DIRITTO DI IMPRESA PDF
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2022
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These lecture notes cover the fundamentals of business law, focusing on subjects, goods, events, and relationships. Topics include legal entities, property, and the classifications of legal acts. The notes discuss different legal sources like civil codes and European Union treaties, and the relationship to business activities.
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DIRITTO DI IMPRESA LEZIONE 1 (20/09/2022) Il diritto procede per qualificazione. Non esiste spazio, tempo… il mondo giuridico riqualifica questi elementi, e tutto ciò che vediamo sono SOGGETTI, BENI, FATTI o RELAZIONI. È possibile ricondurre tutto a queste 4 c...
DIRITTO DI IMPRESA LEZIONE 1 (20/09/2022) Il diritto procede per qualificazione. Non esiste spazio, tempo… il mondo giuridico riqualifica questi elementi, e tutto ciò che vediamo sono SOGGETTI, BENI, FATTI o RELAZIONI. È possibile ricondurre tutto a queste 4 categorie. Ad esempio, la morte è un fatto, alla quale sono connesse delle conseguenze (estinzione, testamento…). Oppure, la caduta in una buca (fatto) genera una relazione tra noi e il comune (rimborso). L’impresa generica è invisibile, un costrutto giuridico che mette insieme tanti elementi (consegne, produzione…). SOGGETTI: Soggetti di diritto che “si vedono” (persone fisiche); Soggetti di diritto che “non si vedono” (aziende, aggregazioni, organizzazioni, società per azioni…). Questi ultimi sono soggetti creati da individui per il conseguimento di una finalità. Tra di loro si distinguono: o Enti, associazioni non perseguono finalità di tipo lucrativo, pur svolgendo attività economica (Emergency…). Perseguono finalità altruistiche. Questi soggetti vengono definiti “terzo settore”. o Soggetti con finalità lucrativa. BENI: Nello stato patrimoniale compaiono passività ed attività, ed in queste ultime compaiono i beni. La distinzione che si può fare è la seguente: Beni materiali o Beni mobili o Beni immobili Beni immateriali È rilevante la qualifica del bene, soprattutto dal punto di vista fiscale e amministrativo. Nel tempo hanno assunto più rilevanza i beni immateriali (ad esempio i segreti industriali, marchi, brevetti, diritti d’autore…), a discapito dei beni materiali, più rilevanti in passato. Chi acquisita un libro, ad esempio, lo compra per la storia (bene immateriale), non per l’oggetto fisico in sé (bene materiale). Non è possibile estrarre valore dai beni immateriali senza un’attività d’impresa collegata. Un inventore necessita di un’impresa per sviluppare la sua idea, un artista necessita di una casa d’asta per mettere in mostra il suo dipinto… FATTI: I fatti sono qualificati dal diritto sulla base di due parametri: Partecipazione del soggetto al fatto (se investo una persona con la macchina, il fatto è caratterizzato dall’attività umana, e normalmente identificato come atto); Connotazione naturale – fatti naturali - (piove, nasco, muoio…). È possibile si generino relazione tra atti. Ad esempio, comprando un caffè scaturisce una relazione contrattuale tra due parti. Alcuni fatti e atti, non tutti, sono collegati a conseguenze giuridiche. La nascita ha sempre rilevanza giuridica, sbadigliare no, sparare solo a volte può avere rilevanza giuridica… Gli atti possono essere classificati sulla base della compatibilità alle norme giuridiche: Atti illeciti Atti leciti Non esistono sfumature, si può cadere solo in una di queste due categorie. La differenza tra atto lecito e illecito, tuttavia, dipende molto dalle circostanze. All’interno degli atti umani leciti esiste un sottoinsieme rilevante: atti di natura contrattuale (contratti). L’impresa, infatti, è una rete di contratti, ed esiste e svolge attività tramite contratti (noleggio, vendita, affitto, concessioni…). Questi atti hanno una conseguenza da un punto di vista patrimoniale Per quanto riguarda le imprese, ci si focalizzerà su atti illeciti, poiché generano obbligazioni risarcitorie. In particolare, il focus sarà posto su responsabilità relative a: Prodotti difettosi; Concorrenza sleale (appropriazione illecita di segreti industriali…); Attività pericolose (gestione impianto di risalita, fabbrica di fuochi artificiali…). RELAZIONI: Alcune relazioni sono giuridicamente irrilevanti (voler bene ad un peluche…) altre invece hanno una grande rilevanza giuridica (relazione con una persona, tra una persona e un bene…). Molte relazioni sono protette (diritto di proprietà, ovvero la relazione tra un bene e una persona…). Le relazioni connettono le altre 3 categorie. NORME GIURIDICHE: Le norme giuridiche sono suddivise in 3 tipologie: 1- Norme di qualificazione: qualificano un soggetto, un bene, un fatto o una relazione. Prevedono sanzioni relative a efficacia/inefficacia …; 2- Norme di comportamento: spiegano come comportarsi, in funzione della relativa qualifica (essendo lavoratore, ho determinati obblighi (mantenimento di segreti industriali…) e diritti (ferie…)). Queste norme impongono un comportamento in funzione della qualifica. Il comportamento può essere seguito, o meno, e ciò determina delle conseguenze, tra cui eventuali sanzioni (un genitore che non mantiene un figlio verrà sanzionato…). Tipicamente le sanzioni sono di natura patrimoniale, ma in alcuni casi possono essere di natura … (arresto…); 3- Norme di organizzazione: esplicita come si struttura il soggetto. La relativa sanzione è di invalidità (ad esempio, se si costituisce una società in forma orale, questa risulta invalida). Tutte le norme giuridiche prevedono sanzioni (conseguenze che si verificano sul piano giuridico). Il non seguire un comandamento, ad esempio, genera conseguenze sul piano religioso, NON giuridico. La norma sociale (è buona educazione dire buongiorno…) NON genera sanzioni giuridiche, bensì sanzioni sociali (diminuisce la reputazione se la norma non viene seguita). Caratteristica necessaria affinché esista una norma giuridica, è che sia giuridico il potere che emana la norma stessa. Di seguito saranno elencate le varie fonti delle norme giuridiche Codice Civile, 1942: Articolo 1 Preleggi: indicazione delle fonti (delle norme giuridiche): leggi (generate dal parlamento); regolamenti (generati da pubblica amministrazione); usi/consuetudini. Queste sono norme non poste da autorità giuridica, ma che derivano da comportamenti, i quali sono ripetuti talmente a lungo ed in modo diffuso, da far sorgere la convinzione che il comportamento sia obbligatorio. Sono caratterizzate da un elemento materiale (comportamento stesso) e da un elemento psicologico (convinzione che il comportamento sia obbligatorio). Storicamente, le consuetudini erano molto diffuse tra gli imprenditori. Originariamente, vennero poste come ulteriore fonte di norme giuridiche le norme corporative, tuttavia, nel 1943 l’ordinamento corporativo venne soppresso. Successivamente, nel 1948 venne adottata la Costituzione repubblicana, a sua volta fonte di norme, e che si pone sopra le altre fonti (le norme scaturite dalla Costituzione prevalgono sulle altre). Seguono, a livello gerarchico, le leggi, i regolamenti, ed infine le consuetudini. Il rapporto tra fonte superiore e inferiore è di validità-invalidità. Ad esempio, la Costituzione garantisce la proprietà privata, la quale può essere espropriata solo se: (1) ciò è garantito dalla legge; (2) è motivo di interesse generale; (3) viene riconosciuto un indennizzo. Se una legge o un regolamento vanno contro questi principi sulla proprietà privata, vengono dichiarati incostituzionali. Inoltre, l’ingresso dell’Italia nell’Unione Europea ha comportato l’aggiunta di un ulteriore livello di fonti: il Trattato (fonte più importante del diritto europeo), nato per garantire la libertà d’impresa sul territorio europeo. Ad esempio, introduce le norme antitrust. A livello del trattato, sono presenti due fonti distinte: regolamenti e direttive. Queste producono norme giuridiche, le quali prevalgono sulle norme dello Stato, e che si applicano in tutti i Paesi appartenenti all’UE. Come già detto, vale il principio gerarchico: la fonte superiore subordina quella inferiore. La norma giuridica che introduce una conseguenza negativa, perciò, può essere eliminata tramite una norma generata da una fonte superiore. Ogni norma genera un costo a livello d’impresa (impone una modifica della produzione…), in quanto l’impresa stessa deve adeguarsi alla norma. Tuttavia, parallelamente la norma riduce le incertezze. Ad esempio, Elon Musk nel 2017 chiese norme relative all’IA, poiché dopo un caso di incidente causato da un malfunzionamento del sistema di guida autonoma era diventato difficile vendere Tesla, a causa della mancata volontà delle compagnie di assicurare questi veicoli. Ciò dimostra come la norma sia necessaria a ridurre rischi/incertezze, giustificando in questo modo il costo. In caso una norma passata entri in contrasto con una nuova norma dello stesso livello, si applica il principio cronologico, secondo il quale prevale la norma introdotta successivamente (quella nuova). Secondo il rapporto generale-speciale, invece, la norma più specifica prevale su quella generale. ES: Una prima norma stabilisce che gli autoveicoli possano viaggiare al massimo a 50 km/h, mentre quella nuova stabilisce che i motoveicoli possano viaggiare al massimo a 70 km/h. In questo caso la norma più recente è più specifica di quella precedente, in quanto si riferisce a motoveicoli, e prevale. Di conseguenza, i motoveicoli possono viaggiare max a 70 km/h, mentre tutti gli altri max a 50 km/h. Questi principi riescono a gestire i problemi di antinomia (contrasto tra norme). Al contrario, il problema della lacuna (mancanza di norme) può essere gestito in due modi: Attraverso il principio: tutto ciò che non è vietato, è consentito; In alcuni casi, tuttavia, la norma può essere poco chiara (ad esempio, non vengono nominati i veicoli a 3 ruote nella per il rispetto dei limiti). In questo caso, si cerca di estendere le norme interpretativamente. Il processo interpretativo, tuttavia, non è libero, ma deve avvenire sulla base della legge stessa. La legge, infatti, contiene delle norme di interpretazione (Articolo 12 Preleggi: “nell’applicare la legge non si può ad essa attribuire altro senso che quello fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse, e dalla intenzione del legislatore. Se una controversia non può essere decisa con una precisa disposizione, si ha riguardo alle disposizioni che regolano casi simili o materie analoghe; se il caso rimane ancora dubbio, si decide secondo i principi generali dell'ordinamento giuridico dello Stato”). Il processo interpretativo si dipana su quattro livelli. In prima battuta, è necessario attribuire alla norma il significato che si evince immediatamente dalle parole utilizzate (interpretazione letterale), stando attenti all’intenzione del legislatore. Nel caso in esame, l’intenzione del legislatore è quella di limitare la velocità su una certa strada. Se non è ancora possibile risolvere la controversia, viene utilizzato il principio dell’analogia (nel nostro caso, si accosta il veicolo a 3 ruote al veicolo che più gli somiglia). Spesso, è necessario rivolgersi ad esperti del settore/periti. Se non si ottiene una risposta valida, bisogna infine rivolgersi ai principi generali, che si riferiscono ai livelli superiori della gerarchia. Le norme, tuttavia, sono estremamente più lente rispetto all’evoluzione sociale e tecnologica (ad esempio, attualmente non esistono ancora norme relative all’IA). Perciò, i fenomeni di lacuna sono inevitabili. LEZIONE 2 (21/09/2022) SOGGETTI DEL DIRITTO: Gli enti, a differenza delle persone fisiche, sono entità invisibili create dal diritto. Sono aggregazioni umane e materiali alle quali il diritto fornisce concretezza giuridica. I soggetti intesi come persone fisiche sono organizzati, in forma elementare, in famiglie. Dal punto di vista giuridico, l’individuo ha una sua collocazione spazio-temporale (spazio e tempo sono fatti). Alla sua morte, da un punto di vista giuridico, il diritto si preoccupa della successione dei suoi beni. La successione può essere: Ab intestato (legale, segue le regole del Codice civile); Testamentaria (governata in tutto o in parte dalla volontà del soggetto che muore, il de cuius). Se il testamento esiste ed è valido, la successione viene eseguita secondo il testamento, altrimenti, si seguono le regole del Codice civile. La successione di un imprenditore, ad esempio, può modificare radicalmente la realtà dell’impresa. Una successione ab intestato potrebbe creare vari dissidi interni. La successione stabilisce l’erede/i. Nel Codice civile, se non si trovano parenti oltre un certo grado, subentra lo Stato, il quale però eredita solo l’attivo del de cuius. Tutti gli altri eredi prima dello Stato, invece, ereditano anche gli eventuali debiti. Un soggetto, di fronte alla chiamata dell’eredità, ha tre alternative: Accettazione; Rinuncia (colui chiamato a succedere non vuole che il patrimonio del de cuius si mischi con il proprio); Accettazione con beneficio di inventario (il chiamato all’eredità accetta ma procede a fare inventario, diventando erede solo se la differenza tra attivo e passivo è positiva). Articolo 42, comma 4, Costituzione Italiana: (sulla proprietà privata) “La legge stabilisce le norme ed i limiti della successione legittima e testamentaria e i diritti dello Stato sulle eredità.” Vengono così sanciti i limiti relativi alla successione. Ad esempio, i soggetti più vicini all’individuo non possono essere esclusi dal de cuius. Quando la morte non è certa, il CC regola questa fase di incertezza. Il CC disciplina l’assenza, la scomparsa e la morte presunta, tre fasi successive una all’altra, che portano, per l’appunto, alla morte presunta, alla quale si apre a tutti gli effetti la vicenda successoria. In corrispondenza di ciascuna fase, gli eredi possono assumere decisioni relative ai beni del soggetto La nascita corrisponde al fatto secondo il quale un soggetto viene ad esistere secondo il diritto (Art. 1 CC “La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita”). La capacità giuridica è l’attributo della persona fisica che fa esistere per il diritto la persona (capacità di assumere su sé stessi diritti e doveri). Nel nostro ordinamento non è, invece, ammessa la cd. morte civile, cioè la situazione di chi, benché vivente, venga privato di tutti i diritti. Oltre alla connotazione temporale (nascita ad un tempo T0), esiste anche la connotazione spaziale. Quest’ultima è importante in quanto la capacità giuridica è riconosciuta dall’ordinamento giuridico del luogo di nascita. Il luogo di nascita identifica la cittadinanza (negli ordinamenti dove è valido lo ius soli), la quale identifica l’appartenenza, e quindi la soggezione ad un certo ordinamento giuridico. Alcuni ordinamenti (quelli dove si applica lo ius soli) stabiliscono che tutti i diritti dipendono dal luogo di nascita, mentre per altri i diritti di cittadinanza riconosciuti dal luogo sono parziali, in quanto la cittadinanza in questi casi si acquista in modo diverso. In Italia esiste una forma estremamente temperata dello ius soli. Ius soli (in lingua latina «diritto del suolo») è un'espressione giuridica che indica l'acquisizione della cittadinanza di un dato Paese come conseguenza del fatto giuridico di essere nati sul suo territorio, indipendentemente dalla cittadinanza dei genitori. Si contrappone allo ius sanguinis (o «diritto del sangue»), che indica invece la trasmissione alla prole della cittadinanza del genitore, sulla base pertanto della discendenza e non del luogo di nascita. Alla nascita si generano diversi tipo di relazioni: L’affinità è la relazione giuridica tra l’individuo e parenti acquisiti (cognato…); Il coniugio è la relazione giuridica tra i coniugi. La parentela è la relazione giuridica tra l’individuo ed i parenti. La parentela con i genitori identifica chi rispetto al minore esercita, al suo posto, i diritti e i doveri (potestà genitoriale). I genitori, o chi fa le veci del minore si sostituisce al lui nelle scelte fondamentali dell’attività giuridica consentita al minore. Secondo l’art.2 del CC: “La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita un’età diversa”. Al diciottesimo anno si acquisisce quindi la capacità di agire, ovvero, la capacità di attuare gli atti e disporre dei diritti per i quali non è prevista un’età diversa. La capacità di agire è la condizione minima per costituire un’impresa. A ciascuna di queste relazioni sono connessi obblighi e diritti, e hanno una certa rilevanza dal punto di vista successorio. Anche il diritto al nome è identificato dal momento della nascita (Art.6 CC “ogni persona ha diritto al nome, che è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati”. Avere diritto al nome significa che, nel caso non venga dato dai genitori, a ciò provvederà il tribunale dei minori. Inoltre, permette all’individuo di tutelarsi da un punto di vista giuridico (tutelarsi da usurpazione e contestazione). Art 7 CC: “La persona, alla quale si contesti il diritto all'uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall'uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni.” La norma contempla due ipotesi e due, conseguenti, azioni. La contestazione sussiste quando si impedisce ad un soggetto l'uso del nome che allo stesso spetta; l'uso indebito, invece, consiste nell'appropriazione o utilizzazione abusiva del nome altrui. Le due azioni poste a tutela specifica del nome, mediante un ordine inibitorio da parte del Giudice, sono l'azione di reclamo (per tutelare il diritto della persona ad usare il proprio nome contro l'atto del terzo, anche non in mala fede, che ne impedisce l'uso) e l'azione di usurpazione, esperibile in caso di indebito uso del nome, la quale però richiede un pregiudizio anche solo potenziale. Il diritto al nome si perde con la morte, ma esistono situazioni nelle quali il nome viene contestato o usurpato anche dopo la morte. Art. 8 “Nel caso previsto dall'articolo precedente, l'azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d'essere protette.” In alcuni casi, perciò, la tutela del diritto al nome può essere richiesta anche dai parenti. Anche uno pseudonimo può essere tutelato allo stesso modo del nome. Come conseguenza della capacità giuridica, inoltre, vengono acquistati dall’individuo altri diritti (diritti della personalità), tra i quali il diritto al nome, o il diritto all’immagine (Art. 10 “Qualora l'immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l'esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l'autorità giudiziaria, su richiesta dell'interessato, può disporre che cessi l'abuso, salvo il risarcimento dei danni”). La norma tutela l'interesse del soggetto a che la sua immagine non venga diffusa o esposta pubblicamente, e va ricollegato con gli artt. 96-97 della legge sul diritto d'autore (L. 633/1941). L'art. 96, nello specifico, impedisce che l'immagine di una persona possa essere esposta, pubblicata o messa in commercio senza consenso di questa (primo limite è quindi la volontà del soggetto tutelato). L'art. 97, invece, da un lato permette la riproduzione quando questa risulti giustificata dalla notorietà o dall'ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici e culturali, ovvero dal collegamento a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltisi in pubblico; d'altro lato, vieta l'esposizione o la messa in commercio dell'immagine quando ciò rechi pregiudizio all'onore, alla reputazione e al decoro della persona ritratta. La protezione dell'immagine spetta in primis alla persona (fisica ma anche giuridica, come ha più volte chiarito la giurisprudenza) interessata: vi è però l'estensione del diritto ad agire in giudizio anche ai familiari/parenti più prossimi (coniuge, genitori e figli), nell'ottica costituzionalmente orientata di solidarietà familiare. All’evento nascita, si collega anche il tema del controllo del corpo. Art. 5 CC: “Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all'ordine pubblico o al buon costume”. L'atto dispositivo è in generale vietato, salva la legittimità dello stesso qualora rispetti i limiti previsti dall'articolo in questione. Il consenso prestato per un atto legittimo può comunque in ogni tempo essere revocato dal consenziente. Il limite di carattere speciale, sancito dalla norma, pone la menomazione irreversibile quale discrimen tra ciò che è ammissibile (es. la donazione del sangue, espressamente consentita e disciplinata dalla L. 592/1967) e ciò che è vietato (es. il trapianto di cornea di persona vivente, che pregiudicherebbe irrimediabilmente la funzione della vista). Nel momento in cui vengono meno le capacità psico-fisiche che permettono di riconoscere le proprie responsabilità giuridiche e provvedere a sé stesso, il Codice regola determinate situazioni di incapacità speciale (eccezioni alla capacità generale di intendere e volere) a tutela dell’individuo: 1. In una prima situazione, l’individuo è normalmente capace, ma perde la capacità di intendere e volere. L'art. 428 c.c. è posto a tutela di soggetti che, pur legalmente capaci, compiano determinati atti trovandosi in stato di incapacità di intendere o volere. La situazione di incapacità non deve essere permanente, potendo anche essere transitoria; l'atto deve essere gravemente pregiudizievole per l'autore. “… gli atti compiuti, possono essere annullati su istanza della persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all'autore …”. Per l'annullabilità relativa degli atti compiuti in uno stato di semplice incapacità naturale, da persona incapace d'intendere o di volere ma non interdetta, diventa presupposto necessario "un pregiudizio grave" dell'autore, ossia un molto sensibile danno risentito da chi, per le sue speciali condizioni, appare essersi trovato, al momento dell'atto, in uno stato d'incoscienza o comunque in uno stato di perturbamento tale da non permettergli la comprensione e la valutazione del rilevantissimo nocumento cui con quell'atto si esponeva (es. vendita di una casa a 1/10 del prezzo di mercato). Se risulta la malafede del contraente, l’atto viene annullato. In caso il contraente fosse in buonafede, il contratto invece non viene annullato, poiché l’esigenza di tutela dell’affidamento (contraente fa affidamento sula validità del contratto, perché inconsapevole dello stato di menomazione psico-fisica in cui versa il soggetto) prevale sull’esigenza di tutela dell’incapace. “…l'annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d'intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell'altro contraente”. La malafede del contraente e il grave pregiudizio (danno) sono due condizioni che devono sussistere contemporaneamente per l’annullamento dell’atto. Ci sono però casi in cui è possibile tenere conto della “qualità del contratto”. In queste situazioni particolari, nell’istanza in cui siano presenti grave pregiudizio e buonafede, il giudice può far prevalere il grave pregiudizio, annullando il contratto. In conclusione, grave pregiudizio e malafede producono sempre l’annullamento, mentre in alcune circostanze (contratto di donazione…) la scelta spetta al giudice. Esempio 1: vendita di un immobile a prezzo molto minore del prezzo di mercato: vendita può essere annullata solo in presenza di entrambe le condizioni (grave pregiudizio e malafede (persona che ha comprato si è approfittata della mia condizione)). Se è presente grave pregiudizio e buonafede, prevale la tutela dell’affidamento. Esempio 2: donazione di rolex, quando si è sotto effetto di sostanze: la situazione è di grave pregiudizio, e si supponga contraente in buona fede. In questo caso, il giudice deve valutare quale delle due condizioni prevale. A tutela ulteriore (oltre la tutela normale della buona fede negoziale) in favore dell'altro contraente, è stabilito che l'azione di annullamento non si possa far valere che in un termine relativamente breve, ossia entro cinque anni dalla cessazione dello stato di incoscienza. 2. Nel caso la perdita della capacità di intendere e volere perduri, il legislatore introduce 3 rimedi: Interdizione: art.414 c.c. “Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.” Necessario accertare che l’impossibilità di provvedere ai propri interessi (non sia in grado di indicare la propria data di nascita, non appaia orientato nel tempo, non conosca il valore delle banconote mostrate…) sia abituale. L’abitualità indica uno stato di malattia duraturo non necessariamente inguaribile, e non deve confondersi con la continuità o perpetuità, potendo l’infermità essere anche saltuaria ed intermittente; ne consegue che l’esistenza di lucidi intervalli non ostacola la pronuncia di interdizione. Negli atti dello Stato Civile sono elencate le persone interdette. Le ragioni dell’interdetto prevalgono sempre nei confronti di un altro soggetto in caso di attività giuridica con questo. Questa è la grande differenza con l’articolo 428 c.c. Al soggetto interdetto viene attribuito un sostituto (tutore) per lo svolgimento dell’attività giuridica che il primo non può più svolgere. Inabilitazione: art.415 c.c “Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all'interdizione , può essere inabilitato. Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcooliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici. Possono infine essere inabilitati il sordo e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un'educazione sufficiente, salva l'applicazione dell'articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.” Inabilitazione comporta la perdita parziale della capacità di agire (riguarda solo gli atti di straordinaria amministrazione, quelli che incidono sulla consistenza patrimoniale dell’inabilitato (es. vendita casa…)) e la nomina di un curatore (il curatore non si sostituisce, come il tutore, alla persona inabilitata: egli solamente assiste ma non rappresenta (es. serve il consenso del curatore per la vendita di casa, il quale si “aggiunge” a questa decisione). A differenza, nel caso dell’interdizione, la perdita della capacità d’agire è totale. L’inabilitato può continuare l’esercizio dell’impresa commerciale solo se autorizzato dal tribunale, e con l’assistenza del curatore. Amministrazione di sostegno (ADS): art.404 c.c. “La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.” È una misura meno drastica rispetto alle altre due, che tutela la persona tramite assistenza per mezzo di un amministratore di sostegno. In questo caso il soggetto non perde la capacità di agire. Interdizione e inabilitazione si producono con sentenze, mentre l’ADS tramite decreto. Atti compiuti dall'interdetto e dall'inabilitato: Art.427 c.c. “Nella sentenza che pronuncia l'interdizione o l'inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell'autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'interdetto senza l'intervento ovvero con l'assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l'ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall'inabilitato senza l'assistenza del curatore. Gli atti compiuti dall'interdetto dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati su istanza del tutore, dell'interdetto o dei suoi eredi o aventi causa. Sono del pari annullabili gli atti compiuti dall'interdetto dopo la nomina del tutore provvisorio, qualora alla nomina segua la sentenza di interdizione”. Gli atti compiuti da chi è stato giudizialmente interdetto, dopo la sentenza d'interdizione possono essere impugnati, per annullabilità relativa, dal tutore o dai successori dell'interdetto. Altrettanto può aver luogo, per impulso dell'inabilitato o dei suoi successori, in condizioni analoghe contro gli atti di lui eccedenti la semplice amministrazione, dopo la sentenza di inabilitazione o dopo la previa adeguata nomina del curatore provvisorio. LEZIONE 3 (27/09/2022) PRIVACY PER L’IMPRESA: normativa e trattamento dei dati personali: La privacy nasce dall’intuizione di due studiosi: Samuel Warren, avvocato con una moglie molto vicina alla vita mondana, la quale iniziava ad essere immortalata dalle prime macchine fotografica, e Luis Brandeis, noto avvocato e giurista ebraico che osserva che ogni problema dell’epoca viene attribuito alle minoranze. Essi identificano che i due problemi della privacy sono collegati: non entrare nel mio giardino; non fare discriminazioni. Essi hanno un’idea, per l’epoca rivoluzionaria: il diritto ad essere lasciati soli (“the right to be let alone”). “The Right to Privacy” è il celeberrimo paper di Warren e Brandeis pubblicato sulla più famosa rivista giuridica statunitense, la Harvard Law Review, nel 1890. Invoca il diritto di essere lasciati soli, analizzando tutti gli aspetti del rapporto tra diritto ad informare, diritto ad essere informati e diritto alla riservatezza. Solo 50 anni dopo in Europa si inizia a parlare di privacy. Massimo Ferrara Santamaria nel 1937 postula il concetto di privacy nella “Rivista di Diritto Privato”, con un saggio dal titolo: “il diritto alla illesa intimità privata” (diritto a non essere violati nella propria sfera privata). La dottrina sulla privacy evolve in Italia principalmente grazie ad alcuni casi difficili ed emblematici dei nuovi problemi derivanti dall’utilizzo di mezzi di comunicazione e dei nuovi strumenti tecnologici. Alcune sentenze hanno permesso di dare un impulso forte alla tutela della privacy, sancendo uno pseudo-diritto poi codificato dal legislatore: Cass. Civ. 22 dicembre 1956, n. 4487: Dopo la morte del tenore napoletano Caruso, è stato fatto un film sulla sua storia (“leggenda di una voce”) nel quale alcune scene vengono contestate dalla famiglia, poiché lesive a sia a lui, che alla famiglia stessa; Cass. Civ. 20 aprile 1963, n. 990: Amante di Mussolini, Claretta Petacci, fu oggetto di articoli sulla propria persona. In cassazione viene data ragione alla famiglia Petacci, poiché gli articoli erano lesivi al decoro, all’onore della famiglia Petacci; Cass. Civ. 27 maggio 1975, n. 2129: ex moglie dello shah di Persia ha perso il mantenimento a causa di foto che la ritraevano in situazioni amorose con un altro uomo. La sentenza stabilì che le foto danneggiarono la signora. Cos’è la privacy? Definizione privacy (fine anni ’90): La privacy è nata come diritto dell’individuo borghese a escludere gli altri da ogni forma di invasione della propria sfera privata, la tutela della privacy si è sempre più strutturata come diritto d’ogni persona al mantenimento del controllo sui propri dati, ovunque essi si trovino, così riflettendo la nuova situazione nella quale ogni persona cede continuamente, e nelle forme più diverse, dati che la riguardano, sì che la pura tecnica del rifiuto di fornire le proprie informazioni implicherebbe l’esclusione da un numero crescente di processi sociali, dall’accesso alle conoscenze, dalla fornitura di beni e servizi. In questo momento storico, il termine «privacy» sintetizza appunto un insieme di poteri che, originati dall’antico nucleo del diritto a essere lasciato in pace, si sono via via evoluti e diffusi nella società proprio per consentire forme di controllo sui diversi soggetti che esercitano la sorveglianza. […] Questa più complessa dimensione può essere colta, e valorizzata, solo se si prendono le mosse dall’arricchirsi della nozione di privacy, del suo sviluppo come diritto all’autodeterminazione informativa, del sempre più marcato suo configurarsi piuttosto come diritto alla protezione dei dati personali. Stefano Rodotà (giurista, prima garante della privacy in Italia) Attualmente il termine privacy è usato per sintetizzare un insieme di valori, un insieme di forme di controllo sulla propria sfera personale. Il concetto di privacy è ulteriormente più complesso rispetto alla definizione fornita negli anni ‘90, e include anche la sfera della data protection (proteggere non solo la sfera personale, ma proteggere anche i dati che mi riguardano) e data governance (gestione dei dati personali). Evoluzione normativa: Direttiva UE 46/95: se uno Stato non adotta una protezione dei dati, non può far parte dell’Unione Europea; L. 675/96: l’UE obbliga l’Italia ad adottare una legge sulla protezione dei dati, ma si rivela un disastro e viene abrogata dopo 7 anni; D. Lgs. 196/2003: viene istituito il Codice Privacy, ancora oggi in vigore; Regolamento UE 679/2016: viene introdotto il GDPR, che stabilisce una regolamentazione uniforme, valida per tutti coloro che trattano dati di europei (anche in sedi al di fuori dell’Europa). I regolamenti sono direttamente applicabili in ogni Stato dell’Unione da subito. È stato tuttavia dato un periodo agli Stati per adeguarsi (regolamento in vigore ma non applicato) fino al 2018; D. Lgs. 101/2018: viene modificato il Codice Privacy per renderlo conforme al GDPR. Il General Data Protection Regulation (GDPR), approvato nel 2016 e divenuto operativo nel 2018, è relativo alla protezione delle persone fisiche, con riguardo al trattamento dei dati personali, nonché alla libera circolazione di tali dati. Il suo scopo è rafforzare e rendere più omogenea la protezione dei dati personali dei cittadini e dei residenti dell’UE, sia all’interno che all’esterno dei confini dell’UE. L’obiettivo, perciò, non è tutelare i dati in sé, ma tutelare le persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali e alla libera circolazione dei dati. Si applica alle persone fisiche (non giuridiche, come enti, aziende, partiti, comitati…), e si applica a tutti i dati connessi con attività professionali/commerciali (non quelli aventi carattere personale o domestico), e personali (no informazioni anonime). Il GDPR si applica a: Cittadini dell’UE; Soggetti non europei stabilmente situati nell’UE (persone non europee che vivono nell’UE, azienda straniera con filiale in UE…); dati di soggetti che acquistano beni e servizi nell’UE; dati di soggetti con monitoraggio del comportamento nell’UE. Come si nota, la territorialità e stata estesa in modo enorme, con un bacino di soggetti potenzialmente interessati pari al mondo. Dati personali: Informazioni che identificano o rendono identificabile, direttamente o indirettamente, una persona fisica e che possono riguardare le sue caratteristiche, le sue abitudini, il suo stile di vita, le sue relazioni personali, il suo stato di salute, la sua condizione economica… Distinzione in due macrocategorie: 1. Dati comuni: a. Dati che permettono l’identificazione diretta: dati anagrafici (nome, cognome…) e immagini; b. Dati che permettono l’identificazione indiretta: numero di identificazione (CF, targa, indirizzo IP…); 2. Categorie particolari di dati: a. Dati sensibili: riguardano l’origine etnica, le convenzioni religiose, le opinioni politiche, l’appartenenza sindacale, lo stato di salute, la vita sessuale (art. 9 GDPR); b. Dati giudiziari: relativi a condanne penali e reati (provvedimenti penali di condanna definitivi, misure di sicurezza, misure alternative alla detenzione…). (art. 10 GDPR); Le parti in gioco (art. 4 GDPR): Interessato: persona fisica a cui si riferiscono i dati personali; Titolare: persona fisica, autorità pubblica, impresa, ente pubblico o privato che adotta le decisioni sugli scopi e sulle modalità di trattamento (soggetto che decide quali dati vanno raccolti, trattati, come e perché). Es. il Comune, titolare dei dati, decide quali dati devono essere portati dall’interessato affinché possa essergli fornita la sua carta d’identità; Responsabile: persona fisica o giuridica a cui il responsabile affida, anche all’esterno della sua struttura organizzativa, specifici compiti di gestione e controllo - per il suo conto – del trattamento dei dati. Es. azienda Beta, responsabile, si occupa dell’esazione delle tasse per conto del Comune, il quale affida all’azienda una serie di dati Ripensare la privacy: Bisogna ripensare il modello di gestione dei dati personali, avendo cura di comprendere fin dall’inizio quale sia il ciclo di vita del dato personale e di strutturare le attività di trattamento al meglio, progettando e ricostruendo l’architettura sulla base del paradigma della privacy. Si parla di: Privacy by design (art.25 GDPR): Il titolare del trattamento deve mettere in atto misure tecniche e organizzative volte ad attuare in modo efficace i principi di protezione dei dati e a integrare nel trattamento le necessarie garanzie al fine di tutelare i diritti degli interessati. Pensare i prodotti e servizi in ottica di tutela dei dati personali. Privacy by default (art.25 GDPR): Il titolare del trattamento deve mettere in atto misure tecniche e organizzative adeguate per garantire che siano trattati, per impostazione predefinita, solo i dati personali necessari per ogni specifica finalità del trattamento. ES: se al titolare servono solo nome, cognome e indirizzo, il titolare by default non deve chiedere niente di più, a meno che non sia volontà dell’interessato dare dati in più Si introduce così il concetto di minimizzazione, “i dati personali sono adeguati, pertinenti e limitati a quanto necessario rispetto alle finalità per le quali sono trattati («minimizzazione dei dati»)”. La minimizzazione, perciò, non è altro che la riduzione dei dati a quelli che sono strettamente necessari. Non bisogna trattare altri dati oltre a quelli che servono. Per pseudonimizzazione, invece, si intende il trattamento dei dati personali in modo tale che i dati personali non possano più essere attribuiti a un interessato specifico senza l'utilizzo di informazioni aggiuntive, a condizione che tali informazioni aggiuntive siano conservate separatamente e soggette a misure tecniche e organizzative intese a garantire che tali dati personali non siano attribuiti a una persona fisica identificata o identificabile. Lo pseudonimo è un codice che collega ad un’informazione, senza fornire quell’informazione (es. Mario Rossi associato al codice 156 (pseudonimo). Chiunque dovesse appropriarsi dei dati non può usufruirne senza conoscere a che persona viene associato lo pseudonimo). Per l’anonimizzazione, i principi di protezione dei dati non dovrebbero pertanto applicarsi a informazioni anonime, vale a dire informazioni che non si riferiscono a una persona fisica identificata o identificabile o a dati personali resi sufficientemente anonimi da impedire o da non consentire più l’identificazione dell’interessato. (Es. se scorporo i dati di Mario Rossi, ponendoli assieme a quelli di tutti gli altri clienti, non è possibile risalire a Mario Rossi, poiché in questo esempio non si considera la presenza di pseudonimo che colleghi la persona al dato). I dati anonimi sono utilizzati per la creazione di statistiche. Adempimenti essenziali: 1. Informativa e consenso: 2. Misure di sicurezza 3. Gestione di un data breach (gestione della violazione dei dati personali) 4. Nomina Data Protection Officer (DPO) 1. INFORMATIVA e CONSENSO: Art.13 GDPR: elenca in modo puntuale gli elementi che il titolare del trattamento deve inserire all’interno dell’informativa. L’informativa, quindi, è quel documento che mostra cosa il titolare fa con determinati dati. L’art.13 elenca le informazioni che devono essere contenute nell’informativa. I suoi requisiti formali sono: Essere consegnata per iscritto Essere in formato elettronico (vale anche l’e-mail) Usare un linguaggio chiaro e semplice Essere accessibile Il consenso è definito dall’art.4 del GDPR come “qualsiasi manifestazione di volontà libera, specifica, informata e inequivocabile dell'interessato, con la quale lo stesso manifesta il proprio assenso, mediante dichiarazione o azione positiva inequivocabile, che i dati personali che lo riguardano siano oggetto di trattamento”. L’art.7 afferma che sia necessario: Che sia dimostrabile la concessione del consenso (non per forza il consenso deve essere scritto, si parla di azione inequivocabile generica, però se scritto risulta più facile da dimostrare); Che la revocabilità del consenso sia facile; Che ci sia libertà nella concessione del consenso. 2. MISURE DI SICUREZZA: Il titolare e il responsabile del trattamento devono mettere in atto misure tecniche e organizzative per garantire un livello di sicurezza adeguato. La sicurezza è stato un aspetto trascurato negli anni passati, soprattutto nelle piccole realtà, a causa dei costi degli strumenti (soprattutto tecnologici) e dell’errata convinzione di non essere oggetto di attacchi (anche informatici). In ambito privacy, per “rischio” si intende uno scenario descrittivo di un evento e delle relative conseguenze, che sono stimate in termini di gravità e probabilità per i diritti e le libertà degli interessati. Il rischio può essere calcolato tramite la seguente tabella: Il rischio non si riferisce al titolare ma al soggetto interessato, e corrisponde ad un insieme di effetti relativi al trattamento: Per ridurre la probabilità di un attacco cyber è necessario: Effettuare una corretta valutazione dei rischi; Formare i dipendenti; Aggiornare continuamente; Investire denaro. La compliance è la funzione aziendale con lo scopo di curare la correttezza delle procedure e il rispetto delle norme collegate al GDPR. È estremamente importante, poiché violazioni dei dati personali possono portare a multe fino al 4% del fatturato annuo di un’impresa. Ciò comprende la somma di tutto il fatturato, di tutto il gruppo nel quale l’azienda è collocata. 3. DATA BREACH: Violazione di dati personali idonea a comportare, accidentalmente o in modo illecito, la distruzione, la perdita, la modifica, la divulgazione non autorizzata o l’accesso ai dati personali trasmessi, conservati o comunque trattati. Secondo l’art.33 e 34 del GDPR, in caso di violazione dei dati personali, il titolare del trattamento deve notificarla: All’Autorità di controllo competente entro 72 ore dalla scoperta, a meno che sia improbabile che la violazione dei dati personali presenti un rischio per i diritti e le libertà delle persone fisiche; All’interessato, a meno che il titolare non possa scongiurare rischi per l’interessato o che la comunicazione comporti sforzi sproporzionati. 4. DPO: Il Data Protection Officer (DPO), in italiano Responsabile della Protezione dei Dati (RPD), è un soggetto chiamato a facilitare l’osservanza delle disposizioni dettate dal GDPR. Secondo l’art.37 GDPR, il DPO «è designato in funzione delle qualità professionali, in particolare della conoscenza specialistica della normativa e delle prassi in materia di protezione dei dati, e della capacità di assolvere i compiti di cui all’art.39». NUOVE TECNOLOGIE e IMPRESA: Data governance e technology: PRIVACY è un termine inglese che evoca significati a volte mutevoli, accostabile ai concetti di “riservatezza”, “privatezza”. Nella realtà contemporanea, con il concetto di privacy non si intende soltanto il diritto di essere lasciati in pace o di proteggere la propria sfera privata, ma soprattutto il diritto di controllare l'uso e la circolazione dei propri dati personali che costituiscono il bene primario dell'attuale società dell'informazione. Il diritto alla privacy e, in particolare, alla protezione dei dati personali costituisce un diritto fondamentale delle persone, direttamente collegato alla tutela della dignità umana, come sancito anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione Europea. AUTORITÀ GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI Dalla data protection alla data governance: L’attuazione di una data governance, nell’ottica del legislatore europeo, passerà necessariamente attraverso una preliminare fase di studio e individuazione delle caratteristiche tipiche della propria struttura, delineazione dei processi che sovrintendono alla gestione dei dati per tutto il loro ciclo di vita (raccolta, trattamento, trasferimento, messa in sicurezza e distruzione del dato stesso), formalizzazione di tali processi e delle procedure che dovranno verificare la messa in opera degli stessi e, infine, l’adozione di sistemi correttivi nel caso in cui tali processi risultino non aderenti o non idonei rispetto alla realtà di riferimento. P. Perri Attuare una data governance significa mettere in atto processi organizzativi nell’impresa tesi non soltanto a garantire il rispetto formale della propria privacy, ma anche ad assicurare che ci sia una tutela concreta dei dati. Questo naturalmente ha un costo, suddiviso in: Informativa e consensi Valutazione d’impatto della privacy Misure di sicurezza adeguate ed efficaci Gestione degli incarichi Registro delle attività di trattamento Responsabile Protezione Dati Revisione periodica Aspettative di spesa per piccole-medie imprese americane per attuare la privacy La privacy, tuttavia, non è solo un costo ma può essere anche un asset, in termini di: 1. Affidabilità e trustability; 2. Differenziazione dai competitor; 3. Posizione di vantaggio nel mercato; 4. Valorizzazione banche dati; 5. Evitare sanzioni; 6. Reagire proattivamente. 1. AFFIDABILITA’ e TRUSTABILITY (fiducia generata dall’azienda): Ad esempio, dopo lo scandalo Cambridge Analytical (fu rivelato che Cambridge Analytica aveva raccolto i dati personali di 87 milioni di account Facebook senza il loro consenso e li aveva usati per scopi di propaganda politica), la percentuale di persone che concordavano riguardo l’impegno di Facebook nel proteggere la privacy delle loro informazioni personali crollò.A questo fatto, succedette anche una riduzione importante del valore delle azioni dell’azienda. Un danno alla privacy, si è così rivelato una perdita di milioni di euro. 2. DIFFERENZIARSI DAI COMPETITOR: DuckDuckGo, motore di ricerca meno noto, ha fatto del rispetto della privacy il proprio business core. Questa differenziazione ha portato ad un notevole aumento delle ricerche fatte con questo sito. 3. POSIZIONE DI VANTAGGIO: La posizione di vantaggio fornita dalla privacy può essere intesa non solo in senso di mercato. Ad esempio, Trump riuscì a sfruttare al massimo i dati dell’elettorato (tramite targhettizzazioni dell’elettorato fatte da società esterne) per farsi largo nella politica statunitense. Poté, in questo modo, fare affermazioni e promesse targettizzate ai singoli Stati, alle singole città, addirittura alle singole contee. 4. VALORIZZAZIONE BANCHE DATI: I dati sono un valore da sfruttare. Il modo in cui sfruttarli, però, dipende dal business. Studiando la clientela, ed i seguenti tipi di dati, è possibile comprendere meglio come agire: Dati dei clienti (anagrafiche, indirizzi, pagamenti): qual è l’età media della clientela? Come aumentare questo bacino di clientela? Dati di contatto (email, telefono, social): qual è la strategia migliore per vendere in base ai siti che l’utente guarda? Dati sugli acquisti: conoscendo gli acquisti passati è possibile proporre prodotti simili e/o complementari Dati istantanei e storici sul comportamento dei clienti Dati statistici Dati profilati Dati di terzi Il valore dei nostri dati personali è 50 mila euro. Tutta la nostra vita, 40 anni di interazioni, foto, contatti possono valere un tesoro secondo le stime di InTribe. In più, il profilo statico di un manager vale 1 euro, quello di una manager 0,89. 5. EVITARE SANZIONI: Sanzioni economiche: Da 10.000 a 10 milioni di euro: Per violazione di principi fondamentali da 20.000 a 20 milioni di euro: In caso di non sufficiente effetto sanzionatorio, aumentabili fino al 4% del fatturato globale annuo Sanzioni penali: da 6 mesi a 6 anni di reclusione Multe partono dal 2018, anno in cui diventa operativo il GDPR, ma un certo periodo le sanzioni vengono mitigate, per permettere alle aziende di adeguarsi. Dal 2019, le sanzioni iniziano ad essere applicate in modo massiccio. Da notare che il numero di sanzioni per violazione del GDPR aumenta di anno in anno. 6. REAGIRE PROATTIVAMENTE: Conoscere la privacy è utile anche per reagire proattivamente, ovvero riuscire a risolvere un problema prima che si presenti. Ad esempio, adeguarsi subito nel momento in cui esce una normativa, evitando in questo modo sanzioni. (ES: validità Privaty Shield: caso Irlanda-Facebook) Investire nella privacy ha un ritorno economico diretto. Il 47% delle imprese ha beneficiato della privacy più del doppio del costo speso per implementarla. INNOVATION, BIG DATA & ARTIFICIAL INTELLIGENCE: L’innovazione oggi è una delle voci di costo maggiori nelle grandi imprese. Investire in innovazione porta guadagno e grazie al Covid e PNRR, c'è una forte spinta (fondi, soldi) verso innovazione. Si parla di big data quando si ha un insieme talmente grande e complesso di dati che richiede la definizione di nuovi strumenti e metodologie per estrapolare, gestire e processare informazioni entro un tempo ragionevole. Quando si parla di big data, bisogna tenera in considerazione: Volume (quantità) Varietà (differenti tipologie) Velocità (generazione e movimento) Veridicità (affidabilità dei dati e delle analisi) Valore (trasformare dati in valore economico) Le persone creno una mole enorme di dati. Alcuni vengono forniti involontariamente, altri vengono diffusi inconsapevolmente, tramite i social ad esempio. Si stima che nel 2035 saranno generati 2142 zettabyte di dati (1 zettabyte pari a 1 milione di terabyte). Il ritorno economico dei big data, nel 2022, è stato di circa 70 miliardi di dollari. Più i dati aumentano, e più aumenta il loro valore (più diversità dei dati...). Il ritorno medio degli investimenti in intelligenza artificiale, invece, è stimato al 30% (per ogni 100 euro investiti, ne guadagno 130). Le aziende possono infatti sfruttare queste tecnologie in moltissimi modi. Ad esempio, compagnie minerarie hanno aumentato la produttività del 20% usando camion autonomi e tecnologie di perforazione basate su AI. Anche in questo settore, è importante muoversi prima. Tutte le aziende che si sono avvantaggiate nel settore della trasformazione digitale prima del Covid, hanno evitato che la pandemia le travolgesse. LEZIONE 4 (04/10/2022) SOGGETTI DEL DIRITTO DIVERSI DA PERSONE FISICHE (ENTI): Tempo fa la differenza tra soggetti che svolgono attività economica e soggetti che svolgono attività non economica (es. associazioni studentesche) era molto più marcata. Questa differenza si è affievolita attualmente, poiché è stata accettata l’idea che anche gli enti creati senza finalità di lucro possono svolgere attività economica (es. partiti…). D’altro canto, molte altre aziende sono mutate diventando no-profit. La distinzione basata sul tipo d’attività svolto, perciò, non è più così rilevante, tuttavia, volendo fare una classificazione, la distinzione si articola nel seguente modo: I soggetti di diritto diversi dalle persone fisiche che non sono pensati per lo svolgimento dell’attività economica sono: le associazioni, i comitati, le fondazioni, e sono disciplinati nel primo libro del Codice civile (sono enti senza finalità di lucro); Gli enti pensati per svolgimento di attività economica imprenditoriale sono le società (disciplinate nel quinto libro del c.c.). L’ente, in generale, è una qualifica puramente giuridica. L’ente è una formazione/aggregazione sociale, composta da due elementi tangibili (persone fisiche che lo compongono e patrimonio, ovvero i beni raccolti e destinati ad un interesse comune), e un elemento intangibile (interesse che spinge alla creazione dell’ente). Alcune attività umane, infatti, non possono essere efficacemente svolte a livello individuale. La dimensione e il rischio d’impresa che derivano da quest’ultima portano le persone ad aggregarsi creando un ente, all’interno del quale avviene poi un processo di specializzazione dei singoli soggetti fisici. La Costituzione, all’art.2, afferma che “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo, sia come singolo, sia nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale”. Le formazioni sociali, ovvero gli enti, sono dei luoghi ideali nei quali si svolge la personalità di un individuo. Questo sta a significare che non basta lo Stato affinché gli individui maturino dal punto di vista personale. Sono necessari gli enti, i quali si sostituiscono talvolta alla Stato in alcune attività (es. terzo settore, che raccoglie fenomeni di associazionismo che svolge attività soprattutto di cura della persona), ed in alcuni casi oltre a sostituirlo provano anche a sovvertirlo (associazioni mafiose). In alcuni ordinamenti mondiali del presente o passato, gli enti intermedi che sostituiscono lo Stato sono malvisti. In altri, non vengono posti limiti alla creazione di associazioni enti, a patto che abbiano una natura lecita. Ente pubblico: Lo Stato stesso, e le sue articolazioni, sono enti (es. Regione, Comune, Provincia…). Tuttavia, la differenza che li contraddistingue risiede nel fatto che sono enti di diritto pubblico, ovvero enti governati dal diritto amministrativo, e si rapportano all’individuo ponendosi al di sopra di questo, non secondo un principio di uguaglianza. L’ente pubblico può usufruire dei suoi poteri autoritativi, ma tuttavia può comportarsi anche come privato (es. può espropriare, ma può anche comprare, …). Gli enti pubblici hanno, perciò, una doppia capacità giuridica (di diritto pubblico e di privato). Gli enti privati, al contrario, non hanno poteri specifici, a meno di determinate circostanze. Come già detto, lo Stato necessita di enti per il perseguimento delle finalità generali. Tra le funzioni che possono essere svolte dallo Stato, è presente anche l’esercizio dell’attività d’impresa, ovvero, può creare enti senza proprietario (enti pubblici di interesse economico), dotati di capacità di diritto pubblico. Come conseguenza, sono comparsi sul mercato enti di diritto pubblico che svolgono attività economica privata (es. poste…), allo stesso modo delle imprese private. Attraverso questi enti, lo stato diventa imprenditore. La differenza dell’attività economica gestista tramite con forma di diritto pubblico consiste nella mancanza di persone che perseguono una finalità comune, poiché queste sono sostituite dallo Stato, e nella provenienza del patrimonio (proviene dallo Stato stesso). Inoltre, l’imprenditore crea l’impresa per finalità di lucro soggettivo, ossia vuole che l’esercizio produca utili di cui vuole poi entrare in possesso. In linea di principio, quindi, se lo Stato creasse attività d’impresa dovrebbe avere lo stesso fine. Tuttavia, allo Stato va bene anche se l’esercizio venga chiuso in pario in perdita, a patto che venga erogato un servizio ai cittadini (es. non converrebbe aprire ufficio postale in paese sperduto, ma è necessario per offrite un servizio a tutti). È prevalente l’interesse dell’erogazione di un servizio, piuttosto che l’interesse per la produzione di utile. Lo Stato può avere un comportamento di questo tipo sul mercato, poiché non può fallire (al massimo ripiana (es. Alitalia)). Nel trattato dell’UE, tuttavia, viene citato come non si possano ammettere forme di falsificazione della concorrenza. Ciò spinse all’uscita dal mercato di tutti gli Stati appartenenti all’UE, attraverso processi di privatizzazione (lo Stato esce dal mercato rinunciando ad essere proprietario dell’attività di impresa, passando la proprietà ad altri), affinché tutti i settori potessero essere regolati dal principio della libera concorrenza. La privatizzazione ha richiesto di trasformare un ente pubblico economico da enti di diritto pubblico a enti di diritto privato. Ovvero, ha richiesto la trasformazione di un ente pubblico economico in società per azioni, con successiva collocazione del capitale sociale sul mercato, in modo che la maggioranza delle quote possa passare in mano a privati. Affinché possa avvenire la privatizzazione, infatti, il capitale sociale deve essere contendibile, poiché se lo Stato detenesse il 100% delle quote, cambierebbe poco. Gli Stati si sono tuttavia riservati dei diritti, come la golden share (poteri speciali che possono essere esercitati dal governo, tra cui quello di nominare un proprio membro nel consiglio di amministrazione della società oggetto di privatizzazione che, a differenza degli altri componenti dell'organo di governo dell'impresa, goda di poteri più ampi). Gli enti pubblici godono di un privilegio, poiché possono esercitare poteri sostitutivi a quelli dello Stato. Esistono casi in cui si riconoscono immediatamente gli enti privati (associazione per il verde del quartiere…) e gli enti pubblici (regione…). In altri casi, però, è più difficile riconoscere l’entità dell’ente (es. regione crea società per il trasporto pubblico urbano, posseduta per una certa percentuale da un privato). In questo caso è difficile stabilire se la natura è pubblica o privata, tanto che la Corte di Giustizia ha stabilito che per definire la natura è necessario osservare 3 indici: 1. Provenienza risorse che l’ente utilizza (se l’ente preleva risorse dal bilancio dell’ente pubblico, l’indicatore punta verso l’ente pubblico); 2. Nomina della maggioranza degli amministratori (anche se non sempre i soci con maggioranza nominano la maggioranza degli amministratori. Se l’ente pubblico si riserva la possibilità di nominare la maggioranza degli amministratoti, prevale la natura pubblica); 3. Modalità con la quale viene svolta l’attività (pubblico se il soggetto è dotato di poteri autoritativi, che fanno presupporre una disparità tra il soggetto ed i suoi clienti (es. potere di richiedere il biglietto su autobus…), privato altrimenti) Se tutti 3 questi elementi puntano verso l’ente pubblico, la natura è sicuramente pubblica, altrimenti, se presenti 2 su 3, si presuppone la natura pubblica, ma bisognerà controllare altri elementi. Importante stabilire la natura, in quanto se l’ente è pubblico sarà soggetto alle norme di diritto pubblico, nel bene e nel male, quindi, anche quando deve comprare dei beni (ad esempio). Pubblica amministrazione, infatti, non può comprare liberamente, ma deve seguire delle procedure di gara trasparenti, oggettive e non discriminatorie. Queste hanno un costo, ma danno la garanzia di acquistare la migliore offerta al miglior prezzo. Ente pubblico soggetto a delle regole a tutela della concorrenza. Responsabilità: Quando il proprietario dell’ente non è più lo Stato, bensì un privato, si modifica il tema della responsabilità (chi risponde in ultima analisi della gestione della società). La responsabilità è un concetto giuridico che presuppone che dell’attività compiuta dai soggetti, ci sia sempre una conseguenza, la quale ci orienta nei comportamenti (conseguenza del profitto ci orienta a una gestione efficiente, conseguenza di ripercussioni ci orienta verso un comportamento lecito…). Concetto di responsabilità patrimoniale: Art.2740 c.c. “Il debitore risponde dell'adempimento delle obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri...”. L’articolo sottolinea come il patrimonio (presente e futuro) del soggetto sia garanzia del soddisfacimento del debito del soggetto nei confronti di altri. Tutto il patrimonio di un individuo, presente e futuro, è perciò soggetto alla soddisfazione degli enti che hanno reso una prestazione all’individuo. Questa conseguenza, perciò, ci rende responsabili, ed inoltre, anche al momento della morte, i debiti sussistono, venendo traslati ai successori. “…Le limitazioni della responsabilità non sono ammesse se non nei casi stabiliti dalla legge”. Esistono delle limitazioni della responsabilità, ma queste sono stabilite dalla legge. Il tema della responsabilità implica che un soggetto con capacità giuridica ma senza capacità d’agire (individuo minorenne) non ha una responsabilità limitata, la quale infatti risulta solo traslata ad altri (i genitori). In alcuni ordinamenti, una persona fisica può “fallire”, mentre nel nostro il fallimento è contemplato solo per le società. Il fallimento è una procedura per la quale tutto l’attivo viene destinato alla soddisfazione dei debiti. Responsabilità dell’ente: Quando un ente inizia a svolgere attività economica, chi risponde dei debiti dell’ente? Ovviamente, una persona fisica non avrebbe vantaggio ad aggregarsi ad un ente, se poi il patrimonio dei partecipanti fosse messo in pericolo dalle scelte dell’ente stesso. Tuttavia, se fosse solo l’ente a rispondere dei suoi debiti, essendo l’ente solo un’entità giuridica potrebbe essere possibile per l’individuo sfruttare questa condizione accumulando debiti che non verranno mai ripagati. Ciò, naturalmente, non può essere fatto da un individuo, in quanto a questo è associata una soggettività giuridica, e quindi un patrimonio. Rispondendo al quesito posto precedentemente, la limitazione di responsabilità per un ente, secondo legge, è possibile (per i debiti dell’associazione risponde solo l’associazione), ed è un’eccezione prevista dalla legge. È una conseguenza del provvedimento di riconoscimento, un provvedimento amministrativo che fornisce all’ente, se sussistono certe condizioni, personalità giuridica (ente viene personificato, e gli viene assegnato un patrimonio del quale risponde, allo stesso modo di una persona). Dei debiti dell’ente, perciò, risponde solo l’ente con il suo patrimonio, e questo non si mischia con il patrimonio dei componenti dell’ente). Se l’associazione non è riconosciuta, il creditore può rivolgersi anche a coloro che compongono l’ente, altrimenti, se l’ente è riconosciuto, questo gode di autonomia patrimoniale perfetta (il suo patrimonio non si mischia con il patrimonio di chi compone l’ente, e viceversa). Tuttavia, non è possibile accumulare debiti tramite l’ente, in quanto il riconoscimento è controllato, ovvero il prefetto valuta la congruità del patrimonio rispetto alla finalità che l’ente vuole perseguire (es. per un’associazione studentesca, bisogna valutare se il patrimonio previsto sia conforme e sufficiente per raggiungere gli obiettivi). Il sistema viene quindi detto concessorio, poiché il prefetto può negare il riconoscimento, sulla base di una verifica amministrativa. Il riconoscimento presuppone un controllo preventivo, ma anche dei controlli successivi, che possono portare alla revoca del riconoscimento. Per questo motivo, molte associazioni non sono riconosciute. Queste, infatti, preferiscono una maggiore discrezione nei loro confronti ai vantaggi forniti dal riconoscimento (es. partiti…). Per le società di capitali, l’autonomia patrimoniale perfetta (separazione del patrimonio della società da quello dei soci) è effetto automatico, dato dall’iscrizione della società nel registro delle imprese. I requisiti per l’iscrizione al registro delle imprese di una società di capitali (società per azioni, società in accomandita per azioni, società a responsabilità limitata) sono la presenza di patrimonio, sede, finalità dichiarata… ed altre informazioni che saranno poi rese pubbliche. Il sistema in questo caso è di tipo normativo, con l’iscrizione, date delle condizioni, è possibile ottenere l’autonomia patrimoniale perfetta. Per associazioni, comitati, fondazioni, la limitazione di responsabilità è garantita previo riconoscimento (sistema concessorio), mentre nel caso di società di capitali è garantita dopo l’scrizione nel registro delle imprese (sistema normativo). Sono enti non personificati: associazioni e comitati non riconosciuti, e società di persone (società semplice, società in nome collettivo, società in accomandita semplice); Sono personificati (godono di autonomia patrimoniale perfetta): associazioni riconosciute, fondazioni, società di capitali (spa, saba, srl). Enti no-profit e startup: Gli enti no-profit non sono enti che necessariamente non fanno profitto (il profitto può essere anche occasionale). La loro finalità, tuttavia, non è la divisione del profitto. Se questo viene generato, la natura dell’ente no-profit impone di reinvestire il profitto per le finalità dell’ente o accantonarlo per le finalità dell’ente stesso. Gli enti no-profit, quindi, generano profitto ma non nell’interesse dei partecipanti. Gli enti no-profit, e tutti gli enti ibridi rispetto a ciò previsto nel cc, sono stati messi in condizione di esistere con l’obiettivo che i privati potessero affiancare lo Stato nell’erogazione di servizi di un certo tipo (Es. ente pensionistico privato svolge attività economica, affiancando gli enti pubblici nella gestione della previdenza pubblica) Esistono, infine, società commerciali nelle quali il legislatore ha ritenuto di togliere temporaneamente il requisito del lucro (es. startup). Questo è stato fatto per attrarre gli investitori, fornendo loro delle agevolazioni fiscali (per i primi 5 anni la startup non può dividere gli utili, pena la perdita del titolo di startup innovativa e quindi perdita dei benefici fiscali per gli investitori). LEZIONE 5 (05/10/2022) Come visto, solo alcuni enti hanno personalità giuridica, ottenuta in seguito ad un riconoscimento o all’iscrizione al registro delle imprese. Art.12 c.c. “Le associazioni, le fondazioni e le altre istituzioni di carattere privato acquistano la personalità giuridica mediante il riconoscimento concesso con decreto del Presidente della Repubblica. Per determinate categorie di enti che esercitano la loro attività nell'ambito della provincia, il Governo può delegare ai prefetti la facoltà di riconoscerli con loro decreto.” Riconoscimento è dato dal prefetto quando l’associazione opera a livello nazionale, mentre è dato dalla Regione quando l’associazione ha ambito regionale (la personalità giuridica è comunque garantita a livello nazionale). Nel 1942, quando è entrato in vigore il codice, il controllo delle associazioni/fondazioni/comitati da parte da parte della Pubblica Amministrazione aveva una finalità politica (Stato voleva controllare cosa facessero questi enti), ma anche una finalità di mantenimento dell’ordine economico. Quando un ente senza fini di lucro riceve grandi somme di denaro, infatti, le sottrae al mercato, generando perdite di benessere (es. se curia riceve grandi donazioni, non genera con quel denaro valore aggiunto). Attraverso questo controllo, tuttavia, era possibile monitorare questi flussi di denaro. Se, per volontà di chi costituisce l’ente o per mancato riconoscimento da parte del prefetto, chi risponde dei debiti dell’ente NON riconosciuto? Art.38 cc “Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l'associazione i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente (tutte assieme) le persone che hanno agito in nome e per conto dell'associazione”. L’associazione non riconosciuta non ha un patrimonio, bensì le risorse confluiscono in un cosiddetto fondo comune. Individui terzi possono soddisfare i loro crediti dal fondo comune, ma anche dal patrimonio di coloro che hanno agito in nome e per conto dell’associazione stessa. Il codice non dice da quale di questi due fonti attingere per prima (possibile attingere tutto dal fondo e poi dai patrimoni, o viceversa). In questo modo, si proteggono coloro che pur associati non agiscono per conto dell’associazione, ponendo a rischio solo il patrimonio di coloro hanno concretamente svolto l’attività negoziale. Il rischio dell’associato semplice, al massimo, corrisponde alla quota di partecipazione versata nel fondo comune, che può essere persa. Nel caso il fondo comune ed i patrimoni non siano sufficiente ad estinguere il debito, secondo l’art.2740, il creditore ha il diritto di riscuotere anche le somme accumulate in futuro nel fondo comune e/o nei patrimoni. Si consideri ora l’amministratore di un’associazione non riconosciuta; quest’ultimo ha versato nel fondo comune il valore relativo alla quota di partecipazione, e di contro, nel suo patrimonio sarà presente la quota. Non si è, tuttavia, proprietari di quel valore, poiché si ha solo diritto a partecipare alla vita amministrativa dell’associazione; perciò, se l’amministratore si assume un’obbligazione per conto suo, separata dall’associazione (es. acquisto macchina) non potrà ripagare il debito usando la quota dell’associazione. Impossibile per il creditore rifarsi sulla quota stessa (quota non può essere trasformata in liquidità). Esiste quindi una separazione tra il patrimonio dell’individuo e il fondo comune per quanto riguarda i debiti dell’individuo. Se una società dovesse agire in nome e per conto di un’associazione/fondazione/comitato non riconosciuta, risponderebbe con il proprio patrimonio ad eventuali debiti. Comitato: Per quanto riguarda i comitati (comitati di soccorso o di beneficenza e i comitati promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili): art.40 cc “Gli organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato.” Coloro che assumono la gestione dei fondi devono assicurarsi che il denaro raccolto venga utilizzato solo per scopi affini al comitato, e rispondono con il loro patrimonio ad eventuali debiti. Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute: Art.36 c.c. “L'ordinamento interno e l'amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati…” Un’associazione riconosciuta o non riconosciuta necessita di un’organizzazione iniziale. Questo si finalizza con la creazione di un contratto associativo (statuto/atto costitutivo), che non necessariamente dev’essere scritto per essere valido (a meno che non ci siano di mezzo immobili). “…Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione.” Il comma secondo precisa che la rappresentanza legale (ovvero la possibilità di agire o essere convenuti in giudizio) degli enti di fatto può essere conferita al presidente o all'organo direttivo dei medesimi, che devono essere risultare dagli accordi tra gli associati. In mancanza di precise indicazioni nello statuto o nelle deliberazioni, le qualifiche indicate dalla legge vanno riferite alla più alta carica associativa. L’ente ha una sua articolazione interna e degli organi deputati a comunicare all’esterno la volontà dell’ente. La specializzazione interna delle funzioni (divisione del lavoro) dell’ente segue delle regole, date dagli associati o scritte nel codice. Gli organi sono delle ripartizioni interne dell’ente, che per funzionare necessitano di persone (per mezzo di una persona l’ente svolge delle azioni). Alcuni hanno una mera rilevanza solo interna, altri hanno rilevanza esterna (connettono l’ente con l’esterno). Per far funzionare l’ente (di qualsiasi tipo (associazioni non riconosciute, società…)) è necessario un potere gestorio (potere di prendere decisioni internamente) ed un potere rappresentativo (potere di esternare la volontà interna dell’ente). Possibile che un solo organo abbia entrambi i poteri. il primo potere individua un potere che ha a che fare con la gestione interna dell’ente nelle sue connotazioni direttive, organizzative, amministrative e contabili. La rappresentanza riguarda invece l’attività esterna, prerogativa riconosciuta al presidente che, attraverso la spendita del nome, vincola l’ente con i terzi. Nelle società di capitali, l’assemblea composta dai soci nomina un organo esecutivo (amministratori) che ha il potere gestorio e rappresentativo (assemblea delega gli amministratori). Il potere esercitato da quest’organo è un potere derivato dalla volontà dei soci. All’interno di quest’organo se ne distinguono altri due (presidente e amministratore delegato). Come spesso accade, poi, la presidenza delega il potere rappresentativo all’amministratore delegato, il quale agisce in nome e per conto della società. Nelle organizzazioni più sofisticate, è presente anche un organo di controllo, il quale ha il compito di controllare soprattutto la gestione economico-finanziaria della società, nell’interesse dei soggetti rappresentati (soci). A grandi linee, seppur in maniera meno complessa, tutti gli enti hanno struttura di questo tipo. Colui che ha potere rappresentativo lo esercita tramite un potere giuridico particolare: la spendita del nome (criterio in base al quale l'imprenditore esercita in nome proprio l'attività d'impresa). L’effetto giuridico della spendita del nome consiste nel fatto che le conseguenze di quell’attività si producono poi immediatamente nella sfera giuridica dell’ente (es. se l’organo che esercita potere rappresentativo compra per l’ente, ciò che ha comprato finisce nel patrimonio dell’ente, non nel proprio). Associazione Ente giuridico, personificato o meno, con cui le persone, fisiche o giuridiche, perseguono una finalità di tipo ideale e altruistica. Devono essere costituite con atto pubblico. Art.18 c.c.: responsabilità degli amministratori: “Gli amministratori sono responsabili verso l'ente secondo le norme del mandato. È però esente da responsabilità quello degli amministratori, il quale non abbia partecipato all'atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l'atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constare il proprio dissenso.” Il mandato è il contratto. Gli amministratori devono comportarsi nell’interesse della società. Nel caso un organo sia composto da più amministratori, tutti coloro a conoscenza dell’atto che non si sono opposti alla partecipazione dell’atto, sono da considerarsi responsabili (non è da considerarsi responsabile colui che non era a conoscenza dell’atto, o che si è opposto alla decisione poi presa). L’individuo ha il potere di iscriversi ad un’associazione? E l’associazione ha il diritto di rifiutare o cacciare l’individuo? Nel caso di una società, questa ha suddetto potere. È infatti impossibile diventare socio a meno che qualcuno venda all’individuo le quote (anche in quel caso, comunque, i soci preesistenti possono opporsi). Nel caso di un’associazione, invece, la questione risulta più delicata. L’esclusione è possibile, nel caso l’individuo non stia alle condizioni imposte. Art.24 cc: recesso ed esclusione degli associati: “La qualità di associato non è trasmissibile, salvo che la trasmissione sia consentita dall'atto costitutivo o dallo statuto…”. Gli eredi non diventano direttamente associati alla morte di un individuo precedentemente associato (qualità di socio intrasmissibile). Questo perché la scelta di associarsi presuppone una valutazione individuale. Esiste un’eccezione a questa regola, nel caso in cui lo statuto lo preveda. Nelle società, invece, le quote sono trasmissibili. “…L'associato può sempre recedere dall'associazione se non ha assunto l'obbligo di farne parte per un tempo determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell'anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima…”. A meno che non si abbia assunto l’obbligo di far parte di un’associazione per un certo tempo, l’associato può uscire liberamente dall’associazione “…L'esclusione d'un associato non può essere deliberata dall'assemblea che per gravi motivi; l'associato può ricorrere all'autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione…”. L’assemblea ha la facoltà di escludere un associato solo in presenza di gravi motivi (es. tesserato associazione vegetariani viene scoperto a mangiare carne). Ovvero, il comportamento dell’associato deve manifestare valori contrari a quelli dell’associazione. L’esclusione, se l’associato lo richiede, può essere invalidata dal giudice. “…Gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all'associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell'associazione”. La quota associativa, nel caso di esclusione o recessione, resta nel fondo comune dell’associazione. Rispondendo alla domanda iniziale: non esiste un diritto che garantisca di entrare nell’associazione, a meno che non si abbiano tutti i requisiti previsti dallo statuto (in questo caso, se l’associazione rifiuta, è possibile rivolgersi ad un giudice). Al di fuori di questo caso particolare, l’individuo non può costringere l’associazione a farlo entrare, nel caso i soci siano contrari. L’individuo, però, può creare una sua associazione, diritto garantito dalla Costituzione. Fondazioni: Ente definito come patrimonio destinato ad uno scopo. È il fondatore/i a destinare il patrimonio ad un dato scopo. La fondazione può essere creata: Tramite il testamento (es. fondazione che fornisce ogni anno delle borse di studio, intitolate alla persona morta); Tramite atto pubblico (atto di fondazione). L’atto di fondazione e l’atto di destinazione (atto con il quale segrego/destino parte del mio patrimonio) garantiscono che il patrimonio diventi impermeabile alle vicende personali. I creditori possono pertanto rifarsi solamente sul patrimonio della fondazione. Questa, perciò, risulta essere a tutti gli effetti un soggetto con personalità giuridica. Differisce dall’Associazione in quanto quest’ultima si basa sull’azione dei soci finalizzata allo scopo e prevede l’elezione democratica degli organi sociali. La Fondazione invece non ha soci e salvo casi particolari l’organo di governo non viene democraticamente eletto bensì designato nelle modalità previste dallo statuto. Inoltre, nella Fondazione non è possibile mutare le finalità di destinazione del patrimonio volute dal/i fondatore/i, salvo che sia previsto dallo Statuto o in casi particolari vi sia un provvedimento governativo. Alcune fondazioni sono state create per legge (es. fondazioni bancarie sono state volute dalla legge, e hanno nel loro patrimonio quote di capitale sociale delle banche). In questo caso, gli utili derivanti dalla fondazione (che può svolgere attività economica) non possono essere ridistribuiti. LEZIONE 6 (12/10/2022): BENI e RELAZIONI (tra due beni e tra un soggetto ed un bene): Dal punto di vista dell’impresa è fondamentale il concetto di bene (impresa produce e utilizza beni). I beni hanno una collocazione nell’impresa, non solo dal punto di vista fisico, ma anche dal punto di vista giuridico, e tramite le scritture contabili ed il bilancio si ottiene una fotografia della posizione giuridica dei beni (beni sotto forma di scorte, prodotto finito…). Attraverso questi strumenti, infatti, è possibile attribuire una qualifica al bene, ed una relazione giuridica tra bene e impresa. Necessario distinguere i beni intesi sul piano fisico da quelli intesi sul piano giuridico. Il Codice civile, all’art.810, afferma che “sono beni in senso giuridico le cose che possono formare oggetto di diritti”. Una cosa si definisce oggetto di diritti se almeno un soggetto rivela un interessa verso quella cosa, quantificabile anche economicamente. In ottica giuridica la categoria delle cose ricomprende unicamente quelle che: possono cadere in nostro potere (termine che va inteso nel più ampio significato di “signoria”); siano idonee a soddisfare qualsiasi bisogno dell’uomo (caratteristica che in ambito economico viene denominata ofelimità). Solo in presenza di tali presupposti la cosa viene considerata un bene. Non è necessario che essa sia sottoposta alla signoria di alcuno, ma è sufficiente che risulti suscettibile di esserlo. Non è neppure necessario che la cosa venga avvertita dai nostri sensi come sostanza corporea (res corporalis): essa, infatti, può essere anche un'entità che viene concepita con l'intelletto (res incorporalis). Fanno parte di tale ultima categoria in particolare i beni immateriali, come ad esempio il diritto d'autore, i diritti della personalità umana, il marchio di fabbrica. Infine, vi sono sostanze come i gas, i vapori e altre emanazioni terrestri, che rappresentano una sottocategoria delle cose corporali in quanto di natura aeriforme, e che sono pertanto ugualmente suscettibili di essere assoggettati al potere umano. I beni devono essere trattati tutti allo stesso modo, con la stessa importanza, dal punto di vista economico e giuridico? NO. Esistono beni di natura diversa, che perciò non possono essere trattati allo stesso modo. Esistono beni che non sono percepibili fisicamente (es. NFT), ma devono essere comunque regolati, in quanto oggetti di diritti. All’epoca, tuttavia, quando è stato scritto il codice nel 1942, il legislatore considerò solo beni mobili e immobili, in quanto i beni materiali erano molto più rilevanti di quelli immateriali. La distinzione tra beni mobili e immobili, inoltre, era molto importante (tassazione diversa, raffigurazione contabile diversa…). Art.812 cc: distinzione beni mobili e immobili “Sono beni immobili il suolo, le sorgenti e i corsi d'acqua, gli alberi, gli edifici e le altre costruzioni, anche se unite al suolo a scopo transitorio (es. prefabbricati…), e in genere tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato al suolo (es. container, gru vincolata al suolo…). Sono reputati immobili i mulini, i bagni (nelle zone di balneazione) e gli altri edifici galleggianti quando sono saldamente assicurati alla riva o all'alveo e sono destinati ad esserlo in modo permanente per la loro utilizzazione. Sono mobili tutti gli altri beni”. L’articolo non esige che i beni siano uniti stabilmente al suolo, ma basta che lo siano anche a scopo transitorio, come i chioschi che sorgono sul suolo pubblico con concessione amministrativa limitata nel tempo purché infissi sul terreno, gli edifici di una esposizione, ecc. I beni mobili sono, invece, identificati per esclusione. Art.814 cc: “Si considerano beni mobili le energie naturali che hanno valore economico”. Molti beni sono ancora in via di definizione (es. fondale marino, orbita geostazionaria…). Relazioni tra beni: 1) Pertinenza e vincolo pertinenziale: Art.817 cc. “Sono pertinenze le cose destinate in modo durevole a servizio o ad ornamento di un'altra cosa. La destinazione può essere effettuata dal proprietario della cosa principale o da chi ha un diritto reale sulla medesima”. Le pertinenze sono beni mobili o immobili, ma legate alla cosa principale in modo durevole tramite l’atto di destinazione (il rapporto pertinenziale non può essere né occasionale né temporaneo). La destinazione di una cosa a servizio od ornamento di un'altra viene effettuata dal titolare della cosa principale (o di altro legittimato), ed è orientata alla costituzione di un rapporto di complementarità e strumentalità tra le cose. Il parcheggio, ad esempio, è una pertinenza in quanto a servizio di un’altra cosa. Anche il pergolato è una pertinenza, fungendo in questo caso come ornamento. Art.818 cc: “Gli atti e i rapporti giuridici che hanno per oggetto la cosa principale comprendono anche le pertinenze, se non è diversamente disposto...” Se il proprietario vuole separare la pertinenza dalla cosa principale, deve esplicitarlo. Se nel contratto non è scritto diversamente, tutte le pertinenze passano al compratore assieme alle cose principali a cui sono associati. “…Le pertinenze possono formare oggetto di separati atti o rapporti giuridici…” Possibile, come detto in precedenza, separare la pertinenza dalla cosa principale, trattandole separatamente. “…La cessazione della qualità di pertinenza non è opponibile ai terzi i quali abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale.” Il vincolo di pertinenza può essere sciolto dal proprietario, ma solo prima della vendita/donazione… Ad esempio, se un individuo vende una casa (cosa principale) con garage (pertinenza) non ha più il diritto di sciogliere il vincolo di pertinenza, o rifarsi in qualche modo sulla pertinenza, in quanto questo diritto è passato al nuovo proprietario. 2) Universalità di mobili: Relazione tra beni mobili con destinazione unitaria (beni con funzione comune) e che appartengono alla stessa persona: I beni di questo tipo sono, ad esempio, i greggi (valore dipende più dall’insieme di pecore, che dalla singola pecora), collezione di opere d’arte… La destinazione unitaria non fa comunque perdere l'autonomia alle cose che formano l’universalità, le quali potranno quindi essere oggetto, separatamente l'una dall'altra, di singoli atti (es. vendita della singola pecora…). La destinazione unitaria è data dalla natura dei beni Dalla formulazione dell’art. 816 c.c. si evince che tre sono gli elementi delle Universalità di mobili: pluralità di cose mobili; destinazione unitaria: le cose che compongono l’Universalità, pur avendo ciascuna un proprio distinto valore economico, debbono assolvere una funzione comune (così i libri di una biblioteca); appartenenza al medesimo soggetto. In alcuni casi, i beni mobili che fanno parte di un’universalità possono essere beni riproduttivi (es. gregge, allevamenti di salmone, bosco di castagne…), ovvero beni che a loro volta producono ricchezza. Sono beni che provengono da altri beni (frutti dei beni). Art. 820 cc “Sono frutti naturali quelli che provengono direttamente dalla cosa, vi concorra o no l'opera dell'uomo come i prodotti agricoli, la legna, i parti degli animali, i prodotti delle miniere, cave e torbiere. Finché non avviene la separazione, i frutti formano parte della cosa. Si può tuttavia disporre di essi come di cosa mobile futura…”. Il legislatore si occupa di questa tipologia di beni (frutti) perché è necessario comprendere a chi appartengono. Secondo l’articolo, finché non avviene la separazione dalla cosa da cui provengono, i frutti appartengono a chi possiede la cosa. Essi sono da considerarsi come un insieme economico con la cosa che li produce, e quindi in linea di massima seguono le sorti giuridiche della stessa. Tuttavia, si può disporre di essi come di cosa mobile futura (possibile venderli, scambiarli… anche prima che avvenga l’effettiva separazione). L’atto (d’acquisto, ad esempio) ottiene validità, però, solo al momento della separazione (es. basilico diventa proprietà del compratore solo nel momento in cui viene staccato dalla pianta). Finché non avviene la separazione è il compratore a sopportare il rischio d’impresa (acquista un prodotto che potrebbe non venire mai ad esistere). Molte aziende acquistano questi tipi di prodotti in anticipo (es. Barilla con basilico) per proteggersi da fluttuazioni di prezzo. “…Sono frutti civili quelli che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia. Tali sono gli interessi dei capitali, i canoni enfiteutici, le rendite vitalizie e ogni altra rendita, il corrispettivo delle locazioni.” Es. interessi sui capitali, i canoni d’affitto, le rendite vitalizie e ogni altra rendita (rendita derivante al noleggio di una barca…), il prezzo delle locazioni di cose, ecc. Art.821 cc: acquisto dei frutti: “I frutti naturali appartengono al proprietario della cosa che li produce, salvo che la loro proprietà sia attribuita ad altri. In quest'ultimo caso la proprietà si acquista con la separazione...” Come già accennato, il nuovo proprietario del frutto naturale diventa tale solo nel momento in cui avviene la separazione. “…Chi fa propri i frutti deve, nei limiti del loro valore, rimborsare colui che abbia fatto spese per la produzione e il raccolto...” Questa precisazione deriva da un’antica attività, secondo la quale, dopo il raccolto, alcuni individui si recavano sul posto per prelevare ciò che rimaneva. L’articolo impone a questi di rimborsare i produttori relativamente alle spese sostenute da questi per la produzione e il raccolto. Al giorno d’oggi, attività di questo tipo sono praticamente scomparse. “…I frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto.” Mentre la separazione accade in un momento preciso, i frutti civili maturano su base temporale, dove l’unità temporale è il giorno (es. interesse di un prestito si calcola su base giornaliera). Relazioni tra soggetti e beni: A chi appartengono i beni? I beni possono appartenere a una categoria tra queste tre: Appartengono a soggetto pubblico. Questi possono essere di diverse categorie: o Beni demaniali: art.822 cc: “Appartengono allo Stato e fanno parte del demanio pubblico il lido del mare, la spiaggia, le rade e i porti; i fiumi, i torrenti, i laghi e le altre acque definite pubbliche dalle leggi in materia; le opere destinate alla difesa nazionale. Fanno parimenti parte del demanio pubblico, se appartengono allo Stato, le strade, le autostrade e le strade ferrate; gli aerodromi; gli acquedotti; gli immobili riconosciuti di interesse storico, archeologico e artistico a norma delle leggi in materia; le raccolte dei musei, delle pinacoteche, degli archivi, delle biblioteche; e infine gli altri beni che sono dalla legge assoggettati al regime proprio del demanio pubblico”. Delle due parti in cui l’articolo si divide, la prima è dedicata ai beni che non possono appartenere se non allo Stato e non possono essere oggetto se non di proprietà demaniale; la seconda, invece, è diretta ad indica quei beni che possono appartenere così allo Stato come ad altri soggetti compresi i privati, e che fanno parte del demanio solo quando sono in proprietà dello Stato. Art.823 cc “I beni che fanno parte del demanio pubblico sono inalienabili e non possono formare oggetto di diritti a favore di terzi, se non nei modi e nei limiti stabiliti dalle leggi che li riguardano…” L’inalienabilità comporta l’impossibilità di cedere o vendere determinati beni. Per vendere/donare/dismettere tali bene, è necessaria una legge apposita. Tale principio non esclude, come risulta in modo implicito dall'articolo, che sui detti beni possano essere costituiti diritti reali a favore di terzi, per mezzo di negozi di diritto pubblico, quali principalmente le concessioni amministrative. “…Spetta all'autorità amministrativa la tutela dei beni che fanno parte del demanio pubblico. Essa ha facoltà sia di procedere in via amministrativa, sia di valersi dei mezzi ordinari a difesa della proprietà e del possesso regolati dal presente codice.” Spetta all’autorità amministrativa la tutela dei beni del demanio pubblico (es. Porto di Genova è sotto la tutela dell’autorità portuale…). o Beni patrimoniali: Art.826 cc “I beni appartenenti allo Stato, alle province e ai comuni, i quali non siano della specie di quelli indicati dagli articoli precedenti, costituiscono il patrimonio dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato le foreste che a norma delle leggi in materia costituiscono il demanio forestale dello Stato, le miniere, le cave e torbiere quando la disponibilità ne è sottratta al proprietario del fondo, le cose d'interesse storico, archeologico, paletnologico, paleontologico e artistico, da chiunque e in qualunque modo ritrovate nel sottosuolo, i beni costituenti la dotazione della Presidenza della Repubblica, le caserme, gli armamenti, gli aeromobili militari e le navi da guerra. Fanno parte del patrimonio indisponibile dello Stato o, rispettivamente, delle province e dei comuni, secondo la loro appartenenza, gli edifici destinati a sede di uffici pubblici, con i loro arredi, e gli altri beni destinati a un pubblico servizio”. I beni patrimoniali sono tutti i beni appartenenti a Stato, provincie, comuni, diversi da quelli demaniali. Per patrimonio indisponibile dello Stato si intendono beni destinati direttamente a un fine pubblico. Il patrimonio disponibile, invece, è costituito dai beni che permettono all'ente a cui appartengono di conseguire un reddito (es. scuolabus). Secondo l’art.827 cc, tutti i beni immobili che non appartengono a nessuno, fanno parte del patrimonio dello stato “I beni immobili che non sono in proprietà di alcuno spettano al patrimonio dello Stato”. o Beni ecclesiastici: art.831 cc: “I beni degli enti ecclesiastici sono soggetti alle norme del presente codice, in quanto non è diversamente disposto dalle leggi speciali che li riguardano. Gli edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico, anche se appartengono a privati, non possono essere sottratti alla loro destinazione neppure per effetto di alienazione, fino a che la destinazione stessa non sia cessata in conformità delle leggi che li riguardano”. I beni sono soggetti esclusivamente alle leggi stabilite dallo Stato. Le chiese (edifici destinati all'esercizio pubblico del culto cattolico) non possono essere sottratte alla loro destinazione, ovvero all’uso del