Biologia Vegetale- Scheda 1 PDF

Summary

Questa scheda riporta informazioni sulla citologia vegetale, includendo i tre principali tipi di microscopi: microscopio ottico, TEM e SEM. Si discute del metabolismo cellulare e dei processi anabolici e catabolici. Viene descritta la struttura della cellula vegetale e la funzione di organelli come il reticolo endoplasmatico, l'apparato del Golgi e i mitocondri.

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Scheda 1 Biologia Vegetale. Citologia : Per osservare le cellule si utilizzano tre tipi di microscopi: Microscopio ottico: usa una sorgente luminosa per osservare il campione; ha una limite di risoluzione di circa 200 nanometri (nm). Ciò significa che è in...

Scheda 1 Biologia Vegetale. Citologia : Per osservare le cellule si utilizzano tre tipi di microscopi: Microscopio ottico: usa una sorgente luminosa per osservare il campione; ha una limite di risoluzione di circa 200 nanometri (nm). Ciò significa che è in grado di distinguere due punti separati da almeno 200 nm. Ingrandimento fino a 1500-2000 volte. TEM: la ‘‘sorgente luminosa’’ è un fascio di elettroni e le ‘‘lenti’’ sono magneti che generano campi elettromagnetici in grado di convogliare il fascio degli elettroni sul campione, attraversandolo, al fine di creare un’immagine ingrandita del campione. L’immagine ottenuta è in bianco e nero ma può essere colorata digitalmente (il limite massimo di ingrandimento è di 0.3 nm). In questo tipo di microscopio elettronico il fascio di elettroni, prima di colpire il campione da esaminare, passa in una zona dove è stato creato artificialmente il vuoto, e solo successivamente passa attraverso il materiale da esaminare. Il TEM è limitato a campioni sufficientemente sottili da far passare gli elettroni attraverso: vanno usate tecniche di preparazione per assottigliare il campione Può rilevare dettagli interni di una struttura biologica con enorme ingrandimento fino a 200000 volte. SEM: è un tipo di microscopio elettronico che produce immagini di un campione scansionando la superficie con un fascio di elettroni, gli elettroni secondari prodotti dalla scansione sono raccolti su una superficie rettangolare che riproduce una immagine tridimensionale del campione. Non vede dettagli interni come il TEM; il potere di risoluzione è intorno ai 5 nm, alcuni fino a 1 nm. Esempio: Cellule procariotiche ed eucariotiche. Il metabolismo è l'insieme di tutte le reazioni chimiche che avvengono all'interno di un organismo per mantenere la vita. Queste reazioni sono coinvolte nella produzione e nell'uso di energia, nella sintesi di molecole necessarie per la crescita, il mantenimento e la riparazione cellulare, e nell'eliminazione dei rifiuti metabolici. Il metabolismo si divide in due categorie principali: Catabolismo: Comprende le reazioni chimiche che rompono molecole complesse per liberare energia. Un esempio tipico è la digestione dei nutrienti (come carboidrati, grassi e proteine), che produce molecole più semplici (come glucosio, acidi grassi e amminoacidi) e libera energia sotto forma di ATP (adenosina trifosfato), che è utilizzata dalle cellule per svolgere il lavoro. Anabolismo: È l'insieme delle reazioni che costruiscono molecole complesse a partire da quelle più semplici, utilizzando energia. Esempi di questo processo sono la sintesi delle proteine dai amminoacidi o la produzione di DNA e RNA per la divisione cellulare. METABOLITI PRIMARI: Amminoacidi Zuccheri Nucleotidi Acidi grassi a corta catena Acidi organici Nella cellula vegetale i processi metabolici avvengono in specifiche strutture subcellulari: Gli organelli. La cellula vegetale è racchiusa in una struttura semirigida, detta parete cellulare, costituita principalmente di cellulosa , all’interno della quale è presente una membrana semipermeabile detta plasmalemma, composta da proteine, fosfolipidi e steroli con funzione elastica e glicolipidi; per formare un modello a mosaico fluido. Con la testa idrofila posta all’esterno e le unità idrofobiche disposte verso l’interno, rendendosi così impermeabili alle sostanze idrosolubili con l’esclusione dell’acqua e di molti gas. In alcuni casi può esistere una sorta di scambio diretto intercellulare tra due cellule vegetali contigue, attraverso strutture tubuliformi dette plasmodesmi, che rappresentano un punto di discontinuità del plasmalemma e favoriscono lo scambio di materiali. All’interno del plasmalemma sono presenti citoplasma, nucleo e organuli. Il citoplasma si presenta come una soluzione più o meno concentrata di metaboliti la cui matrice fondamentale è gelatinosa e costituita da acqua, in cui sono dissolte proteine, lipidi, carboidrati e sali minerali. Il citoplasma, oltre che da una serie di organiti immersi nel citosol, risulta composto anche da un’ulteriore struttura subcellulare dotata di varie funzioni e denominata citoscheletro. Si tratta di un sistema di filamenti in grado di dare sostegno strutturale alla cellula, di determinare il posizionamento e i movimenti degli organiti nel citoplasma, di regolare la traslocazione di alcune sostanze, nonché di intervenire nell’organizzazione del fuso mitotico durante la divisione cellulare. Dovendo svolgere funzioni sia statiche sia dinamiche il citoscheletro necessita di una composizione estremamente plastica e flessibile, basata su polimeri proteici costituiti da subunità molto piccole che possono rapidamente essere riorganizzate al variare delle esigenze, coinvolgendo in modo assai versatile vaste aree del citoscheletro in tempi brevi. Tra i costituenti del citoscheletro si distinguono i microtubuli e i microfilamenti, costituiti da subunità proteiche globulari, e i filamenti intermedi, formati da proteine fibrose e più allungate. Il nucleo rappresenta la struttura responsabile della conservazione e della trasmissione delle informazioni ereditarie codificate attraverso il DNA, ovvero è il corpo cellulare in cui è depositata l’informazione genetica della cellula e, pertanto, tutta l’informazione che presiede la sintesi delle proteine. Tutte le cellule ne contengono almeno uno, con l’eccezione di cellule altamente specializzate. Il nucleo è composto esternamente da una doppia membrana ricca di pori, che consentono un intenso scambio di materiale con il citoplasma e, in particolare, con le cisterne del reticolo endoplasmatico, al punto che tra quest’ultimo e l’involucro nucleare esiste una sostanziale continuità. Al suo interno si trovano uno o più nucleoli, corpi sferici assai densi e composti principalmente da RNA destinato a trasformarsi in ribosomi citoplasmatici. Osservando il citoplasma di una cellula eucariotica al microscopio elettronico si nota la presenza di una struttura disomogenea, composta da formazioni collegate tra loro a comporre un fitto reticolo, detto reticolo endoplasmatico. Il reticolo endoplasmatico è un sistema di cavità appiattite a forma di sacco, dette cisterne, collegate tra loro da tubuli e formate da membrane laminari lipoproteiche composte da due strati proteici che ne includono uno di matrice lipidica. Complessivamente, il reticolo endoplasmatico è composto per il 30-40% da fosfolipidi e per il resto da proteine, inclusi numerosi enzimi biosintetici. Tali strutture si ramificano attraverso il citoplasma e spesso ospitano numerosi ribosomi adesi alla superficie, che conferiscono loro un aspetto rugoso e granulare, ben evidente al microscopio elettronico. Le principali funzioni di questo componente subcellulare sono la sintesi dei lipidi e delle proteine destinate a essere collocate sulle membrane cellulari o preposte a coadiuvare l’azione del nucleo. Tali proteine, sintetizzate mediante i ribosomi ospitati sulla superficie, vengono liberate all’interno della cisterna, che ha una densità inferiore a quella esterna. Numerose cellule contengono membrane prive di ribosomi. Questo reticolo viene detto liscio o agranulare e adempie prevalentemente alla funzione di sintesi dei lipidi. Concludendo, la funzione del reticolo endoplasmatico si può riassumere in due attività: in quello rugoso si ha la sintesi di proteine e in quello liscio la sintesi di lipidi.In alcune aree di citoplasma grazie al microscopio elettronico sono osservabili aggregati di cisterne detti corpi del Golgi o dittiosomi e formati da cisterne a parete liscia (dunque priva di ribosomi) accumulate parallelamente tra loro. Tali cisterne appaiono come sacculi impilati, talvolta discontinui lateralmente, ove presentano un leggero rigonfiamento. La struttura prende il nome di apparato del Golgi e ha la funzione di secernere al di fuori del citoplasma il materiale proteico e i carboidrati che la cellula produce durante il suo accrescimento. Al loro interno i dittiosomi accumulano e trasportano i componenti lipidici e proteici sintetizzati nel reticolo endoplasmatico e provvedono alla sintesi dei polisaccaridi della parete cellulare (pectine, emicellulose) a partire da zuccheri semplici assorbiti dal citoplasma, con consumo di ATP. Hanno anche la funzione di glicosilare alcune proteine, come avviene per numerosi enzimi. I ribosomi sono gli organelli preposti alla sintesi delle proteine a partire dalle informazioni contenute nell’RNA messaggero e possono essere rinvenuti sia allo stato libero nel citoplasma sia ancorati ad altre strutture, come nel caso del reticolo endoplasmatico rugoso. Questa struttura in particolare ha il compito di sintetizzare le proteine destinate a essere secrete per esocitosi dalla cellula attraverso il sistema delle membrane endoplasmatiche, mentre i ribosomi liberi sono deputati a generare le proteine necessarie alla vita interna della cellula. Sono composti da tre molecole di RNA ribosomale e da proteine accessorie e non risultano racchiusi da alcuna membrana, il che consente il libero accesso alle sostanze con cui devono reagire. Oltre alle diverse dimensioni, anche alcune funzioni e regolazioni sono distinte. I mitocondri sono componenti subcellulari tipici degli eucarioti aventi diametro compreso tra 3 e 6 mm e deputati in primis alla produzione di energia a partire da substrati organici ottenuti dalla glicolisi sino a produrre adenosintrifosfato (ATP). Essi sono dunque il sito elettivo di compimento di processi come il ciclo di Krebs e la fosforilazione ossidativa. Dal punto di vista morfologico il mitocondrio è un organello reniforme delimitato da una membrana esterna e da una membrana interna, che delimita la cosiddetta matrice mitocondriale e si estende in essa con pieghe caratteristiche dette creste mitocondriali. Tali estroflessioni permettono di massimizzare la superficie utile all’azione degli enzimi preposti a compiere le principali reazioni biochimiche. Le due membrane che li compongono hanno diversa funzione e quindi differente composizione. Quella esterna deve consentire lo scambio di molecole con il citoplasma e delimitare lo spazio interno. La membrana interna è invece assai più ricca di proteine, necessarie a svolgere la fosforilazione ossidativa e la produzione di ATP, e presenta una permeabilità selettiva, mediante sistemi di trasporto regolati da ioni. La matrice mitocondriale ha consistenza gelatinosa in quanto ricca di proteine idrosolubili, rappresentate principalmente da enzimi, ribosomi e molecole di DNA. Oltre a essere coinvolto nella produzione di energia, il mitocondrio delle cellule vegetali svolge anche altri importanti compiti riguardanti la morte controllata delle cellule (apoptosi), la regolazione del ciclo cellulare e dello stato ossidoriduttivo in collaborazione con i perossisomi. Nei mitocondri avviene la maggior parte del processo di respirazione cellulare, un processo di combustione nel quale zuccheri semplici, amminoacidi e acidi grassi, vengono demoliti in molecole ancora più semplici ottenendo energia disponibile alla cellula sotto forma di ATP. È rappresentata dalla seguente reazione generale: La diffusione semplice è un processo di trasporto passivo che coinvolge il movimento spontaneo di molecole o ioni attraverso una membrana in direzione del gradiente di concentrazione, cioè dalla zona con maggiore concentrazione a quella con minore concentrazione. Questo movimento avviene grazie all'energia cinetica delle particelle, senza richiedere alcun apporto energetico da parte della cellula. Le molecole che possono attraversare la membrana con diffusione semplice sono generalmente non polari, liposolubili o molto piccole, e il loro movimento è regolato esclusivamente dal gradiente chimico. Non sono coinvolte proteine di membrana. La diffusione facilitata è anch’essa un processo di trasporto passivo che avviene lungo il gradiente di concentrazione, ma coinvolge proteine di membrana specializzate per facilitare il passaggio di molecole o ioni che non possono attraversare direttamente il doppio strato fosfolipidico. Le proteine coinvolte possono essere: Proteine canale, che formano pori idrofili attraverso i quali passano molecole o ioni specifici. L'apertura e chiusura dei canali può essere regolata da segnali chimici, elettrici o meccanici. Proteine trasportatrici, che legano specificamente le molecole da trasportare, subiscono un cambiamento conformazionale e le rilasciano dall'altro lato della membrana. Anche in questo caso, non è richiesto il consumo di energia, e il movimento avviene in direzione del gradiente. L’osmosi è un processo passivo che riguarda il movimento dell’acqua attraverso una membrana semipermeabile. Una membrana semipermeabile consente il passaggio di molecole d'acqua ma non di soluti disciolti. Durante l'osmosi, l'acqua si sposta da una regione a potenziale idrico maggiore (minor concentrazione di soluti) verso una regione a potenziale idrico minore (maggior concentrazione di soluti), fino a raggiungere un equilibrio. L'osmosi è un meccanismo chiave per il mantenimento dell'equilibrio idrico nelle cellule e nei tessuti. Il potenziale idrico (ΨΨΨ) è una grandezza che descrive la capacità dell'acqua di spostarsi all'interno di un sistema. È espresso in Pascal (Pa) e rappresenta il lavoro necessario per spostare una molecola d'acqua da una zona all'altra. L’acqua si sposta sempre da un potenziale idrico maggiore a uno minore. Il potenziale idrico è determinato dalla somma di due componenti principali: Potenziale di pressione (Ψp​): è la componente dovuta alla pressione fisica esercitata sull'acqua. Può essere positiva (pressione esercitata, come nella turgidità delle cellule vegetali) o negativa (tensione, come nell’acqua nei vasi xilematici). Potenziale osmotico (Ψs​): è la componente dovuta alla presenza di soluti e rappresenta la riduzione del potenziale idrico causata dalla loro concentrazione. Il potenziale osmotico è sempre negativo, poiché l'aggiunta di soluti diminuisce il potenziale idrico. La formula generale per il potenziale idrico è: Ψ=Ψp+Ψs Il potenziale osmotico (ΨsΨ_sΨs​) è calcolato utilizzando la formula derivata dalle leggi della termodinamica: Ψs=−iCRT Dove: i è il coefficiente di dissociazione ionica, che rappresenta il numero di particelle generate dalla dissociazione del soluto. C è la concentrazione molare del soluto (mol/Lmol/Lmol/L). R è la costante dei gas ideali, pari a 0.0831. T è la temperatura assoluta in Kelvin (KKK), Il trasporto attivo è un processo di trasporto che richiede energia per spostare molecole o ioni contro il gradiente di concentrazione, cioè dalla zona a concentrazione minore verso quella a concentrazione maggiore. L’energia necessaria è fornita dall’idrolisi di ATP o da altri meccanismi di accoppiamento energetico. Il trasporto attivo può essere suddiviso in: Trasporto attivo primario: utilizza direttamente l’energia dell’ATP per azionare pompe proteiche, come quelle che trasportano ioni o altre molecole attraverso la membrana. Trasporto attivo secondario (cotransporto): utilizza l’energia immagazzinata nel gradiente elettrochimico di una molecola (come ioni sodio o protoni) per trasportare un’altra sostanza contro il proprio gradiente. Il trasporto passivo è il movimento di molecole o ioni attraverso la membrana secondo il gradiente di concentrazione o elettrochimico, senza consumo di energia. Include: Diffusione semplice. Diffusione facilitata. Osmosi. In sintesi, il trasporto attivo richiede energia e consente il movimento contro il gradiente di concentrazione, mentre il trasporto passivo avviene spontaneamente lungo il gradiente e non necessita di energia. Il vacuolo è uno spazio circoscritto, un organello facente parte esclusivamente del sistema di membrane interne alla cellula vegetale e costituisce il componente più voluminoso di un elaborato sistema di endomembrane comprendenti reticolo endoplasmico, apparato del Golgi e lisosomi. Il vacuolo è separato dal citosol da una membrana asimmetrica detta tonoplasto, la cui composizione chimica è analoga a quella del plasmalemma, essendo composta prevalentemente da lipidi (fosfolipidi e steroidi) e proteine. Quest’ultime tuttavia presentano una varietà e complessità superiore rispetto ad altre endomembrane in quanto il tonoplasto ospita diversi sistemi di trasporto passivo, ma soprattutto attivo (pori, canali, traslocatori, acquaporine, pompe ioniche) che permettono l’ingresso e l’uscita selettiva di molecole di varie dimensioni. Grazie a questo sistema selettivo di comunicazione con il citosol, il contenuto del vacuolo è chimicamente differente da quello del resto della cellula ed è modulabile in funzione di esigenze specifiche. Nel vacuolo è presente una soluzione acquosa eterogenea detta succo vacuolare che ha un pH (4,5-5,5). Questa acidità facilita l’attività di numerosi enzimi vacuolari, soprattutto quelli idrolitici, ma costituisce un pericolo per il citoplasma, in quanto il suo sversamento nel citosol determinerebbe gravi conseguenze per la funzionalità cellulare. Nel succo vacuolare sono presenti numerose sostanze organiche che hanno una spiccata azione osmotica che innesca e mantiene la vacuolizzazione, tipica condizione funzionale per la cellula vegetale. La vacuolizzazione comporta per la cellula un vantaggioso aumento del rapporto superficie/volume, con effetti favorevoli sullo scambio di sostanze chimiche tra interno ed esterno del tonoplasto. Come molte strutture e sistemi cellulari vegetali, il vacuolo non ha una funzione unica, ma adempie contemporaneamente a numerose funzioni, sia meccaniche sia metaboliche, che possono avere in alcuni casi un aspetto prevalente a seguito di specializzazione delle cellule o dei tessuti che le ospitano. Le principali funzioni del vacuolo nella cellula vegetale sono: ruolo osmotico, poiché opera in cooperazione con il citoplasma e la parete cellulare fornendo supporto meccanico, forza motrice per l’espansione cellulare e funzione stomatica; ruolo di equilibrio e riserva di ioni; ruolo di riserva di metaboliti primari e secondari; ruolo di segregazione di metaboliti tossici; funzioni litiche con attività lisosomiale (attività specifica vegetale); ruolo di limitazione della massa citoplasmatica. L’espansione del volume cellulare non avviene con aumento della massa citoplasmatica organizzata e questo è un vantaggio energetico; ruolo di espansione dell’interfaccia citosol-tonoplasto e citosol-plasmalemma. L’aumento dell’interfaccia determina una maggiore facilità di interscambio metabolico; ruolo per un’efficace distribuzione dei cloroplasti contro la parete per una migliore assunzione della luce. Il succo vacuolare può accumulare concentrazioni sempre crescenti di sostanze di rifiuto del metabolismo vegetale, come l’acido ossalico, al punto da superarne la soglia del limite di solubilità e determinandone la precipitazione e la cristallizzazione. Tipici inclusi vacuolari sono infatti i cristalli di ossalato, la cui forma e dimensione costituiscono un importante marker farmacognostico per il riconoscimento delle droghe vegetali. In questo caso il vacuolo opera come struttura di segregazione, agendo in vece di un apparato escretore assente nel Regno Vegetale. Oltre ad agire come una struttura di accumulo, il vacuolo, grazie al suo contenuto enzimatico, è attivo anche nella lisi di proteine, peptidi, zuccheri e anche in alcuni degli stadi finali della biosintesi di diversi metaboliti secondari delle piante. Il vacuolo, infine, è coinvolto direttamente nei processi litici e disgregativi che hanno atto alla morte dell’individuo o durante la necrosi di organi e tessuti. Durante la senescenza cellulare, infatti, gli enzimi idrolitici e proteolitici che contiene vengono rilasciati e contribuiscono al catabolismo e al recupero delle risorse ancora utilizzabili. In alcuni organi e strutture specializzate il vacuolo è preposto anche all’accumulo di inclusi proteici, come l’aleurone, con funzione di riserva energetica per la pianta o per un nuovo individuo, come nel caso del seme. Al momento della germinazione questi granuli proteici vengono idrolizzati da appositi enzimi per ottenere amminoacidi che la pianta usa nelle fasi iniziali della crescita del nuovo individuo. Tipi di cristallo di ossalato di calcio: Rafidi e sabbia cristallina. Anche gli zuccheri semplici possono essere stoccati per soluzione nel succo vacuolare. Varie sostanze organiche, avvalendosi dei sistemi di trasporto attivo, possono entrare nel succo vacuolare, ove vengono generalmente trasformate a seguito dell’azione degli enzimi. Dopo un certo periodo, vengono di nuovo riattivate per uscire nel citoplasma e raggiungere i luoghi di utilizzazione dentro e fuori la cellula. Il coinvolgimento del vacuolo nella produzione e nell’accumulo dei metaboliti secondari rappresenta la funzione più elaborata di questa struttura cellulare e il fenomeno di principale interesse farmaceutico. L’azione del tonoplasto e l’ambiente acquoso e acido del succo vacuolare permettono la segregazione e la concentrazione al suo interno di un’ampia gamma di molecole idrofile. Alcaloidi, flavonoidi, polifenoli e fenoli semplici, glicosidi, composti solforati e zuccheri possono essere disciolti nel succo vacuolare e tenuti separati dal citosol, dove andrebbero a perturbare il normale funzionamento fisiologico della cellula e dei suoi enzimi o dove, addirittura, potrebbero esercitare un’azione tossica. Il turgore è una condizione fondamentale per le cellule vegetali ed è determinato dalla pressione esercitata dal contenuto d'acqua all’interno della cellula contro la parete cellulare rigida. Questa pressione, detta pressione di turgore (Pt​), è il risultato diretto del comportamento osmotico della cellula vegetale. La membrana plasmatica della cellula è semipermeabile, consentendo il passaggio dell'acqua ma non dei soluti. Quando la cellula è immersa in una soluzione ipotonica (minor concentrazione di soluti rispetto all’interno della cellula), l’acqua entra per osmosi, riempiendo la vacuola centrale e generando una pressione che spinge il citoplasma verso la parete cellulare. La pressione di turgore raggiunge il massimo quando il flusso netto di acqua si arresta a causa dell'opposizione esercitata dalla parete cellulare, che contrasta ulteriori ingressi d'acqua. In una soluzione ipotonica, dove la concentrazione di soluti è minore rispetto all’interno della cellula, l’acqua entra nella cellula per osmosi poiché il potenziale idrico esterno è maggiore di quello interno. Questo ingresso di acqua causa l’espansione del vacuolo centrale, che aumenta di volume esercitando una pressione contro la parete cellulare rigida. Tale pressione, nota come pressione di turgore (Pt​), si sviluppa fino a quando l’opposizione della parete bilancia l’ingresso di acqua, creando un equilibrio osmotico. In queste condizioni, la cellula si trova in uno stato turgido, che rappresenta lo stato ottimale per la maggior parte delle cellule vegetali. Il turgore è fondamentale per il sostegno meccanico della pianta, in quanto mantiene i tessuti rigidi e permette a steli e foglie di restare eretti. In una soluzione isotonica, la concentrazione di soluti è uguale dentro e fuori dalla cellula, e il potenziale idrico è identico. In questo caso non si verifica un movimento netto di acqua attraverso la membrana plasmatica: la quantità di acqua che entra è uguale a quella che esce. Il vacuolo centrale non si espande né si contrae, e la pressione di turgore è assente o minima. La cellula si trova quindi in uno stato flaccido, con una riduzione della rigidità dei tessuti. Una pianta composta prevalentemente da cellule flaccide appare appassita e priva di sostegno. In una soluzione ipertonica, la concentrazione di soluti è maggiore all’esterno della cellula rispetto all’interno. Di conseguenza, l’acqua esce dalla cellula per osmosi, poiché il potenziale idrico esterno è minore. La perdita di acqua provoca la contrazione del vacuolo e il distacco della membrana plasmatica dalla parete cellulare, un fenomeno noto come plasmolisi. In queste condizioni, la cellula è plasmolizzata e il suo volume si riduce notevolmente, portando a una perdita completa di turgore. Il turgore svolge un ruolo essenziale nel sostegno meccanico delle piante, in particolare nei tessuti erbacei e non lignificati. La pressione di turgore permette alle cellule di mantenere una forma rigida e stabile, conferendo elasticità e resistenza ai tessuti vegetali. In assenza di turgore (ad esempio, durante la disidratazione), le cellule perdono acqua, i tessuti diventano flaccidi e la pianta appare appassita. Il turgore è quindi fondamentale per il mantenimento della postura della pianta e per la capacità di orientare foglie e steli in modo ottimale verso le fonti di luce.Il turgore è strettamente legato all’efficienza della fotosintesi, in quanto regola l’apertura e la chiusura degli stomi, piccole aperture sulla superficie delle foglie attraverso le quali avvengono lo scambio di gas e la traspirazione. La pressione di turgore nelle cellule di guardia che delimitano gli stomi determina l’apertura degli stessi, consentendo l’ingresso di anidride carbonica (CO2), essenziale per il processo fotosintetico. Quando le cellule di guardia perdono turgore, gli stomi si chiudono, limitando lo scambio gassoso e la fotosintesi, ma prevenendo anche eccessive perdite d'acqua per traspirazione.Il turgore è uno dei fattori chiave che controllano la crescita cellulare nelle piante. Durante il processo di crescita, la pressione di turgore esercita una forza espansiva sulla parete cellulare. Questa forza provoca l’allungamento cellulare, purché la parete cellulare sia sufficientemente elastica per consentire l'espansione. Enzimi specifici, come le expansine, ammorbidiscono la parete cellulare, permettendo alla cellula di aumentare di volume senza perdere la sua integrità. Questo processo è particolarmente evidente nelle regioni meristematiche delle piante, dove la crescita è attiva e il turgore è fondamentale per il rapido aumento delle dimensioni delle cellule e dei tessuti. La parete cellulare di natura prevalentemente cellulosica viene da sempre considerata come uno degli elementi citologici distintivi della cellula vegetale. La parete delle cellule vegetali viene prodotta come uno strato extra-protoplasmatico organizzato con uno spessore variabile da 0,1 a 100 mm e rispetto all’intera cellula può occupare un volume considerevolmente maggiore del lume cellulare, contribuendo in modo significativo al peso secco totale dell’organismo. Il ruolo della parete è complesso e diversificato. La contemporanea soddisfazione di esigenze così diversificate ha determinato un’architettura interna assai complessa della parete cellulare, che risulta costituita da differenti sostanze organizzate secondo uno schema ben preciso e corredata di strutture specifiche che consentono l’adempimento di compiti fisico-meccanici. Le principali funzioni sono: Protettiva : Protettivo e di barriera contro danni e aggressioni di fitopatogeni. I costituenti della parete contribuiscono ad assicurare una struttura meccanica robusta e difficilmente penetrabile da agenti esterni, flessibile nel caso di pareti sottili e più rigida per le pareti più spesse. Filtro: Filtro passivo costituito dalle maglie di cellulosa e di eteropolisaccaridi e attivo per la presenza nella parete di componenti enzimatici verso sostanze provenienti da/e verso il citoplasma. Sostegno:La parete cellulare è un edificio costruito a moduli che evolve durante lo sviluppo. In fase giovanile è costituito da una struttura flessibile che può essere smantellata per dare origine a nuove cellule figlie e compensa la pressione osmotica vacuolare. A differenziazione completa, dopo una crescita per apposizione verso il lume cellulare, diviene meno elastica, più spessa e si può impregnare di sostanze complesse come la lignina e la suberina. Talora la parete può occupare quasi completamente il lume cellulare dando origine a una struttura funzionale meccanica fisiologicamente morta. Bilanciamento: La parete cellulare agisce funzionalmente in associazione con il vacuolo opponendosi al suo eccessivo rigonfiamento per presenza al suo interno di composti osmoticamente attivi. Questo meccanismo permette l’instaurarsi di una pressione osmotica bilanciata, che è fondamentale per il trasporto cellulare e per il trasporto dell’acqua e dei soluti nell’intera pianta. Forma: La parete cellulare determina la forma della cellula. Dal punto di vista chimico, la parete cellulare dei vegetali risulta costituita da differenti classi di composti, la cui localizzazione e funzionalità varia in relazione alle funzioni che la parete cellulare deve assolvere. La maggior parte di questi carboidrati sono di natura polimerica. La parete cellulare è composta da una frazione fibrillare e da una matrice. La cellulosa è il costituente che caratterizza il sistema fibrillare. Si tratta di un glucano, ovvero di un polimero di glucosio. Le singole catene filiformi della cellulosa, sono associate a formare più fasci che prendono il nome di micelle a loro volta, i fasci di queste micelle si riuniscono tra loro per formare le microfibrille che, analogamente al caso precedente, si associano per costituire le macrofibrille. Altri componenti fibrillari della parete sono i polisaccaridi non cellulosici, che sono indicati con il nome generico di pectine e emicellulose. Con pectina si intende un insieme di carboidrati con diverso grado di polimerizzazione caratterizzata da polimeri lineari di acidi uronici salificati con calcio e magnesio.Le pectine e le proto-pectine costituiscono principalmente la lamella mediana e sono presenti come carboidrati non cellulosici nella parete primaria. Altri eteropolisaccaridi sono le emicellulose, che sono costituite da glucani concatenati, dal peso molecolare variabile, la cui funzione nella parete è quella di legare filamenti di cellulosa contribuendo alla solidità meccanica della tessitura e alla peculiarità dei vari tipi di parete. La parete delle cellule vegetali adulte e differenziate può essere caratterizzata da tre parti, distinte per differente costituzione chimica, differenti ruolo e aspetti morfologici e morfometrici: la lamella mediana, la parete primaria e la parete secondaria. Lamella mediana: è lo strato più esterno della parete e si forma per primo durante il processo di mitosi cellulare: sebbene in forma ancora non matura può essere distinguibile già durante la formazione del fragmoplasto. La formazione della lamella mediana asseconda lo sviluppo dei plasmodesmi, ovvero filamenti di citoplasma a loro volta percorsi da microtubuli che caratterizzano la continuità citoplasmatica tra le cellule figlie. È prevalentemente costituita da pectine. La funzione della lamella mediana è quella di unire e cementare tra loro le cellule vegetali dando coesione meccanica ai tessuti. Parete primaria: Costituisce lo strato che, subito al di sotto della lamella mediana, inizia a formarsi quando la cellula comincia a distendersi e ad accrescersi fino a raggiungere le dimensioni e la forma che la caratterizzeranno da adulta. La funzione della parete primaria è essenzialmente quella di assecondare plasticamente la crescita per distensione della cellula, assicurandone al contempo un rivestimento meccanico funzionale al mantenimento della forma e al contenimento del protoplasto. Questo ruolo trova espressione nella composizione chimica della parete, dove la sostanza fondamentale è prevalente sulla sostanza fibrillare, con microfibrille di cellulosa disposte in modo disordinato (tessitura dispersa) e con un intreccio irregolare, ma che tuttavia evidenzia un orientamento prevalentemente trasversale, sempre più evidente a mano a mano che la cellula si distende aumentando le proprie dimensioni. Questa funzione spiega come lo spessore della parete primaria sia ridotto e rimanga esiguo e relativamente costante durante tutto il processo di distensione cellulare. In corrispondenza dei plasmodesmi, la parete primaria presenta spessore ulteriormente ridotto a formare piccole depressioni (campi delle punteggiature primarie) che lasceranno spazio a quelle che con la parete secondaria saranno note come punteggiature. Parete secondaria: Forma la parte preponderante dello spessore della parete e l’inizio della sua costruzione coincide con la conclusione del processo di distensione cellulare. Costituisce dunque un elemento di collegamento tra la fase giovanile e quella adulta di una cellula. Relativamente alla sua composizione, il sistema fibrillare è certamente la componente più abbondante (fino al 95%) e questo determina una capacità elastica fortemente ridotta a vantaggio di proprietà di solidità meccanica molto più enfatizzate rispetto alla parete primaria, caratteristiche confermate da una composizione che vede prevalere la cellulosa (oltre 50%) sull’emicellulosa, con le pectine pressoché assenti. La parete secondaria ha uno spessore maggiore di quella primaria e può essere generalmente distinta nel suo spessore in tre strati, dall’esterno verso l’interno denominati S1, S2, S3 in base alla sequenza della loro sintesi. La distinzione è soprattutto in riferimento al tipo di orientamento microfibrillare, complessivamente ordinato nei tre strati ma differenziato per orientamento. L’accrescimento della parete secondaria lascia ovviamente spazio ai plasmodesmi, con quelle strutture che sono note con il termine di punteggiature, ormai definite nella cellula adulta, semplici e tipiche di tutte le cellule vegetali o areolate, tipiche ed esclusive invece dei vasi xilematici che trasportano la linfa grezza. Il loro compito è quello di garantire, anche in una cellula chiusa in un vero e proprio esoscheletro, la comunicazione e gli scambi di materie prime vitali tra l’interno e l’esterno. Si definisce modificazione della parete delle cellule vegetali la presenza di sostanze accessorie prevalentemente localizzate nella parete secondaria delle cellule adulte e differenziate. Queste sostanze accessorie vengono a far parte della parete secondaria per apposizione o per incrostazione (impregnazione). Le modificazioni di parete sono molto spesso funzionali alla specializzazione citologica e istologica delle strutture adulte. Queste modificazioni si verificano sia nella parete primaria, durante la crescita cellulare, sia nella parete secondaria, dopo il completamento della crescita. Le principali modificazioni includono gelificazione, cutinizzazione, suberificazione, lignificazione, mineralizzazione. La gelificazione si verifica quando le sostanze pectiche nella matrice della parete cellulare aumentano il loro contenuto idrico, formando un gel. Questa modificazione è tipica delle cellule parenchimatiche e favorisce l’espansione cellulare durante la crescita, aumentando al contempo la capacità della parete di trattenere acqua e migliorando la resistenza agli stress idrici. La cutinizzazione comporta il deposito di cutina, una sostanza idrofoba, sulla superficie delle cellule epidermiche. Questo processo porta alla formazione del cuticolo, uno strato protettivo esterno che rende la parete cellulare impermeabile all’acqua e ai gas, prevenendo la perdita di acqua per evaporazione e proteggendo i tessuti da patogeni e agenti esterni. È particolarmente evidente nelle foglie e negli organi esposti all’aria. La suberificazione prevede il deposito di suberina, un composto lipidico idrofobo, nella parete cellulare, tipico delle cellule del sughero e delle endodermi. La suberificazione rende la parete impermeabile, formando barriere come la striscia di Caspary nelle radici, che regolano il trasporto di acqua e soluti. Questa modificazione protegge inoltre gli organi vegetali dalla disidratazione e dalle infezioni. La lignificazione consiste nell’accumulo di lignina nella parete cellulare, soprattutto nella parete secondaria. La lignina, un polimero complesso e rigido, conferisce resistenza meccanica e rigidità alle cellule, rendendole adatte a funzioni di sostegno. È particolarmente sviluppata nei tessuti come lo xilema e lo sclerenchima, dove contribuisce al trasporto dell’acqua e al supporto strutturale. Inoltre, la lignificazione rende la parete meno permeabile, aumentando la protezione contro patogeni e fattori ambientali. La mineralizzazione implica il deposito di minerali, come il carbonato di calcio o il silice, nella parete cellulare. Questa modificazione aumenta la rigidità e la durezza della parete, fornendo una protezione aggiuntiva contro erbivori e abrasioni. È comune, ad esempio, nelle graminacee, che accumulano silice per rafforzare i loro tessuti. Essendo in possesso di numerose proprietà fisico-meccaniche ben definite e data la loro abbondanza e relativamente agevole reperibilità, le sostanze presenti nella parete cellulare trovano diverse applicazioni pratiche. Oltre che nella produzione di carta e tessuti, la cellulosa trova impiego farmaceutico diffuso nel cotone idrofilo, in garze, in ovatta per assorbenti ecc. I plastidi sono organuli esclusivi delle cellule vegetali e se ne possono distinguere diversi tipi, differenziati per ultrastruttura e funzione. Sono caratterizzati da una doppia membrana contenente al suo interno una matrice o stroma. Sono organuli semi-autonomi, cioè forniti di un proprio patrimonio genetico. I diversi tipi di plastidi presenti nella cellula vegetale hanno in comune la differenziazione da proplastidi, organuli embrionali presenti in numero compreso tra 5 e 20 nelle cellule meristematiche non ancora differenziate, dotati di dimensioni ridotte e pressoché incolori, in quanto contenenti solo un pigmento di colore verde pallido (protocolofilla); presentano membrane interne poco sviluppate dette prototilacoidi. Il differenziamento del proplastidio durante il passaggio dalla fase giovanile della cellula indifferenziata a quella adulta e specializzata è determinato e indotto da diversi fattori esogeni ed endogeni tra cui la luce, la temperatura, la concentrazione di ormoni, la disponibilità di sostanze energetiche. I plastidi differenziati presenti nelle cellule adulte si distinguono principalmente in: Cloroplasti. Deputati alla fotosintesi. Contengono clorofille, che conferiscono loro la colorazione verde ben visibile al microscopio ottico, e altri pigmenti che permettono l’attività fotosintetica. Anche grazie alla presenza della clorofilla risultano osservabili già al microscopio ottico. Cromoplasti. Contengono carotenoidi tendenzialmente lipofili che sono gialli o aranciati. Contribuiscono alla colorazione di alcuni organi vegetali (per esempio, buccia dei frutti, petali dei fiori, radici tuberizzate). Leucoplasti. Non sono pigmentati e si localizzano nei tessuti non fotosintetici; hanno funzione di riserva, immagazzinano soprattutto amido, ma anche proteine e lipidi. Le operazioni di macinatura dei cereali e di altri organi vegetali amiliferi come i tuberi, determinano la distruzione della parete cellulare, la liberazione degli amiloplasti e dei granuli di amido secondario che contengono. Sono la sede elettiva della fotosintesi clorofilliana. Contengono pigmenti come clorofilla e carotenoidi. Nelle piante superiori hanno forma lenticolare del diametro di 4-6 mm,. Il cloroplasto è dotato di due involucri con uno spazio intermedio, ovvero da una membrana esterna abbastanza permeabile, con un classico doppio strato fosfolipidico ricco di proteine, e una membrana interna dall’organizzazione molto più complessa, con invaginazioni che danno luogo a vescicole chiuse appiattite dette tilacoidi. Le membrane tilacoidali sono immerse in una matrice, o stroma, e possono essere impilate a formare strutture dette grana. Si distinguono tilacoidi dei grana (impilati) e tilacoidi intergrana (non impilati e liberi nello stroma). Sulle membrane dei tilacoidi sono ancorate le clorofille e altri pigmenti che sono raggruppati in unità fotosintetiche e difatti costituiscono il supporto fisico dell’apparato fotosintetico. L’organizzazione interna dei cloroplasti è funzionale alla suddivisione dei diversi stadi della fotosintesi clorofilliana. La fotosintesi è un processo di conversione di energia luminosa in energia chimica. Si tratta di un processo endoergonico, ossia che necessita di molta energia per avvenire e tale energia è fornita dai fotoni di luce, che vengono convertiti in energia chimica con formazione di legami e ATP. L’equazione fondamentale della fotosintesi è sintetizzata nella formula: 6CO2+ 6H2O → C6H12O6 + 6O2. Il processo fotosintetico si verifica nei cloroplasti e si distingue in una fase luminosa che avviene nel sistema di membrane interne in strutture organizzare dette fotosistemi, e una fase oscura che è localizzata nello stroma. La fase luminosa si articola in tre momenti. Assorbimento della luce. I pigmenti antenna (clorofille e carotenoidi) dei fotosistemi sono in grado di catturare l’energia luminosa. Quando sono colpiti da un fotone, gli elettroni dei pigmenti passano in uno stato eccitato, aumentando il loro livello energetico. L’assorbimento di luce visibile (fotone), ossia l’assorbimento di energia da parte di un pigmento antenna, provoca lo spostamento di uno o più elettroni dei pigmenti verso uno stato “eccitato”, ossia a un livello energetico più alto. L’elettrone del pigmento antenna rimane nello stato eccitato per un tempo molto breve, durante il quale viene “catturato” il surplus energetico. Successivamente l’elettrone, che ha così ceduto l’energia, ritorna allo stato fondamentale. Nel frattempo un elettrone eccitato di un pigmento antenna ridiscende velocemente al suo normale livello energetico, ri-emettendo energia che viene così trasferita a un pigmento antenna vicino e così via finché l’energia non raggiunge la clorofilla a del centro di reazione. La clorofilla a rappresenta l’accettore finale dello stato eccitato ed è posta nel centro di reazione delle unità fotosintetiche (fotosistemi), posti sulle membrane dei tilacoidi. In conclusione, lo scopo di questa fase è l’assorbimento dell’energia luminosa da parte dei pigmenti e la conseguente scissione della molecola di acqua producendo elettroni e ioni idrogeno, e liberazione di ossigeno. Trasporto elettronico: riduce NADP a NADPH. La molecola di clorofilla eccitata decade tornando allo stato base, cedendo l’elettrone energetico a un’altra molecola vicina, creando in questa maniera una cascata di elettroni che passano dallo stato eccitato allo stato di base, e ciò attiva una serie di reazioni di ossidoriduzione il cui risultato finale è un trasporto di elettroni che ha luogo lungo le membrane dei tilacoidi, che porta alla riduzione del NADP a NADPH e alla contemporanea formazione di molecole di ATP. Produzione chemiosmotica di ATP. Il processo ciclico del passaggio di elettroni lungo le membrane dei tilacoidi crea un flusso di energia che è sfruttata per legare un fosfato inorganico Pi a una molecola di ADP, producendo così una molecola di ATP. In conclusione, lo scopo di questa fase è la produzione di molecole di ATP ricche di energia da molecole di ADP povere di energia. Inoltre, alcuni atomi di idrogeno provenienti dalla scissione delle molecole dell’acqua sono coinvolti nella riduzione di NADP per formare NADPH, che trasporta idrogeni e che sarà utilizzato nella fase oscura della fotosintesi. La fase oscura ha inizio con l’assunzione di CO2. Questo processo avviene nello stroma del cloroplasto e fa capo a una serie di reazioni che sono definite ciclo di Calvin. In questo ciclo la CO2 si lega mediante enzimi (RuBisco) a uno zucchero ribulosio bifosfato, 5 atomi di C, poi convertito attraverso una serie di reazioni in glucosio (zucchero a 6 atomi di C). L’energia e gli elettroni necessari a questo processo, dunque, sono forniti da ATP e NAPH prodotti durante la fase luminosa. Gli stomi sono strutture formate da due cellule, annesse all'epidermide, presenti negli organi aerei (foglie, fiori, fusti) in tutte le piante terrestri O2 Consentono lo scambio gassoso fra interno ed esterno del vegetale, in particolare favoriscono l'entrata di CO2 , che verrà utilizzata per la fotosintesi, e la fuoriuscita di O2 e vapor d'acqua (traspirazione CO2 ). Il meccanismo di apertura e chiusura è regolato dalla diversa quantità di acqua presente nelle cellule degli stomi. La fotorespirazione è un processo metabolico delle piante che si verifica quando l'enzima rubisco (ribulosio-1,5-bisfosfato carbossilasi/ossigenasi) utilizza ossigeno (O₂) al posto dell'anidride carbonica (CO₂) come substrato, generando un calo di efficienza fotosintetica. Questo avviene soprattutto nelle piante C3, che rappresentano la maggior parte delle specie vegetali, mentre è ridotto nelle piante C4, che hanno sviluppato strategie per minimizzarlo. Le piante C3 (come frumento, riso e soia) dipendono esclusivamente dal ciclo di Calvin per fissare la CO₂. In condizioni ottimali, la rubisco lega la CO₂ e la incorpora nel ribulosio-1,5-bisfosfato (RuBP), producendo due molecole di 3-fosfoglicerato, che entrano nel ciclo di Calvin per formare zuccheri. Tuttavia, quando la concentrazione di O₂ è alta (ad esempio, in condizioni di temperatura elevata o con stomata chiusi per ridurre la perdita d'acqua), la rubisco agisce come ossigenasi: invece di fissare CO₂, lega O₂. Questo porta alla formazione di una molecola di 3-fosfoglicerato (utile) e di 2-fosfoglicolato (una sostanza tossica per il metabolismo fotosintetico). Il 2-fosfoglicolato deve essere riciclato attraverso un complesso processo che coinvolge cloroplasti, perossisomi e mitocondri, con un elevato dispendio energetico (ATP e NADH). Durante questo processo, una parte del carbonio viene persa sotto forma di CO₂, riducendo la quantità di zuccheri prodotti per unità di energia luminosa catturata. Le piante C4 (come mais, canna da zucchero e sorgo) hanno sviluppato un adattamento per ridurre la fotorespirazione, concentrando la CO₂ intorno alla rubisco attraverso un meccanismo di separazione spaziale del ciclo di Calvin. In queste piante, la CO₂ viene inizialmente fissata in cellule specializzate, chiamate cellule del mesofillo, da un enzima chiamato PEP carbossilasi, che ha un'elevata affinità per la CO₂ e non reagisce con l'O₂. Questo porta alla formazione di un composto a quattro atomi di carbonio (malato o aspartato), che viene poi trasferito alle cellule della guaina del fascio. Nelle cellule della guaina del fascio, il malato rilascia la CO₂, aumentando la concentrazione locale di CO₂ vicino alla rubisco. Questo ambiente ricco di CO₂ impedisce alla rubisco di legare O₂, eliminando quasi completamente la fotorespirazione. Sebbene il processo C4 richieda energia aggiuntiva, l'efficienza fotosintetica complessiva è maggiore rispetto alle piante C3, soprattutto in ambienti caldi e secchi. I cromoplasti sono plastidi che mancano di clorofilla, ma sintetizzano e accumulano pigmenti come i carotenoidi, responsabili della colorazione di vari organi della pianta. Per tale motivo sono in genere più abbondanti nelle parti tegumentali o comunque superficiali, come l’epicarpo dei frutti e l’epidermide dei fiori. Le sostanze che contengono hanno funzione vessillare di richiamo per animali impollinatori o, nel caso dei frutti come per esempio pomodoro e peperone, per comunicare la maturazione agli animali deputati alla dispersione zoocora dei semi. Sono fotosinteticamente inattivi, con un basso numero di ribosomi e un basso contenuto proteico e di RNA. Presentano invece un elevato contenuto lipidico, conseguente al carattere lipofilo dei carotenoidi, e pertanto si trovano spesso sottoforma di goccioline lipidiche. La loro formazione può avvenire ex novo a partire da protoplastidi o derivare dalla degenerazione di cloroplasti e, in tal caso, rappresentano uno stadio di maturazione a seguito della degenerazione dei plastidi clorofilliani: la clorofilla e le membrane interne dei cloroplasti scompaiono, mentre si accumulano masse di carotenoidi, come avviene durante la maturazione di molti frutti o la senescenza delle foglie. La trasformazione da cloroplasto a cromoplasto è un processo irreversibile. A secondo di come si organizzano i carotenoidi si distinguono: Globulari Cristallini Fibrillari Membranosi Gli ezioplasti sono una forma immatura di plastidi che si sviluppano nei tessuti vegetali cresciuti al buio. Rappresentano uno stadio di transizione tra i proplastidi e i cloroplasti, che si formano quando la pianta viene esposta alla luce. La struttura degli ezioplasti è caratterizzata dalla presenza del corpo prolamellare, una rete tridimensionale di membrane tubolari che contengono precursori dei tilacoidi, necessari per la fotosintesi. Quando la pianta è esposta alla luce, il corpo prolamellare si riorganizza rapidamente, formando tilacoidi funzionali e trasformando gli ezioplasti in cloroplasti attivi. Questo processo consente alla pianta di avviare la fotosintesi in tempi brevi, adattandosi rapidamente alle nuove condizioni ambientali. Gli ezioplasti, dunque, svolgono un ruolo cruciale nel preparare i tessuti vegetali alla transizione dalla crescita al buio alla fotosintesi. I leucoplasti sono una categoria di plastidi privi di pigmenti, presenti principalmente nelle cellule dei tessuti non fotosintetici delle piante, come radici, tuberi, semi e frutti. Essi svolgono funzioni legate al metabolismo di riserva o alla biosintesi di molecole specifiche. Tra i leucoplasti si distinguono diverse tipologie in base alla loro funzione: amiloplasti, specializzati nella sintesi e nell’immagazzinamento dell’amido; elaioplasti, che accumulano lipidi; e proteoplasti, coinvolti nell’immagazzinamento di proteine. L’amiloplasto è un organello vegetale appartenente alla categoria dei leucoplasti, privo di pigmenti e specializzato nell'accumulo e nella sintesi di amido, una delle principali riserve energetiche delle piante. Gli amiloplasti si trovano nei tessuti di riserva, come radici (es. carote), tuberi (es. patate), semi e frutti, e svolgono un ruolo cruciale nel metabolismo vegetale. Essi immagazzinano l’amido sotto forma di granuli e, quando necessario, lo convertono in glucosio per alimentare i processi vitali della pianta. L’amido è un polisaccaride complesso formato da due componenti: amilosio e amilopectina. L’amilosio è una catena lineare di unità di glucosio,mentre l’amilopectina è altamente ramificata. Questa struttura conferisce all’amido proprietà di insolubilità in acqua e lo rende ideale per l’accumulo a lungo termine. Si trova sotto forma di granuli all’interno degli amiloplasti, e le sue dimensioni e strutture variano in base alla specie vegetale. Il metabolismo dell’amido, noto come ciclo dell’amido, comprende due fasi principali: sintesi e degradazione. Durante la sintesi, che avviene nei cloroplasti delle foglie durante il giorno o negli amiloplasti dei tessuti di riserva, il glucosio derivato dalla fotosintesi o da altre vie metaboliche viene trasformato in amido. Questo processo è mediato da enzimi come la sintasi dell’amido, che assemblano molecole di glucosio per formare amilosio e amilopectina. L’amido viene quindi immagazzinato in granuli concentrati all’interno degli amiloplasti. La degradazione dell’amido si verifica principalmente di notte o quando la pianta ha bisogno di energia, ad esempio durante la germinazione o la crescita. In questa fase, enzimi come l’amilasi e l’isoamilasi scompongono l’amido in zuccheri semplici, come maltosio e glucosio, che possono essere utilizzati nel metabolismo cellulare per produrre energia. Gli amido granuli, che rappresentano la forma fisica dell’amido immagazzinato, presentano dimensioni, forme e strutture caratteristiche a seconda della pianta. Possono variare da pochi micrometri a decine di micrometri e mostrano una struttura stratificata, con amilosio e amilopectina disposti in strati concentrici. Questi granuli vengono sfruttati in molteplici settori, sia per scopi naturali che industriali. L’amido ha una vasta gamma di usi. In natura, funge da riserva energetica fondamentale per le piante, utilizzata durante periodi di stress o per sostenere la crescita. Nell’industria alimentare, è largamente impiegato come addensante, stabilizzante e gelificante in prodotti come salse, creme e dolci.Inoltre, è una risorsa cruciale per lo sviluppo di bioplastiche biodegradabili e per la produzione di bioetanolo come fonte energetica sostenibile. Il ciclo cellulare è un processo fondamentale che consente alla cellula di crescere, replicare il proprio materiale genetico e dividersi per formare due cellule figlie. Si articola in due fasi principali: interfase e fase M (mitotica). L’interfase è il periodo più lungo del ciclo cellulare, durante il quale la cellula non si divide, ma cresce e si prepara per la divisione. Durante l’interfase, la cellula attraversa tre sottofasi: la fase G1, la fase S e la fase G2. Nella fase G1, la cellula cresce e svolge le sue normali funzioni metaboliche, accumulando anche le risorse necessarie per la divisione. In questa fase avviene anche il primo controllo di qualità, in cui la cellula verifica se le condizioni ambientali sono favorevoli alla divisione. Se necessario, la cellula può arrestarsi in G1 per correggere eventuali errori. Durante la fase S, il DNA della cellula viene replicato, il che significa che ogni cromosoma viene duplicato, creando due cromatidi fratelli identici. Questo è un passaggio cruciale perché garantisce che le due cellule figlie riceveranno un corredo completo e identico di DNA. Nella fase G2, la cellula continua a crescere e si prepara per la divisione. In questa fase vengono prodotti gli ultimi componenti necessari per la mitosi, e la cellula esegue un secondo controllo di qualità per assicurarsi che la replicazione del DNA sia stata completata correttamente e senza errori. La fase M del ciclo cellulare, che comprende la mitosi e la citodieresi, è il momento in cui la cellula effettivamente si divide. La mitosi è il processo in cui il nucleo della cellula si divide in due nuclei identici, ognuno con una copia completa del DNA. Durante la mitosi, i cromosomi replicati vengono separati in modo ordinato in modo che ogni cellula figlia riceva una copia esatta del materiale genetico. La mitosi è suddivisa in cinque fasi: profase, prometafase, metafase, anafase e telofase, durante le quali i cromosomi si condensano, si allineano e vengono separati. Alla fine della mitosi, la citodieresi ha luogo, un processo in cui il citoplasma e gli altri organelli vengono separati per formare due cellule figlie distinte. Nelle cellule animali, la citodieresi avviene tramite un anello contrattile di actina che stringe la membrana plasmatica al centro della cellula, dividendola in due. Nelle cellule vegetali, invece, si forma un setto cellulare che divide la cellula in due. La citodieresi completa la divisione cellulare, dando origine a due cellule figlie, ciascuna con una copia completa del materiale genetico e i componenti necessari per funzionare in modo indipendente. ISTOLOGIA : Negli organismi pluricellulari superiori, le cellule sono riunite a formare associazioni che vengono indicate con il nome di tessuti. In questo caso, definito come formazione di tessuto vero, le cellule concorrono alla formazione del tessuto con un’associazione congenita (ovvero già programmata all’atto della formazione della cellula), nella quale da una cellula iniziale si formano cellule figlie tra loro in stretta relazione metabolica e frutto di un piano organico programmato. Negli organismi pluricellulari meno organizzati, le singole cellule si riuniscono in associazione postgenita (ovvero successiva alla generazione della cellula), nella quale da una cellula iniziale si formano cellule figlie metabolicamente indipendenti e frutto di una disposizione e relazione non programmata. In quest’ultimo caso, ovvero di associazione postgenita, si parla di pseudotessuto. Esistono 6 tipi di tessuti: Parenchimatico Meristematico Tegumentale Conduttore Meccanico Secretore I tessuti vegetali sono divisi in tessuti meristematici e in tessuti adulti. i tessuti meristematici sono costituiti da cellule indifferenziate da cui attività mitotica si originano tutti gli altri tipi di tessuti. i tessuti adulti sono formati da cellule pienamente differenziate che, non si dividono. I tessuti parenchimatici comprendono un grande numero di tessuti differenti per morfologia e funzionalità. Tutti sono accomunabili da una forma cellulare omogenea, in genere a parallelepipedo, e da più o meno ampi spazi intercellulari con parete celluloso pectica e citoplasma con vacuoli evidenti. Morfologicamente, i tessuti parenchimatici possono essere differenti in relazione della funzione che sono chiamati a svolgere, ma tutti sono caratterizzati dalla capacità di ritornare alla fase meristematica in virtù del loro parziale differenziamento cellulare. Sono chiamati anche tessuti fondamentali dei vari organi e li possiamo distinguere in Parenchima fotosintetico Parenchima aerifero Parenchima di riserva Parenchima acquifero Parencima di trasfusione Il parenchima fotosintetico è un tessuto specializzato nella funzione fotosintetica. È formato da cellule vive che presentano numerosi cloroplasti ben sviluppati. Il clorenchima si trova in tutti gli organi verdi della pianta, ma principalmente all’interno della foglia, della quale costituisce il mesofillo. L’organizzazione spaziale delle cellule nel parenchima clorofilliano della foglia spesso risponde all’esigenza di ottimizzare la cattura della luce. Nelle foglie di tipo bifacciale, il parenchima clorofilliano è suddiviso in un parenchima superiore, detto a palizzata (con cellule allungate disposte in modo ordinato), e in un parenchima lacunoso inferiore (con cellule di forma varia con spazi intercellulari molto evidenti). Poiché l’anidride carbonica necessaria per la fotosintesi deve essere prelevata dall’atmosfera, il clorenchima presenta, in alcune sue parti, grandi spazi intercellulari, così come nei parenchimi aeriferi. Gli spazi intercellulari, inoltre, sono largamente intercomunicanti sino alle camere sottostomatiche, in modo che i gas entrati attraverso gli stomi possano raggiungere direttamente ogni cellula del clorenchima. Il parenchima aerifero è un tessuto parenchimatico in cui sono esaltate le funzioni di conduzione gassosa. Infatti, è formato da rade cellule vive con larghi spazi intercellulari. Esempi classici di aerenchimi si possono trovare in molte piante acquatiche o di palude, nelle quali si è sviluppato un sistema di spazi intercellulari che permettono una miglior diffusione dei gas in tutti gli organi della pianta. Il parenchima aerifero può svolgere anche, nel contempo, la funzione clorofilliana o di riserva di amido o oli, come per esempio nei rizomi.Gli aerenchimi possono formare anche gli organi di galleggiamento delle piante acquatiche, in particolare di quelle che vivono sulla superficie dell’acqua. La preservazione dello spazio intercellulare è spesso assicurata da particolari cellule che hanno la parete rigida fortemente lignificata e che assumono forma ramificata o a stella, dette idioblasti meccanic, ma spesso sono anche presenti concrezioni mineralizzate che mantengono aperti gli spazi intercellulari. I parenchimi di riserva sono dei parenchimi in grado di accumulare sostanze organiche quali grassi, proteine, amido. Tipicamente, le cellule hanno parete sottile e piccoli spazi intercellulari, ma a volte la parete stessa può fungere da centro di accumulo, per cui aumenta in spessore. In molti casi, la riserva è costituita da amido, accumulato negli amiloplasti. In altri casi, la riserva può essere vacuolare, anziché plastidiale. I parenchimi di riserva sono presenti in diverse parti del corpo della pianta, per esempio nel midollo, nel cilindro corticale del fusto e della radice, nei frutti e nel legno, ma sono molto estesi ed evidenti negli organi di riserva. Nelle cariossidi delle graminacee i parenchimi di riserva si susseguono dall’esterno all’interno con strati di cellule adibite alla riserva proteica (granuli di aleurone) e internamente adibite alla riserva glicidica (granuli di amido). Il parenchima acquifero è un tessuto parenchimatico che ha la funzione di accumulare acqua. È caratteristico delle xerofite e delle piante succulente. La possibilità di accumulare stabilmente l’acqua dipende dalla presenza di mucillagini altamente idrofile nel vacuolo delle cellule. Si ricorda che, talora, anche l’epidermide può modificarsi come tessuto di riserva idrica. Le cellule di questo parenchima presentano una parete sottile, un citoplasma ridotto e vacuoli molto sviluppati, con all’interno abbondanti sostanze mucillaginose particolarmente capaci di trattenere grandi quantità di acqua. Questo tipo di tessuto, considerato anche un tessuto di riserva particolare, è caratteristico del caule e delle foglie delle piante succulente dei climi aridi, quali l’aloe, l’agave, il cactus ecc. La funzione di parenchima acquifero, in taluni casi, è assolta anche da alcune epidermidi pluristratificate, per esempio nella foglia di begonia e oleandro. Il parenchima conduttore è costituito da cellule parenchimatiche localizzate nei raggi midollari del fusto e della radice. Nel suo complesso svolge due funzioni: quella di riserva e quella di trasporto, soprattutto radiale a breve distanza. Il parenchima conduttore consente il movimento delle soluzioni in senso orizzontale, formando i raggi midollari, che hanno una disposizione radiale. Dal punto di vista citologico, le cellule, disposte in file longitudinali o radiali, presentano numerosissime punteggiature, soprattutto nelle pareti trasversali, che sono ricche di plasmodesmi. Inoltre, la parete cellulare forma numerose introflessioni allo scopo di fornire una maggiore superficie, permettendo così l’aumento della capacità di scambio. Addette principali al funzionamento di questo tessuto sono le transfers cells, ovvero cellule con funzione di collegamento e scambio di nutrienti da cellula a cellula. L’esempio più tipico di parenchima di trasporto è quello presente nelle foglie dove effettua il trasferimento attivo degli zuccheri dal mesofillo fotosintetico ai tubi cribrosi. PARENCHIMA FOTOSINTETICO: PARENCHIMA AERIFERO: PARENCHIMA DI RISERVA: PARENCHIMA ACQUIFERO: PARENCHIMA CONDUTTORE: I tessuti meristematici sono formati da cellule la cui principale funzione è quella di proliferare sé stesse. Originano cellule che vanno poi incontro ad un processo di differenziamento, con formazione finale di tessuti adulti che costituiscono il corpo della pianta. I tessuti meristematici si dividono in due gruppi: Primari: presenti sin dai primi stadi di sviluppo embrionale, accompagnano durante tutta la vita la pianta. Partecipano ai processi che portano all’ allungamento del corpo della pianta. Secondari: si formano in un secondo tempo per ripresa di attività di divisione di certe cellule (es. tessuti parenchimatici) che daranno origine, differenziandosi, al corpo secondario della pianta, oppure determinano la nascita e lo sviluppo di strutture secondarie. I meristemi primari si dividono ulteriormente in: Apicali Intercalari o residui I meristemi primari apicali sono tessuti vegetali fondamentali per la crescita primaria delle piante, responsabile dell’allungamento dei fusti e delle radici. Questi tessuti si trovano all'apice di fusti, radici e nelle gemme terminali e ascellari, dove generano nuove cellule attraverso intense divisioni mitotiche. I meristemi apicali consentono alle piante di crescere in lunghezza e formano la base per la produzione di nuovi organi, come foglie, fiori e radici laterali. Essi sono suddivisi in due principali regioni: il meristema apicale del fusto, che promuove la crescita verso l'alto della pianta e il differenziamento degli organi aerei, e il meristema apicale della radice, che favorisce l’allungamento delle radici e l’esplorazione del suolo. Il RAM (Root Apical Meristem) si trova all’apice della radice ed è essenziale per la crescita in lunghezza della stessa. È protetto da una struttura chiamata cuffia,che ha il compito di proteggere le cellule meristematiche delicate mentre la radice penetra nel terreno. Le cellule meristematiche del RAM producono cellule figlie che si differenziano nei tre tessuti principali della radice: l’epidermide, responsabile dell’assorbimento dell’acqua e dei nutrienti; il cortex o corteccia, che funge da tessuto di riserva e trasporto; e il cilindro centrale, che include i tessuti conduttori xilema e floema. Il RAM contiene anche una regione specifica chiamata centro quiescente, un gruppo di cellule con bassa attività mitotica che funge da riserva per rigenerare le cellule del meristema attivo in caso di danno. Il SAM (Shoot Apical Meristem) si trova all’apice del fusto ed è responsabile della crescita verso l’alto e della formazione degli organi aerei della pianta, come foglie, fiori e gemme laterali. Il SAM genera i tre tessuti principali della pianta: il protoderma, che forma l’epidermide; il procambio, che darà origine ai tessuti conduttori primari; e il meristema fondamentale, che produce il parenchima, il collenchima e lo sclerenchima. Il SAM è caratterizzato da una disposizione precisa delle cellule, con una zona centrale di cellule indifferenziate che alimentano le zone periferiche e subapicali dove avviene il differenziamento. Le modalità di divisione cellulare all’interno dei meristemi, ossia le divisioni anticlinali e periclinali, sono fondamentali per la loro crescita e organizzazione. Nelle divisioni anticlinali, le nuove pareti cellulari si formano perpendicolarmente alla superficie del tessuto, permettendo l’espansione laterale. Le divisioni periclinali, invece, avvengono parallelamente alla superficie del tessuto, contribuendo alla crescita in profondità e all’aggiunta di nuovi strati cellulari. L’equilibrio tra queste due modalità di divisione è cruciale per mantenere la struttura e la funzione dei meristemi. Le cellule meristematiche apicali, che costituiscono i meristemi primari, sono cellule altamente specializzate per la divisione cellulare. Queste cellule presentano una serie di caratteristiche peculiari che le distinguono dalle cellule mature e differenziate. Dal punto di vista funzionale, i meristemi apicali producono cellule figlie che si differenziano e formano i tessuti primari della pianta. I meristemi intercalari, detti anche meristemi residui, sono particolari tessuti meristematici che si trovano tra regioni di tessuti già differenziati, spesso alla base di internodi, foglie o altre strutture della pianta. A differenza dei meristemi apicali, non sono posizionati all'estremità della pianta, ma rimangono attivi in porzioni intermedie, permettendo la crescita longitudinale di specifiche aree. Si trovano tipicamente nelle piante monocotiledoni, come le graminacee. Questi meristemi sono responsabili della crescita rapida e localizzata della pianta, come il prolungamento degli internodi o la rigenerazione di tessuti danneggiati.Dal punto di vista funzionale, i meristemi intercalari permettono alle piante di crescere rapidamente in altezza o lunghezza in specifici punti, adattandosi efficacemente alle condizioni ambientali. Grazie alla loro posizione strategica e alla loro attività proliferativa, questi meristemi supportano la rigenerazione e la crescita continua, svolgendo un ruolo cruciale per la sopravvivenza e la competitività di molte specie vegetali. I meristemi secondari si dividono in: Cambio cribro-vascolare Cambio subero-fellodermico Meristemi avventizi Il Cambio Cribro-Vascolare è un tessuto meristematico secondario presente nelle piante legnose e in alcune erbacee, responsabile della crescita in spessore, ovvero della crescita secondaria. Si trova tra il floema e lo xilema e produce continuamente nuovi tessuti conduttori per sostenere la funzione e la struttura della pianta in crescita. Questo meristema secondario origina dal procambio durante lo sviluppo della pianta e si mantiene attivo per tutta la vita della stessa. È composto da due tipi principali di cellule: le fusiformi, allungate, che formano lo xilema secondario (legno) verso l'interno e il floema secondario (libro) verso l'esterno, e le cellule radiali o di raggi midollari, che generano i raggi parenchimatici, strutture che consentono il trasporto e lo stoccaggio laterale di sostanze. Il cambio produce xilema secondario, che costituisce il legno e svolge un ruolo fondamentale nel trasporto dell'acqua e dei sali minerali, e floema secondario, che trasporta i prodotti della fotosintesi verso le diverse parti della pianta. La sua attività segue un ciclo stagionale. Il Cambio Subero-Fellodermico, noto anche come fellogeno, è un tessuto meristematico secondario responsabile della formazione del periderma, uno strato protettivo che sostituisce l’epidermide nelle piante sottoposte a crescita secondaria. Il fellogeno si sviluppa generalmente negli strati superficiali del tessuto parenchimatico della corteccia e, in alcune specie, può originare anche dal floema. Il fellogeno si divide attivamente, producendo cellule in due direzioni: verso l’esterno genera il sughero o subero, un tessuto protettivo formato da cellule morte con pareti ispessite e impregnate di suberina, una sostanza idrofoba che rende il tessuto impermeabile e resistente agli agenti esterni; verso l’interno produce il felloderma, un tessuto parenchimatico vivo che ha funzioni di riserva e sostegno. Questi tre strati – subero, fellogeno e felloderma – costituiscono il periderma, che protegge la pianta da disidratazione, attacchi patogeni e lesioni meccaniche. Il fellogeno è particolarmente attivo nelle piante legnose e nelle specie soggette a crescita secondaria. La sua attività ciclica determina la formazione di nuovi strati protettivi che si ispessiscono col tempo. In alcune piante, il processo porta alla formazione della corteccia secondaria, un tessuto più complesso che include anche porzioni del floema. I meristemi avventizi e i meristemoidi sono tessuti vegetali caratterizzati dalla loro capacità di generare nuove strutture e adattarsi a condizioni specifiche, sebbene abbiano origini e funzioni distinte. I meristemi avventizi si formano in posizioni inusuali rispetto ai meristemi primari, ovvero al di fuori delle aree apicali o laterali tradizionali. Questi meristemi si sviluppano spesso a partire da tessuti già differenziati che riacquisiscono capacità meristematica, un processo noto come dedifferenziazione. Si trovano tipicamente in regioni come il fusto, le foglie o le radici, dando origine a organi avventizi come radici o gemme. I meristemi avventizi giocano un ruolo fondamentale nei meccanismi di riparazione e rigenerazione, così come nella propagazione vegetativa. I meristemoidi, invece, sono piccoli gruppi di cellule meristematiche localizzate che si differenziano per formare strutture specifiche, come stomi o tricomi. Si trovano principalmente nell'epidermide e rappresentano un esempio di meristemi temporanei con una funzione specifica e localizzata. A differenza dei meristemi avventizi, i meristemoidi non sono coinvolti nella rigenerazione di grandi organi, ma nella formazione di strutture più piccole e specializzate. Il sistema tegumentale si distingue secondo la localizzazione in esterno che avvolge il corpo primario e secondario della pianta e in interno che è localizzato entro la struttura della pianta. Il sistema tegumentale si distingue poi in primario, se trae origine dai meristemi apicali e radicali, e in secondario, se tre origine dai meristemi cambiali secondari. I tessuti tegumentali esterni, di solito, hanno un ruolo di protezione e di relazione della pianta con l’ambiente esterno. Quelli interni svolgono un ruolo di protezione diversificata o di tipo meccanico, o di protezione dall’entrata di soluti inadatti alla vita. L’epidermide è il tessuto tegumentale primario di protezione che avvolge il corpo primario delle piante. La sua funzione principale consiste nel costituire una barriera fisica e funzionale rispetto all’ambiente esterno, in particolare per limitare la perdite di acqua della pianta. Dal punto di vista citologico, l’epidermide è costituita da un unico strato di cellule, caratterizzato dall’assenza di spazi intercellulari. Di rado possiamo trovare delle epidermidi pluristratificate. FUNZIONI DELL'EPIDERMIDE: Protezione contro la perdita di acqua (traspirazione) Protezione contro fattori abiotici Protezione contro fattori biotici Funzioni di relazione Funzioni di assorbimento e scambi gassosi A livello dell’epidermide sono presenti delle strutture, gli stomi, che regolano i processi di traspirazione della pianta in relazione alle condizioni climatiche e al proprio bilancio idrico; nel contempo, gli stomi assecondano la necessità di scambi gassosi legati al metabolismo. Gli stomi, quindi, sono aperture regolabili, adatte a rispondere efficientemente a opposte esigenze: l’entrata di ossigeno e anidride carbonica, e l’uscita di acqua, sotto forma di vapore (traspirazione). Gli stomi sono particolarmente numerosi nell’epidermide inferiore delle foglie dorso-ventrali delle dicotiledoni, ma si trovano anche in altre parti del corpo primario aereo della pianta e su tutte le superfici delle foglie ortotrope delle monocotiledoni. Sono assenti nelle pagine inferiori delle foglie delle piante acquatiche, ma sono presenti nella pagina superiore emersa. Altre aperture che fanno comunicare i tessuti profondi delle piante con l’esterno sono gli idatodi. Strutture, queste ultime, di solito beanti, ovvero sempre aperte, attraverso le quali fuoriesce l’acqua che viene assorbita in eccesso (guttazione). Gli idatodi si formano a seguito di una modificazione di uno stoma e, spesso, si associano a strutture ghiandolari. La guttazione avviene quando il processo della traspirazione si blocca o rallenta a causa dell’eccessiva umidità atmosferica o di un assorbimento eccessivo d’acqua delle radici. Le piante, in questo caso, espellono direttamente gocce d’acqua attraverso gli stomi acquiferi (o idatodi) delle foglie. Gli stomi acquiferi o idatodi sono strutturalmente identici agli stomi normali, tranne per il fatto che gli idatodi non hanno la parete ispessita all'interno, ma è ugualmente distribuita in tutti i suoi lati. Questa mancanza di parete ispessita al centro fa sì che gli stomi acquiferi siano sempre aperti. Su entrambe le facce della foglia vi sono gli stomi. Un apparato stomatico è formato, nel più semplice dei casi, da due cellule di guardia incurvate, di aspetto reniforme, che comprendono una fessura di ampiezza regolabile (rima stomatica). Le cellule epidermiche adiacenti alle due cellule di guardia vengono chiamate cellule compagne dello stoma. Cellule di guardia e cellule compagne, insieme, possono formare apparati stomatici differenti. Gli stomi comunicano con gli spazi intercellulari interni della foglia, sedi della fotosintesi, e rappresentano una specie di interfaccia fra questi e l’ambiente esterno: aprendosi, accolgono piccoli volumi di aria contenenti CO2, (sostanza di partenza per le reazioni che portano alla sintesi di carboidrati) e riversano nell’ambiente l’acqua e l’ossigeno derivati dalla fotosintesi. Le cellule di guardia dello stoma sono, in genere, le uniche cellule epidermiche dotate di cloroplasti e hanno la parete ispessita in un modo disuguale verso la rima. Tali ispessimenti determinano l’apertura della rima stomatica quando nelle cellule di guardia vi è un aumento del turgore cellulare, mentre una sua diminuzione provoca la chiusura per meccanismo elastico passivo della rima stomatica. Sotto allo stoma è presente un grande spazio intercellulare, denominato camera sottostomatica, che è connesso con tutto il sistema di spazi intercellulari dei tessuti delle piante. Gli scambi gassosi hanno così modo di poter avvenire senza dover differenziare un tessuto specifico. Insieme agli stomi, sulla faccia inferiore della foglia, possono trovarsi anche numerosi peli epidermici (tricomi), utili per limitare le perdite di acqua. Altre importanti strutture epidermiche sono peli e papille: essi vengono generalmente indicati come tricomi. La loro presenza e struttura cellulare è di grande rilevanza tassonomica e farmacognostica, in quanto possono avere forma molto diversa e caratteristica. Tricomi o peli hanno una funzione protettiva: contro l’ eccessiva traspirazione, come filtro per la radiazione solare; hanno pure una funzione difensiva: deterrente contro l’ attacco di insetti od altri animali. Infine i peli con funzione ghiandolare: secernono sostanze profumate, oppure eliminano certe sostanze. Strutture epidermiche particolari sono le cellule bulliformi, caratterizzate da parete sottile e grande vacuolo centrale. Si trovano, in piccoli gruppi, e permettono alla foglia stessa di arrotolarsi in caso di temporanea mancanza di acqua, al fine di creare un ambiente con un’umidità relativa sufficiente a non interrompere la traspirazione e, soprattutto, la fotosintesi. A livello dell’epidermide, possono essere presenti altre strutture alla cui formazione prendono parte anche i tessuti sottostanti l’epidermide. Tali strutture prendono il nome di emergenze, quali gli aculei delle rose e i particolari peli ghiandolari della drosera, che presentano tessuti secernenti specifici per la loro funzione digestiva. Nella radice, il tessuto tegumentale primario è sensibilmente diverso da quello presente nelle parti aeree e prende il nome di rizoderma. Pur essendo anch’esso monostratificato, la sua struttura si presenta liscia, priva di cuticola, avvolta da un residuo mucillaginoso derivante dalla cuffia. Nella zona pilifera in cui la radice ha struttura interna adatta all’assorbimento dell’acqua e dei sali minerali, il rizoderma presenta i peli radicali. Essi sono costituiti da estroflessioni delle cellule del rizoderma, sono unicellulari e hanno il nucleo tipicamente spostato verso l’apice del pelo. I peli radicali assorbono l’acqua e i sali minerali dal terreno e li convogliano verso i tessuti più profondi della radice. L’esoderma è un tessuto di protezione primario esterno presente in alcune radici delle angiosperme e delle gimnosperme, costituito da cellule vive con parete ispessita, alle volte lignificata, con sottili deposizioni di lamelle di suberina. Prende origine in seguito alla suberificazione dello strato più esterno del parenchima corticale. La sua funzione è temporanea, in quanto protegge la radice primaria nel passaggio alla struttura secondaria nel tempo necessario tra la perdita di funzionalità del rizoderma e la formazione del sughero. Invece, nelle piante che non vanno in struttura secondaria, l’esoderma permane per tutta la vita della pianta. L’endoderma o endodermide è uno strato di tessuto tegumentale interno di origine primaria del cilindro corticale, che avvolge il cilindro centrale. L’endoderma è lo strato più interno del cilindro corticale ed è adiacente al periciclo, che rappresenta lo strato più esterno del cilindro centrale. L’endodermide nelle radici si presenta costituita da uno strato monocellulare con cellule che, in visione tridimensionale, presentano un nastro suberificato lungo le pareti radiali laterali, superiori e inferiori. In sezione trasversale, le pareti radiali laterali saldamente aderenti e i nastri suberificati formano i caratteristici punti di Caspary. La funzione specifica dell’endodermide è quella di selezione delle soluzioni in entrata da parte della radice, in quanto le porzioni suberificate impediscono che le soluzioni raggiungano gli strati più profondi senza prima essere passate attraverso il protoplasma cellulare delle cellule dell’endoderma stesso. Nella zona sovrastante i peli radicali si nota che l’endodermide cessa di funzionare ed esternamente si è formato un esoderma. Le pareti dell’endoderma, quindi, vengono lignificate e suberificate, assolvendo così a compiti di tipo meccanico. Nelle radici delle monocotiledoni l’ispessimento della lignina appare in sezione a forma di lettera U, mentre nelle dicotiledoni appare a forma di lettera O, carattere morfologico di facile utilizzo diagnostico in farmacognosia. L’insieme di sughero, fellogeno e felloderma prende il nome di periderma. Il periderma, quindi, è un complesso di differenti tessuti che sostituisce l’epidermide nei fusti e nelle radici che passano in struttura secondaria in spessore. Tipicamente, le cellule del sughero presentano deposizioni di lamelle di suberina. Il sughero, a piena funzionalità, è un tessuto morto. Il fellogeno presenta la tipica struttura cambiale già descritta delle cellule meristematiche, mentre il felloderma è costituito da più strati di cellule vive di aspetto epidermico, che spesso presentano cloroplasti. La produzione del fellogeno è soggetta a variazioni stagionali e un nuovo strato più interno sostituisce quello dell’anno precedente. L’evoluzione delle piante sulle terre emerse è legata allo sviluppo di un efficiente sistema di conduzione a distanza dei liquidi. Considerando una pianta terrestre, due sono i flussi necessari alla sua sopravvivenza: uno che dalle radici sale sino alle foglie trasportando linfa grezza, costituita da acqua e sali minerali, e uno che dalle foglie giunge a tutto il corpo vegetale per portare linfa elaborata, costituita da soluzioni nutrienti di zuccheri, amminoacidi, vitamine. Da un punto di vista istologico dovranno, quindi, aver avuto origine due differenti Sistemi di conduzione indipendenti: il tessuto vascolare, ovvero il sistema tissutale che conduce la linfa grezza, e il tessuto cribroso, ovvero quello che conduce la linfa elaborata. Le strutture di conduzione sono collocate insieme in una unica entità colonnare, detta fascio, assieme agli elementi meccanici sclerenchimatici, fibre, che conferiscono al tutto la necessaria rigidità meccanica. In questa struttura è possibile distinguere una zona, o arca, che contiene il sistema vascolare, che, nell’insieme, chiameremo xilema o legno, e una parte, o arca, che contiene il sistema cribroso che, nell’insieme, chiameremo floema o libro. Dal punto di vista istologico il fascio conduttore, quindi, risulterà costituito da due parti, o arche; l’una xilematica, costituita da tessuti di conduzione vascolare, tessuti meccanici e parenchimatici, e l’altra floematica o liberiana, costituita da tessuti meccanici, cellule parenchimatiche. Il tessuto cribroso, o floema, è costituito da tubi cribrosi, elementi cellulari vivi allungati e impilati fra loro, caratterizzati da una parete cellulare sottile ed elastica che nella porzione trasversale si presenta con piccole perforazioni. Nelle angiosperme i tubi cribrosi sono cellule vitali con un grande vacuolo, un sottile strato di citoplasma confinato contro la parete senza nucleo, per cui gran parte delle funzioni nucleari sono svolte dalle cellule compagne, cellule parenchimatiche che accompagnano il tubo. Il setto trasversale è fortemente perforato e attraversato da cordoni plasmatici che mettono in comunicazione gli elementi adiacenti del tubo. Questa struttura è denominata placca cribrosa e la sua funzionalità è in genere limitata a una sola stagione vegetativa. Il tubo cribroso perde la sua funzionalità e in alcuni casi degenera. In alcune piante, però il tubo cribroso può funzionare più anni. Nei tubi cribrosi delle angiosperme sono presenti proteine, dette “P”, che sono coinvolte nella riparazione dei tubi cribrosi. Si tratta di proteine strutturali riscontrabili sotto diverse forme, granulare, cristallina, fibrillare a seconda del grado di maturazione della cellula. Dal punto di vista morfologico, i tubi cribrosi sono cellule senza nucleo. La sopravvivenza del tubo cribroso è determinata dall’attività delle cellule compagne che sono in stretto rapporto con i tubi cribrosi stessi. Le cellule compagne e le cellule dei tubi cribrosi, infatti, derivano dalla stessa cellula madre che si è divisa longitudinalmente durante il differenziamento cellulare. Nelle gimnosperme sono presenti strutture più semplici, dette cellule cribrose, elementi più primitivi le cui aree perforate sono poco specializzate e sono accompagnate per il loro funzionamento da cellule dette albuminose per il loro citoplasma denso. Gli elementi del tessuto vascolare, o xilema, costituiscono la rete di trasporto della linfa grezza assorbita dalle radici e trasportata principalmente alle foglie. Sono costituiti da cellule allungate e tra loro impilate a formare lunghi tubi, le cui pareti longitudinali sono ispessite e lignificate. Sono tipicamente elementi tissutali morti a maturità, che conferiscono anche una buona consistenza meccanica alla pianta stessa. Possono essere distinti in: vasi chiusi o tracheidi, quando i setti trasversali delle singole cellule impilate sono presenti e bucherellati per permettere il passaggio della linfa grezza; vasi aperti o trachee, quando i setti trasversali delle singole cellule sono stati riassorbiti e, quindi, si è costituito un vero e proprio tubo. La parete primaria dei vasi è sottile e di solito non è lignificata, ma sulle pareti longitudinali è presente una parete secondaria notevolmente ispessita e lignificata che impedisce il collasso e l’occlusione del lume cellulare, che potrebbero avvenire in seguito all’azione aspirante esercitata dalle foglie per assorbire la linfa grezza. A seconda del tipo di ispessimento lignificato, possiamo distinguere diverse tipologie di vasi: VASI ANULATI: sono i più primitivi e sono presenti in zone giovani della pianta dove c’è un’intensa attività di crescita in lunghezza. VASI SPIRALATI: questi vasi sono simili ai precedenti e possono essere in combinazione con essi formando quindi vasi anulo-spiralati oppure possono avere singola o doppia elica. VASI SCALARIFORMI: questi vasi sono presenti in zone dove la crescita è completa in quanto sono inestensibili. strutture - VASI RETICOLATI: sono vasi che derivano dai precedenti. VASI PUNTEGGIATI: sono vasi con un alta percentuale di parete lignificata che presentano punteggiature di tipo areolato. Alcune punteggiature sia nelle Gimnosperme che nelle Angiosperme sono dotate di un ispessimento chiamato toro che funge da valvola chiudendo l’apertura in caso di cavitazione (formazione di zone di vapore all'interno di un fluido). La parete longitudinale dei vasi presenta delle punteggiature che possono essere semplici o areolate. La punteggiatura areolata presenta, a livello del foro, un’espansione della parete che rafforza la punteggiatura stessa, che, grazie alla sua ampiezza, consente un elevato flusso di linfa grezza fra trachee adiacenti. In alcuni casi, al centro della punteggiatura è presente un ispessimento lenticolare di parete che può spostarsi da una parte all’altra dell’areola. Questa struttura funziona come una vera e propria valvola, volta a impedire il passaggio di linfa grezza quando un vaso adiacente perde la sua funzionalità e si riempie di aria. Xilema e floema si trovano associati a formare i fasci conduttori, che nell’insieme costituiscono il sistema conduttore delle Cormofite. xilema primario: contiene in aggiunta agli elementi di conduzione anche parenchima xilematico e sclerenchima meccanici. floema primario: in aggiunta agli elementi cribrosi, le cellule compagne o le cellule albuminose, contiene anche cellule di parenchima di riserva e sclerenchima meccanico Abbiamo visto come lo xilema sia un sistema complesso di tessuti. Nelle angiosperme il legno è tipicamente formato da elementi conduttori (trachee e tracheidi), fibre meccaniche xilari e parenchima conduttore. Questo tipo di legno, per la diversità dei tessuti che lo compongono, è detto legno eteroxilo. Nelle gimnosperme, e nelle conifere in particolare, non vi è una separazione netta tra elementi di conduzione ed elementi meccanici, per cui si parla più propriamente di fibrotracheidi, ovvero un tessuto che somma le funzioni tipiche del tessuto conduttore e meccanico. È in definitiva una condizione di minore specializzazione strutturale, di un’evoluzione ancora inconclusa, che si riflette sull’efficienza funzionale specifica. Questo tipo di legno, presentandosi compatto e discretamente uniforme viene detto legno omoxilo. La crescita secondaria è il processo attraverso il quale le piante (legnose) si accrescono in spessore, aumentando progressivamente il diametro del fusto e delle radici. Si verifica nelle gimnosperme (come pini e abeti) e nelle angiosperme dicotiledoni legnose (come aceri, tigli, platani), nelle quali permette il raggiungimento di altezze spesso considerevoli. Le cellule de cambio cribro-vascolare sono di due tipi: iniziali fusiformi: danno origine con divisione dipleurica (origina due tipi di tessuti) agli elementi del libro e del legno secondari. Sono più numerose delle iniziali dei raggi; in sezione trasversale appaiono piccole ed appiattite, in sezione longitudinale sono lunghe, strette ed affusolate. iniziali dei raggi: originano i nuovi raggi midollari; delle cellule cui danno origine, una rimane meristematica mentre la seconda si differenzia in parenchima, sia verso l'interno sia verso l'esterno, rispetto all'iniziale stessa. Una cellula cambiale (cellula iniziale fusiforme) per divisione origina due cellule, una rimane cambiale, l'altra si differenzia: Il cambio cribro-vascolare produce xilema secondario (legno) verso l’interno, che serve per il trasporto di acqua e il sostegno meccanico, e floema secondario verso l’esterno, destinato al trasporto degli zuccheri. Questo processo forma gli anelli annuali di accrescimento. Il fellogeno, invece, genera il sughero (verso l’esterno) e il felloderma (verso l’interno), creando la corteccia per protezione. I tessuti meccanici o di sostegno sono costituiti da cellule più o meno allungate, le cui pareti cellulari sono ispessite e talvolta hanno subito processi di lignificazione. Solidità, resistenza ed elasticità sono assicurate da sistemi di cellule caratterizzate da ispessimenti delle pareti e scarsa presenza di spazi intercellulari. La loro funzione consiste nel sostegno del corpo della pianta e nel fornire resistenza al piegamento (nelle erbacee) e alla trazione. Tali proprietà meccaniche sono da attribuire alla struttura e alla composizione chimica della parete delle cellule che compongono questo tessuto. I tessuti meccanici, o di sostegno, possono essere distinti in: collenchimi, che sono tessuti vivi, sclerenchimi, che sono tessuti morti a differenziamento completato. Il collenchima si origina per differenziazione del parenchima. È formato da cellule vive, allungate o isodiametriche, a volte addirittura provviste di cloroplasti, le cui pareti celluloso-pectiche sono variamente e inegualmente ispessite. I collenchimi sono tessuti elastici, possono seguire l’allungamento di giovani parti erbacee della pianta accrescendosi per distensione e costituiscono gli elementi di resistenza al piegamento delle parti aeree del fusto. Sono presenti in grandi quantità nei giovani fusti e nei piccioli fogliari; di solito sono assenti nelle radici, se non in alcune radici aeree delle piante epifite. A seconda del tipo di ispessimento si distingue in: collenchima angolare: con pareti ispessite agli angoli di confluenza di più cellule, come per esempio nel picciolo della foglia di salvia, nella canapa, nella barbabietola, nella begonia, nel fico e nel girasole. Sul piano funzionale è il collenchima più efficiente ed evoluto, anche per la assenza di spazi intercellulari consistenti; collenchima lamellare: ispessito lungo le pareti tangenziali, dove gli ispessimenti maggiori sono a livello delle pareti tangenziali interna ed esterna, come per esempio nel rabarbaro, nell’edera e nel sambuco. Sul piano funzionale è un tessuto di media efficienza e media specializzazione, spesso le sue cellule presentano cloroplasti, ma sono prive di prospicienti spazi intercellulari evidenti; collenchima lacunare: chiamato così per la presenza di spazi intercellulari intorno ai quali si deposita l’ispessimento (asteracee, malvacee). Sul piano funzionale è il collenchima meno evoluto e meno funzionale, stante la sua debole specializzazione e la residua presenza di importanti spazi intercellulari. collenchima anulare: caratterizzato da un ispessimento uniforme delle pareti cellulari lungo tutta la circonferenza delle cellule. Questo ispessimento è costituito principalmente da cellulosa e pectina, rendendo il collenchima flessibile e adatto a fornire supporto a organi giovani in crescita, come fusti. Il collenchima anulare permette una distribuzione uniforme della resistenza meccanica e si trova tipicamente in tessuti giovani. Lo sclerenchima è un tessuto meccanico tipico delle parti di una pianta che hanno terminato l’accrescimento per distensione, in quanto presentano una discreta consistenza e resistenza meccanica. A differenziamento avvenuto, sono cellule morte con parete secondaria omogeneamente ispessita che hanno subito un forte processo di lignificazione. Le caratteristiche funzionali dello sclerenchima sono: Grande resistenza meccanica alla trazione associata a un’elevata rigidità meccanica e grande incorruttibilità della parete cellulare, in quanto la lignina è attaccabile solo da alcuni funghi. Lo sclerenchima può essere costituito da cellule isodiametriche, le sclereidi, o da cellule allungate, le fibre. Alcune sclereidi hanno una forma più o meno stellata o a bastoncino. Le fibre sclerenchimatiche rinforzano fusti sia erbacei sia legnosi. L’ispessimento della parete cellulare determina una progressiva riduzione del lume cellulare e, con l’isolamento protoplasmatico che ne consegue, si determina la morte della cellula. La loro forma è sempre allungata in senso assiale e sono affusolate alle estremità. In sezione trasversale sono poligonali e si possono trovare isolate o a gruppi. La parete può essere cellulosica in fusti erbacei, ma spesso è molto lignificata e ispessita con porocanali ben evidenti e lume cellulare estremamente ridotto. Le fibre meccaniche possono essere presenti nel legno (fibre xilari) o fuori dal legno (fibre extraxilari), come per esempio nel floema o nel cilindro corticale. Le fibre xilari sono sempre molto lignificate e hanno parete molto ispessita. Le fibre extraxilari sono tutte quelle che non si trovano nel legno- Possono essere presenti sia nel corpo primario che secondario della pianta e spesso sono riunite in gruppi o in veri e propri fasci. La loro forma è sempre molto affusolata con la parete molto ispessita. ORGANOGRAFIA E RIPRODUZIONE: Le cormofite sono i costituenti della pianta superiore, essa è suddivisa in: Radice Fusto Foglie Nella radice, dal basso verso l’alto, possiamo individuare schematicamente una: zona embrionale, o meristematica o zona dell’apice radicale, dove troviamo meristemi apicali; zona subapicale di distensione e differenziamento, costituita da cellule che si accrescono per distensione e si differenziano (zona liscia); zona di struttura primaria, costituita da tessuti primari adulti (zona pilifera); zona di struttura secondaria, in cui, nelle piante legnose, si formano i tessuti secondari e ha luogo l’accrescimento in spessore. L’apice radicale ha come cuore funzionale un gruppo di cellule meristematiche che si divide a un tasso mitotico lento, tanto da essere individuato come “centro quiescente”. Attorno al centro quiescente è presente un mantello di cellule meristematiche che, invece, si dividono molto rapidamente in tutte le direzioni: verso il basso, differenziandosi danno origine a una cuffia, o caliptra, formata da cellule in elevato processo differenziativo con abbondanti granuli di amido e attiva produzione di sostanza mucose, dovute dapprima alla secrezione cellulare e poi a degenerazione delle cellule stesse. Lo strato mucillaginoso glicoproteico extra caliptra che si forma svolge una funzione lubrificante che favorisce la penetrazione dell’apice radicale sotto la spinta dell’allungamento della zona radicale liscia. Le cellule della columella, invece, sono caratterizzate dalla presenza di grossi granuli di amido, detti statoliti, raggruppati nella parte inferiore delle cellule. La loro pressione su alcuni frammenti di reticolo endoplasmatico e le variazioni di tensione di alcuni microfilamenti ai quali sono legati, generano lo stimolo che permette alla radice di percepire la gravità e di orientare la direzione di crescita verso il basso. verso l’alto, in posizione centrale, danno origine dapprima a

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