Gastroenterologia Unito 2022-2023 PDF

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This document, a past paper from UniTo for 2022-2023, details the anatomy and diseases of the esophagus. It also describes the related symptoms and diagnostics of conditions such as diverticula, acalasia, and GERD.

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4 novembre 2022 ESOFAGO Il primo organo che riscontriamo nel tratto gastroenterico in direzione cranio-caudale è l’esofago. Esso è un viscere...

4 novembre 2022 ESOFAGO Il primo organo che riscontriamo nel tratto gastroenterico in direzione cranio-caudale è l’esofago. Esso è un viscere cavo rivestito da mucosa. Le pareti dell’organo sono collabite, in quanto la cavita è virtuale; per questo motivo durante l’esecuzione dell’esame endoscopico è necessario insufflare aria. La mucosa è costituita da tre strati la mucosa vera e propria; la sottomucosa; la muscularis propriae. Inoltre vi è la membrana sierosa, che è più superficiale e avvolge l’organo. La mucosa vera e propria è formata da un epitelio che varia a seconda dell’organo del tratto gastroenterico considerato. Nell’esofago vi è un epitelio di tipo pavimentoso pluristratificato, in quanto non si tratta di un epitelio secernente come quello gastrico. Al di sotto di esso abbiamo due strati poco rappresentati che sono la lamina propria e la muscularis mucosae. Nella sottomucosa troviamo elementi ghiandolari, ma soprattutto collagene e tessuto connettivo. A questo livello è presente un primo plesso neurogeno; il tratto gastroenterico è riccamente innervato in quanto necessita di una motilità che deve essere ben coordinata. La muscularis propriae è formata da uno strato circolare più interno ed uno strato longitudinale più esterno e ciò permette la peristalsi. Tra questi due strati è presente un secondo plesso neurogeno con cellule segnapasso dette cellule di Cajal. L’esofago è lungo circa 25 cm. Da un punto di vista macroscopico, procedendo in direzione cranio-caudale, riscontriamo: lo sfintere esofageo superiore-esso è costituito da fibre muscolari dell’ipofaringe e si apre al momento della deglutizione; il corpo esofageo; lo sfintere esofageo inferiore(LES) esso si apre durante il passaggio del bolo. A questo livello troviamo la giunzione esofago-gastrica, che rappresenta il passaggio netto tra l’epitelio pavimentoso pluristratificato dell’esofago e l’epitelio monostratificato ghiandolare dello stomaco. Nell’ernia iatale questo passaggio è risalito all’interno della cavità toracica. L’apertura del LES è finemente coordinata e quest’ultimo presenta una pressione basale di 25 mmHg. Normalmente esso deve essere chiuso per evitare il passaggio di reflusso acido dallo stomaco all’esofago e l’insorgenza del reflusso gastro-esofageo. Alla funzione dello sfintere esofageo inferiore concorrono fattori anatomici, l’angolo di Hiss che è l’angolatura che si forma tra esofago addominale e fondo dello stomaco , la posizione trans-diaframmatica del LES (il diaframma funge da “pinza” e lo mantiene chiuso); per questo motivo l’ernia iatale, in cui il LES è risalito, favorisce il reflusso. Le pressioni intratoraciche, che comprimono l’esofago, sono inferiori rispetto alle pressioni transaddominali. Se il cardias è risalito nella cavità toracica verrà compresso da una pressione inferiore, rappresentando un fattore predisponente per l’insorgenza del reflusso gastro-esofageo. Inoltre, sono stati individuati rilasciamenti transitori del cardias, che se prolungati permettono il passaggio del reflusso acido. Il controllo neurologico è di tipo inibitorio da parte delle fibre NANC (non-adrenergic non-cholinergic) ed eccitatorio da parte delle fibre muscariniche. Ci sono altri fattori esogeni che possono far decrescere la continenza dello sfintere come la caffeina, il fumo, l’alcol e i farmaci beta adrenergici che simulano le catecolammine. Questi sono due grafici di un esame chiamato manometria esofagea, che valuta la motilità dell’esofago. Tale esame viene effettuato mediante un sondino nasogastrico che raggiunge lo sfintere esofageo inferiore ed è costituito da vari sensori che valutano le pressioni. Facendo deglutire dell’acqua al paziente è possibile osservare l’onda peristaltica che si protrae. I DIVERTICOLI ESOFAGEI I diverticoli sono delle estroflessioni della parete o di parti della parete di un viscere cavo e rappresentano una condizione rara a livello esofageo. Tra tutti i diverticoli esofagei il più frequente è il diverticolo di Zenker. Abbiamo anche il diverticolo del corpo esofageo, definito da trazione e classicamente associato alla patologia tubercolare, in quanto questa spesso provoca linfoadenopatie mediastiniche. Per questo motivo, quando la patologia tubercolare era endemica, si aveva la formazione di linfonodi peribronchiali caseosi che andavano incontro a necrosi colliquativa. Dopo il processo risolutivo dei linfonodi, che prevede la formazione di tessuto fibroso, questo pinzava l’esofago creando un’estroflessione: il diverticolo da trazione. Inoltre, a livello peri-diaframmatico possiamo avere la formazione di diverticoli epifrenici, anch’essi estremamente rari. Se essi presentano delle dimensioni tali da provocare disfagia, si procede con trattamenti chirurgici o endoscopici. SINTOMI ASSOCIATI A PATOLOGIE ESOFAGEE Il sintomo principale è rappresentato dalla disfagia, ovvero difficoltà nella deglutizione. Essa può essere alta, di competenza prevalentemente neurologica o bassa, di competenza gastroenterologica. La disfagia rientra fra i segni e sintomi d’allarme per la selezione dei pazienti da sottoporre ad esami più invasivi, insieme ad anemia, sanguinamenti digestivi, calo ponderale significativo, familiarità di primo grado per tumori del tratto gastroenterico. Ci sono tante cause per la disfagia esofagea come alterazioni neuromotorie (acalasia) o ostruzioni meccaniche. L’ostruzione di tipo meccanico può essere dovuta in primis ad una neoplasia, ma anche a stenosi infiammatorie o diverticoli. Se un paziente presenta disfagia dobbiamo, quindi, prima di tutto escludere un’ostruzione dovuta a neoplasia attraverso la gastroscopia. Se questa risulta negativa, possiamo pensare a patologie motorie. I disturbi motori sono in ordine di importanza: acalasia, spasmo esofageo diffuso, esofago a schiaccianoci. Abbastanza comuni sono le condizioni opposte di ipocontrattilità, cioè patologie del collagene, patologie neuromotorie, metaboliche come il diabete; in questo caso si ha una neuropatia su base iperglicemica e il sistema nervoso parasimpatico è inibito con inibizione della motilità. ACALASIA È una patologia rara con un’incidenza di 1/100000 individui l’anno. Ha un’eziologia ignota ed è caratterizzata da una deplezione delle fibre NANC. Essa provoca un incompleto rilasciamento del LES in risposta alla deglutizione e si associa anche a mancata peristalsi. Nell’acalasia, quindi, vi è un’atonia diffusa di tutto l’esofago, ovvero l’esofago diventa un “tubo flaccido”. A livello clinico abbiamo: disfagia rigurgito dolore toracico dovuto a dilatazione dell’organo; calo ponderale in quanto il paziente non si nutre Diagnosi: RX baritato in cui è possibile osservare il tipico aspetto a “becco di uccello” con un brusco stop a livello giunzionale ed EGDS che ci permette di escludere la presenza di una neoplasia. Nel paziente acalasico la gastroscopia dà un quadro tipico costituito da un esofago dilatato con ingesti all’interno nonostante il paziente sia a digiuno. Inoltre, non risulta possibile passare il cardias con lo strumento. La diagnosi certa di acalasia viene effettuata tramite manometria in cui si osserva totale assenza di peristalsi e mancato rilasciamento dello sfintere a pressioni elevate. DOMANDA: Ci sono dei valori da rispettare entro cui si può fare diagnosi di acalasia? RISPOSTA: Lo sfintere ha una pressione media di 25 mmHg; in questi casi oltre ad essere più alta quello che ci interessa è il mancato rilasciamento. Non andiamo a valutare solamente il valore numerico , ma più la forma della curva. La terapia prevede la somministrazione di calcio-antagonisti solitamente a pazienti anziani, anche se non hanno un buon risultato. La miotomia di Heller è un intervento che può anche essere eseguito in laparoscopia e consiste in un’incisione del tessuto muscolare dall’esofago distale fino allo stomaco prossimale, permettendo l’apertura del cardias. Ovviamente non è possibile ripristinare la peristalsi e, quindi, l’esofago rimane un tubo flaccido; tuttavia per gravità avremo il passaggio del bolo nello stomaco con ripresa delle condizioni cliniche. La terapia endoscopica con iniezione di tossina botulinica (causa paralisi flaccida) a livello dello sfintere esofageo inferiore non viene più effettuata. Più efficace è la dilatazione pneumatica che consiste nel posizionare sotto controllo endoscopico un palloncino a livello del cardias che, dilatandone le fibre, ne provoca il rilasciamento. Essa viene effettuata in più sessioni con dilatazioni crescenti per diminuire il rischio di perforazione. L’efficacia della dilatazione pneumatica è buona, ma spesso è necessario ripetere il trattamento. Negli ultimi anni è stato messo a punto un altro trattamento, detto POEM (peroral endoscopic myotomy) che ha lo stesso principio della miotomia di Heller, ma viene fatta in endoscopia con un elettrobisturi che incide la mucosa (essendo endoscopica, incide dall’interno verso l’esterno dunque non incontra la sierosa) e poi la parete muscolare scalfendola e rendendola più sottile. Questa tecnica è assolutamente risolutiva, ma nonostante numerosi studi, sussistono perplessità sulla metodica in quanto sembrerebbe gravata sul lungo termine dall’insorgenza di reflusso gastroesofageo; tuttavia la vera e propria esofagite si riscontra in un numero limitato di soggetti. Attraverso la meta-analisi è stato dimostrato che la POEM dà ottimi risultati rispetto alle altre metodiche, la miotomia di Heller laparoscopica risulta essere migliore della dilatazione pneumatica (l’intervallo di confidenza non include l’uno e quindi il primo trattamento è statisticamente migliore rispetto al secondo) mentre non c’è differenza significativa fra POEM e chirurgia. SPASMO ESOFAGEO DIFFUSO È meno comune rispetto all’acalasia. Lo sfintere esofageo inferiore funziona perfettamente, ma abbiamo saltuariamente delle contrazioni spastiche dell’esofago. Non vi è peristalsi in quanto l’esofago si contrae all’unisono. Il sintomo principale è il dolore, ma possiamo avere anche disfagia. Per la diagnosi abbiamo sempre RX baritato (aspetto a cavaturaccioli), EGDS e manometria, in cui si osservano delle onde sincrone tipiche dello spasmo. Questa patologia è difficile da trattare,i farmaci di prima linea sono i calcio antagonisti. Per i casi refrattari alla terapia si può effetuare un approccio chirurgico la miotomia ESOFAGO A SCHIACCIANOCI In questo osserviamo delle onde peristaltiche, ma di aumentata ampiezza. Il paziente non presenta disfagia in quanto vi è presenza di peristalsi, mentre riferisce dolore. MRGE È la malattia da reflusso gastroesofageo. Si tratta di una condizione patologica dovuta al reflusso di materiale gastrico in cavità esofageo con infiammazione della mucosa esofagea. I sintomi tipici sono: pirosi e rigurgito (la differenza tra rigurgito e vomito è rappresentata dalla mancanza di antiperistalsi nel rigurgito, mentre nel vomito vi è l’impegno generale del nostro organismo. Il centro del vomito, infatti, si trova a livello del tronco encefalico; per questo motivo esso, a differenza del rigurgito, può essere causato da ipertensione endocranica con compressione del centro del vomito o da tossinfezioni a livello centrale). Si accompagna alla nausea ed a fenomeni vagali. Il reflusso può manifestarsi anche in altre forme più vaghe o blande e in questo caso parleremo di sintomatologie extra-esofagee tra cui abbiamo: sinusite, raucedine, nodo in gola, otite. Nel reflusso alto la diagnosi è di esclusione ed è, quindi, necessario un iter diagnostico adeguato. Un concetto importante riguarda la diagnosi, che può essere definita ex adiuvantibus: si somministra la terapia (inibitori di pompa protonica) al paziente e se si riscontra un miglioramento si giunge alla diagnosi, altrimenti si passa ad esami di secondo livello. La terapia, quindi, assume uno scopo diagnostico. Nell’iter diagnostico è fondamentale considerare l’età del paziente: se ci si trova di fronte ad un paziente con età superiore a 50 anni si è più propensi ad eseguire un esame endoscopico a differenza di un soggetto giovane Tra le norme comportamentali che risultano essere utili nel coadiuvare il miglioramento dei sintomi del MRGE abbiamo: calo ponderale; cessazione di abitudine tabagica; posizionare il capo in maniera più soprelevata rispetto al resto del corpo durante la notte evitare di svolgere attività fisica dopo i pasti; ridurre il consumo di caffè e alcool cercare di frazionare i pasti per ridurre la quantità di acido secreta dallo stomaco; evitare di coricarsi dopo i pasti. Tra le opzioni terapeutiche troviamo, in aggiunta agli inibitori di pompa protonica, anche gli antiacidi che non sono dei farmaci eziologici e vengono solitamente associati ai precedenti. Una particolare attenzione va posta all’esofagite da reflusso che evolve in metaplasia, noto come esofago di Barrett, che può evolvere in lesione precancerosa fino ad arrivare all’adenocarcinoma esofageo. Da un punto di vista patogenetico tra i fattori più importanti abbiamo tutti quei fattori che concorrono alla competenza del LES, l’ernia iatale, ma anche la motilità gastrica; uno stomaco “pigro” tende a far risalire gli acidi e per questo motivo è necessario includere nella terapia anti-reflusso farmaci procinetici (ad esempio Domperidone). La classificazione del MRGE può essere: NERD (esofagite non erosiva): è la più frequente e la più difficile da diagnosticare. Il paziente ha i sintomi, ma risulta negativo all’EGDS. È, invece, positivo alla pH metria perchè il reflusso permette anche la risalita dell’acido cloridrico che va ad abbassare il pH. ERD (esofagite erosiva): 30-35% dei casi, vi è erosione e positività all’EGDS ed alla pH metria. Esofago ipersensibile: scongiura la diagnosi di reflusso perché abbiamo EGDS e pH metria negativi per cui non è sicuramente una patologia erosiva, potrebbero esserci errori negli esami o presenza di reflussi saltuari. Per quanto riguarda le esofagiti, viene utilizzata la classificazione endoscopica di Los Angeles: grado A: si ha la presenza di una o più erosioni al di sotto dei 5 mm; grado B: si ha la presenza di una o più erosioni al di sopra dei 5 mm; grado C: erosioni confluenti, ma non circonferenziali; grado D: erosioni circonferenziali e con ulcere. Nel caso di MRGE la richiesta di EGDS è fortemente indicata in caso di sintomi di “allarme” (disfagia, calo ponderale, anemia o sanguinamento), familiarità per carcinoma gastrico, in caso di terapia di lunga durata con PPI o in caso di follow up per esofagite severa. La pH metria è un esame di secondo livello che prevede l’utilizzo di un sondino che il paziente deve tenere per 24 ore. Durante queste ore, il paziente deve condurre una vita normale e riportare su un quadernetto eventuali sintomi e l’orario. Il giorno successivo si rimuove il sondino e si va a valutare il tracciato, correlando gli eventuali reflussi acidi (il pH si abbassa) con i sintomi annotati dal pz. Negli ultimi anni è stata introdotta la pH impedenziometria che valuta a vari livello lungo il sondino, oltre al pH, il calo di impedenza correlato all’incremento della conduttività fra due sensori (l’impedenza è l’inverso della conduttività). In presenza di un reflusso di materiale liquido, contenente ioni, ad alta conduttività riscontreremo un notevole calo dell’impedenza. Permette di individuare la presenza di reflussi basici (biliari), che sono quelli più gravi e non possono essere rilevati dalla pH metria. L’unica indicazione che trova è nei pazienti che hanno fatto a lungo terapia con PPI senza giovamenti o pazienti con sintomi extra-esofagei, che rappresentano una minoranza di casi. TERAPIA CHIRURGICA Per la MGRE abbiamo anche la terapia chirurgica: la fundoplicatio, che è teoricamente pensata per soggetti refrattari a qualsiasi farmaco per il reflusso o soggetti giovani che dovrebbero seguire a vita la terapia anti-reflusso. È eseguita in laparoscopia, ma ci sono anche metodiche endoscopiche. Il razionale è quello di mobilizzare tutto il fondo gastrico dissociandolo dal legamento con diaframma, milza e piccolo omento. Successivamente il fondo gastrico viene ribaltato intorno all’esofago fissandolo con due punti di sutura. Si crea, quindi, una specie di manicotto intorno all’esofago. Il cibo quando viene ingerito va nel corpo e nell’antro gastrico, ma non va mai nel fondo gastrico (ripieno di aria) quindi quando ingeriamo il cibo, il fondo gastrico si riempie comunque di aria e stringe a manicotto l’esofago riproducendo la funzione del LES. Inoltre, avendo un diametro maggiore, impedisce che lo stomaco possa erniare nel mediastino. Questa metodica ci permette di risolvere il reflusso, ma può determinare l’insorgenza di disfagia. ESOFAGO DI BARRETT È una metaplasia intestinale specializzata: a livello dell’esofago distale in cui vi è una sostituzione dell’epitelio pavimentoso pluristratificato in epitelio intestinale con cellule caliciformi. La diagnosi è istologica tramite prelievo bioptico. Si può avere il sospetto di esofago di Barrett e poi attraverso la gastroscopia si riscontra una risalita della mucosa dello stomaco. Nel caso non sia rilevabile displasia si effettua sorveglianza attiva con endoscopia ogni 3-5 anni. Nel caso sia presente displasia di basso grado con diagnosi istopatologica si effettua una sorveglianza attiva ma più stretta, cioè ogni 6-10 mesi, e si agisce farmacologicamente rimuovendo lo stimolo nocivo cosicché la metaplasia possa regredire. Se la displasia è di alto grado (carcinoma in situ) si può fare eradicazione endoscopica, solo in centri di riferimento con dispositivi laser o ad ultrasuoni. L’esofago di Barrett può essere classificato in: short (al di sotto di 3 cm); long (al di sopra dei 3 cm). Vi è anche una classificazione più precisa, ovvero la classificazione di Praga, che valuta due parametri: C (estensione circonferenziale); M (lingua di mucosa). Tra i soggetti con malattia da reflusso di lunga data (oltre 10 anni), l’1% può sviluppare l’esofago di Barrett. Una percentuale dei soggetti con Barrett può sviluppare l’adenocarcinoma dell’esofago. ESOFAGITE EOSINOFILA È una patologia più frequente in età pediatrica ad eziologia ignota ed è caratterizzata dalla presenza di infiltrato eosinofilo lungo l’esofago. Gli eosinofili sono solitamente elevati nei tessuti ed in circolo in diverse condizioni: nelle parassitosi, nell’ipersensibilità a farmaci e nelle diatesi allergiche. Dopo aver escluso la presenza di queste condizioni, posso fare diagnosi di esofagite eosinofila. Da un punto di vista clinico, nell’esofagite eosinofila parleremo di tracheizzazione dell’esofago dovuta ad infiammazione con edema che può portare al restringimento del lume e disfagia. La diagnosi è istologica tramite biopsia lungo tutto l’esofago, ma anche di esclusione. Va esclusa la MRGE. Per quanto riguarda la terapia, si somministrano dei cortisonici topici. ESOFAGITE DA CAUSTICI È causata dall’ingestione di detersivi, materiale acido di vario tipo, acido muriatico (a scopo suicidario). Questo avviene più frequentemente in età pediatrica quando liquidi pericolosi vengono lasciati alla portata dei bambini oppure nei soggetti affetti da demenza o in età senile. Ciò non rappresenta un problema grave perché i detersivi disponibili in commercio, come la candeggina, sono molto diluiti. In caso di ingestione di candeggina non è necessario eseguire l’esame endoscopico. Le soluzioni alcaline sono più pericolose perché raggiungono meno velocemente lo stomaco e hanno una maggiore azione destruente, che si traduce in una differente necrosi; le soluzioni alcaline, infatti, causano una necrosi colliquativa mentre le soluzioni acide una necrosi coagulativa. Nei casi più severi avremo ulcere e necrosi. ESOFAGITI INFETTIVE La principale è l’esofagite infettiva da Candida caratterizzata dalla presenza di placche osservabili in condizioni di immunodeficienza (paziente defedato, oncologico avanzato, con HIV). La diagnosi è effettuata attraverso l’esame endoscopico e la terapia prevede l’utilizzo di antimicotici In presenza di ulcera, il paziente riferirà odinofagia (dolore alla deglutizione, al passaggio del bolo). LESIONI PARTICOLARI Tra le lesioni particolari troviamo la lacerazione di Mallory-Weiss ad eziologia ignota e la sindrome di Boerhaave. La lacerazione di Mallory-Weiss consiste in una lacerazione della mucosa dell’esofago distale e dello stomaco prossimale. Essa può provocare sanguinamenti massivi che vengono tamponati attraverso endoscopia. La sindrome di Boerhaave è una lacerazione transmurale completa con perforazione dovuta a brusco incremento del gradiente pressorio fra esofago intra-addominale e intra-toracico. Vi è una correlazione con il paziente alcolista. CARCINOMA ESOFAGEO È una neoplasia non comune. I due tipi principali sono: il carcinoma squamoso e l’adenocarcinoma. Il carcinoma squamoso è raro in Italia, si verifica principalmente nei paesi orientali ed è dovuto ad abitudini alimentari. L’adenocarcinoma, invece, è in aumento essendo correlato al reflusso, Barrett. Si sviluppa soprattutto nell’esofago distale e i fattori di rischio sono: MRGE, fumo, alcol, obesità, dieta povera di vitamine, acalasia e sindrome di Plummer-Vinson (patologia caratterizzata da anelli esofagei, anemia ferrocarenziale e disfagia). I sintomi sono spesso sfumati e tardivi. Calo ponderale e disfagia associata a sanguinamento sono i sintomi caratteristici. La prognosi è infausta in quanto la diagnosi è tardiva. Per quanto riguarda il trattamento, è una patologia difficile da trattare in quanto il paziente dovrebbe andare incontro ad una chirurgia demolitiva. Spesso i soggetti affetti vengono trattati a scopo palliativo attraverso l’inserimento di protesi che dilatano la stenosi neoplastica, permettendo l’alimentazione del soggetto. DOMANDA: Non si può mettere la PEG? RISPOSTA: Nel paziente neoplastico si tende a preferire l’utilizzo della protesi finchè possibile e ad utililizzare la PEG solo se strettamente necessario. Se la neoplasia è limitata alla mucosa, il rischio di metastasi linfonodale è pari a 0. È possibile, quindi, fare un trattamento endoscopico con eradicazione. Se la neoplasia ha invaso la sottomucosa, invece, vi è il rischio di metastasi. In questo caso non è possibile effettuare il trattamento endoscopico, bensì la chirurgia che valuta i linfonodi. Se i linfonodi sono negativi, non vi è necessità di fare chemioterapia. Nel caso vi sia un interessamento della sierosa o dei linfonodi, si procede con una chemioterapia adiuvante dopo l’intervento chirurgico per ridurre il rischio di recidiva. Quindi abbiamo: Stadio 1 neoplasia che interessa la sottomucosa Stadio 2° neoplasia che si estende fino alla muscularis propriae Stadio 3 neoplasia che si estende fino alla sierosa Stadio 4 neoplasia che invade gli organi vicini La prognosi è determinata principalmente dall’eventuale presenza di metastasi linfonodali o a distanza. DOMANDA: È possibile che un paziente con esofagite da caustici viva normalmente per un anno? RISPOSTA: Dipende da quale caustico. Se si tratta di uno blando (candeggina), il paziente torna alla vita normale fin da subito; mentre se si tratta di acido muriatico è difficile che sopravviva. 11 novembre 2022 STOMACO FISIOPATOLOGIA GASTRICA Lo stomaco non è solo un reservoir che permette di immagazzinare il materiale alimentare. L’epitelio gastrico è un epitelio monostratificato ghiandolare con cellule di vario tipo: Cellule caliciformi mucipare che producono il film di muco che serve a proteggere la mucosa gastrica dall’autodigestione. Il pH è estremamente acido, pari a 1. Una situazione di nicchia che serve a favorire i processi digestivi e a proteggere il nostro organismo, soprattutto le vie digestive, dalle infezioni, perché oltre ai cibi ingeriamo di tutto, aria, sostanze tossiche e microrganismi; quindi, l’acidità li uccide quasi tutti (eccezione Helicobacter Pylori). Il muco è costituito per il 95% da acqua e per il 5% da glicoproteine. Inoltre, contiene bicarbonati, buffer protonici nei confronti dell’acidità gastrica che vanno a tamponare l’H+ con il bicarbonato che viene scisso in CO2 e H2O. Il muco viene secreto sotto vari stimoli, soprattutto dalle Prostaglandine, infatti i FANS (farmaci antinfiammatori non steroidei, comunemente usati come analgesici) sono gastrolesivi, perché bloccano la cascata delle prostaglandine, per questo motivo vanno assunti con una copertura gastrica per ridurre l’acidità. I farmaci steroidei da soli non hanno azione gastrolesiva, ma potenziano l’azione gastrolesiva di altri farmaci. Altri stimoli per la secrezione mucosa sono: il sistema istaminico, il sistema vagale, il sistema muscarinico, ma sono meno importanti. Inoltre, il flusso ematico intramucoso, che oltre ad assicurare un elevato apporto di ossigeno, rimuove la piccola quantità di H+ che può sfuggire alle giunzioni strette e retro-diffondere nella mucosa. Cellule parietali (ossintiche) che rilasciano l’acido cloridrico (HCl). È in queste cellule che si trovano le pompe protoniche, che rilasciano ioni H+ nel cavo gastrico, responsabili dell’acidità. I farmaci che usiamo come gastroprotettori (pantoprazolo, esoprazolo, omeprazolo) bloccano proprio la pompa protonica di queste cellule. La produzione di HCl è regolata dalla gastrina, acetilcolina (Nervo vago) e dall’istamina; infatti, i farmaci anti-secretori gastrici di prima generazione erano antistaminici. Tutti i soggetti con ulcera gastrica andavano incontro a gastroresezione. Negli anni 70 i pazienti dovevano fare trasfusioni, le sacche non erano controllate e quindi contraevano l’epatite C. Negli anni 80 è stato scoperto l’Helicobacter pylori (i loro scopritori hanno vinto il Nobel nel 2005) e sono introdotti gli antistaminici e poi gli inibitori di pompa protonica. L’altra funzione delle cellule parietali è la produzione del fattore intrinseco. Il Fattore intrinseco serve all’assorbimento della Cianocobalamina (Vit. B12). La Vitamina B12 è assorbita dell’ileo terminale però per l’assorbimento è fondamentale il fattore intrinseco. Infatti, in condizioni di atrofia gastrica, come ad esempio nella gastrite autoimmune, non c’è più fattore intrinseco e la Vitamina B12 non viene più assorbita e quindi bisogna somministrarla per via intramuscolo (non per via orale perché ovviamente non viene assorbita). L’acidità gastrica ha anche un’altra importante funzione: l’assorbimento del ferro. Il ferro viene assorbito a livello duodenale e deve necessariamente essere ridotto. Affinché questo avvenga c’è bisogno dell’acidità gastrica, utilizzando come coenzima della riduzione la vitamina C. Quindi nell’atrofia gastrica abbiamo 2 cause di anemia: L’anemia megaloblastica da deficit di vitamina B12, per la carenza del fattore intrinseco e anche un’anemia sideropenica, in cui si ha un ridotto assorbimento del ferro per via della perdita dell’acidità. Le cellule enterocromaffini sono presenti per tutto il tratto gastroenterico, rilasciano ormoni che agiscono ad azione paracrina, quindi locale, di regolazione delle funzioni digestive: − il rilascio di gastrina a livello pilorico, che stimola l’acidità gastrica. Quindi quando arriva il bolo nello stomaco vengono stimolate le cellule enterocromaffini. Ed è per questo che gli inibitori della pompa protonica vanno utilizzati un quarto d’ora prima del pasto così che al momento della massima acidità gastrica, quindi quando arriva il bolo, loro sono già pronti ad agire. − Rilascio di serotonina, non molto importante nello stomaco ma nel piccolo intestino perché ha una funzione di regolazione della motilità intestinale. La somatostatina inibisce l’acido cloridrico. NOTA: La somatostatina ha in genere funzioni inibitorie nel nostro organismo. Nel 1997 ci fu grande boom della cura Di Bella che si basava sulla funzione della somatostatina per inibire la crescita tumorale, poi ovviamente fu tutto un bluff. AZIONE MOTORIA Lo stomaco ha un importante azione motoria che aumenta molto quando arriva il bolo. Senza rimescolamento il bolo non potrebbe passare attraverso il piloro. Quindi quello che succede è una frammentazione del bolo ad opera della motilità gastrica facendolo “sbattere” sulle pareti dell’antro gastrico. Capita di fare endoscopie d’urgenza perché il bolo resta bloccato nell’esofago, se si interviene rapidamente la procedura è molto semplice perché basta frantumare con la pinza il bolo e subito va giù grazie alla peristalsi. Nello stomaco è presente l’area pacemaker a livello della lunga curvatura fra corpo e fondo gastrico, detta i tempi del complesso mienterico migrante, l’azione motoria che si ha nel tubo gastroenterico. Lo stomaco infatti non è mai fermo, c’è sempre una motilità, anche a digiuno. Il segna passi che detta il tempo della motilità si trova a livello gastrico; quindi, a questo livello si ha una regolazione della motilità di tutto il tubo gastroenterico. Inoltre, vi è uno stretto network neurologico tra lo stomaco e tronco encefalo, in particolar modo il centro della sazietà, che segnala al nostro organismo che siamo sazi. Questo segnale è dato dalla distensione delle pareti gastriche. Su questo si basano gli interventi di chirurgia bariatrica (per intenderci quelli per dimagrire). Un intervento è la sleeve gastrectomy, che consiste nella riduzione dello stomaco; quindi, uno stomaco più piccolo si distende prima (con meno cibo) e la persona ha subito un senso di sazietà. A livello endoscopico la procedura più utilizzata è il palloncino, si va ad inserire nello stomaco un palloncino che viene gonfiato e resta in sede per 6 mesi. Quindi si ha la sensazione di avere lo stomaco sempre pieno. Su questa azione fisiologica si basano i vari interventi di chirurgia ed endoscopia bariatrica. Quindi le funzioni dello stomaco sono: serbatoio; demolizione; inizio della digestione; difesa contro i microrganismi, favorire assorbimento di diverse sostanze (ferro e vitamina B12). La digestione inizia in bocca grazie all’amilasi salivare che scinde le lunghe catene glicidiche, nello stomaco avviene una importante parte della digestione grazie alla pepsina Le cellule principali rilasciano il pepsinogeno che grazie all’acidità viene attivato a pepsina che scinde le catene peptidiche. Successivamente il grosso ella digestione avviene al livello intestinale. PATOLOGIE DISPEPSIA Dispepsia deriva dal greco e vuol dire “cattiva digestione”. È un termine vago che descrive una sintomatologia molto comune nella popolazione generale. I criteri di Roma (dove si riunisce periodicamente una conferenza internazionale che studia le tematiche del tratto gastroenterico) stabiliscono i criteri diagnostici per le dispepsie. I criteri sono 4, possono essere combinati o presentarsi singolarmente: Postprandial fullness: dopo aver mangiato il paziente si sente pesante Sazietà precoce Dolore gastrico Pirosi Nello spettro patologico della dispepsia abbiamo 2 condizioni: Postprandial distress syndrome, i primi due sintomi, e l’Epigastrial pain syndrome. La dispepsia, a seconda delle cause che la inducono, può essere classificata in: ▪ ORGANICA o secondaria: dovuta a qualunque patologia organica delle alte vie digestive: un tumore, un’ulcera, esofagiti. ▪ DISPEPSIA FUNZIONALE o primitiva: più frequente, dove non si ha una causa organica alla base. Funzionale non vuol dire che la persona ha problemi mentali. Si sta studiando che alla base c’è un problema di tipo organico, probabilmente problemi di connessioni sinaptiche tra SNC e SNP, ma non si tratta di qualcosa di macroscopico; quindi, non si vede nulla a livello endoscopico. Importante: non bisogna mai sminuire il problema davanti al paziente. Quindi la stragrande maggioranza dei casi di dispepsia è Dispepsia funzionale. Cosa fare? Bisogna selezionare in base ai segni e sintomi Paziente > di 50 anni, che ha patologie in famiglia a carico del tratto digestivo, anemia, sanguinamenti, disfagia: in questo caso si fa l’endoscopia. Di solito nei casi che non presentano questa caratteristica non si fa l’endoscopia. In genere si tenta un approccio empirico dando inibitori di pompa protonica (anche come placebo) oppure si ricerca la presenza di Helicobacter pylori con metodiche non invasive (breath test). Se c’è il batterio si passa all’eradicazione, avvisando il soggetto che solo il 45% dei pazienti con dispepsia funzionale dopo l’eradicazione hanno riduzione della sintomatologia. Quindi per una buona percentuale di soggetti i sintomi possono rimanere. TERAPIA Procinetici (metoclopramide, levosulpiride, domperidone): stimolano la motilità gastrica. Domperidone agisce a livello dopaminergico, è efficace però va usato per non più di 10 giorni consecutivi perché può dare iperprolattinemia e parkinsonismo. Anche se sono farmaci da banco bisogna stare attenti. (20 anni fa era stato introdotto un farmaco, la Cizapride, che era molto efficace su questi disturbi, ma è stato ritirato dal mercato a causa di decessi per torsioni di punta all’ECG, un’aritmia molto grave). Integratori a base di zenzero: azione più blanda, ma essendo naturali possono essere utilizzati per terapie prolungate, devono essere assunti subito dopo i pasti. Quindi al paziente di solito si somministra Domperidone per 10 giorni e poi gli integratori come mantenimento. Questi sono pazienti che rispondono molto all’azione placebo. {Domanda studente: Se con l’eradicazione dell’Helicobacter pylori rimane la sintomatologia, come bisogna procedere? Risposta: Si utilizzano i procinetici.} Nei casi disperati si utilizza la terapia antidepressiva, che ha azione non solo a livello corticale, ma anche sulla motilità, sulla serotonina, perché inibiscono il reuptake della serotonina, che ha un’azione stimolante sulla motilità gastrointestinale. {Domanda: Empiricamente si può fare diagnosi differenziale tra reflusso gastroesofageo e dispepsia? Risposta: Nel reflusso esofageo solitamente si ha pirosi che “risale”, nella dispepsia si ha una pirosi che resta a livello gastrico. In un caso e nell’altro si da sempre l’inibitore di pompa protonica. Il problema è quando si ha il postprandial distress syndrome perché in questo caso bisogna dare il procinetico}. GASTRITI GASTRITE: concetto istologico, si fa biopsia e si vede l’infiammazione. GASTROPATIA: concetto macroscopico, si nota dall’endoscopia. CAUSE Le cause principali sono l’infezione da Helicobacter pylori e l’utilizzo di FANS, ma esistono anche altre forme, come la gastrite autoimmune, che verranno trattate successivamente. o Gastrite eosinofila: bisogna fare biopsia e trovare più di 15 eosinofili per campo d’ingrandimento (stesso discorso dell’esofagite). Cause: Allergia, parassiti, idiopatica. o Gastrite granulomatosa: Morbo di Crohn, sarcoidosi, farmaci, vasculiti. o Gastrite linfocitaria: celiachia, autoimmune, ipersensibilità. SEGNI CLINICI Spesso è silente, spesso il paziente non si accorge di averla, fa una gastroscopia per altri motivi e si riscontra una gastropatia. I sintomi sono: dolore pirosi sintomi di natura dispeptica: postprandial distress syndrome ed epigastrian pain syndrome anemia macrocitica (carenza di Vit. B12) o microcitica (carenza di Ferro) associazione con reflusso gastro-esofageo, cardite, ulcera gastrica/duodenale Endoscopicamente si osserva iperemia della mucosa, marezzatura, edema, rilievi pomfoidi, ipotrofia della mucosa, erosioni e nei casi più gravi ulcere. Per fare diagnosi di gastrite devo fare la biopsia. Si devono fare più prelievi bioptici (si diceva almeno 5, ma questo protocollo è stato rivisto), perché può essere multifocale. Secondo il Sydney System bisogna fare almeno 2 prelievi in antro, parete anteriore e posteriore, una in angulus e 2 nel fondo. Immagini: o Si osservano delle erosioni, la mucosa è un po’ arrossata. Questa è una gastropatia erosiva, spesso è nell’antro dello stomaco, a volte è diffusa. o Questo è un quadro di lunga data. È un’atrofia evidenziabile da queste strie biancastre. o Erosioni vicino al piloro o Questa è una vecchia ulcera che ha lasciato una cicatrice RICORDA: L’ulcera lascia una cicatrice, l’erosione no PATOGENESI DI GASTRITE DOVUTA AD HELICOBACTER PYLORI L’Helicobacter pilori, bacillo Gram -, è stato classificato come agente carcinogeno. È l’unico batterio in grado di colonizzare lo stomaco perché riesce ad incunearsi nel film glicolipidico mucoso e inoltre presenta l’ureasi. L’ureasi produce, a partire dal H2CO3, urea che fa da tampone per gli ioni H+ e protegge il bacillo dall’acidità dello stomaco. L’Helicobacter danneggia la mucosa gastrica nel tempo, anche se c’è una quota di individui che è asintomatica e non hanno gastropatia. Causando un’infiammazione cronica può portare con il tempo alla formazione di ulcere gastrico-duodenali, l’atrofia che può sfociare in metaplasia completa e incompleta. Metaplasia significa trasformazione da epitelio gastrico ad epitelio intestinale. ▪ La metaplasia incompleta simula parzialmente la mucosa intestinale, si hanno solo cellule secernenti mucina; è la più importante perché aumenta il rischio di carcinoma. ▪ Nella metaplasia completa c’è una completa sostituzione di mucosa gastrica in mucosa intestinale. Dalla metaplasia si passa alla distrofia e così si può instaurare il carcinoma gastrico. Ovviamente non tutti i soggetti che hanno o hanno avuto un’infezione da Helicobacter pylori presenteranno un carcinoma gastrico, ma la probabilità c’è. Quindi si passa da una gastropatia più superficiale ad una gastrite più estesa, ad atrofia, metaplasia, distrofia e infine carcinoma. GASTRITE CRONICA ATROFICA AUTOIMMUNE Nella gastrite autoimmune vi è un attacco autoimmune, ad eziologia sconosciuta, contro le cellule parietali (ci sono gli anticorpi contro le cellule parietali, noti come APCA). Come tutte le malattie autoimmuni sono più frequenti nelle giovani donne, il danno è osservabile soprattutto nella regione del corpo e del fondo dello stomaco dove si instaura questa atrofia che poi determina un quadro di anemia perniciosa, cioè da carenza di fattore intrinseco e quindi vit. B12. Le altre gastriti sono soprattutto da FANS. È difficile che una gastrite possa dare un sanguinamento importante, può dare alla lunga una anemizzazione, ma non si osserverà un sanguinamento macroscopico con melena ed ematemesi (a differenza dell’ulcera). Per quanto riguarda la differenza tra erosione ed ulcera, l’erosione è una soluzione di continuo che riguarda solo la mucosa, tende a rimarginarsi senza poi lasciare esiti, l’ulcera è più profonda e può arrivare allo strato muscolare, a volte può determinare una perforazione, anche se raro, si guarisce, ma tende a recidivare senza dare mai una restitutio ad integrum. MALATTIA DI MENETRIER La malattia di Menetrier è una situazione rara dovuta alla presenza di pliche giganti nello stomaco, con una lassità delle tight junctions, che determina soprattutto una protido dispersione, è una condizione molto rara. Situazione particolare, macroscopica, è la Sindrome di Zollinger-Ellison, è un gastrinoma, tumore delle cellule enterocromaffini, in cui si assiste ad un rilascio enorme di gastrina, non tanto a livello gastrico, ma soprattutto a livello duodenale. Il rilascio enorme di gastrina determina un’eccessiva acidità, responsabile della formazione di ulcere multiple a livello gastrico e duodenale. PATOLOGIA PEPTICA La malattia ulcerosa ha una tendenza alla riacutizzazione durante il cambio di stagione. L’incidenza è in diminuzione, ciò è dovuto ad un migliore utilizzo dei farmaci, per esempio vi è una maggiore attenzione nell’utilizzo di FANS con copertura gastrica, oppure una maggiore attenzione nei confronti di Helicobacter pylori. L’ulcera può localizzarsi o a livello gastrico o a livello duodenale, l’ulcera duodenale è sempre benigna e quasi sempre dovuta ad Helicobacter pylori o all’utilizzo di FANS, quando la riscontriamo, pertanto, non vi è bisogno di eseguire una biopsia essendo una condizione benigna. L’ulcera gastrica spesso è benigna, ma può essere anche la manifestazione di un tumore, necessita di biopsie multiple ai margini dell’ulcera. COMPLICANZE DELL’ULCERA La perforazione è rarissima, in questo caso ciò che si fa è andare a ricucire l’ulcera chirurgicamente. Non si osserva quasi mai la penetrazione in corrispondenza di organi adiacenti. Altra complicanza è la stenosi, a livello gastrico deve essere un’ulcera di enormi dimensioni per determinare una stenosi importante (essendo la cavità gastrica di dimensioni maggiori rispetto alla cavità duodenale, dove è più semplice avere una stenosi), anche se raramente si ha una stenosi così serrata che impedisce al paziente di alimentarsi. Il carcinoma non è una complicanza dell’ulcera, quest’ultima o è un carcinoma o non lo è, ma non può evolvere a carcinoma. L’emorragia invece è una complicanza molto comune. Le ulcere, endoscopicamente, vengono classificate secondo la Classificazione di Forrest: Forrest 1: indica un’ulcera che sta sanguinando, si suddivide in 1A e in 1B. Forrest 1A: indica un’ulcera che sta sanguinando in maniera importante, è il caso più grave, va trattata subito, viene posizionata una clip per via endoscopica. Forrest 1B: emorragia “a nappo”, richiede trattamento endoscopico, ma è una situazione più tranquilla rispetto alla precedente. Forrest 2: indica un sanguinamento non in atto, ma molto recente. Forrest 2A: indica un’ulcera che non sta sanguinando, ma si osserva il vaso esposto, questa situazione può determinare un sanguinamento e pertanto va trattata endoscopicamente. Forrest 2B: indica un’ulcera con un coagulo esteso (nella comunità scientifica vi sono pareri diversi sul trattare o meno quest’ulcera, ci sono dei dati che indicano la rimozione del coagulo e il successivo trattamento dell’ulcera sottostante, questo processo può essere difficile o pericoloso, quindi in alcuni casi si preferisce non rimuovere il coagulo, soprattutto se si sta andando incontro ad un processo di guarigione). Forrest 2C: indica una chiazza di ematina, l’ulcera si sta rimarginando e non necessita trattamento. Forrest 3: ulcera ricoperta da fibrina, non si fa niente, il paziente riprende l’alimentazione. TRATTAMENTO Viene effettuata una gastroscopia d’urgenza, se si osserva un’ulcera sanguinante (dunque Forrest 1A o 1B o in altri casi 2A oppure 2B), il trattamento ideale prevede una visione ideale del sanguinamento e il posizionamento di una clip. Se non si riesce ad osservare la fonte del sanguinamento, viene effettuata una iniezione in corrispondenza della sottomucosa con soluzione fisiologica e adrenalina (azione vasocostrittrice), questo è un trattamento blando e transitorio, se il pomfo riesce a bloccare il sanguinamento, successivamente si cerca di osservare la fonte e si posiziona una clip. Contestualmente, il paziente, oltre a stare a digiuno, viene trattato con inibitori di pompa ad alte dosi (soluzione fisiologica 500 ml con 5 fl di lucen in 24h). Eventualmente, in elezione, si esegue di nuovo la gastroscopia con eventuali biopsie. PATOGENESI Tra le diverse causa si osserva la gastrite cronica da Helicobacter pylori. In tutti i pazienti con ulcera è importante anche la ricerca di questo agente patogeno, se presente deve essere eradicato in modo da abbattere le recidive. L’infezione da Helicobacter pylori è estremamente frequente, non abbiamo a disposizione dati epidemiologici ben precisi, la trasmissione è per via oro-fecale. Esistono diversi ceppi, alcuni poco patogeni, altri possono determinare diverse problematiche. Tra le patologie correlate a questa infezione vi sono l’ulcera, il carcinoma, la dispepsia funzionale e il linfoma, quest’ultimo a livello gastrico non è comune, ma è la seconda localizzazione più importante dopo il sistema linfatico. Quest’infezione cronica stimola l’attivazione dei linfociti, da qui un aumento del rischio di neoplasia (vale sempre in oncologia), una continua stimolazione della replicazione cellulare favorisce la comparsa di mutazioni, importanti nel processo di oncogenesi. In alcuni linfomi a basso grado come il Maltoma, basta l’eradicazione dell’Helicobacter per avere una risoluzione della problematica oncologica, nelle forme ad alto grado invece ciò non basta. Oltre a queste condizioni vi sono delle situazioni asintomatiche. L’Helicobacter è correlato anche ad altre situazioni poco note, per esempio delle forme di piastrinopenie idiopatiche migliorano con l’eradicazione. L’Helicobacter causa il 90-95% delle ulcere duodenali e circa il 70% delle ulcere gastriche. DIAGNOSI DI H. PYLORI Esistono delle metodiche non invasive, non richiedono gastroscopia, l’urea breath test (il più importante), la sierologia e l’antigene presente nelle feci. I test invasivi si basano sull’esame endoscopico che permette di fare delle biopsie. L’Urea breath test viene effettuato quando non ci sono dei segni e sintomi di allarme e che necessitano di una biopsia, pertanto la ricerca di Helicobacter pylori in un paziente con dispepsia, mal di pancia, non va effettuata con una gastroscopia. Oppure è indicato nel controllo post eradicazione. Il test si basa sulla somministrazione di una soluzione di carbonio marcato che viene ingerita dal paziente, se è presente l’agente patogeno, ci sarà l’ureasi che scinde i diversi composti, producendo urea e CO2, quest’ultima viene eliminata. Facendo soffiare il paziente viene evidenziata la presenza di carbonio marcato, se superiore ad una certa soglia indica la presenza di Helicobacter pylori con la sua ureasi in azione. Per non avere dei falsi negativi sia gli esami invasivi sia gli esami non invasivi vanno fatti a distanza di almeno due settimane dall’ultima assunzione di inibitori di pompa e almeno quattro settimane dall’ultima assunzione della terapia antibiotica. Nel post eradicazione si aspetta un mese per effettuare dei controlli. La sierologia è meno accurata come test, si fa nelle campagne di screening, in passato veniva effettuato nelle aree in cui è maggiore l’incidenza del cancro gastrico, nelle nostre zone è raro, nel nord-est dell’Italia è molto più diffuso. L’antigene fecale è un test accurato, ma viene effettuato poco a livello ambulatoriale, di solito è effettuato nei pazienti in regime di ricovero. La metodica ambulatoriale, non invasiva, più utilizzata, è soprattutto il Breath test. I test invasivi invece vengono effettuati in endoscopia. Un test rapido molto comune è il test rapido all’ureasi, si fa la biopsia, ma non si manda all’esame istologico (per una questione tempistica). Il campione viene posto in una provetta particolare contenente un liquido giallo paglierino, se nel frustolo bioptico è presente l’Helicobacter e quindi l’ureasi, si osserverà la presenza di una soluzione basica, responsabile del cambio di colore, la soluzione diventa fucsia nel giro di un quarto d’ora, quindi si ha una positività immediata e si dà una risposta al paziente in poco tempo. L’istologia si fa in caso di ulcera gastrica, viene effettuata per escludere un tumore oppure in caso di gastrite importante, nella maggior parte dei casi basta il Breath test. L’Esame colturale è molto complesso, lungo e costoso e si fa in casi selezionati, se non si riesce ad eradicare l’agente patogeno si fa l’antibiogramma, anche se è una situazione abbastanza rara. TERAPIA La terapia si basa sulla somministrazione di più antibiotici e sulla somministrazione di inibitori della pompa protonica, questo perché l’antibiotico per poter agire a livello gastrico deve agire in una situazione di acidità ridotta e ciò è facilitato dall’inibitore di pompa. Uno dei problemi dell’Helicobacter è la resistenza ad alcuni antibiotici come la Claritromicina, la terapia con questo antibiotico va limitata. Nella pratica ciò che si fa è una terapia sequenziale, per cinque giorni si da l’Amoxicillina con l’inibitore di pompa (si riduce la carica batterica), successivamente la Claritromicina e il Tinidazolo associati sempre ad inibitori di pompa, sono farmaci più efficaci, ma a maggior rischio di resistenza, la terapia dura dieci giorni. Questa terapia è usata in Italia, un po' meno all’estero, ma è molto efficace. L’alternativa è una terapia che è detta quadruplice, vengono utilizzate delle Tetracicline (Doxicicline per esempio) associate a inibitori di pompa, Metronidazolo ed eventualmente si associa la Claritromicina. La terapia deve essere effettuata per almeno dieci giorni, il problema è il numero di compresse da assumere al giorno e dunque non è molto tollerata. Qualche anno fa fu introdotto un farmaco, si chiama Plera, oggi poco utilizzato, che includeva tutti i farmaci inclusi nella quadruplice. In caso di mancata eradicazione, dopo la terapia di prima linea, si passa alla seconda linea che si prolunga a 14-15 giorni con Levofloxacina associata ad inibitori di pompa e Amoxicillina. Quando va fatta la terapia? In caso di ulcera indubbiamente, in caso di gastrite atrofica, soprattutto se con metaplasia incompleta, se in presenza di un linfoma gastrico, nella gastropatia erosiva. Il problema si pone o in caso di dispepsia funzionale o in caso di riscontro accidentale, in questi casi è utile un’accurata valutazione in quanto è una terapia abbastanza pesante e c’è un elevato rischio di resistenze. ADENOCARCINOMA GASTRICO: Neoplasia con prognosi sfavorevole, nella maggior parte dei casi la diagnosi è tardiva e di conseguenza anche il trattamento, esistono anche delle forme con prognosi più favorevole. I sintomi spesso sono tardivi, la dispepsia è un sintomo aspecifico, si identifica grazie al sanguinamento, il paziente presenta melena e una importante anemizzazione. La TC viene effettuata per la stadiazione, vengono effettuate delle biopsie e l’intervento chirurgico, successivamente si segue un iter terapeutico particolare, sono dei tumori chemio e radioresistenti. Da un punto di vista istologico, la forma intestinale è la più importante, la forma diffusa è infiltrante e si ha nei giovani, la forma con cellule ad anello con castone è una situazione rara e aggressiva, si ha nei pazienti giovani, possono dare ascite per la carcinosi peritoneale. Per quanto riguarda la stadiazione TNM, se il tumore è limitato alla mucosa, basta l’intervento endoscopico e il rischio di metastasi è nullo, se il tumore interessa la sottomucosa vi è la necessità di un intervento chirurgico. Possiamo trovarci dinanzi alla possibilità di trattamenti palliativi per alimentare il soggetto, non è possibile posizionare una PEG in pazienti con questi tumori gastrici, esistono trattamenti o protesi, nell’ultimo periodo è stato messo a punto un trattamento chiamato gastro-entero-anastomosi, oggi è possibile farlo per via eco- endoscopica, posizionando una protesi che mette in comunicazione lo stomaco, a monte della neoplasia, con un’ansa digiunale. DIAGNOSI Viene effettuata per via endoscopica e bioptica, il marcatore più importante per questi tumori è CEA. SCELTA DELL’INTERVENTO Nei pazienti che hanno una neoplasia a livello dell’antro, non si fa una gastrectomia totale, ma una gastro- resezione, si va ad abboccare lo stomaco in vari modi al piccolo intestino, risparmiando una parte della funziona gastrica. Nel paziente gastro-resecato una complicanza è la dumping syndrome, cioè una alterazione metabolica. Tra le tante funzioni dello stomaco vi è quella di reservoir, il cibo resta all’interno dello stomaco e man mano viene frantumato e rilasciato pian piano all’interno dell’intestino, se questa funzione di reservoir viene persa come nella gastrectomia o nella resezione gastrica, tutto il bolo raggiunge il duodeno, determinando una importante distensione delle anse, quindi si ha dolore. Si attiva anche un riflesso vagale e serotoninergico con rossore cutaneo. Ci sono anche alterazioni glucidiche, l’insulina è rilasciata dal pancreas anche in sincronismo con il passaggio del chimo, se questo passaggio graduale viene perso, l’insulina viene rilasciata in ritardo, determinando prima iperglicemia dovuta all’insulina che non riesce a tamponare tutto l’assorbimento e successivamente ipoglicemia dovuta alla presenza di insulina libera in circolo. Viene consigliato al paziente di mangiare poco e spesso. Nel paziente con gastro-resezione è importante controllare il moncone nel tempo, anche a distanza di 15-20 anni, poiché i reflussi biliari che risalgono nel moncone possono causare una irritazione e dunque determinare una neoplasia, i chirurghi mettono in atto delle metodiche che tendono ad abboccare il moncone molto a valle in maniera da ridurre il reflusso biliare. L’intervento classico è chiamato Billroth II, (ansa afferente e ansa efferente abboccati direttamente sul moncone gastrico), sono soprattutto pazienti anziani che l’hanno fatto per l’ulcera o pazienti con neoplasia, che presenteranno questa anatomia. PANCREAS Il pancreas presenta una componente ghiandolare endocrina ed una esocrina: - La componente endocrina (isole di Langerhans) non è competenza della gastroenterologia, ma dell’endocrinologia. - La componente esocrina, di interesse gastrenterologico, è responsabile della produzione del succo pancreatico, che contiene amilasi, lipasi, elastasi e altri enzimi preposti alla digestione (scomponimento delle sostanze nutritizie, che assumiamo con la dieta, in elementi più semplici che poi possono essere assorbiti). Dal punto di vista gastroenterologico è importante soffermarsi sulla componente esocrina che rilascia il succo pancreatico. SUCCO PANCREATICO Il bolo, dopo la deglutizione, transita nell’esofago e arriva nello stomaco: qui avvengono importanti processi digestivi delle componenti peptidiche grazie al pepsinogeno e all’attività dell’acidità gastrica. Il bolo, che a questo punto prende il nome di chino, giunge poi nel duodeno. Arrivato in questo punto, avvengono i principali processi digestivi e di assorbimento. I processi digestivi sono la scomposizione delle componenti nutrienti in componenti più semplici che possono essere assorbite dall’organismo. Ruolo chiave in questa scomposizione ce l’ha il succo pancreatico1. COMPOSIZIONE Cellule duttali (solvente): - Liquidi (1 – 1,5 lt/die); - elettroliti (Na, Ca, K, Mg, Cl); - bicarbonati (pH 8 – 8,5). Cellule acinari (soluto): Enzimi lipolitici – proteasici. FUNZIONE Portare l’ambiente duodenale ad un pH ottimale (6.8) per l’attivazione degli enzimi prodotti dal pancreas stesso. 1 La digestione dei lipidi avviene interamente nel duodeno grazie agli enzimi lipolitici del succo pancreatico. La digestione delle proteine inizia già nello stomaco grazie al pepsinogeno. Per gli zuccheri la digestione inizia nel cavo orale. All'estremità dei microvilli del piccolo intestino ci sono delle componenti lipasiche e pentidasiche che concorrono alla digestione. ENZIMI Attivi: Amilasi; lipasi; esterasi. Inattivi: a. Con attivatore l’enterochinasi intestinale: tripsinogeno à tripsina; chimotripsinogeno à chimotripsina; procarbossipeptidasi à carbossipeptidasi. b. Con attivatore la tripsina: Fosfolipasi A-B inattive à fosfolipasi A-B attive Il principio di attivazione degli enzimi è lo stesso della cascata coagulativa: si attiva prima una componente (nel duodeno) e poi, a cascata, le altre, amplificandosi e autolimitandosi. La maggior parte sono inattivi quando vengono prodotti proprio per evitare che svolgano la loro funzione nel pancreas e, quindi, causino un'autodigestione portando a pancreatite. MECCANISMI DI PROTEZIONE CONTRO L’AUTODIGESTIONE L’attivazione degli enzimi è impedita da: - coesione dell’epitelio duttale (impedisce la retrodiffusione); - pressione sfintere Oddi (barriera al reflusso duodenale); - flusso continuo del succo pancreatico (lavaggio); - inibitori della tripsina (Alfa1 anti-tripsina, Alfa2 macroglobulina, inibitore secretorio del tripsinogeno pancreatico PSTI); - pH intracellulare acido. REGOLAZIONE DELLA SECREZIONE PANCREATICA ESOCRINA Sistema nervoso: simpatico: tramite il nervo splancnico, inibisce la secrezione; parasimpatico: tramite il nervo vago, stimola la secrezione. Una prima secrezione pancreatica avviene su stimolo encefalico: Riflesso di Pavlov2. 2 Fisiologia 2: esperimento cane à campanella à salivazione e iniziale secrezione pancratica. Ormonale (maggior regolatore): enterormoni prodotti dalle cellule neuroendocrine (enterocromaffini) della mucosa del tratto gastroenterico: gastrina secretina: per la secrezione del solvente colecistochinia – pancreozimina: serve per la contrazione della colecisti e per la secrezione zimogenica pancreatica. Quando il chimo giunge al duodeno si ha un importante secrezione pancreatica. La secretina viene utilizzata anche a scopo diagnostico (esiste la colangio-risonanza o la ERCP3 con secretina, perché, facendo aumentare la secrezione della componente liquida del succo pancreatico, i dotti si dilatano e si possono osservare meglio). Umorale (meno importante) à Sali biliari – HCL La regolazione della secrezione endocrina da parte del pancreas non la affronta, perché la faremo ad endocrinologia però nel caso di pancreatite cronica anche la componente endocrina è intaccata e avremo un diabete molto pericoloso perché si oscilla tra iperglicemia e ipoglicemia: questo perché mancano sia l’insulina che il glucagone, al contrario del classico diabete dove manca solo l’insulina. FISIOPATOLOGIA PANCREATICA Le malattie pancreatiche sono caratterizzate dalle seguenti alterazioni: 1- Attivazione enzimatica intrapancreatica 2- Ridotta produzione di succo pancreatico 3- Alterato o ridotto trasporto del succo pancreatico in duodeno 1- Attivazione enzimatica intrapancreatica: autodigestione - Calcolo biliare: dalla colecisti si sposta nello sfintere di Oddi e determina un mancato deflusso del secreto pancreatico e quindi autodigestione. In genere, salvo situazioni particolare, si tratta di pancreatiti lievi e autolimitanti, perché il calcolo viene espulso. Caso classico: pz ha dolore, giunge in ps, ha enzimi sballati, si fa diagnosi di pancreatite, intanto che si porta il pz in gastroenterologia il calcolo viene espulso e il pz già sta bene. Quindi il ricovero in genere dura 2-3 giorni. Importante è però capire la causa della pancreatite perché se si individuano i calcoli della colecisti c’è indicazione, in elezione, per evitare recidive, alla colecistectomia. - Alcol: per via di vari meccanismi, in primis la perossidazione lipidica, quindi la distruzione delle membrane cellulari, fra i tanti problemi determina pancreatite. In genere le pancreatiti croniche, nel 95%, sono dovute all’alcol. - Alcol e calcoli causano >70% dei casi di pancreatite acuta. 3 ERCP: Colangio–Pancreatografia endoscopica retrograda. - Cause meno comuni: fibrosi cistica, infezioni (EBV, Citomegalo); traumi; ischemia; ipertrigliceridemia (oltre 1000); ipercalcemia perché si formano delle concrezioni calcifiche nel parenchima e soprattutto all’interno del dotto di Wirsung, che ostacolano il deflusso del succo pancreatico (per esempio nell’ipertiroidismo); alterazione motoria dell’Oddi; farmaci (azatioprina), pancreatite autoimmune (come altre malattie autoimmuni, colpisce soprattutto le donne, molto utili per la diagnosi sono le IgG4). - Farmaci. - Infezioni. - Traumi. - Ischemia. - Ipertrigliceridemia. 2- Ridotta produzione di succo pancreatico: mal digestione lipidico-proteica - Distruzione parenchima ghiandolare per necrosi/fenomeni sclero – atrofici/ masse occupanti spazio. - Alterazioni morfologiche delle cellule pancreatiche indotte da tossici (etanolo). - Ridotto stimolo ormonale per patologia duodenale (celiachia – resezione). - Malnutrizione calorico-proteica. 3- Alterato o ridotto trasporto del succo pancreatico in duodeno: mal digestione lipidico-proteica Ostruzione dotti pancreatici: - calcificazioni intraduttali (pancreatite cronica); - stenosi intrinseche (vegetazioni benigne o maligne); - stenosi estrinseche (masse occupanti spazio). PANCREATITI Malattia infiammatoria del pancreas a decorso acuto o cronico. PANCREATITE ACUTA Flogosi acuta del pancreas e dei tessuti peripancreatici. Caratterizzata: - dal punto di vista morfologico da lesioni che vanno dal semplice edema interstiziale alla necrosi parenchimale. - da dolore tipicamente in epigastrio e periombelicale che si irradia a “sbarra” anteriormente nei quadranti superiori dell’addome (ipocondri), spesso anche posteriormente nella regione dorso-lombare. Il dolore ha un’insorgenza improvvisa (talora dopo un pasto copioso), è continuo e violento. È accentuato dal movimento della respirazione, è intenso in posizione supina e alleviato dalla posizione seduta con il tronco flesso e ginocchia sollevate. - da aumento di 2-3 volte di amilasi e lipasi nel sangue. La concomitanza delle ultime due caratteristiche (dolore caratteristico ed esami ematici alterati) permettono di fare diagnosi. Altri segni accessori che aiutano nel fare diagnosi sono: vomito, fenomeni vagali e, nella pancreatite biliare che è la più comune, sono alterati anche transaminasi e Gamma-gt. Per vedere se si tratta di una forma biliare si fa un’ecografia (per verificare la presenza di calcoli). Come già detto la pancreatite biliare è, nella maggior parte dei casi, lieve e autolimitante. Il pz, già con la somministrazione di antidolorifici sta meglio. È importante evitare come antidolorifici gli oppioidi perché causano la contrazione dello sfintere di Oddi. Dopo la diagnosi di pancreatite biliare e la somministrazione di antidolorifici si tiene il pz a digiuno e, quando il dolore passa e gli enzimi un po' si normalizzano, il pz può riprendere un’alimentazione inizialmente ipolipidica. Per la terapia è anche importante l’inibitore di pompa protonica, perché l’acidità gastrica è un potente stimolo per la secrezione pancreatica. Gli antibiotici devono essere utilizzati sicuramente nelle forme severe e un po' nelle forme biliari, ma non sono fondamentali. Altri farmaci utilizzati, ma solo nelle forme severe: analoghi della somatostatina (stilamin, areotide), Gabexato Mesilato (Foy) che sono tutti inibitori della secrezione enzimatica pancratica. EPIDEMIOLOGIA Età: 40-75 anni Rapporto maschi/femmine: 1/1,5 a 1 Incidenza (Italia): 5-35/100.000/aa FATTORI EZIOLOGICI - Malattie del tratto biliare (litiasi, infezioni, alterazioni congenite) - Alcolismo cronico - Interventi chirurgici (addominali in generale, biliare in particolare) e traumi addominali (danno diretto con rottura del Wirsung, o stenosi cicatriziali duttali) - Iperlipidemie - Fibrosi cistica - Farmaci - Tossici (pesticidi) - Iperparatiroidismo - Virus-batteri - Chetoacidosi diabetica - Vasculopatie - Malformazioni congenite (pancreas divisum4) 4 Durante lo sviluppo embrionale del pancreas si ha la fusione della gemma ventrale con quella dorsale per costituire l’intero pancreas. Ognuna di queste componenti ha un suo dotto (il principale, di Wirsung e il dotto secondario, del… - Malattie immunologiche (connettivopatie) ed allergiche - Dialisi PATOGENESI PANCREATITE ACUTA BILIARE La microlitiasi o calcolosi biliare si ha quando vi è una migrazione dei calcoli attraverso la papilla. Ciò avviene in maniera indiretta (edema, spasmo, fibrosi, incontinenza di ODDI) o tramite un’ostruzione diretta (calcolo incuneato). Il risultato è un’ostruzione al deflusso pancreatico con reflusso duodeno – pancreatico. PATOGENESI PANCREATITE ACUTA DA ALCOL Consiste in variazioni quantitative e qualitative del secreto pancreatico a causa dell’aumento della sensibiltà del pancreas alla CCK -P2 e secretina. Di conseguenza di rileva un’aumentata quantità del secreto pancreatico con aumento anche delle proteine. Il ristagno e la precipitazione del secreto nei dotti provocano un’ostruzione con conseguente distensione e rottura dei dotti con diffusione nel parenchima degli enzimi pancreatici. FORMA SEVERA DELLA PANCREATITE ACUTA La forma severa è tutt’altra cosa poiché il pz spesso va a finire in chirurgia o in TI. Il problema principale è che, a volte (in una minoranza di casi), una pancreatite lieve vira (in un paio di gg) in maniera insidiosa in pancreatite severa, e si ha anche una SIRS, che determina per esempio CID, ARDS, insufficienza renale ed altro e, in questo caso, il pz non è più di competenza del gastroenterologo. Se si hanno dei sospetti di pancreatite severa alla TAC si può osservare aree di necrosi e grosse raccolte flogistiche. Indici ematici alterati che possiamo riscontrare sono le proteine di fase acuta in particolar modo la PCR. Quindi se abbiamo una pancreatite con una PCR molto elevata, dobbiamo iniziare a preoccuparci e tenere sotto stretto controllo il pz. Nella pancreatite lieve acuta, l'infiammazione è limitata al pancreas e alle sue immediate vicinanze. I pazienti non hanno insufficienza d'organo o complicanze sistemiche o locali. Il tasso di mortalità è < 5%. Nella pancreatite acuta moderatamente grave, i pazienti hanno complicanze locali o sistemiche ma non insufficienza d'organo, o solo insufficienza d'organo transitoria (che si risolve entro 48 h). Nella pancreatite acuta severa, c'è un'insufficienza di un singolo organo o multiorgano persistente (> 48 h). La maggior parte dei pazienti ha una o più complicanze locali. Il tasso di mortalità è > 30%...Santorini) che quindi si fondono. Può capitare una non completa fusione dei due dotti. È una condizione abbastanza frequente ma silente e benigna. Talora però, soprattutto quando si ha il cosiddetto “Santorini dominante”, può essere causa di pancreatite, perché viene ad essere escluso totalmente o parzialmente il Wirsung e quindi tutta la secrezione è a carico del Santorini, che però è più piccolo e quindi non ce la fa. Diagnosi: tac o ecoendoscopia. Terapia: ERCP con sfinterotomia pancreatica a livello della papilla minor (non la papilla di Vater) per permettere il deflusso. TERAPIA EZIOLOGICA PER LA PANCREATITE ACUTA Con farmaci e dieta si risolve l’evento acuto ma si deve evitare recidive; quindi, si deve eliminare la causa di pancreatite. - Forma biliare: colecistectomia - Forma alcolica: interrompere l’abuso alcolico - Forme metaboliche: correggere la causa metabolica di base - Altre forme: dipende Quando non si sa cosa fare si può eseguire la ERCP, che è efficace anche in più della metà dei casi. Una procedura complessa che permette di lavorare sulla via biliare o pancreatica è la sfinterotomia pancreatica, un taglio allo sfintere di Oddi in modo da permettere al secreto di defluire senza ostacoli nel duodeno. Forme lievi - Digiuno (nutrizione Enterale /parenterale Totale) - Analgesici (evitare morfino-simili per effetto sull’ODDI) - Eventualmente antiproteasici (gabesato mesilato) Forme severe - Supporto intensivo (sostegno del circolo, NPT) - Copertura antibiotica - Antisecretori gastrici (anti-H2-omeprazolo) - Antisecretori pancreatici (somatostatina-octreotide) - Antiproteasici (gabesato mesilato) ESITI DELLA MALATTIA, COMPLICANZE TARDIVE - Nelle forme edematose (80%): restitutio ad integrum. - Pseudocisti: lesioni cistiche prive di parete originatesi dall’organizzazione delle lesioni necrotiche pancreatiche o delle raccolte fluide extrapancreatiche. Possono a loro volta provocare ostruzione duttale, fenomeni occlusivi intestinali, sanguinamento da erosione dei vasi. Condizione benigna che se non va incontro a risoluzione prevede un drenaggio. - Pancreatite cronica ostruttiva: per stenosi cicatriziale del dotto pancreatico. Raramente residua insufficienza funzionale esocrina ed endocrina per danno parenchimale. PANCREATITE CRONICA Processo infiammatorio cronico del pancreas che coinvolge inizialmente il sistema duttale pancreatico e successivamente anche il settore acinoso ed endocrino della ghiandola. È, quindi, la cronicizzazione di diversi episodi di acuzie la cui eziologia non è stata risolta. Un pz classico con pancreatite cronica è estremamente denutrito, magrissimo, con parametri nutrizionali a terra, questo per la perdita di funzionalità del pancreas. Anche se il pz mangia, manca il processo di digestione che permette l’assorbimento delle sostanze nutritive e, quindi, si possono avere tutti i problemi conseguenti come carenza di vitamine liposolubili e problemi della coagulazione (vit K), osteopenia (vit D), ecc. Tipicamente il pz con pancreatite cronica ha steatorrea, quindi, i lipidi vengono persi con le feci. Inoltre, la pancreatite cronica, è un fattore di rischio per l’adenocarcinoma pancreatico. La pancreatite cronica, oltre che secondaria a ripetuti episodi di pancreatite acuta, può essere anche primitiva. FATTORI EZIOLOGICI Autoimmunitaria (± alcol) Ostruttiva (± alcol) Distrofia cistica della parete duodenale (± alcol) Fibrosi cistica (± alcol) Mutazioni del gene del tripsinogeno (± alcol) -ereditaria Alcolica pura (90% dei casi) Tropicale (malnutrizione calorico proteica consumo di Cassava) EPIDEMIOLOGIA Età: 30-40 anni Rapporto maschi/femmine: 3 a 1 Incidenza (paesi occidentali): 10-15/100.000/anno Le forme ereditarie coinvolgono soggetti di giovane età e sono presenti in più componenti della stessa famiglia. PATOGENESI FORME PRIMITIVE I principali fattori di rischio si riscontrano quando vi è un abuso di bevande alcoliche, fumo di sigaretta o squilibri dietetici. Nella pancreatite cronica intesa come litiasi pancreatica si assiste ad una litogenesi duttale primitiva causata da alterazioni quali-quantitative della litostatina, proteina che stabilizza il calcio. Il deficit (quali-quantitativo) della litostatina può essere genetico o causato da tossici esogeni quali l’alcol e il fumo. L’infiammazione, quindi, è causata da un plug proteico derivante dalla degradazione della litostatina che precipita in forma insolubile nei dotti e dalla deposizine continua di cristalli di Ca++ non legati, per mancanza della stessa litostatina. Invece, nella pancreatite cronica intesa come malattia autoimmune si ha una primitiva aggressione immunitaria, cellulo-mediata, contro le cellule epiteliali dei dotti pancreatici che esprimono, impropriamente, antigeni HLA II. Ne consegue flogosi. Essa può essere associata ad altre malattie del sistema digestivo a patogenesi autoimmunitaria certa o presunta: Cirrosi biliare Colangite sclerosante Rettocolite ulcerosa Morbo di Crohn Sjogren Nella pancreatite cronica intesa come malattia ereditaria si può assistere a: 1. mutazione puntiforme del gene che codifica per tripsinogeno (cromosoma 7). Si tratta di una malattia autosomica dominante. Il tripsinogeno anomalo sarebbe molto resistente all’azione litica delle proteasi attivanti. Da ciò consegue una elevata concentrazione di tripsina (forma attiva) nel succo pancreatico con ripetuti attacchi di pancreatite acuta; 2. mutazione del gene della fibrosi cistica (CFTR) con ostruzione dei dotti per presenza di muco viscido e denso. CONSEGUENZE INSUFFICIENZA PANCREATICA - Maldigestione con steatorrea quando si ha una riduzione di circa 80% della secrezione enzimatica - Deficit vit. liposolubili - Intolleranza glucidica con conseguente diabete non chetoacidosico DIAGNOSI Con l’ecografia già si può fare diagnosi, in quanto il quadro morfologico è tipico: nelle fasi iniziali il pancreas è edematoso ma poi diventa atrofico (più piccolo di dimensioni e con margini irregolari). Segno patognomonico della pancreatite cronica è il dotto di Wirsung dilatato (normalmente è 2-3 mm di calibro e in ecografia addominale non si vede neanche ma in questi pz può arrivare anche a 1,5 cm e avere calcificazioni). DIAGNOSI STRUMENTALE I test di funzione pancreatica non vengono più effettuati e ormai la diagnosi è clinica e morfologica. L’unico test che andrebbe fatto è il dosaggio fecale dei grassi, ma è complicato. Nella quasi totalità dei casi ci si affida ad una ecografia. Nei casi dubbi si esegue una ecoendoscopia, cioè una gastroscopia in cui il gastroscopio ha all’apice una sonda ecografica. PRINCIPI DI TERAPIA La terapia in questo caso ha come scopi principali quelli di: Eliminare co-fattori eziologici: - Abuso alcool - Abuso tabagico - Stenosi duttale o papillare nelle forme ostruttive (trattamento endoscopico o chirurgico) Controllo del dolore Controllo insufficienza pancreatica Prevenzione e trattamento delle complicanze a lungo termine La pancreatite cronica è una malattia evolutiva. Pertanto, il controllo periodico del malato è necessario per riconoscere precocemente un’eventuale evoluzione e poter trattare il pz. È necessario porre attenzione su: - Variazione dei sintomi e delle necessità terapeutiche dovute alle diverse fasi della malattia - Complicanze locali (biliari, vascolari, lesioni cistiche) - Complicanze metaboliche della mal digestione e del diabete - Comparsa di neoplasie pancreatiche ed extra pancreatiche STORIA DELLA MALATTIA La pancreatite cronica è uno dei fattori di rischio per l’adenocarcinoma, soprattutto nei pazienti con una lunga storia di pancreatite cronica. Si caratterizza da una prima parte che va dall’insorgenza della malattia fino ai 5-10 anni successivi con episodi dolorosi ricorrenti per ripetuti attacchi di pancreatite acuta. Mentre, la seconda fase è caratterizzata dalla comparsa di sintomi e segni tipici dell’insufficienza pancreatica esocrina ed endocrina. IMAGING TESTS Figura 1. PANCREATITE ACUTA Rx addome: 30-60% ileo paralitico ERCP ED EUS Problemi ERCP: — Invasività — Pancreatiti — Incompleta valutazione e visualizzazione dei dotti — Costoso — Complicanze: anche exitus Vantaggi EUS: — Minima invasività — Molto accurata anche nelle fasi sub-cliniche della P.C. — Accurata nello studio dei dotti e del parenchima (variazioni) — No pancreatite (anche con FNA) VISUALIZZAZIONE EUS Figura 2. Wirsung iperecogeno Figura 3. Pattern Lobulare Figura 4. Calcificazioni con Wirsung dilatato Figure 5 e 6. Pancreas Divisum LESIONI CISTICHE PANCREATICHE Le cisti sono delle lesioni, nella gran parte dei casi neoplastiche, spesso benigne o comunque a bassa invasività, comunque da non sottovalutare. A differenza delle pseudocisti hanno una parete e quindi una componente epiteliale che può degenerare. Le pseudocisti sono una conseguenza della pancreatite le cisti no, semmai possono causare una pancreatite se comprimono il Wirsung. Le lesioni cistiche pancreatiche vengono riscontrate in circa il 10% degli individui >70 anni, nella maggior parte dei casi sono asintomatici e la diagnosi è spesso incidentale. Il sospetto diagnostico è generalmente posto dall’ecografia, poi da confermare con TAC, RMN o EUS. Abbiamo detto nella maggior parte dei casi (95%) sono asintomatiche, in una minoranza di caso possono determinare: - dolore addominale (da pancreatite se comprimono il Wirsung); - ittero (se comprimono il coledoco); - pancreatite. PSEUDOCISTI Sono sempre una conseguenza di un processo pancreatitico. SI caratterizzano da raccolte fluide senza parete. CLASSIFICAZIONE CISTI Da ricordare sono solo 3: l’IPMN, il cistoadenoma mucinoso e il cistoadenoma sieroso. - IPMN (50% di frequenza): neoplasia intraduttale papillare mucinosa, è una neoplasia cistica che insorge dalle cellule dei dotti. Per definizione c’è una comunicazione col dotto pancreatico: con il Wirsung (main duct) o con i dotti secondari (branch duct). Se alla TAC o all’ecoendoscopia si vede una cisti in comunicazione con un dotto pancreatico si fa diagnosi di IPMN. L’IPMN main duct ha un alto tasso di evoluzione maligna, quindi si deve intervenire chirurgicamente. L’IPMN branch duct si può mantenere in follow up o intervenire chirurgicamente a seconda dei casi. Spesso multifocale, non differenze di sesso, età di insorgenza verso la sesta decade. Classificato in M-IPMN e BD-IPMN. L’M-IPMN caratteristiche: in comunicazione con il Wirsung, di cui ne determina una dilatazione > 5 (generalmente 10) mm; tasso di evoluzione fra il 38% e il 68%; frequentemente associate a pancreatiti ricorrenti. Il BD-IPMN caratteristiche: in comunicazione con le ramificazioni del Wirsung, di cui non determinano una significativa dilatazione; tasso di evoluzione del 15-20% circa; spesso asintomatici e multifocali. - Neoplasia cistica mucinosa (cistoadenoma mucinoso) (11-18% di frequenza): per definizione, non ha contatto con il dotto pancreatico. Si ha soprattutto nelle donne di mezza età quasi sempre all’altezza di corpo/coda pancreas. Meno dell’ipmn, ma comunque ha una buona invasività. Si può tenere in follow up o intervenire chirurgicamente a seconda dei casi. - Neoplasia pseudopapillare solida: buona invasività, ma meno del precedente. Si ha in individui giovani, anche in età pediatrica. - Tumore neuroendocrino pancreatico cistico: il tumore neuroendocrino in genere ha una conformazione solida, talora, non frequentemente, può essere cistico, quindi con la parete molto spessa e molto vascolarizzata. Se ha delle dimensioni oltre i 2 cm va rimosso chirurgicamente. - Cistoadenoma sieroso (13-23% di frequenza): totalmente benigno, non da problemi. Quadro morfologico specifico: aspetto ad alveare, cioè tanti setti. Diagnosi in genere morfologica. Non richiede chirurgia. Più frequenti in donne nella V-VI decade. Figura 7. Cistoadenoma mucinoso Figura 8. Cistoadenoma sieroso Figura 9. EUS - cisti mucinosa Figura 10. EUS - cisti sierosa ELEMENTI DI RISCHIO - Sintomi - Nodulazioni intracistiche - Dilatazione del Wirsung > 10 mm - Citologia positiva Di seguito una tabella riassuntiva sul come agire in presenza degli elementi di rischio: ANALISI DEL FLUIDO - Citologia - Markers Tumorali: CEA - Amilasi Nel pancreas è usuale fare una Tac come esame iniziale e poi, se necessario, una ecoendoscopia per definire meglio alcune situazioni (perché è un esame invasivo). TUMORI PANCREATICI L’adenocarcinoma duttale è il tumore più comune del pancreas, è una neoplasia ad altissima mortalità. Se la neoplasia è non resecabile quindi con grosse infiltrazioni dei vasi, la mediana di sopravvivenza è di 5/6 mesi; se invece la neoplasia è resecabile la mediana di sopravvivenza può arrivare da 15 a 24 mesi. Quindi: Se la neoplasia è resecabile à chirurgia Se non è resecabile à oncologia Figura 11. NETs pancreatici DIAGNOSI L’ittero è un sintomo caratterizzante i tumori del pancreas (anche se tardivo: se un pz ha l’ittero è, nella maggior parte dei casi, irrecuperabile e in fase terminale). Al contrario, un diabete improvviso è un sintomo precoce e può permettere un’azione più tempestiva. Per la diagnosi è fondamentale l’ecoendoscopia che permette il prelievo con FNA/FNB (fna: fine needle aspiration; fnb: fine needle biopsy) L’elastografia è utile nelle lesioni solide pancreatiche, e valuta la durezza del tessuto. Il principio è che viene emanato un impulso meccanico e in base alla durezza del tessuto cambia il riverberò che si ottiene. Figura 12. EUS - FNB Figura 13. EUS RTE - guided FNA Blu: durezza (aree in cui ci sono cellule tumorali); rosso/verde: tessuto molle (aree in cui vi è tessuto necrotico). Si punge nelle aree blu per prelevare un campione adeguato. Figure 14 e 15. EUS - FNT L’ecoendoscopia ha tanti nuovi orizzonti, uno dei più importanti utilizzi è la biopsia (EUS-FNB). Importante è anche il tatuaggio della lesione (EUS-fine needle tattooing) perché viene colorata la lesione e quando il chirurgo va ad aprire la riconosce subito. I markers fiduciali sono dei markers radiopachi inerti che vengono messi attorno alla lesione e servono al radioterapista per andare a sparare i raggi in maniera selettiva. Tecniche ablative: utilizzate quando c’è un tumore non operabile e piuttosto che non far nulla si brucia il tumore utilizzando dell’alcol: ora in realtà ci sono altre tecniche più avanzate come la radiofrequenza. Ha uno scopo palliativo (ha poco senso farlo dice il prof.: hanno invece un senso queste tecniche nei tumori neuroendocrini e nelle forme cistiche). Figura 16. Fiducial markers Figure 17 e 18. Ablazione alcolica Figura 19. Radiofrequenza PALLIAZIONE Purtroppo, il pz con l’adenocarcinoma del pancreas tra i tanti problemi nelle fasi terminali della sua vita spesso ha anche un dolore addominale intrattabile. Questo perché il pancreas è proprio vicino al plesso celiaco che quindi viene “stimolato”. Il pz deve assumere quantità notevoli di oppioidi con tutti gli effetti collaterali che comportano (es la dipendenza ecc). La neurolisi del plesso celiaco può essere utile. Con l’econdoscopio si arriva nei pressi del plesso celiaco e si va a bruciare, oggi può essere fatto anche con la radiofrequenza. LE MALATTIE EPATICHE La prima cosa che bisogna escludere in caso di ipertransaminasemia sono le epatiti virali B e C; si tratta di indagini di primo livello e tutte le ipertransaminasemie vanno indagate con dei marker virali HBV completi e HCVAb. Una volta escluse le epatiti virali, poi si può passare alle indagini di secondo livello, dove andiamo a screenare per gli anticorpi ANA, AMA, ASMA, Anti-LKM1, epatiti autoimmuni e malattie più rare come la Wilson, l’emocromatosi; c’è poi una grossa fetta di epatopatie che è rappresentata dalle NAFLD (Nonalcoholic Fatty Liver Disease) che sono le steatosi epatiche non alcoliche. NAFLD (Non Alcoholic Fatty Liver Disease) e NASH (Non-Alcoholic SteatoHepatitis) Caso clinico Individuo in perfetta salute, si presenta da voi con rialzo delle transaminasi, riscontrato a delle analisi del sangue di routine. Si tratta di un signore di 52 anni, sposato con tre figli, impiegato al catasto; è iperteso, obeso, dislipidemico e sedentario. All’ecografia vediamo un fegato in genere ingrandito di dimensioni, con un aspetto iperecogeno (iper- riflettente), appare molto bianco all’ecografia (viene detto brillant liver, “fegato brillante”): ciò è tipico della steatosi. In genere, si fa un confronto tra l’ecogenicità del fegato e quella della corticale del rene (essendo vicini, all’ecografia si vedono uno sopra l’altro): idealmente dovrebbero avere la stessa ecogenicità; nel fegato grasso, invece, il fegato appare molto più chiaro della corticale. In questo caso abbiamo una condizione che si chiama NAFLD1 (Non Alcoholic Fatty Liver Disease); specifichiamo non alcolica perché abbiamo il fegato grasso anche negli alcolizzati, quindi anamnesticamente escludiamo l’abuso di alcool. Anche in un individuo magro si può avere la NAFLD, ma meno frequentemente. La diagnosi è semplice: con l’ecografia vedo la steatosi. La steatosi epatica non alcolica non è altro che una espressione a livello epatico di una sindrome metabolica che in realtà va a compromettere non solo il fegato, ma anche gli apparati. Per parlare di steatosi epatica non alcolica, dobbiamo sapere innanzitutto che cos'è la steatosi epatica, cioè un accumulo di grasso a livello epatico che deve essere maggiore al 5% dal punto di vista istologico. Già con la sola definizione di NAFLD cogliamo i tre aspetti di quella che è una patologia metabolica epatica: steatosi, epatica, non alcolica. Nella steatosi epatica semplice che è quella che vediamo nella maggior parte dei casi, c'è un fegato grasso che può essere diagnosticato benissimo durante una semplice ecografia, per via della sua caratteristica ecografica per la quale appare più riflettente, cioè più brillante e più biancastro, di solito il criterio di confronto è il rene destro (in scansione longitudinale). Si può, quindi, fare una diagnosi di steatosi epatica dal punto di vista ecografico, ma poi ovviamente andiamo a vedere quali sono i parametri di laboratorio, come le transaminasi (uno dei primi parametri ad essere alterato) che sono lievemente aumentate e nello specifico sono più le ALT a variare, poi aumentano anche la gammaGT e possiamo avere una dislipidemia, cioè un 1 Pronuncia = naffold Prevalenza malattie epatiche nella popolazione generale aumento dei trigliceridi, perché come vedremo, i pazienti che NAFLD 25% presentano questa patologia vengono inquadrati soprattutto in un quadro di sindrome metabolica. NASH VIRALE 2.7% ALCOLICA 2.5% ALTRE 1% < 0.5% PERCHE È IMPORTANTE LA NAFLD? Practice guidelines for the diagnosis and management of nonalcoholic fatty liver disease, AISF, 2010 Perché la sua prevalenza nella popolazione generale di circa il 25%, di gran lunga superiore rispetto alle altre, e lo sarà sempre di più perché stiamo eradicando le forme virali (l’OMS ha posto come obiettivo per il 2030 l’eradicazione dell’HCV; invece non siamo ancora in grado di eradicare l’HBV, ma abbiamo il vaccino dal 19822). Invece è in aumento la NAFLD per lo stile di vita, l’aumento dell’obesità, ecc. C'è una piccola fetta delle NAFLD (circa il 2.7%) rappresentato dalle cosiddette NASH (Non-Alcoholic SteatoHepatitis) che si differenzia per il suo processo di necro-infiammazione epatica, quindi il fegato non inizia solo ad avere un accumulo di grasso, ma inizia ad avere un fenomeno infiammatorio e quindi necrosi ed una ipertransaminasemia. È una situazione ben più grave. Di conseguenza se un paziente giunge alla nostra osservazione con steatosi epatica dimostrata da un punto di vista ecografico e con una lieve transaminasemia, sicuramente avrà un danno e dunque infiammazione a livello epatico e quindi una necrosi epatocitaria. La diagnosi di NASH si fa con biopsia istologica3, l’ecografia non basta in quanto mi consente di constatare la presenza di un fegato grasso, senza alcuna informazione sull’eventuale stato infiammatorio. La progressione va dalla steatosi che può progredire in steatoepatite (NASH) e infine cirrosi. La progressione non avviene per forza in tutti i soggetti, ovviamente; come nel caso della gastrite che può evolvere in ulcera che poi a sua volta può evolvere in metaplasia, quindi carcinoma. La steatoepatite, se non trattata, prima o poi evolve sempre in cirrosi; la steatosi invece non sempre, inoltre ciò dipende dal grado (ad esempio è difficile che una statosi lieve si evolva). Istologicamente nella steatosi si nota come il fegato assuma l’aspetto tipico del tessuto adiposo con le gocciole lipidiche. I pallini blu sono linfociti, monociti che non dovrebbero esserci nel fegato. Questo è importante perché è la parte intermedia, ossia la steatoepatite, che permetterà l’evoluzione verso la cirrosi epatica, cioè il cosiddetto sovvertimento strutturale epatico con tutte le complicanze della cirrosi epatica. Alla base di questo accumulo di grasso a livello epatico c’è l’insulino-resistenza, che non è solo causa della steatosi epatica, ma anche dell’obesità e del diabete tipo II4. L’insulina viene prodotta, anche in eccesso, ma a livello recettoriale abbiamo una resistenza all’azione dell’insulina. Quindi nel fegato grasso viene meno 2 Per coloro che non sono stati vaccinati si ricorre a una serie di farmaci che non eradicano la malattia ma tengono a bada il virus 3 Oggi esistono metodiche meno invasive 4 Invece nel tipo I, giovanile, c’è un attacco immunologico verso le cellule del pancreas che producono l’insulina l’importante azione di stoccaggio, anabolizzante, indotta dall’insulina. Ovviamente si consiglia un calo ponderale. L’insulino-resistenza è la causa principale della sindrome metabolica, caratterizzata da dislipidemia, ipertensione arteriosa, ridotta tolleranza ai carboidrati e diabete e quindi la steatosi epatica non alcolica non è altro che espressione di quella che può essere definita sindrome metabolica, anche se le evidenze più recenti permettono di classificarla come una patologia a sé stante, non direttamente correlata a quella della sindrome metabolica, perché è stato messo in evidenza che per la sua insorgenza non è tanto importante l’insulino-resistenza, ma anche la composizione del microbioma intestinale, cioè si è visto come alla variazione della composizione di questa, si verifica una modifica a livello biochimico del metabolismo epatico dei grassi; infatti, nell’ultimo periodo si è rivalutato l’utilizzo del trapianto fecale, quindi non soltanto per patologie prettamente intestinali, ma anche per quelle a carattere metabolico. NB. Le transaminasi (come altri valori ematochimici) sono fluttuanti nel corso dei giorni, non bisogna focalizzarsi sul singolo valore! Vanno contestualizzate. MECCANISMO DI ACCUMULO DI GRASSO A LIVELLO EPATICO La progressione a steatoepatite avviene quando nei mitocondri epatici si verificano fenomeni di perossidazione lipidica e β-ossidazione quindi aumenta la quantità di acidi grassi liberi e si ha la formazione delle specie reattive dell’ossigeno (ROS), cioè di radicali liberi che portano alla necrosi epatocellulare con conseguente infiammazione, quindi steatoepatite. Dunque più grasso c’è nel fegato, più ci sarà lipolisi, β- ossidazione, ROS, steatoepatite. Nella steatosi epatica abbiamo anche un incremento degli indici di colestasi, soprattutto le γGT; non vi è un ittero, però è correlato all’accumulo lipidico del fegato l’incremento di gamma GT e fosfatasi alcalina. Un’altra caratteristica importante della steatosi epatica non alcolica è l’iperferritinemia (lieve) che in generale è indice di flogosi a livello epatico. DIAGNOSI Una delle prime cose da fare per arrivare alla diagnosi è banalmente escludere dalle cause l’assunzione di alcol per definizione e quindi dobbiamo assicurarci che il paziente assuma meno di 30-40 g di alcol al giorno, altrimenti non rientreremo nella NAFLD. Bisogna escludere i virus, cioè l’epatite C e B che sono le due principali cause di epatite cronica. A volte possiamo avere anche una positività vero gli anticorpi antinucleo. Escludere Alcol, Farmaci, Virus, Autoimmunità e ferro. - Esame obiettivo (presenza di un fegato debordante che supera l’arcata costale, visibile anche tramite l’ecografia) - ETG addome - Biochimica (iperlipidemia, ipertrigliceridemia, test per insulino-resistenza5, ecc.) 5 Più specialistici, non si fanno a tappeto in tutti I pz È poi fondamentale capire dove c’è fibrosi epatica, perché sarà proprio questo aspetto a darci informazioni riguardanti il danno epatico. FIBROSCAN Quindi non è soltanto l’ipertransaminasemia che tra l’altro non è sempre presente e può essere anche reversibile, ma è proprio il grado di fibrosi che ci indica l’entità FIBROTEST STEATOTEST del danno che ha subito il fegato. Il gold standard per valutare l’entità della fibrosi epatica è la biopsia epatica, che consiste nel prelievo di un campione su cui si valuta il grading, cioè il livello di infiammazione epatica, e lo staging, che è il grado di fibrosi epatica. Tuttavia non è possibile sottoporre tutti a biopsia epatica; grazie a degli studi recenti è stato possibile perfezionare delle tecniche non invasive, come il fibroscan che attraverso un trasduttore va a quantificare il grado di stiffness (di durezza) a livello epatico, che però può essere dipendente dalle caratteristiche del paziente come accade nei pazienti obesi, ad esempio, o da un grado di i

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