato dalla nostra cognizione e poi diventa competenza attraverso una serie di possibilità che sono diverse da individuo a individuo e fanno capo all’ambiente che ci circonda. Questo segna un cambiamento epocale: si passa dall’insegnamento della lingua in maniera frontale e con l’insegnamento delle regole al bisogno che vengano rispettati tutti questi meccanismi. 1. L’input deve essere comprensibile. 2. Passaggio a livello emotivo. Il filtro affettivo deve essere aperto. 3. Se l’input passa va al vaglio di un dispositivo, ovvero il Language Acquisition Device (LAD) [in questo caso la teoria di Krashen si avvicina a quella di Chomsky]. → NOZIONARIO LAD. LAD è il modo in cui Chomsky ha denominato il meccanismo innato di acquisizione linguistica. Il LAD sarebbe composto di tre meccanismi basilari: la conoscenza degli universali linguistici, la capacità di formulare ipotesi circa le regole di una lingua, il sistema di valutazione dei risultati prodotti dalle ipotesi. Bruner ritiene che il LAD sia insufficiente a spiegare l’acquisizione se non si considera anche il LASS, cioè il Language Acquisition Support System, costituito dall’aiuto che il bambino riceve dagli adulti e da bambini più grandi. Nell’insegnamento, il principale suolo del docente sarebbe quello di gestire il LASS, costituito dalla sua azione didattica e dall’uso che egli fa dei sussidi, dei materiali ecc. Krashen ha ripreso l’ipotesi del LAD e ha elaborato ipotesi che spiegano come esso verrebbe attivato e come procedere a un insegnamento delle lingue secondo un approccio naturale. Secondo Krashen il LAD è un dispositivo innato solo nell’uomo che filtra quello che riceve e lo colloca dentro la nostra cognizione al posto giusto. È un dispositivo mentale che ci consente di inserire le informazioni che ci arrivano come un flusso in modo tale da poterle processare dal punto di vista intellettivo e cognitivo. Ad esempio, se troviamo difficoltà a realizzare dei suoni a cui non siamo mai stati esposti, è perché il LAD non ha potuto agire su quei suoni, non ha mai avuto modo di riempire quella forma. Quando entrano in ingresso, non entrano allo stesso modo con cui sono entrati nella mente di un bambino che è sempre stato esposto a quei suoni. In quel momento l’apprendente semplifica il suono, facendo capire che non è nativo o che non è stato esposto a quel fenomeno fonologico. La ragione per cui diciamo che alcune lingue sono vicine alla nostra risiede nel fatto che quelle lingue hanno dei punti in comune a livello di acquisizione, di LAD. 4. L’input finisce nella conoscenza acquisita. Quest’ultima diventerà output, ma non sempre, solo in alcuni casi. Ci possono volere anche settimane o mesi prima che una conoscenza acquisita e interiorizzata verrà prodotta dalla persona. Questa è la differenza tra comprensione e produzione, intervengono fattori personali ed emotivi. 5. Il canale dall’alto che giunge è la conoscenza appresa, cioè quello che pensiamo di sapere su quell’input e qui spesso agisce la grammatica. Perché l’input si trasformi in output devo essere sicura che il monitor mi possa permettere di produrre e divenire output. La grammatica è l’idea che abbiamo di molto forte di quello che è corretto o non corretto, di appropriato o non appropriato. È un sistema di autocontrollo ma anche il nostro peggior nemico. Il monitor non agisce sul LAD, ma arriva dopo proprio perché parte della nostra lingua è istintiva. Il monitor è consapevole, sistema fondamentale e inibitore perché agisce l’idea che potremmo sbagliare. I capisaldi della teoria degli anni ’80 partono da Krashen a cui segue una vera e propria speculazione scientifica. Il dibattito è ancora aperto e non è esaurito. Il grande nodo è la differenza tra TEORIA, APPROCCIO, METODO, TECNICHE MATERIALI. In questo caso vi è una gerarchia, anche se si parlano: il metodo deriva dall’approccio, l’approccio dalla teoria. [SINDROME ACCENTO STRANIERO]. La teoria linguistica è il punto di partenza di ogni prassi didattica. Ogni docente quando entra in aula ha sempre un’idea di come funzioni il linguaggio: è la visione del docente rispetto al fenomeno lingua. Sono fiorite tante teorie linguistiche nel corso degli anni, a partire da Aristotele e via. I filoni che sono sopravvissuti nel corso degli anni sono pochi: comportamentismo di Skinner e Pavlov, cognitivismo di Chomsky e teorie cognitive di seconda generazione. Poi ci sono state le teorie lessicali, funzionali e altre speculazioni che non hanno goduto di tanto successo. Se pensiamo che Skinner ha ragione, ovvero sosteniamo che la lingua è un esercizio, questo ci porterà ad entrare in classe e proporre esercizi per imparare una lingua: questo ci porterà a creare un metodo che abbia al centro questa strada. La stesura di un metodo ci porterà a scegliere certe tecniche e a scartarne altre. Approccio è visibile non solo nella maniera in cui presenti l’input, ma anche come ci si pone alla classe. Approccio deduttivo: sono convinta che per avere un esito devo applicare una formula (approccio TOP-DOWN, ovvero dalla regola all’esempio). Approccio induttivo: parlo nella lingua target e mi aspetto che emergano le regole (approccio BOTTOM-UP, dall’esempio alla regola). L’approccio ha a che fare anche con la presenza del docente in classe in questo triangolo didattico tra docente-apprendente-lingua. Gli approcci danno maggior peso a un elemento che a un altro rispetto alla teoria linguistica: alcuni danno maggior peso alla lingua piuttosto che all’apprendente e al docente, altri maggior peso all’apprendente e così via. Questo ha a che fare spesso con un atteggiamento inconsapevole del docente, ma segue molto la teoria. Nel triangolo didattico si possono presentare gli argomenti in modo implicito o esplicito (diverso da deduttivo e induttivo, che hanno a che fare con la presentazione dell’argomento, quindi dall’alto al basso o dal basso all’alto). Implicito o esplicito hanno a che fare con il modo in cui nascondi o rendi visibile ciò che stai presentando all’apprendente. ➔ NOZIONARIO: APPROCCIO. L’approccio costituisce la filosofia di fondo di ogni proposta glottodidattica. L’approccio valuta e seleziona dati e impianti epistemologici dalle varie teorie e dalle varie scienze di riferimento, e li riorganizza secondo i parametri propri della glottodidattica, individuando le mete e gli obiettivi dell’insegnamento linguistico. Un approccio genera uno o più metodi per mezzo dei quali i suoi principi generali vengono applicati all’insegnamento. Nella storia della glottodidattica alcuni approcci sono stati definiti “metodi”. ➔ DEDUTTIVO vs. INDUTTIVO: Il dibattito psico-pedagogico ha visto il progressivo abbandono di approcci deduttivi come quello formalistico a favore di quelli induttivi. Nella prassi glottodidattica questo passaggio si è evidenziato nel passaggio dall’insegnamento esplicito della grammatica alla riflessione sulla lingua, dall’uso di schemi compiuti a quello di schemi aperti. Il metodo deve avere delle tappe, deve avere dei punti di partenza e dei punti di fine. Ad oggi il metodo più usato è quello comunicativo, che ha delle tappe precise e studiate. → NOZIONARIO METODO. È la realizzazione di un approccio in termini di procedure didattiche e di modelli operativi. Un metodo non è “buono” o “sbagliato”, è semplicemente coerente o incoerente con le premesse dell’approccio che esso intende mettere in pratica. Il termine interlingua ha due accezioni: 1. Tentativo di creare una lingua che fosse contenitore di tutte le lingue più usate e più conosciute, prendendo la fonetica, la morfologia e il lessico delle lingue neolatine. È un’accezione che ha meno importanza; 2. Nozione collegata al tema dell’analisi dell’errore. L’interlingua è una lingua naturale che emerge in un unico parlante (non ha una sua diffusione) e che esiste nella mente del singolo individuo. Il concetto di interlingua si deve ai lavori di Selinker ed è collegata al principio dell’analisi dell’errore di Pitcolter (?). Quando parliamo di interlingua, ci si concentra sull’apprendente. Lo studio sull’interlingua è la manifestazione del pensiero del singolo parlante, che possiamo analizzare con strumenti quantitativi (trascrizioni interlingua). L’interlingua è l’output che l’apprendente produce in un contesto naturale della vita quotidiana. → NOZIONARIO INTERLINGUA. È un continuum di sistemi linguistici provvisori, personali, parziali che si creano nella mente di chi apprende una lingua. Sono competenze caratterizzate dall’interferenza della lingua materna, che si riduce progressivamente. Nello studio di lingue seconde, straniere e classiche non si può avere altro risultato che un’interlingua, per quanto di ottima qualità. L’interlingua, però, può subire degli stati di fermo, allora in quel caso si parla di fossilizzazione: fenomeno per cui il nostro apprendente non produce più avanzamenti nella sua lingua naturale. Può fossilizzarsi perché ha colto che quel livello di lingua basta. È un fenomeno neutro, non è necessariamente negativo, può venir meno la motivazione. Nonostante l’intervento e il lavoro del docente o della comunità su un fenomeno, questo non attecchisce: è un processo fisiologico. → NOZIONARIO FOSSILIZZAZIONE: Il termine indica errori che vengono ripetuti costantemente, per cui si fissa e diviene particolarmente difficile da superare. Nella prassi didattica può accadere che vi è una interlingua produttiva e vivace: rappresenta un qualcosa di positivo, perché è prolifico. L’interlingua è il prodotto visibile dei processi mentali dell’apprendente (ovviamente è ricchissima di errori). Come consideriamo l’errore nell’interlingua dell’apprendente? Il modo in cui consideriamo l’errore nell’interlingua dell’apprendete rivela qual è il nostro approccio e la teoria che condividiamo. Differenziamo l’error (errore) dal mistake (sbaglio). ➔ NOZIONARIO ERRORE. A differenza di uno ‘sbaglio’, cioè una devianza dovuta a disattenzione momentanea, il concetto di ‘errore’ di riferisce ad una devianza stabile, sistematica. L’approccio formalistico considerava l’errore come un fenomeno assolutamente negativo, da punire per stroncarlo. L’approccio strutturalistico interpretava diversamente l’errore, considerandolo essenzialmente l’effetto dell’interferenza, da evitare attraverso studi di linguistica contrastiva e conseguenti esercizi strutturali. Con l’approccio comunicativo, e come effetto della teoria dell’interlingua, l’atteggiamento verso l’errore è radicalmente mutato. Lungi dall’essere un fatto puramente negativo, l’errore viene visto come una spia del processo di acquisizione della lingua: è una fonte preziosa di informazione, che va analizzata e che va corretta solo in quanto impedisce la comunicazione – e non solo in termini di correttezza, ma anche di appropriatezza e di efficacia pragmatica. L’errore è il frutto di un ragionamento, non è occasionale, è il frutto di un’ipotesi che stiamo verificando e nei casi più gravi è frutto di una convinzione già consolidata. È l’unità minima dell’interlingua, da la misura dell’interlingua: studiamo l’interlingua per guardare l’errore. È una devianza sistematica, è l’unità su cui noi facciamo le inferenze rispetto allo stato di avanzamento del nostro apprendente. - In un approccio deduttivo l’errore è negativo perché il processo didattico si basa sulla forma e sulla grammatica. - Negli approcci induttivi l’errore diventa un segnale dell’interferenza con un’altra lingua. In questo caso l’errore è negativo perché l’errore rischia di essere una spia sbagliata che ci spinge verso un comportamento automatizzato sbagliato. - Negli approcci comunicativi, di natura cognitiva (quando smettiamo di ragionare in termini sbilanciati sulla lingua e sull’apprendente) il triangolo è sempre attivo, vi è uno scambio. In questo caso l’errore è una spia del processo in corso, ovvero l’apprendente ha messo in atto un processo mentale che è attivo. L’obiettivo del docente è quello di non interrompere il processo comunicativo. L’errore viene fatto notare solo quando inficia la comunicazione in modo molto grave. ➔ NOZIONARIO: APPROCCIO COMUNICATIVO Le caratteristiche dell’approccio comunicativo come si è venuto configurando oggi vanno ricercate: nel ruolo centrale attribuito all’allievo, ai suoi bisogni comunicativi; nell’aver posto la comunicazione, e quindi la competenze socioculturale come oggetto; nell’aver accentuato la nozione di autenticità dei materiali didattici, da proporre quindi con largo uso di tecnologie glottodidattiche; nell’aver affiancato, ai fini della valutazione del risultato, parametri quali l’efficacia, pragmatica e l’appropriatezza socio-culturale alla tradizionale correttezza formale. Il mistake è un errore di sbaglio, cioè un caso, la sbandata di un momento. Uno dei più autorevoli studiosi di acquisizione di lingue seconde, Rod Ellis ne da questa definizione: “Il trattamento dell’errore fa riferimento al modo in cui gli insegnanti rispondono agli errori linguistici dell’apprendente nel corso del suo apprendimento di una lingua seconda”. Lyster propone una tassonomia di risposta del docente rispetto all’errore. Parliamo ad esempio dell’errore lessicale: o Errore di sovraestensione: es. “cane” qualsiasi animale a quattro zampe, “mare” o “acqua” per stagno, “bicchiere” per vaso, usare “chiudere per riferirsi anche all’azione di spegnere la luce; o Perifrasi, non è un errore esplicito: es. la casa delle api (alveare); o Conio, errore per cui attacchiamo dal punto di vista lessicale una marca morfologica che non appartiene al termine di riferimento: es. “lo svegliatore”, “festerò con la mia famiglia”. Per far cogliere all’apprendente lo sbaglio si interviene con la tecnica del rinforzo, ripresentando il termine corretto in più modi e più volte; o Prestito, l’apprendente non trova la parola e la sostituisce con la sua lingua materna: es. “la fa cadere da un cliff”, “poi il vaso tomba (fr. tomber)”; o Ipercorrettismo/sovrageneralizzazione, a metà strada tra il lessico e la morfologia, si creano parole nuove a partire da convinzioni morfosintattiche.: es. il megliore, mangiolia (per magnolia), tu vada. Dato positivo: conosce la regola, tenta di applicarla. Dato negativo: bisogna fargli capire che questa applicazione è sbagliata. NB: mai parlare di eccezione, etichetta generale e poco produttiva. o Interferenza, sono una via di mezzo con il prestito, ma l’interferenza è spesso inconscia, vi agisce l’abitudine a pensare la lingua in un certo modo. Le interferenze sono per lo più sintattiche: es. What means that? al posto di What does it mean? Feedback rispetto all’errore: il docente deve sapere come correggere l’errore. Riformulazioni possono essere esplicite o implicite. I Prompts sono i segnali che diamo senza riformulare. - Explicit correction + metalinguistic explanation: spiegazione metalinguistica e correzione. - Metalinguistic Clue: viene detto che l’apprendente ha sbagliato, ma non gli viene fornita la versione corretta. - Clarification request: il docente chiede di ripetere all’apprendente. - Conversational recast: non fa notare l’errore ma nel riformulare da la forma corretta. - Repetition: il docente ripete l’errore, segnalando cosa non va. - Paralinguistic signal: il docente non riformula ma segnala con un gesto che qualcosa nella comunicazione è andato storto. - Didactic recast: il docende da la nozione corretta e glielo fa notare. ELABORAZIONE DI UN CURRICULUM O DI UN SILLABO. → NOZIONARIO CURRICULO: Un curriculo è un modello operativo che definisce un profilo formativo e indica le mete, gli obiettivi e i contenuti che costituiscono l’oggetto di un corso. Fonde le nozioni di programma e di syllabus; in realtà oggi i curricoli tendono a includere anche sezioni che offrono parametri per variarlo a seconda delle caratteristiche della situazione didattica, della natura degli allievi, del quartiere in cui si opera, dalle dotazioni glottotecnologiche; una guida metodologica relativa alle tecniche didattiche che si consiglia di utilizzare per raggiungere obiettivi, una serie di parametri per la verifica e la valutazione del raggiungimento degli obiettivi. Un sillabo è una sorta di patto tra il docente e l’apprendente perché è l’elenco dei contenuti che il docente ha intenzione di affrontare e ha intenzione di trasmettere. Sillabo= collezione, sommario, catalogo. Ciliberti vede il sillabo come una scelta di contenuti linguistici e culturali, sulla base di obiettivi specifici di apprendimento linguistico. Il sillabo è la dichiarazione che il docente fa rispetto a quello che vorrà insegnare in classe. Oggi distinguiamo il sillabo delle lingue (Profilo Linguistico) e il sillabo come strumento didattico del docente. Possono essere: - Sillabo nazionale-funzionale, basato su nozioni e atti linguistici: fare un complimento, chiedere scusa, rimproverare; - Sillabo strutturale, basato esclusivamente su unità linguistiche: l’articolo, il pronome; - Sillabo task-based, basato su compiti, si basa su scenari il più possibile concreti (raggiungere uno scopo attraverso una lingua), legati a metodi situazionali: utilizzare una mappa, consultare l’orario scolastico; - Sillabi integrati o ibridi, mettono insieme più cose (basati ad esempio su strutture grammaticali unite a funzioni oppure su compiti insieme a funzioni). Profilo italiano L2: elenco strutture linguistiche di una lingua a cui corrisponde una certificazione ufficiale. Quando viene sviluppato un sillabo e come? CEFR (common European Framework of reference), in italiano è stato tradotto come QCER (quadro comune europeo di riferimento). ➔ NOZIONARIO COME PROGETTO DELLE LINGUE MODERNE/VIVE. La doppia denominazione deriva dalle titolazioni inglese (Modern Languages) e francese (Langues Vivantes) del principale progetto linguistico del Consiglio d’Europa. Il progetto mirava a creare un “passaporto linguistico” che attestasse il possesso del “livello soglia” di una lingua, cioè di una padronanza tale da consentire a un adulto non solo di sopravvivere nel paese straniero ma anche di espletare le principali funzioni. Nel 1975 venne realizzato il primo livello soglia, The Threshold Level, organizzato sulla base di una lista di “funzioni comunicative” e di “nozioni”. Un livello soglia corrisponde ad un vocabolario fondamentale, avente per oggetto gli atti comunicativi, anziché i singoli lemmi. Negli anni Novanta il progetto ha cambiato natura glottodidattica: si è delineato un modello curriculare comune a tutte le lingue europee, che indica in dettaglio gli obiettivi situazionali, pragmatici e linguistici. Il progetto è noto come CEF, Common European Framework. Il progetto delle lingue moderne nasce nel consiglio d’Europa, con l’obiettivo di allineare tra tutti i vari modelli della lingua per le lingue che venivano maggiormente insegnate. Viene pubblicato nel 2001, ma i lavori iniziano già nel 1993. L’edizioni principali sono del 2001 (Oxford) e nel 2002 (La Nuova Italia). Il Quadro rimane il riferimento principale per l’elaborazione di profili linguistici, dei manuali e delle certificazioni linguistiche (il fine delle certificazioni è unificare il livello di preparazione nei diversi Paesi). Nel 2010 viene pubblicato il Profilo della lingua italiana: per la prima volta i descrittori della lingua italiana diventano oggetto linguistico. Per l’inglese il profilo era uscito già nel 2004. Nel 2018 il Quadro viene aggiornato con la redazione del “Companion Volume”, tradotto e pubblicato nel 2020. Nel quadro si fa riferimento alla lingua insegnata, nella prospettiva della traduzione senza far riferimento alla questione della mediazione linguistica, cosa che viene integrata successivamente. Vengono aggiunti nel capitolo 6 anche i descrittori per la lingua dei segni. Non c’è una specificità sulle lingue naturali, ma riguardano i descrittori di chi impara UNA lingua dei segni, di cui oggi non disponiamo di un profilo linguistico. Un altro profilo linguistico si può realizzare solo se disponiamo dei corpora. Abbiamo tre livelli: - Livello elementare, A1 e A2 (utente basico) - Livello intermedio, B1 e B2 (utente autonomo) - Livello avanzato, C1 e C2 (utente competente) Nel Quadro si parte dal livello A1, come se l’apprendente prima non esistesse, non vi era un livello preelementare. Nel Companion Volume si parla anche dei descrittori del livello pre-basico. Il progetto lingue moderne dura in realtà 10 anni, ma nasce nel 1993. Le lingue che hanno tutti i livelli nei profili linguistici hanno corpora molto vasti (l’italiano arriva fino al B2). Le certificazioni dipendono dal Quadro, perché non è un esame qualunque di lingua. Gli enti che possono erogare certificazioni non sono tantissimi e dipendono dal quadro perché dipendono dai dettami del quadro, si legano ai descrittori (cosa sa fare a quel livello) e indicatori (livelli). La certificazione tiene sotto considerazione il Profilo della lingua. Bisogna tenere conto anche dei task. EALTA è l’ente che garantisce la qualità per ogni certificazione (valutazione language testing). (laboratorio ditals vedi). ➔ NOZIONARIO CERTIFICAZIONE. Attestazione ufficiale, di solito rilasciata da un organismo statale o di alto prestigio glottodidattico, che attesta la conoscenza di una lingua o della sua didattica: per l’italiano a stranieri si hanno CELI e CILS, per il francese DALF e DELF, per l’inglese britannico FCE, CAE e CPE, per quello americano il TOELF e per quello commerciale il CEIBT, per il tedesco ZDAF, ZMP, KDS, e GDS, per lo spagnolo EII, EIB ed ES. La ricerca sulla certificazione è uno dei settori più vivaci della glottodidattica degli anni Novanta, in quanto le implicazioni sociali, professionali, internazionali si aggiungono a quelle strettamente scientifiche. Seliker ha teorizzato che servissero i mattoncini semantici per imparare la lingua, ovvero delle unità di significato. L’approccio lessicale si basa su un elenco di parole e aveva iniziato a realizzare la raccolta dei corpora, delle parole linguistiche. Crea il Concordance Collocation, un’interfaccia di ricerca delle parole di una lingua, col fine di filtrarle in termini di usabilità a livelli diversi e crearne un database utile nell’insegnamento. Esistono dei corpora di testi non nativi, sono fatti anche da non nativi sempre per fini glottodidattici. L’archivio è la raccolta dei dati nella loro forma originale. Il corpus non è semplicemente una raccolta dati, ma una raccolta dati uniforme, sistematico e che prevede un’annotazione (tag). LIF, lessico di frequenza della lingua italiana. Vocabolario di base della lingua italiana, De Mauro. COLFIS REP 90: https://www.treccani.it/enciclopedia/corpora-di-italiano_(Enciclopedia-dell'Italiano)/ Itvac è il corpus di più grandi dimensioni del 2009 di Baroni. Il British national corpus è il più grande e contiene 100 milioni di parole, di cui il 10% prese dall’oralità. I lavori più antichi per l’inglese riguardano il Cobuild English Grammar, corpus della Collins. Quando si crea un corpus bisogna prendere in considerazioni delle regole uniche, procedimento di pre-processing: - Come segmentare il testo, alcune volte non è possibile segmentare a partire dallo spazio e dai segni di punteggiatura. - Processi di normalizzazione, bisogna pensare a tutte le varianti di un lemma (es. can’t, can e not). - Tagging: assegnare un’etichetta a ogni parola, devo poter cercare la parola a partire da una struttura o funzione linguistica, quindi cercarla in maniera induttiva. Un corpus è una rappresentazione di qualcosa, ma rappresenta se è proporzionale: se sappiamo che il 70% delle persone che vivono in Val D’Aosta è bilingue, allora il 70% degli informatori dovrà essere bilingue. Il web è un corpus? Se consideriamo che ha database immensi, è sempre in continua crescita, è un mezzo “svelto e sporco” di fare ricerca potremmo dire di sì, però non è molto raffinato. Ha dati poco rilevanti che sporcano la procedura, non c’è stata analisi linguistica e le domande che puoi fare al corpus sono molto limitate. - Il Longman Learners’ corpus Data driven learning significa insegnare le lingue facendo usare i corpora agli apprendenti, è un apprendimento guidato dai dati. MODULO 2 - Le implicazioni neuro-psicolinguistiche della didattica delle lingue 1. Cosa significa acquisire una lingua 2. Periodo critico 3. Parte emotiva, parte attentiva, parte mnemonica. Biografia linguistica. Grosjean è noto per essere il pioniere negli studi del bilinguismo. Il bilinguismo è il fattore sul quale misuriamo le nostre capacità, è uno stadio cognitivo particolare in cui la persona è sottoposta a più lingue durante la sua vita. Ci possiamo definire bilingui non in un momento preciso, è un continuum. Il modo di acquisizione intende la socializzazione. Classifica dal parlante nativo continuo (bilingue). È possibile che i tipi di parlanti si mescolano. Heritage speaker non esce dai contesti di socializzazione primaria, si sviluppano solo le BICS, cioè le competenze basiche di una lingua. Quando parliamo di biografia linguistica parliamo di un profilo che ogni persona ha. ➔ NOZIONARIO BILINGUISMO. Questo termine definisce la capacità di una persona di comunicare in più di una lingua. Raramente la padronanza è uguale nelle due lingue (bilinguismo ‘coordinato’); più frequentemente c’è una lingua madre accompagnata ad altre lingue la cui padronanza è inferiore (bilinguismo ‘zoppo’). Alcuni psicolinguisti distinguono tra ‘bilinguismo’ inteso come condizione sociale e ‘bilinguità’, che definisce la condizione psicologica della persona bilingue. Soprattutto in ambito francese si distingue tra ‘multilinguismo’, cioè un bilinguismo acquisito in tenera età, e ‘poliglossia’, in cui le lingue successive a quella materna vengono acquisite nell’adolescenza o nell’età adulta, cioè dopo il ‘periodo critico’. In sociolinguistica si distingue tra ‘bilinguismo’, che indica la situazione in cui tutti i membri della comunità possono usare l’una o l’altra lingua indifferentemente, e ‘diglossia’, cioè situazioni in cui alle due lingue si attribuiscono diversi livelli di prestigio, per cui si ha una lingua ‘alta’ e una lingua ‘bassa’. Nel gergo burocratico scolastico si usa talvolta ‘bilinguismo’ per indicare l’inclusione di due lingue straniere nell’ambito dell’educazione linguistica. In aree bilingui (caratterizzate di solito da una lingua dominante e da una minoritaria) si usa spesso ‘bilinguismo’ per indicare esperienze di educazione bilingue. Periodo critico era un’etichetta passata, oggi si sente parlare di periodo sensibile. È un periodo di tempo, nel corso dello sviluppo cognitivo nel quale l’individuo deve essere esposto a certe esperienze al fine di acquisire un’abilità particolare (una tra questa abilità è la lingua). Senza determinate esperienze, in determinati periodi, alcune funzioni psicologiche non si sviluppano. Secondo Lennenberg (1967, 1971) il periodo critico va da 18 mesi alla pubertà. ➔ NOZIONARIO PERIODO CRITICO. Lennenberg individua, negli anni Sessanta, una caratteristica detta “plasticità” del cervello, che renderebbe agevole l’acquisizione linguistica. La plasticità sarebbe particolarmente attiva durante i primi anni di vita, per regredire sensibilmente dopo la pubertà, età in cui si conclude il periodo critico per l’acquisizione linguistica. Locke (1993) riporta prove a favore della tesi di Lennenberg, verificando con prove scientifiche: - studi longitudinali su immigrati: gli immigrati che erano arrivati negli Stati Uniti da bambini (prima dei 7 anni) mostravano un livello di competenza pari a quello dei nativi. Coloro che erano arrivati dopo i 15 anni mostravano invece scarsa competenza anche quando avevano trascorso nel nuovo paese un numero di anni pari all’età delle persone più giovani. Il legame tra età e apprendimento linguistico è confermato, almeno per le seconde lingue, anche se non vi sono prove che esista un termine preciso per l’acquisizione di tale abilità. Non sappiamo cosa succede tra i 7 e i 15 anni, non c’era significatività statistica; - studi longitudinali su plasticità neurale: le conseguenze di un danno cerebrale all’emisfero linguistico dipende dall’età del soggetto al tempo del danno. Se un bimbo ha un ictus, il bambino più è piccolo e maggiore è la probabilità che le altre aree del cervello intervengano per sanare il danno. Con il passare del tempo questa plasticità diminuisce e la competenza linguistica diventa più difficile da conseguire; ➔ NOZIONARIO PLASTICITA. In neurolinguistica la plasticità indica la capacità delle cellule neuroniche del cervello di cambiare la loro funzione o di apprendere nuove funzioni. - studi longitudinali su sordi: gli studi sui bambini sordi, che nella maggior parte delle volte non hanno l’opportunità di acquisire il linguaggio formale prima di una certa età, sono in linea con quelli ottenuti dallo studio dell’apprendimento delle seconde lingue. Più viene ritardata la prima esposizione al linguaggio, più risulta difficile che l’individuo raggiunga un buon livello di competenza, anche se non vi sono prove che esista un termine preciso per l’acquisizione di tale abilità. Studi su sordità prelinguistiche, peri linguistiche, post linguistiche; - studio di casi eccezionali: Wild Child, bambini cresciuti in contesti di non socialità primaria. Bambino che cresce in isolamento non recupera il linguaggio. (vedi slide) frasi presintattiche. CASO GENIE. Genie è una bambina di 13 anni che per tutta la sua infanzia è stata tenuta segregata nella sua stanza. Figlia femmina non voluta, il padre era convinto che la bambina fosse seriamente ritardata e aveva proibito alla madre e al fratello di parlarle. La madre di Genie era una persona debole, quasi cieca e il fratello era solo un bambino; quindi, avevano obbedito alle disposizioni del padre, tenendo Genie in isolamento fino a tredici anni, quando la madre decise di scappare con lei e di rivolgersi a un ufficio per chiedere un sussidio alle persone cieche. Una assistente sociale si accorse che la bambina aveva problemi seri e chiamò la polizia. Quando Genie venne presa in custodia non era in grado di parlare, il suo livello cognitivo era quello di una bambina di 15 mesi e portava ancora il pannolino. Venne ospitata all’ospedale dei bambini di Los Angeles dove un gruppo di psicologi, linguisti e terapisti si fece carico della sua educazione e di registrarne i progressi. Tra questi Susan Curtiss, che si è dedicata ad insegnare a Genie come gli esseri umani sia attraverso le parole che con la comunicazione non verbale. Genie raggiunse in un solo anno e mezzo il livello di una bambina di 7/8 anni mentre ebbe numerose difficoltà con la comunicazione verbale e le frasi che pronunciava apparivano le stesse di una bambina di 2 anni e mezzo. Dopo 4 anni di addestramento intensivo, Genie aveva raggiunto il livello tipico di un bambino di 5 anni → frasi pre-sintattiche. In Genie era l’emisfero destro quello in cui si riscontrava la maggiore attività elettrica mentre parlava. La natura delle sue carenze grammaticali è simile a quella di persone convalescenti dopo l’asportazione dell’emisfero sinistro. L’altro studio riguarda la non acquisizione delle lingue, casi di alinguismo, quando il periodo critico non si presenta. Si verifica nei casi in cui non entriamo mai in comunicazione con persone che ne sono affette: la persona non comunica, è senza lingua. Cosa succede nel cervello quando non si è esposti alla lingua? Nella Cronaca lo storico del XIII secolo, Salimbene de Adam, descrive un esperimento, ideato dall’imperatore Federico II di Svevia, per rispondere alla dibattuta questione che gli antichi linguisti si erano posta sin dai tempi dei faraoni: qual è la lingua umana originaria? Sperimentò quale lingua avessero i bambini arrivando all’adolescenza, senza aver mai potuto parlare con nessuno. Perciò diede ordine alle balie e alle nutrici di dare il latte agli infanti, e lasciar loro succhiare le mammelle, di far loro il bagno, ma con la proibizione di comunicargli. Voleva conoscere se parlassero la lingua ebrea, la greca; o se non parlassero la lingua dei genitori. S’affaticò senza risultato perché i bambini morirono tutti. I ricercatori pensavano di trattasse di un risultato della deprivazione affettiva. I resoconti di Salimbene furono indirettamente accreditati dalle osservazioni di Spitz, psicoanalista viennese. Condusse uno studio su bambini che erano stati abbandonati in orfanotrofio nel dopoguerra, seguendo il metodo scientifico sperimentale. I bambini venivano nutriti regolarmente ma avevano scarsi rapporti interpersonali. I bambini a cui era stato accudimento, entro la fine del secondo anno di vita il 37% su 91 bambini muore. Chi riuscì a sopravvivere tra quelli non fu in grado di parlare o di camminare, spesso i superstiti non erano in grado nemmeno di rimanere autonomamente seduti. MOTIVAZIONE include l’idea che noi impariamo se proviamo delle emozioni. L’apprendimento dal punto di vista neurale è legato alla sperimentazione di un’emozione. L’emozione è una risposta spontanea, inconscia del nostro organismo, determinata da condizioni di tipo ambientale. È una risposta fisiologica. Alcune emozioni sono da considerarsi innate, come la gioia, tristezza, collera, paura; mentre le emozioni secondarie che non sono più innate, ma vengono generate da contesti socioculturali di appartenenza: l’emozione della vergogna emerge spontaneamente, ma è determinata dal contesto in cui siamo cresciuti. Sono comuni a molte culture, però non sono universali perché sono determinate dal contesto socioculturale di appartenenza. Il sentimento è la rielaborazione e rappresentazione cosciente delle emozioni – sentirsi felice, triste, arrabbiato, impaurito, a disagio. La persona è consapevole e cosciente, è una simbolizzazione di ciò che provo. Sono stati coscienti di un’emancipazioni delle emozioni. La motivazione non è solo data dall’emozione e dal sentimento, ma include anche le dinamiche psicologiche coscienti che consentono al soggetto di capire che vuole una cosa, o non la vuole. È un sistema di controllo dei sentimenti. Si compiono scelte precise finalizzate al soddisfacimento dei propri bisogni. Un allievo può essere inizialmente molto motivato a imparare una lingua, ma alcuni fattori contestuali possono generare emozioni negative. Il ripetersi di situazioni emotivamente negative conduce alla percezione di sentimenti coscienti associati a tali emozioni, che possono intaccare la motivazione iniziale, conducendo nei casi più estremi al rifiuto verso l’apprendimento della lingua stessa. Sul piano neurologico le tre dimensioni sono regolate dal sistema limbico. Il sistema limbico è nella parte più protetta del nostro cervello, protetta dalla neocorteccia: 1. ipotalamo: svolge la funzione di coordinamento del sistema autonomo (simpatico e parasimpatico) e regola i rapporti tra ambiente ed organismo, producendo risposte automatiche rispetto a determinati stimoli e controllando gli istinti naturali (autodifesa, aggressione) 2. Ippocampo: struttura fondamentale per i meccanismi di apprendimento; è alla base della memoria esplicita e consente l’immagazzinamento delle informazioni nel cervello. 3. Amigdala: definita “il computer dell’emozionalità”, essa ricopre una posizione strategica al centro del sistema limbico, in connessione con altre strutture nervose, creando due tipi di circuiti neurali: - il circuito subcorticale, che trasmette le informazioni direttamente dal talamo sensoriale, valutando l’input e predisponendo risposte tempestive, soprattutto per difesa in situazioni pericolose; - il circuito corticale, che connette l’amigdala ai sistemi sensoriali e permette i processi cognitivi superiori di valutazione degli eventi emotigeni e attribuzione di un significato emotivo. Il sistema limbico si attiva quando le ghiandole secernano ormoni. La valutazione delle informazioni provenienti dall’ambiente avviene secondo criteri ben precisi, che possiamo sintetizzare (Scherer, Ekman, Schumann): Novità: l’organismo valuta innanzitutto la novità e la discrepanza tra l’input e le proprie aspettative; Pertinenza tra bisogni e obiettivi: il soggetto procede nella valutazione dell’input giudicando se esso ostacola o favorisce il raggiungimento dei suoi obiettivi formativi, sociali, culturali; Realizzabilità: il soggetto valuta la comprensibilità dell’input (se è stimolante, nuovo, motivante) e la sua adeguatezza rispetto alle proprie capacità; Sicurezza psico-sociale: l’organismo determina se la situazione è conforme agli standard e alle aspettative del proprio gruppo sociale, e se può minare o rafforzare la propria immagine sociale; Piacevolezza intrinseca: in secondo luogo l’organismo valuta il senso di piacere o dispiacere suscitato dall’input; una valutazione positiva di questo parametro induce a reazioni di avvicinamento e di appartenenza rispetto alla situazione. È anche vero che ciò che è piacevole per una persona, può non esserlo per un’altra → si aprono dibattiti su come insegnare. I tre nuclei su cui posiamo i nostri bisogni linguistici sono: 1. Il dovere. È improduttivo, il senso del dovere è produttivo. Quando so che devo fare qualcosa, ma che non è piacevole produciamo il cortisolo (ormone dello stress). La motivazione rispetto a quel senso di dovere diventa produttivo, non lo faccio diventare un sentimento ma lo elaboro. Bisogna avere il controllo sul dovere, trasformarlo e avere senso del dovere. 2. Il piacere. Bisogna capire cosa può attivare il piacere: si può scoprire attraverso il dibattito, la produzione congiunta di un testo, di giochi per i più piccoli. 3. Il bisogno. Siamo convinti che il livello del need si affermi quando pensiamo a cosa ci serve, ma in realtà è la sensazione di scoperta, di scoprire la comunicazione, di attivare il ponte tra il like e il must, realizzabile solo attraverso la comunicazione. De Mauro per supportare l’idea che la lingua materna è la lingua della socializzazione primaria e può anche essere un dialetto scrive: “nei primi anni di vita il cervello umano è sufficientemente plastico e ricco di potenziali riadattamenti per consentire l’appropriazione di una lingua diversa rispetto alla prima e perfino più d’una, ma quella che negli anni si fissa come lingua prima è quella che intesse ogni nostra esperienza, la cellula nascosta di ogni sviluppo della persona, radicata nella fisicità corporea non meno che in emozioni e conoscenze. La lingua propria non è uno strumento esterno agli umani che si possa prendere e lasciare a seconda delle occorrenze, non è un rivestimento è un vero e proprio sesto senso. Questo sesto senso è legato alla cultura in cui nasciamo e viviamo”. Questo è il manifesto di una lingua biologica, biopsicosociale. La teoria della mente è lo strumento attraverso cui siamo in grado di comprendere le emozioni e di anticipare le emozioni di chi entra in comunicazione con noi. È fondamentale per la navigazione delle interazioni sociali, poiché permette agli individui di comprendere e anticipare le azioni altrui, facilitando così la cooperazione e la risoluzione dei conflitti. La Teoria della Mente consente di interpretare correttamente le emozioni e le intenzioni altrui, facilitando interazioni più profonde e significative, essenziali per costruire relazioni interpersonali solide e per una comunicazione efficace. Baron e Cohen iniziano a studiare lo sviluppo della Teoria della Mente nei bambini: il bambino capisce le emozioni a seconda dell’età del bambino, ad esempio un bimbo non è in grado di decodificare l’ironia. Vedi esperimenti Sally e Anne. Fasi di sviluppo nei bambini: fasi che coincidono con le tappe di sviluppo linguistico. 1. Fase prescolare: i bambini mostrano una capacità primitiva di interpretazione degli stati mentali, distinguendo tra esperienze interne ed esterne, ma la loro comprensione rimane a livello primario. L’intenzione di fare un’ipotesi mostra che abbiamo in atto un’inferenza. 2. Comprensione delle credenze: a 4 anni iniziano a comprendere che le persone possono avere credenze false, dimostrato dal “test della falsa credenza”. 3. Emozioni complesse: tra i 5 e i 7 anni, i bambini affinano la loro comprensione delle emozioni e dei pensieri, riconoscendo che possono variare in base al contesto, il che arricchiesce la loro interazione sociale. Test della falsa credenza: questo test è cruciale per valutare la capacità dei bambini di comprendere che gli altri possono avere credenze errate, evidenziando la loro comprensione degli stati mentali altrui. Task di Sarra: attraverso storie emotive, questo strumento misura la capacità dei bambini di giustificare le azioni dei personaggi, dimostrando la loro abilità di riconoscere emozioni e intenzioni. Test delle emozioni: questi test valutano le competenze dei bambini nell’identificare e spiegare le emozioni rappresentate in immagini. I PROCESSI DI ATTENZIONE Quella che viene comunemente definita “attenzione” è in realtà un insieme di processi neuropsicologici diversificati. È un processo faticoso, qualcosa che l’essere umano si autoimpone. In realtà questa è l’attenzione sostenuta, qualcosa che in modo consapevole rivolgiamo a un’attività. Esistono altri 2 tipi altrettanto importanti: attenzione distribuita: deriva dall’attenzione sostenuta ma determina la capacità di procedere su più livelli. Ci permette di tenere l’attenzione sostenuta contemporaneamente su vari input. Attiva una serie di processi diversi dagli altri tipi di attenzioni. attenzione selettiva: deriva da uno stimolo ambientale. L’attenzione è fondamentale più nell’apprendimento che nell’acquisizione: nelle situazioni in cui non abbiamo un contesto l’attenzione deve essere alta e sostenuta. L’attenzione è la capacità di focalizzarsi su stimoli specifici, essenziale per l’elaborazione delle informazioni e l’apprendimento efficace delle lingue straniere. L’attenzione influisce sulla motivazione, se manteniamo alta l’attenzione lo studente sarà più motivato a seguire l’insegnante. L’attenzione selettiva è fondamentale nell’acquisizione linguistica perché consente agli studenti di filtrare le informazioni rilevanti, facilitando l’apprendimento di vocaboli e strutture grammaticali attraverso l’interazione con il linguaggio in contesti significativi. Fattori che influenzano l’attenzione degli studenti: a. ambiente di apprendimento: normalmente ben strutturato e privo di distrazioni favorisce la concentrazione degli studenti, migliorando la loro capacità di focalizzarsi sulle attività didattiche e sull’interazione linguistica. b. interesse e motivazione: la rilevanza del contenuto per gli interessi personali degli studenti aumenta la loro motivazione, portando a un maggiore impegno e attenzione durante le lezioni di lingua. c. stile di insegnamento: tecniche didattiche variegate e coinvolgenti, come l’uso di giochi o attività pratiche, possono stimolare l’attenzione degli studenti, rendendo l’apprendimento linguistico più dinamico e interattivo. Lo stile di insegnamento non si può insegnare, ognuno lo fa come vuole, come può. La durata dell’attenzione varia tra i 10 e i 20 minuti, richiedendo pause frequenti per mantenere l’efficacia nell’apprendimento linguistico. Fattori di distrazione sono elementi esterni come rumori, dispositivi elettronici e interruzioni possono ridurre significativamente la capacità di attenzione, influenzando negativamente l’acquisizione linguistica. Alcune strategie per mantenere l’attenzione sono l’utilizzo di attività interattive. Incorporare giochi di ruolo, discussioni di gruppo e attività pratiche durante le lezioni per stimolare l’interesse degli studenti e mantenere alta la loro attenzione, facilitando così un apprendimento linguistico dinamico. L’attenzione è data da uno stato di attivazione all’erta, chiamata sollecitazione dell’emozione, si attiva un processo che poi viene filtrato dall’io. Una lezione di lingua efficace è una lezione in cui intervengono tanti canali comunicativi. Il feedback positivo, il fatto di riuscire a seguire la lezione diventa un incentivo a seguirla ancora meglio. Fornire un feedback tempestivo durante le attività didattiche aiuta gli studenti a comprendere i loro progressi, mantenendo alta la loro motivazione e attenzione nell’apprendimento linguistico. Anche se abbiamo un feedback negativo il modo in cui lo diamo è sempre significante. Un feedback chiaro che ci dia la sensazione di sapere come si sta andando facilita la concentrazione. È fondamentale fare ricerche longitudinali, fare studi su attenzione e emozione. L’integrazione di tecnologie avanzate potrebbe rivoluzionare le modalità di apprendimento. C’è bisogno di collaborazioni tra neuroscienze, psicologia e didattica, in quanto possono fornire nuove intuizioni su come ottimizzare l’attenzione nell’apprendimento linguistico. MEMORIA E APPRENDIMENTO LINGUISTICO La memoria svolge un ruolo cruciale nell’apprendimento linguistico, poiché consente di immagazzinare e recuperare informazioni linguistiche, facilitando la comprensione e l’uso delle strutture grammaticali e del lessico. Più difficile è valutare la memoria quando trattiamo temi che non sono lessicali, come la memorizzazione delle flessioni nelle lingue o della resa pragmatica nelle lingue. Due processi: 1. memoria a breve termine o memoria sensoriale o memoria di lavoro: consente di incamerare e processare gli stimoli esterni nel breve periodo. Ci serve per ascoltare e a interfacciarci con il mondo. 2. memoria a lungo termine. È complessa perché qui finisce tutto quello che è passato nella memoria a breve termine ma che non si è distrutto. La memoria esplicita memorizza fatti e eventi nella loro forma e nel loro contenuto e la memoria implicita. Memoria dichiarativa: pertiene alla scelta delle parole nella lingua da usare, riguarda le informazioni comunicabili e che vengono richiamate consciamente. Memoria implicita riguarda le informazioni relative a comportamenti automatici, impossibili da dichiarare col linguaggio. La memoria esplicita è legata alle emozioni, si trova vicino all’amigdala. La memoria implicita si trova nella zona occipitale, dove si trovano i recettori degli organi sensoriali. Per ogni tipo di insegnamento conoscere come funziona la memoria di un individuo aiuta sempre. Lo studio di Robinson dimostra che riusciamo ad apprendere quello che abbiamo visto e quello che abbiamo fatto per lo più. Quello che è importante fare è far ritornare la memoria nei posti in cui era stata quando l’informazione era “fresca”. Dopo 24 ore da una lezione la percentuale di informazioni perdute è di circa il 30%, dopo 48 ore è del 50%, dopo 5 giorni è dell’80%. Ci si può lavorare migliorando la memoria. L’Acquisizione del linguaggio si articola in fasi distinte (tappe di sviluppo linguistico), ognuna caratterizzata da specifiche capacità comunicative e cognitive, che vanno dall’emissione di suoni e vocalizzazioni fino alla formazione di frasi complesse. La coppia Stern si interessarono dello sviluppo linguistico dei loro due gemellini. Vengono ricordati per il lavoro di mappatura di sviluppo, dai primi vagiti alla fase sintattica. Questi lavori dimostrarono che l’ambiente familiare entro cui il bambino cresce è determinante per l’acquisizione del linguaggio, poiché un contesto ricco di stimoli linguistici e interazioni significative favorisce lo sviluppo di competenze + elevate. Le interazioni sociali anche sono fondamentali: le abilità cambiano sulla base del contesto. 10-15 mesi: - sviluppo linguistico per lo più gestuale, il bambino comunica attraverso le gestualità o azioni. Sono i precursori dello sviluppo del linguaggio. I suoni vegetativi sono quelli comunicativi, come il pianto, il grido, il singhiozzo e altri. Ad essi si affianca la gestualità, come i movimenti deittici, tanto nei bambini che nei sorsi. Dopo i 10 mesi: - si iniziano a produrre le prime parole, i cosiddetti emblemi → fase monomembre. Le parole sono le vere azioni linguistiche. A questo periodo corrisponde una capacità a rispondere a delle prime istruzioni verbali, la comprensione anticipa sempre la produzione. Il bambino inizia a produrre solo quando ha immagazzinato la capacità a rispondere con le azioni a istruzioni verbali di chi ne contribuisce alla socializzazione primaria. Poco dopo iniziano le produzioni di suoni specificate come “papà”, “mamma” → inizia a emergere la prosodia. Va considerata anche la fase endofasica, la fase autoreferenziale (il parlare con sé stessi). - in questa fase ci sono errori comuni come: a. omissione di suoni, la capacità di gestire con le proprie abilità i fonemi di una lingua che non si padroneggia; b. sostituzioni fonologiche; c. iperestensione semantica, i bambini applicano termini specifici a categorie più ampie. Attorno ai 18 mesi: - il vocabolario si amplia, le parole in comprensione del bambino aumentano esponenzialmente, così come le parole che possono produrre. Gli approcci di tipo lessicale nascono dall’assunto che imparare una lingua significa imparare le parole di una lingua, ricalcando gli sviluppi evolutivi linguistici di un bambino. Errori come l’uso impreciso degli aggettivi e le combinazioni errate di parole evidenziano le sfide che affrontano mentre ampliano le loro competenze comunicative. Dopo i 18 mesi: - i bambini acquisiscono tra 50 e 100 nuove parole in breve tempo, con un focus su nomi di oggetti quotidiani, animali, e termini relazionali, evidenziando l’importanza dell’interazione con gli adulti come modelli linguistici e il legame tra linguaggio ed esperienza. I bambini imparano le parole attraverso l’interazione con gli adulti e con l’ambiente → tesi INTERAZIONISTA. Il bambino, nel parlare con la mamma sceglie, fa inferenza, tentativi, sbaglia, facendo esattamente quello che fa un apprendente quando impara una lingua. - I bambini di 18 mesi attivano poi la fase bimembre (accoppiamento di due emblemi come “dove cane?”), utilizzando frasi brevi, dimostrando la loro capacità di combinare parole per esprimere bisogni e domande, anche se con una struttura linguistica rudimentale. Il vocabolario si arricchisce con nomi di oggetti quotidiani e verbi semplici, evidenziando l’importanza dell’interazione con l’ambiente per lo sviluppo linguistico. Successivamente vi è anche una evoluzione della morfosintassi, in quanto i bambini includono verbi in forma flessa e aggettivi → fase presintattica, in cui compaiono anche le prime congiunzioni e preposizioni. - La fase presintattica dura tantissimo. Tra i 3 e 5 anni: - i bambini iniziano a utilizzare costruzioni sintattiche più sofisticate, come frasi subordinate e l’uso di congiunzioni, che riflettono una maggiore comprensione delle relazioni grammaticali e la capacità di esprimere pensieri complessi, evidenziando il loro progresso nell’organizzazione del linguaggio. In alcuni studi si è evidenziato come il genere possa influire nell’acquisizione: le bimbe hanno una predisposizione di acquisizione al linguaggio più veloce. - Gli errori nella comunicazione sociale sono diversi: a. Uso inadeguato del tono: la prosodia è uno dei segnali più importanti di successo e predittivi dei disturbi del linguaggio. I bambini possono mostrare difficoltà nell’adattare il tono di voce alle emozioni espresse, portando a fraintendimenti. Ad esempio, un tono di voce allegro durante un momento di tristezza può confondere gli interlocutori, evidenziando la necessità di sviluppare una maggiore consapevolezza emotiva e sociale. b. Difficoltà nei segnali non verbali: la mancata interpretazione dei segnali non verbali può causare malintesi nelle interazioni. I bambini potrebbero non riconoscere segnali di disapprovazione o approvazione, influenzando negativamente le loro relazioni sociali. È fondamentale osservare se il bambino mostra difficoltà nell’interagire con gli oggetti in modo funzionale → segnale predittivo di un disturbo al linguaggio. Bisogna monitorare il vocabolario di un bambino: un vocabolario inferiore a venti parole o a 50 parole a 24 mesi può segnalare la necessità di interventi precoci. Dal punto di vista psicolinguistico esistono dei test che misurano la competenza linguistica e possono diagnosticare un ritardo linguistico come il “Peabody” o il “McArthur”, che forniscono misurazioni quantitative del linguaggio, consentendo confronti con pediatri. Il Peabody è il più importante: si tratta di una serie di immagini che vengono date al bambino. Il McArthur prende il primo vocabolario del bambino (12-36 mesi) viene compilato non dal bambino ma dai genitori. Era stato pubblicato nel 1995 “Parole e Gesti”, viene usato come strumento standard di valutazione del linguaggio tra il primo e il terzo anno di vita. Permette di riconoscere cosa il bambino è in grado di fare. Tra i 3 e i 5 anni il test cambia “Parole e Frasi”, sempre affidato al caregiver. Gli avanzamenti tecnologici hanno avuto grande peso, perciò è necessario sottolineare tecniche di misurazione. Il neurolinguista (Andrea Moro) può utilizzare varie tecniche che consentono di generare immagini dell’attività neuronale e servono a individuare quali aree cerebrali svolgono una certa funzione nello svolgimento di uno stesso compito cognitivo: - tecniche morfologiche: TAC o Risonanza magnetica statica, guardano in maniera statica come è organizzato il cervello. - Tecniche di neuroanatomia funzionale: la PET e la risonanza magnetica funzionale, tengono conto delle zone attivate nel cervello durante lo svolgimento di una azione; - Tecniche elettrofisiologiche: elettroencefalografia, che si basa sui potenziali evento-correlati (ERP), magnetoencefalografia, stimolazione magnetica transcranica, che non si realizza più. MODULO 3 – Gli approcci, i metodi e le tecniche nella classe di lingua “Metodi in classe per insegnare la lingua straniera” di Rizzardi e Barsi e “C’era una volta il metodo” → libri di riferimento. Evoluzione storica dei metodi. Fino agli anni 40, si avrà l’approccio formalistico: si concentra sulla grammatica della lingua, enfatizzando l’importanza delle regole linguistiche e delle forme corrette nella produzione e comprensione del linguaggio. Questo approccio è utilizzato in contesti formali, dove l’insegnamento si basa su esercizi di analisi grammaticale e traduzione, e mira a sviluppare competenze linguistiche analitiche e sistematiche. La lezione si fa in lingua materna. Lentamente si inizia ad aprire all’oralità. Con il metodo grammaticale traduttivo, si impara la lingua basandosi sulla letteratura e sulla traduzione, a partire da regole che vengono esplicitate nei libri di grammatica o nei corsi di lingua. Mira a consolidare competenze di tipo analitico-sistematico. (teoria razionalistica) È un metodo facile da applicare, la facilità d’insegnamento si traduce in una semplice esposizione delle regole grammaticali. Nascono le prime scuole Berlitz intorno a fine Ottocento, che sono un ponte tra il metodo grammaticale traduttivo e l’approccio successivo, ovvero quello diretto. Per reazione ai lunghi anni di insegnamento con approccio formalistico, in Europa e in America si sviluppa un approccio totalmente differente: l’approccio strutturalistico. Considera la lingua come un sistema di segni connessi tra loro, la scompone e la ricompone. L’attenzione alla grammatica non è più esplicita, perché questa riflessione sulla grammatica interrompe il processo di acquisizione. Bisogna fare esercizi. Il significato è importante solo quando rappresenta il risultato delle strutture. Utilizza l’analisi sintattica e la classificazione morfologica, promuovendo l’apprendimento attraverso la comprensione delle regole e delle strutture grammaticali della lingua. Non si usa la L1 nella classe di lingua e promuove un apprendimento che attraverso la comprensione delle regole ha l’obiettivo di far raggiungere all’apprendente la capacità di comunicare il più vicina possibile a un madre lingua. Questo porta alla ripetizione forsennata di frasi in cui si sostituiscono gli elementi. Si propongono test con frasi prestabilite, che favoriscano la pronuncia attraverso la trascrizione e l’IPA si suggerisce come pronunciare le parole nella lingua target. È anche detto approccio stimolo-risposta (tipica della teoria comportamentista). Sebbene efficace per la comprensione delle strutture, l’approccio strutturalista è stato criticato per la sua scarsa attenzione all’uso pratico della lingua e all’interazione comunicativa del contesto reale. 1940: emergenza del metodo audiolinguale, focalizzato sull’ascolto e la ripetizione. L’esercizio di ripetizione serve per migliorare la pronuncia. L’insegnante tenderà a offrire lo stimolo e ad aspettare la risposta dell’apprendente. Il docente sa già cosa si aspetta dall’alunno. Vengono usate frasi modello, perché si prestano meglio alla scomposizione, ma quasi mai nella vita di tutti i giorni servono. La lingua è come un puzzle: la capacità dell’apprendente sta nel ricomporre lo schema. Si usa solo la lingua target. Questi approcci sono anche detti diretti o naturali, perché si staccano dal ragionamento teorico. NB. Audio-orale: si basa sull’ascolto / audio-linguale si basa molto di più sulla produzione. Per evoluzione gli approcci di tipo strutturale vengono soppiantati da quelli chiamati naturali o diretti. Non si abbandona l’idea di utilizzare la lingua target in classe. L’approccio naturale o diretto promuove l’interazione tra studenti e insegnanti, favorendo la comprensione prima della produzione. L’accento è posto sull’ascolto attivo e sulla comprensione del messaggio, creando un ambiente di apprendimento rilassato e stimolante. La lingua non è costruita ad hoc per dimostrare come funzione il sistema, ma è lingua il più possibile vera. In questo periodo nascono i primi laboratori linguistici. Si guarda come si usa la lingua nella radio, negli show televisivi: importanza dell’oralità della lingua autentica. Sono vietate le spiegazioni metalinguistiche, ovvero la spiegazione della grammatica. Viene esaltata la reazione stimolo-risposta: più si usa, più si può parlare come un nativo. Promuove l’idea che l’apprendimento linguistico avvenga in modo simile all’acquisizione della lingua madre. In questo caso si parla di metodo audio-orale situazionale: l’attenzione all’ascolto è calato nella situazione comunicativa. L’apprendente si deve immaginare di essere dentro a una situazione reale. Si ha ascolto e ripetizione come principali strumenti di apprendimento, enfatizzando la pratica orale, la fluenza, la memorizzazione di frasi e strutture linguistiche per sviluppare competenze comunicative fluide e immediate. Si ha prima un’attività dialogica, in cui c’è un dialogo, ci sono dei focus linguistici e liste lessicali. 1960: sviluppo dell’approccio comunicativo, enfatizzando l’uso pratico della lingua in contesti reali. Si configura come un’evoluzione rispetto al passato. Si mantiene l’uso della lingua in contesti reali e l’interazione, ma nel comunicativo la produzione diventa il cuore (non più l’ascolto) dell’approccio. La comprensione c’è comunque (produco solo se ho già compreso), ma la produzione è il cuore anche della prassi didattica perché, oltre a proporre dialoghi, sketch in contesti di situazione, si chiede, in questo caso, all’apprendente di produrre situazioni → ROLE-PLAY. Questo perché in quegli anni si scoprono: 1. Importanza dell’apprendimento collaborativo tra pari. Si fa attenzione al coinvolgimento dell’apprendente; 2. Funzione comunicativa: ci si basa sull’astrazione delle funzioni della lingua, a cosa serve in generale. L’unità didattica non si intitolerà più “Al ristorante”, ma ad esempio “Porgere delle scuse”, evidenziando la funzione comunicativa calata in contesti reali. Il focus si sposta sulla funzione comunicativa, la competenza funzionale, cioè cosa riusciamo ad ottenere utilizzando la lingua, gli scopi che riusciamo a raggiungere. Elimina la prassi di ripetizione mnemonica e introduce lo scopo, l’idea che per comunicare dobbiamo avere un obiettivo. Gli esponenti di questi approcci sono Pitcol, Austen, Sellinger. Viene sviluppato prima in Europa, viene adottato poi anche negli Stati Uniti d’America. I principali metodi sono: - Comunicativo. - Nozionale-funzionale: l’esponente è John Wilkins, che elabora una teoria (speech ex theory di Austin) che si basa sull’idea che la lingua sia tutta analizzabile sugli obiettivi comunicativi che il parlante si propone di realizzare. Rispetto alle teorie precedenti che analizzavano e scomponevano, questo metodo guarda la lingua da lontano, dall’obiettivo. Solo se conosci l’obiettivo si può analizzare la lingua, secondo Austin. Il docente di lingua ha a che fare con un mezzo di comunicazione da interpretare. Wilkins, seguace di questa teoria di Austin, propone un sillabo nozional-funzionale, che si articola in due grandi tabelle (funzionamento linguistico in prospettiva comunicativa e funzionamento comunicativo della lingua). Ogni lingua possibile ha dei principi identici: a. principi universali semantico grammaticali b. funzione comunicativa In questi due ci sono tutte le nozioni, ovvero le unità significative che compongono la lingua. In questi contenuti, si hanno tutte le possibilità delle lingue. Le nozioni sono 6 (tempo, spazio, deissi, caso), di cui 5 analizzabili (categoriali) e una no (perché cambia da cultura a cultura). I campi semantici non sono analizzabili, perché variano da lingua a lingua. Ad esempio, la nozione di tempo in prospettiva comunicativa e nozional-funzionale può essere insegnata a partire da poche concettualizzazioni: a. tempo puntuale; b. durata del tempo; c. età cronologica; d. relazione temporale; e. frequenza temporale; f. sequenza temporale. Gli atti linguistici hanno a che fare, anche qui, con gli scopi comunicativi. In termini applicativi, questa schematizzazione si fa spazio velocemente, perché è schematica, ordinata, permette al docente di destreggiarsi tra grammatica e comunicazione in modo agevole. Le categorie della funzione comunicativa hanno a che fare con la modalità, la valutazione, la persuasione, l’argomentazione, l’emozione e la relazione. I campi semantici sono vuoti perché sono costituiti da liste di parole pressoché illimitate e dal significato della parola nel contesto, quindi inglobano anche la questione culturale. Austin dice che non è interessante studiare tutti i significati possibili di una parola, ma è interessante saper usare quella parola per raggiungere un obiettivo. Nei materiali di questo approccio, troviamo spesso la parola “funzione”. Gli atti comunicativi sono interi anche in senso interpersonale, ovvero la lingua ha sempre un destinatario e un emittente che prova delle emozioni mentre usa la lingua. - Situazionale. Nel video: ripetizione con spelling di parole, uso di oggetti nell’ambiente. Funzione: dare un nome alle cose e indicare il possesso. Uso di prossemica, espressione facciale. Questo metodo si porta dietro anche il situazionale, il lessico viene ripetuto più volte che prevede il modello native-speaker e modello da apprendente. Un’attività globale (di immersione globale o comprensione globale) può essere sostituita da un’attività ludo-didattica, l’apprendente crea un materiale per eseguire un task. Vi è un’attenzione alla pronuncia, il docente non si aspetta che tutti capiscono tutte le parole. Nei video successivi, cambiano i contesti comunicativi, più registri, astrattezza degli argomenti, uso formule specifiche, si perde l’ancoraggio all’oggetto. Rimandi ai metodi del passato, approccio naturale e diretto. A questo tipo di sistema si affiancano anche attività di approfondimento, si ragiona sulle funzioni comunicative, su ciò che si è compreso e cosa no. L’approccio comunicativo ti pone nella condizione di necessitare di una situazione realistica. Questo approccio è usato ancora oggi per insegnare le lingue, in maniera predominante. 1970: introduzione ai metodi umanistici affettivi, che integrano elementi psicologici e centralità del benessere. Questo approccio è figlio degli anni ’70, pone al centro della didattica il benessere dell’apprendente, benessere psicoaffettivo e psicomotorio. Si basa sulla pedagogia staineriana, che mira al piacere nell’apprendimento e su una serie di assunti psicologici. Mette insieme la centralità dell’apprendente, la secondarietà del docente e della lingua (meno pensi alla lingua, più la impari). Ad oggi sono poche le testimonianze videoregistrate di questi approcci, ci sono dei manuali prodotti dagli autori e delle testimonianze scritte. L’approccio umanistico affettivo ha dato i natali a: Suggestopedia: Lozanov nel 1979 decide che per imparare le lingue bisogna essere comodi, conoscersi, fidarsi gli uni degli altri, essere disposti a raccontare i fatti propri e la lezione di lingua diventa una sorta di terapia di gruppo. Ovviamente, è un metodo costosissimo che deve garantire il benessere, con musica di sottofondo, quadri alle pareti e funzionano solo con gruppi poco numerosi. Asseriva che le lingue si imparano solo quando si ha voglia di raccontarsi. total phisical response: l’apprendente è al centro perché usa il suo corpo per fare delle sedute di training (dal soft con i bambini oppure utilizzato per sessioni di yoga, attività di rilassamento). Si considera il corpo e la mente come un tutt’uno che per predisporti a imparare la lingua deve essere il modo globale coordinato, armonizzato. Il metodo associa la lingua al gesto, all’azione e all’attività, perché secondo Usher impariamo facendo. community language learning, non ha lasciato tracce scritte, ma solo orali (molto simile alla suggestopedia). natural approach di Krashen e Terrel. Krashen è stato associato alle teorie umanistiche- affettive, ma in realtà se si studia il Natural approach c’è l’attenzione all’apprendente, nella stessa misura che si trova nel comunicativo. Gli esponenti descrivono un metodo di insegnamento in cui negano la grammatica (elemento di distanza dal comunicativo), non deve entrare nella classe di lingua, perché deve essere un processo che l’apprendente svolge in modo implicito. I contenuti delle lezioni sono culturali, gli argomenti sono selezionati sulla base dell’esigenze degli apprendenti, le lezioni vanno condite da aneddoti culturali, soprattutto nel contrasto tra lingua di partenza e lingua di arrivo, con giochi linguistici come il taboo o scarabeo. Il problem solving è al centro di questo approccio, per esempio decidere insieme che film andare a vedere al cinema sfogliando, cercando insieme le sale, mettersi d’accordo su quale film andare a vedere in base ai gusti. silent way: viene elaborato da Gattegno, un matematico, che lo pensa a partire da una tabella di colori a cui associa i suoni delle lingue (era poliglotta). Si inventa delle tabelle di colore (color chart) e le crea in tutte le lingue che lui conosce: rappresentano suoni singoli e suoni composti delle lingue con più colori. Il docente trasmette questi suoni chiedendo di riprodotti all’apprendente. Quando l’apprendente avrà dimostrato di conoscere tutti i suoni della color chart, allora compaiono i primi fidel, ovvero rappresentazioni di parole (reali o non parole) con il colore della lingua. Il docente è silenzioso, l’apprendente parla in continuazione. La maggior parte di questi corsi erano in voga e corali, con circa 40/50 persone. L’altra grande strategia riguardava questi tokens, ma anche oggetti, mappe: il docente astrae e crea con oggetti simbolici numerose simbolizzazioni. Questo approccio non prevede la conoscenza di una lingua comune veicolare: gli apprendenti sono madrelingue diverse. È consentito addormentarsi, è normale alzarsi, andare dove si vuole: è senza regole, perché queste creano costrizione. Sono metodi andati molto bene per un decennio, erano metodi molto sentiti in America. L’altro approccio è quello cognitivo, al centro c’è il pensiero, la mente, i collegamenti mentali. Le ultime frontiere della didattica della lingua puntano sull’andare a insegnare la lingua tenendo la centralità dell’apprendente, ma non facendo si che memorizzi, ma che piuttosto da solo crei delle inferenze mentali che lo aiutino a ricordare. Il grande esponente è John Peter Sloan: attuava questo approccio, che si dimentica di alcuni dettami dell’approccio comunicativo e audio-orale. L’approccio cognitivo mira a far muovere gli ingranaggi della testa, si mette davanti il creare una sorta di relazione amichevole con l’apprendente, usando l’italiano, si danno istruzioni, apprendimento multimodale, si usa la metafora, la concettualizzazione e la vicinanza culturale. 1990: espansione dell’uso delle tecnologie nell’insegnamento delle lingue, per favorire l’interattività. 2000 e oltre: emergere di approcci integrati e interculturali, multimodalità e diversità linguistica. Oggi il metodo viene definito integrato: prendono dal passato ciò che ha funzionato di più. Il CLIL è un metodo o percorso educativo, una strategia didattica che alla sua base ha l’atto di integrare la conoscenza linguistica con quella disciplinare. È caratterizzato da scelte strategiche, strutturali-metodologiche, atte ad assicurare l’apprendimento integrato duale da parte di discenti che imparano attraverso una lingua non nativa. Si tratta di insegnare una materia in una lingua europea. I decreti del Presidente della Repubblica 88 e 89 del 2010 disciplinano la normativa che prevede l’obbligo... [slide] Il CLIL deve essere messo in atto da persone competenti a farlo, devono avere livello C1 e un corso di formazione professionalizzante. Il docente può essere un docente di lingua o un docente disciplinare. Il docente di lingua può insegnare una disciplina qualora la scuola lo permetta. Anche negli ordini più bassi è stato usato il CLIL (primaria e infanzia) oppure nei corsi avanzati (radiofonici, corsi erogati dalla regione per espatriare). Di solito si decide di utilizzare le ore di materie scientifiche o materie tecniche, proprio perché hanno un lessico più tecnico. TECNICHE E ATTIVITA Lo studio di Rivers e Temperly del 1978 dice che nella nostra quotidianità l’ascolto è l’attività che ci occupa di più sia dal punto di vista cognitivo che di tempo (45%). I dati non sono più attuali: infatti nel 78 parlare e scrivere avevano percentuali più basse (30% e 16%), mentre oggi i dati sono notevolmente aumentati. Lo scrivere aveva 9% di percentuale. Oggi l’ordine gerarchico non è cambiato ma le percentuali sono cambiate. Anche il tipo di ascolto è cambiato molto, perciò le tecniche e le attività da fare devono essere sempre rinnovate. Abbiamo 3 tipi di strumenti a cui fare riferimento quando entriamo in classe: 1. Materiali autentici, ovvero materiale usato a scopo didattico ma che in origine non aveva tale finalità. Questi materiali riflettono l’uso reale della lingua come articoli di giornale, trascrizioni di conversazioni autentiche (rivista, dibattiti), canzoni, film, programmi, pubblicità, manuali, istruzioni o documenti ufficiali. L’uso di questo tipo di materiale era già previsto dal Metodo Diretto e dal Reading Method, ma è divenuto particolarmente rilevante nell’ambito dell’Approccio Comunicativo. Ciò è dovuto sia alla natura di questo approccio, sia al fatto che negli ultimi anni la frequenza dei viaggi all’estero, la diffusione planetaria dei mass media e il perfezionamento delle tecniche di registrazione hanno reso i materiali autentici facilmente disponibili. 2. Materiali grigi sono testi, attività, esercizi estratti dal docente da volumi e manuali di lingua vari. Hanno lo scopo della didattica ma non sono strutturati: è il docente che li seleziona e decide di portarli in aula. 3. Materiali didattici strutturati, con focus su aspetti grammaticali, lessicali e conversazionali (seguono un’impostazione predeterminata). Possono essere volumi per ogni livello di apprendimento linguistico, manuali di preparazione per certificazioni linguistiche (risorse per prepararsi a esami ufficiali come TOEFLS ecc.), eserciziari e miscellanee, ovvero attività pratiche per sviluppare le abilità di comprensione e produzione orale e scritta. Molto spesso il docente di lingua è guidato dai materiali e poi segue la tecnica. Nell’approccio in aula il docente presenterà il volume e il modo in cui la presenterà rispecchieranno il suo approccio, metodo e altro. Le attività che vengono proposte nei corsi di lingua sono: o ABBINAMENTI: è un’attività che ha il suo fulcro nella comprensione lessicale. Si può creare una variabile sulla modalità, sul canale che il docente usa: Lingua - immagine; Parola - definizione; Testi dialogici/descrittivi - immagini. L’attività restituisce un dato oggettivo. Viene utilizzato sempre, in tutti gli approcci. Spesso vi è non solo comprensione, ma anche produzione implicita. o SCELTA MULTIPLA, si valuta la comprensione e la produzione (di solito scritta). Ci sono correnti di pensiero riguardo questa attività: chi la definisce come un’attività che deve essere trattata su 3 scelte, altre su 5 scelte, altre ancora su 4. Bisogna fare una validazione del test, una piccola sperimentazione: le attività dovrebbero essere sottoposte a persone molto competenti e persone per niente competenti per verificare la correttezza del test. o CLOZE, il termine deriva dall’inglese closure, presente nell’espressione closure test, test di chiusura, usata nella psicologia della Gestalt, cioè della forma della rappresentazione. I closure test studiano la capacità di un essere umani di ricostruire i dati parziali provenienti da una percezione incompleta della realtà. Si toglie una parola ogni sette e automaticamente l’apprendente sa inserirla. I Cloze non sono tutti uguali: Cloze test basato su parole o vocabolario: vengono omesse delle parole contenuto, ovvero quelle che hanno un loro valore semantico, per testare la capacità di inferire il significato rispetto al contesto. In questi casi il cloze test ha il vantaggio di dare la possibilità di usare la parola che non era quella target ma che comunque va bene e farla valutare dal docente. Cloze test basato su grammatica (o struttura): si chiede di rappresentare una possibile flessione di un verbo. Viene utilizzato nei casi di parole funzionali, con preposizioni, pronomi, congiunzioni ecc Cloze test a inferenza (o contestuale): si chiede di completare il testo in maniera coerente. Si concentra sulla capacità di fare inferenze o deduzioni contestuali. Wilson Taylor fu il primo a capire che il Cloze potesse essere usato come indice di leggibilità del testo. La facilità con cui le parole cancellate venivano individuate da chi svolgeva il cloze era un indice di leggibilità di un testo in lingua madre. Ben presto il cloze venne adottato per le certificazioni internazionali. o RICERCA DELL’ERRORE, si chiede di individuare l’errore e di correggerlo. o GIUSTO O SBAGLIATO, bisogna fare una sorta di elenco di quello che è giusto o che è sbagliato. o INCASTRO O RIORDINO, come ricostruire un dialogo, ricostruire un testo, ricostruire la paragrafazione per lavorare su come si costruisce non solo la frase ma anche il testo. Vuole ricreare la sequenzialità. o TRANSCODIFICA cioè, trasformare la lingua, il testo. Abbiamo la transcodifica di un messaggio in un codice diverso da quello originale (multimodalità). Codice cinesico: mimare, eseguire ordine, effettuare una sequenza di azioni. Serve a rendere consapevole il docente di quanto l’apprendente abbia familiarizzato con la lingua, tanto da comprenderla anche se è scritta male. Anche codici grafici come seguire un itinerario su una piantina, eseguire o completare dei disegni. o ROLE PLAY, prevede una multidimensionalità ed è molto usato negli approcci comunicativi. Bisogna scegliere insieme le domande ed elaborare il questionario da compilare alla fine per la valutazione dell’altro. Altre attività che si creano insieme sono: o Diagramma a ragno o Ranking: da una parola di partenza, area semantica, ordinare le parole da un massimo a un minimo secondo criterio (grande/piccolo; chiaro/scuro); o Riflessione metalinguistica attraverso la poesia di gruppo: scegliere un tema emotivamente rilevante come amore, dolore, paura, notte ecc. o Uso sovversivo e giochi di parole: giochi di parole e omofonie. MODULO 4 – Il ruolo della Grammatica nell’insegnamento linguistico Le abilità linguistiche sono ascolto, lettura, parlato, scrittura. ➔ NOZIONARIO ASCOLTARE. Abilità primaria e componente essenziale della competenza comunicativa. L’abilità di comprensione orale viene riproposta dal metodo diretto tra l’Otto e il Novecento, per essere poi collocata al centro dell’attenzione con gli approcci strutturalistici e comunicativi. ➔ NOZIONARIO COMPRENDERE. Il processo di comprensione, che può essere riferito a testi orali (Ascolto), scritti (Lettura) o multimediali, è uno dei principali componenti della competenza comunicativa; nella storia recente degli approcci glottodidattici, la comprensione è centrale per l’approccio comunicativo e risulta particolarmente accentuata nell’approccio ermeneutico. Alla base del processo di comprensione (che può essere “estensiva” o intensiva), sta il processo di anticipazione: esso consiste nel saper predire ciò che può comparire in un testo operando sulla base del contesto, del paratesto, delle conoscenze del mondo, ecc. In tal modo la comprensione si trasforma nella ricerca della conferma di una tra le previsioni effettuate. In molti casi un profitto scolastico insufficiente può derivare, anziché da difficoltà cognitive o di impegno, da problemi di comprensione. ➔ NOZIONARIO PARLARE. È una delle quattro abilità linguistiche. Bisogna dividere tra il parlare in un monologo (abilità primaria) e il parlare in un dialogo (abilità integrata). ➔ NOZIONARIO SCRIVERE. È una delle abilità primarie, quindi fa parte integrante della competenza comunicativa. Tuttavia, in molti corsi, soprattutto per adulti, la scrittura ha un ruolo secondario rispetto alle abilità ricettive e al saper dialogare; nell’insegnamento precoce della lingua straniera c’è spesso un forte distacco temporale tra le altre abilità e la scrittura, che spesso è ridotta a pura e semplice ricopiatura e trascrizione, oltre che all’esecuzione di esercizi. Il processo di scrittura si articola in almeno tre fasi: (a) individuazione di idee, che può essere condotta con tecniche come il brainstorming; (b) progettazione testuale, cioè riorganizzazione delle idee in un testo caratterizzato da coerenza, da coesione e dal rispetto delle regole di genere; (c) stesura del testo. In fase di valutazione si tengono di solito separati i giudizi relativi al contenuto e quelli che riguardano la forma linguistica; quest’ultima va valutata non solo in termini di efficacia pragmatica e di correttezza formale, ma anche di appropriatezza al tipo particolare di registro che viene richiesto nei testi scritti. La quinta abilità è quella della riflessione metalinguistica, capacità di ragionare sul sistema linguistico, che si declina come consapevolezza metalinguistica. Posso comunicare in una lingua ma non avere consapevolezza esplicita su quei termini. ➔ NOZIONARIO COMPETENZA METALINGUISTICA. È la capacità di descrivere i meccanismi di funzionamento della lingua. È un aspetto della metacompetenza e rimanda al usage di Widdowson e al movimento di Language Awareness. La competenza metalinguistica rientra nella competenza comunicativa e si realizza in atti comunicativi quali chiedere e dire come si pronuncia una parola o come si chiama un oggetto in lingua straniera; la competenza metalinguistica è essenziale per facilitare l’insegnamento/apprendimento linguistico e richiede l’uso di una microlingua specialistica. La più antica testimonianza di grammatica è attribuita agli indiani. Negli “otto capitoli” di Panini vengono raccolte quasi 4000 regole della lingua del sanscrito. Vengono esplicitate le regole: si tratta della prima grammatica strutturata e esplicita, la più antica. Gli altri studi sistematici della lingua sono condotti dai greci, a cui si deve il nome di grammatica, “grammatikè”, a indicare la disciplina che include e sottende l’arte di scrivere le lettere. Tra i primi greci a occuparsi di grammatica ricordiamo: - Protagora che individuò i generi; - Aristotele che diede una prima formulazione delle categorie grammaticali di nome e verbo; - Filosofi Stoici che perfezionarono l’opera e crearono molti dei termini della grammatica; - Apollonio Discolo che avviò le prime vere descrizioni sintattiche; - Le tracce di speculazione grammaticale sono tantissime in epoca latina. La prima Ars Grammatica romana apre i Disciplinarum di Varrone, opera breve e sommaria concentrata in un solo libro: comprendeva principi di fonetica e di flessione. Nel medioevo la Grammatica viene inserita tra le arti liberali: i due gradi dell’insegnamento scolastico, l’uno letterario, l’altro scientifico. Le arti liberali comprendevano: grammatica, retorica, dialettica (Trivio); aritmetica, geometria, musica e astronomia (Quadrivio). Gli studiosi medievali e rinascimentali concentrarono la loro attenzione soprattutto verso gli aspetti logici della lingua. In considerazione di una moltitudine di lavori, l’Italia rivendicherà la funzione di maestra nell’analisi del testo in Europa e reagirà ristabilendo il contatto con i classici (ricordiamo, ad esempio, Lorenzo Valla). La prima grammatica dei nostri tempi è La Grammaire di Lancelot e Arnauld (1660), pietra miliare rispetto alla riflessione metalinguistica. Si rintracciano delle categorie universali dentro le lingue. Nell’introduzione spiega che nella prima parte analizza i suoni e la fonetica, nella seconda il significato e la semantica. Grammatica è anche analisi del parlato, analisi del pensiero. La grammatica classifica la forma (significante) e si concentra sulla classificazione del significante. L’attenzione è rivolta alle forme e alla trazione di classi chiuse che rappresentino un repertorio fisso e stabile. Grazie alla forma, si identificano categorie principali (come le parti del discorso), ricostruite in base al principio delle ricorrenze nel contesto; si associano le loro funzioni e significati grammaticali specifici (genere, numero, modo, tempo). Il metodo si basa sulla componibilità/scomponibilità delle unità. È un trattato di ciò che chiamiamo grammatica formale.e. Il termine è polisemico: - Competenza del parlante, in questo senso ognuno di noi possiede una o più grammatiche, a seconda dei sistemi linguistici che conosciamo; - Insieme esplicito di regole in cui una varietà di una lingua viene codificata; - Descrizione teorica del sistema linguistico di una lingua naturale che utilizza un metalinguaggio per addetti ai lavori; - Il libro che contiene un quadro esplicito, sistematico ed esaustivo delle caratteristiche di una lingua, che fa uso di un metalinguaggio che il parlante nativo conosce o dovrebbe conoscere; - Un libro che si pone l’obiettivo di insegnare una lingua in contesto scolastico e che utilizza un metalinguaggio adeguato al livello delle conoscenze degli apprendenti; - Sezione di unità didattica in cui gli apprendenti sono guidati ad osservare le specifiche caratteristiche lessico-grammaticali della lingua oggetto di studio. Nell’uso comune, il termine grammatica viene riferito a forme di codificazione e a descrizioni delle regole relativamente ai livelli di analisi della lingua: fonologico, morfologico, sintattico e semantico e pragmatico della lingua e all’apprendente di questo sistema di regole solitamente considerate disgiunte dal lessico. Oggi non si può più pensare alla grammatica come a una semplice trasmissione di sistemi codificati per due motivi principali: 1. L’apprendente dovrebbe essere attivo durante questa fase di apprendimento; 2. Si ritiene opportuno che l’insegnante verta su aspetti testuali, pragmatici, s