Diritto Costituzionale PDF
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Università degli Studi di Trento
2024
Savarino Veronica
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This document is a lecture notes on Constitutional Law for a Master's degree in Law at the University of Trento. It discusses various aspects of constitutional law, including the process of juridification, fundamental rights, and comparative constitutional law.
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Diritto costituzionale Corso di Laurea Magistrale a Corso unico in Giurisprudenza - Università degli Studi di Trento 2024/2025 Savarino Veronica I PERCORSI DELLA JURIDIFICATION COSTITUZIONALE Nel nostro sistema, si conoscono due tipologie di...
Diritto costituzionale Corso di Laurea Magistrale a Corso unico in Giurisprudenza - Università degli Studi di Trento 2024/2025 Savarino Veronica I PERCORSI DELLA JURIDIFICATION COSTITUZIONALE Nel nostro sistema, si conoscono due tipologie di regole, dunque due tipologie di ordinamenti: ordinamenti giuridici statali: trattasi delle regole giuridiche, le leggi, la cui osservanza è doverosa al fine di evitare sanzioni sul piano giuridico; ordinamenti giuridici non statali: trattasi degli usi e dei costumi, le leggi non scritte della civile convivenza, il cui esempio potrebbe essere quelle delle confessioni religiose, anche denominate norme “antigone” (es. l’obiezione di coscienza crea alle volte un rapporto di conflitto tra gli artt. 19 e 21 Cost.). Gli ordinamenti giuridici non statali “emanano” regole la cui inosservanza non ha come conseguenza una sanzione sul piano giuridico, bensì sul piano sociale, basti pensare al semplice saluto non ricambiato, la cui probabile sanzione potrebbe essere quella di non essere più salutato dall’altra persona o di non essere convocato per eventuali attività di gruppo. Le regole non statali possono divenire leggi, avviene cioè un processo di giurificazione, al quale giungono tendenzialmente i principi cardini. L’analisi del percorso di jurification consta dell’analisi su due aspetti: 1. Analisi delle strutture, ossia di coloro che emanano le regole; 2. Analisi sui diritti fondamentali e il loro rapporto con le strutture, ossia come avviene in pratica il processo di formazione di una regola statale e il bilanciamento degli interessi, è il rapporto tra mezzo e scopo. Il punto di partenza del discorso che si affronterà verte sull’art. IV della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e del cittadino, emanata in Francia il 26 agosto 1789, basandosi sulla dichiarazione d’indipendenza americana, il cui articolo disciplina che “la libertà consiste nel poter fare tutto ciò che non nuoce ad altri; quindi l’esercizio dei diritti naturali di ogni persona non ha altri confini, se non quelli che agli altri membri della società assicurano il godimento dei medesimi.” Alcuni esempi pratici e attuali che spiegano la necessità di una tale dichiarazione possono essere ricondotti al periodo pandemico e ai vaccini, per un bilanciamento tra la libertà corporale e il diritto alla salute collettivo. Il senso della giuridificazione a livello costituzionale può essere spiegato con alcuni esempi: Irlanda, referendum sull’art. 41.2 concernente le donne e la vita domestica, non passato in quanto il nuovo disegno di legge era aperto a possibili interpretazioni lesive; così come il referendum 2024 sull’inclusione delle varie forme della famiglia, in quanto si avrebbe avuto il rischio di considerare lecite forme poligamiche e lesive per la parte più debole del rapporto; Francia, nel marzo del 2024 la loi constitutionelle n. 2024-200 introduce un nuovo comma nell’art. 34 Cost. francese, a detta del quale la legge determina le condizioni attraverso le quali si garantisce l’esercizio libero alla donna di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza; Italia, referendum sull’art. 579 c.p. (omicidio del consenziente), attraverso il quale si voleva introdurre l’eutanasia, anch’esso non passato per un rischio di legittimare forme di omicidio, come, ad esempio, quelle nelle sette, e allargare il campo dell’eutanasia, libero da ogni controllo. Inoltre, amplia l’art. 9 Cost. Riconoscendo la promozione altresì dell’ambiente e degli ecosistemi; otre ad inserire all’art. 33 Cost. lo sport come diritto fondamentale; Gran Bretagna, e la sentenza sul matrimonio poligamico portata avanti da un marito pakistano con moglie italiana e moglie pakistana che quest’ultima l’avrebbe raggiunto in Italia con i figli: qui è stato il marito stesso ad essere d’accordo con il giudice, in quanto, così facendo, non avrebbe gravato su di sé l’obbligo degli alimenti. Oggi ci troviamo davanti a tre sfide costituzionali: 1. La complessità e il senso della giurificazione costituzionale: basti pensare alla poligamia e al referendum irlandese sul diritto di famiglia, ove gli elettori si accorsero dell’assenza di certezza; negli ultimi anni si assiste al fenomeno di costituzionalizzazione di vari diritti: la Costituzione svizzera si trova il riferimento alle tecnologie, mentre la nostra è più sintetica, ma oggi si ha la tendenza ad inserire nuovi concetti nella Costituzione, come, ad esempio, il diritto all’aborto all’art. 34 della Costituzione francese nel marzo 2024 per motivi politici a fini protettivi in quanto in altri Stati, come Stati Uniti, Polonia e Unghieria si è regrediti nei diritti fondamentali; in Italia, invece, all’art. 9 Cost. è stato inserito il diritto all’ambiente come nuovo valore sociale, che tutela animali e natura, questa volta con l’intervento del legislatore con una modifica al disegno di legge, sintetizzando la definizione, demandando alla legge la tutela degli animali e non proteggendoli in toto in quanto esseri senzienti, processo legislativo che tiene presente il bilanciamento d’interessi, cui potrebbero essere sovrastati da un’ampia tutela (es. il settore agroalimentare, limitandone alcune attività), nascendo così già bilanciato; sempre in Italia in tempi recenti, all’art. 33 Cost. è stato inserito lo sport come valore educativo, in quanto siamo di fronte ad una stagione di costituzionalizzare ciò che in passato non era presente; 2. “I diritti fondamentali sono uova sode o cubetti di ghiaccio?”, cioè sono irreversibili una volta introdotti o potrebbero essere abrogati? Le Corti Costituzionali generalmente avevano a che fare con diritti irreversibili, non potendo più tornare indietro; tuttavia, nel 2022 la Corte Suprema dopo 50 anni compì l’overrulling della sentenza del 1973 sul diritto all’aborto, abrogandolo, al pari dell’adulterio in Italia negli anni ‘60 (solitamente, gli overrulling seguono la società e ampliano i diritti); ancora, basti pensare alla differenza nelle scuole americane per colore della pelle, ove l’eguaglianza non tutelava la dignità. Quanto alla Polonia, anch’essa ha compiuto overrulling ma vi furono problemi sul tema della composizione della Corte. Riassumendo, quei diritti che credevamo fossero uova sode, in realtà potrebbero essere cubetti di ghiaccio; 3. Nel diritto costituzionale si devono applicare definizioni: una situazione di vita deve essere sussunta in un diritto fondamentale ampio, che magari potrebbe risalire a 80 anni prima o in testi costituzionali di due secoli precedenti. Oggi abbiamo una società diversa e nuove questioni discutibili, ponendosi diverse domande per comprendere se si tratti di un diritto fondamentale, se si tratti di una libera scelta, il tipo di simbolo prospettato, religioso o culturale, nuovo od ordinamentale (es. crocifisso in ambienti pubblici), e tutt’oggi la stessa definizione di famiglia fa ancora discutere. La maggior parte delle questioni sono di carattere costituzionale. Nel diritto costituzionale non esiste ciò che è giusto e ciò che è sbagliato: a volte vi sono questioni sbagliate socialmente ma costituzionalmente legittime (es. docente di storia che nega la Shoah: qui la domanda è se rientra nella manifestazione del pensiero e se questo non contrasti col fatto che lo stia esercitando in una ambiente scolastico, quindi inglobando determinati orientamenti di pensiero ad altri soggetti). DIRITTO COSTITUZIONALE IN PROSPETTIVA COMPARATA Il diritto costituzionale è come un iceberg: la parte superiore e visibile è rappresentata dal testo costituzionale, ma per comprendere meglio l’intero sistema occorre sempre considerare ciò che vi è sotto, in quanto è proprio lì che si viene a delineare l’ordinamento statale, basti pensare a dittature con testi costituzionali che sembrano democratici, come lo Statuto Albertino, sviscerato dall’interno dalla mano fascista, e difatti tra le sue falle ricordiamo la sua flessibilità; se questi sono i fenomeni fisiologici, vi sono altresì quelli patologici: la giurisprudenza costituzionale dà significato alla Costituzione, la quale spesso non è completa dato che esprime i valori fondamentali in modo sintetico. Per comparare, dunque, occorre guardare e considerare gli ordinamenti nel loro complesso. La storia della nozione di diritto comparato è legata alla storia stessa del diritto occidentale, poiché, in altre tradizioni giuridiche, non esiste una vera e propria nozione di diritto comparato, che, dal punto di vista storico, la data di nascita può essere attribuita all’impulso di due grandi giuristi francesi, Raymond Saleilles e Edouard Lambert, i quali, durante il Congresso interazione di diritto comparato nell’anno 1900, mossero l’idea secondo la quale doveva crearsi un diritto mondiale, attraverso lo strumento dell’attività di comparazione, al fine di ricavare principi comuni attraverso l’opera di osservazione degli ordinamenti statali; per cui, si procede accettando e impadronendosi di concetti estranei a noi senza però rinunciare al metodo giuridico, valido fintantoché l’oggetto di analisi è il mondo nella sua interezza, nella sua globalità. Il diritto costituzionale comparato studia le Costituzioni anche laddove non vi è una disciplina formale, per cui comparare indica l’opera di confrontare i vari ordinamenti, tenendo conto le premesse, le conseguenze, le implicazioni, i problemi e le scelte valutative che ciò implica. La comparazione è un’operazione logica, svolta in modo esplicito, che comporta lo studio analitico degli ordinamenti e degli istituti utilizzati per l’attività, la considerazione dei dati ricavati, il loro raffronto e una sintesi dalla quale emerge una valutazione critica che contiene un giudizio comparativo; essa dunque emerge quale strumento attraverso cui agevolare la conoscenza, momento di collegamento fra storia del diritto, teorie legali e diritto positivo, in cui si inserisce il ruolo delle Corti. I criteri di classificazione presentano carattere relativo e non assoluto, in quanto variano in base al settore del diritto oggetto di ricerca e delle finalità portate avanti: la comparazione può essere spaziale (o sincronica) quando si esaminano gli ordinamenti in un dato momento storico, temporale (o diacronica) quando si esaminano gli ordinamenti nella loro successione cronologica; inoltre, può esservi una comparazione di tipo intraculturale e interculturale o transculturale; infine, vi ritroviamo altresì una comparazione concernente l’esame di due o più ordinamenti diversi (comparazione su un piano orizzontale) o, come oggi è sempre più evidente, quella su due piani diversi data l’imposizione delle regole da parte di soggetti ultrastatali (comparazione su un piano verticale). Per concludere, la comparazione può riguardare un ordinamento o gruppi di ordinamenti (macrocomparazione), la quale comporta in genere un notevole grado di genericità e approssimazione, con l’utilità di introdurre comparazioni sempre più puntuali su specifici istituti (microcomparazione). La comparazione è sempre più agevolata dall’esistenza di un dialogo fra legislatori e di cooperazione interparlamentare, anche laddove il dialogo tra Stati sia ostile sul piano delle relazioni diplomatiche (come nei casi di guerra). La grande distinzione da tenersi presente è quella fra finalità pratiche del normatore e del giudice e finalità teoriche o teorico-pratiche del ricercatore: il costituente e il legislatore ricorrono alla comparazione al fine di formulare un testo normativo operativo astratto per il futuro, mentre il giudice nella prospettiva di svolgere in modo utile il suo percorso interpretativo nell’interpretazione del diritto al caso concreto; normatore e giudice cercano nella comparazione uno strumento per creare o interpretare la norma, differentemente dal ricercatore della regola, il quale è libero di avventurarsi nella comparazione al fine di allargare il proprio ambito di indagine e comprendere meglio il fenomeno giuridico e dunque assolvere alla sua missione di conoscere, per cui la sua attività è scientifica. Il primo interrogativo da risolvere è se è tutto comparabile, problema posto specialmente negli anni ‘60 in relazione all’URRS, la quale ha diverse Costituzioni dopo la rivoluzione del 1917, sorte diversamente da altre Costituzioni occidentali, poiché trattasi di Costituzioni bilancio e non programma, cioè prendono atto del percorso che dovrebbe muoversi dall’abolizione del concetto stesso di Stato, oltre ad avere come base il partito, trattandosi di una questione preminente. Su quest ultimo punto, è opportuno spendere una parola in più: vi sono organismi della magistratura, degli embrioni delle Corti Costituzionali, ma sono le ultime consultive e le prime fortemente influenzate dall’esistenza di un partito unico, non avendo spazio per il dissenso; la Costituzione tedesca non presenta un partito unico e protegge interessi in maniera diversa, per cui la risposta dei comparasti fu quella della possibilità di comparare ma considerando l’insieme. È possibile comparare quasi tutte le forme di Stato, ma sempre tenendo conto dell’insieme e delle varie sfaccettature del sistema, anche se è più semplice compiere la microcomparazione, come, ad esempio, per l’esistenza di un istituto specifico, come il funzionamento della Repubblica, ma analizzando la Magistratura occorre guardare anche la storia. “Chi compara?” Tendenzialmente, chi svolge funzioni costituzionali: I Parlamenti (v. riforma sulle Camere alte in Europa e negli Stati Uniti; legge sulla privacy; direttive anticipate dei trattamenti, il cosiddetto testamento biologico): il presupposto della comparazione è la conoscenza di ciò che accade negli altri ordinamenti, altrimenti non sarebbe possibile compiere la comparazione (v. come avviene la riforma costituzionale in altri Stati, constatando i limiti e i ruoli dei vari organi), oggi sempre più accentuato attraverso il dialogo tra legislatori, pur in assenza di criteri coercitivi di detta attività; Le assemblee costituenti (v. seduta 11 novembre 1947 sul controllo di costituzionalità, richiamando l’idea di Marshall del caso Marbury vs. Madison), nelle quali più un membro ha conoscenza dei fatti accaduti negli altri ordinamenti, maggiore sarà la forza della sua affermazione; Le Corti Costituzionali. Se svolta con rigore diviene elemento costitutivo della interpretazione costituzionale, a differenza di quanto avviene a proposito del suo utilizzo da parte del legislatore, il quale svolge un ruolo “ricognitivo”. La comparazione ad opera dei giudici serve a rafforzare o negare una tesi, incidendo sulla ratio decidendi o rilevando negli obiter dicta, o, ancora, risolvere casi di lacune nelle leggi. “Perché si compara?” L’attività di comparazione è il più delle volte imposta dalla Costituzione, essendo questa una sintesi dei diritti fondamentali tutelati in un determinato ordinamento, basti pensare alla Costituzione sudafricana del 1996, secondo la quale, quando si interpreta il Bill of Rights, bisogna anzitutto avere un interpretazione orientata su alcuni principi, che si deve (“must”) considerare il diritto internazionale e si può (“may”) considerare quello straniero, ed il motivo del richiamo è il bisogno di riacquisire una legittimazione internazionale che sino ad allora venne meno in virtù dell’Apartheid, con conseguente negazione dei diritti fondamentali sulla base del razzismo; altri casi sono la Costituzione spagnola del 1978 che pone un criterio interpretativo all’art. 10 relativo ai diritti fondamentali di libertà che devono essere interpretati in conformità alla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo e agli accordi internazionali codificati della Spagna, stesso richiamo a detta Dichiarazione visibile nella Costituzione portoghese del 1976, entrambe responsive come quella italiana con il divieto di riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista, introdotto dalla legge Scelba (l. 645/1952), rispondendo alla XII disposizione finale della Costituzione italiana. Le Costituzioni responsive richiamate sono tali in quanto uscite da dittature e, con siffatta operazione, intendono non volere un ritorno al passato, poggiandosi così sulle Costituzioni e sul panorama internazionale. Spesso il riferimento al diritto internazionale e all’interpretazione dei propri diritti in sintonia con altri diritti transazionali è fondamentale per progredire. Inoltre, la ragione della comparazione è portata avanti dalla costituzionalista americana Vicky Jackson, secondo la quale “comparare ci aiuta a riflettere su quello che siamo noi”, aiuta cioè a metterci nei panni altrui per comprendere meglio se un diritto, che per noi può non essere fondamentale, per altri potrebbe esserlo e la sua rivendicazione è necessaria ai fini di tutela, evitando così eventuali ingerenze (v. trasfusioni di sangue; caratteri fondamentali di una Corte Costituzionale). Concludendo, la comparazione riveste una notevole importanza per una comprensione più profonda delle regole di diritto proprie di ogni ordinamento, per cui l’individuazione della medesima regola in più sistemi può permettere di scoprire se e come gli Stati possano influenzarsi vicendevolmente o servirsi di una norma presente in un altro Stato per progredire nel proprio, e viceversa. “Come si compara?” Quando si compie un’attività di comparazione, si è di fronte a istituti con funzioni e modi di accesso differenti, composizioni diverse, Costituzioni, trascorsi storici e lingue diversi tra loro, e da ciò si ricava che l’attività di comparazione può essere difficoltosa, ragion per cui la conoscenza è presupposto fondamentale per compiere tale attività, essendo in presenza di “materiali diversi”, cosicché sia possibile trovare un concetto che includa tutto quanto: ad esempio, una casa, un grattacielo, un igloo e una capanna non hanno nulla in comune, se non il concetto di abitazione. È ovvio che vi sia una certa approssimazione nei concetti (v. il modello diffuso americano e quello sudamericano: nonostante si sia affermato il medesimo modello, sul piano pratico si connotano diversità, in quanto concernono sistemi politici diversi con Costituzioni diverse), per cui l’attività verte sul guardare la funzione dell’istituto (es. il concetto abitazione) e non tanto la denominazione di esso. La comparazione applica la teoria elaborata da Costantinesco, secondo la quale si distingue all’interno di un ordinamento giuridico elementi determinanti ed elementi fungibili che possono essere applicati ad una categoria (v. rappresentanti conosciuti a livello internazionale in quanto rappresentano gli indirizzi politici di uno Stato); l’attività da compiere, come già detto, è quella di guardare alla funzione degli istituti e non alla loro nomenclatura: un esempio potrebbe essere quello del Capo di Stato comparato al Presidente, al Primo ministro, al Cancelliere, ad una collaborazione e così via, nel senso che due Presidenti in due Stati diversi possono compiere attività diverse, nonostante presentano la medesima nomenclatura, come detto; un altro esempio utile concerne il rapporto tra Stato e Religione, il cui modello francese è separatista, secondo il quale non è possibile avere simboli religiosi in luoghi pubblici, differentemente dai modelli italiano, spagnolo e tedesco, laici e di tipo collaborativo, avendo al loro interno la stesura di concordati e di intese religiose, assenti invece nel modello francese, quest ultimo più simile a quello americano, mentre Norvegia, Svezia e Gran Bretagna possiedono una Chiesa di Stato e dunque una religione di Stato (vi sono cioè organismi religiosi che svolgono anche funzioni politiche). In altri termini, l’attività di comparazione deve andare oltre, e l’elemento determinante è il grado di separazione e non il modello di laicità presente su un territorio, dando comunque rilevanza alla presunzione che le norme religiose non regolino i nostri rapporti quotidiani, che non siano dunque norme dello Stato; il modo in cui uno Stato si rapporta alla religione è invece un elemento fungibile. Sul tema, come detto, Leontin-Jean Constantinesco nel 1996 scrisse, nell’“Introduzione al diritto comparato”, nel quale testo si sostiene l’esistenza di elementi determinanti e di elementi fungibili: “gli elementi determinanti esprimono, individualmente e sopratutto congiuntamente, i sistemi di principi e di valori e le finalità teleologiche dell’ordine giuridico in questioni” (deve essere visto come un muro portante), “le particelle giuridiche occupano un posto centrale e qualificano il profilo strutturale dell’ordinamento, per cui modificarle equivarrebbe a mutare la struttura specifica dell’ordine giuridico considerato” (utilizzare le regole religiose come regole giuridiche creerebbero una modifica sui principi e sul rapporto tra Stato e Chiesa); dall’altra parte, “gli elementi fungibili hanno un’importanza secondaria, giacché si limitano a completare il profilo del relativo ordinamento senza determinarlo, per cui la loro modificazione o la loro sostituzione non mutano le strutture fondamentali e lasciano intatta la morfologia originaria e specifica dell’ordine giuridico che li contiene”. Un esempio italiano concerne due riforme recenti, la prima il d.lgs. 29 agosto 2023, n. 120 con l’introduzione del diritto allo sport all’art. 33 Cost., che non ha modificato l’assetto costituzionale (quindi elemento fungibile), mentre la seconda concerne la riforma del titolo V con legge costituzionale 3/2001, comportando la modificazione del rapporto tra competenze statali e regionali, anche qui non toccando un muro portante che potrebbe far traballare la democrazia, essendo dunque un elemento fungibile nella misura in cui non tocca l’assetto dello Stato, diversamente invece dalle riforme fasciste ad opera di Mussolini sulla maggioranza o sulla possibile introduzione di ruoli invasivi dell’esecutivo nella magistratura; la modifica al muro portante potrebbe essere al massimo legittimata da casi di emergenza. La distinzione tra elementi determinanti ed elementi fungibili deve essere netta e viene quasi automatica nella nostra attività di ponderazione dei sistemi. Accanto a questa considerazione, vi sono una serie di difficoltà da considerare nel momento comparativo, una di queste è quella linguistica: alcuni concetti linguistici vengono introdotti nei testi di legge e usati senza tener conto del significato originario (v. il concetto di privacy che in realtà viene condotto al concetto di autodeterminazione, mentre noi intendiamo sia quest ultimo concetto che quello di privacy in materia bancaria; o il concetto di devolution utilizzato per parlare della riforma del titolo V che non ha nulla a che vedere con quella avvenuta in America; o ancora il concetto di riservatezza e privacy nel caso Robert vs. Gertz sull’interruzione volontaria di gravidanza o anche con la sentenza della Corte Suprema Roe vs. Wade del 1973), per cui bisogna prestare particolare attenzione sui termini che utilizziamo. Infine, quando si compara, si devono evitare le assunzioni, no assumptions (es. concetto di laicità italiana, partendo dalla considerazione che sia di un solo tipo), per cui nulla è scontato e occorre sempre guardare il mondo che ci circonda con pensiero neutro e critico, senza pregiudizi o bias cognitivi. Il caso “Kirpan” della Corte di cassazione italiana La religione Sikh nasce in India ed è diffusa in tutto il mondo, in particolare in Gran Bretagna; essa si appresta a una serie di precetti, tra questi portare il turbante, non tagliare la barba, indossare un determinato vestiario e portare con sé il kirpan, un pugnale cerimoniale: su quest ultimo elemento si fonda il caso di specie. A Cremona, un soggetto di religione Sikh fu fermato dalla polizia per detenzione illecita di armi, il quale, dopo i primi due gradi di giudizio, giunse dinanzi alla Corte di Cassazione che produsse una sentenza molto contestata, non tanto per la conclusione (cioè che non è possibile portare in giro un’arma indipendentemente dal motivo), quanto piuttosto dal richiamo della Corte all’obbligo “di conformare i propri valori a quelli del mondo occidentale”, nei confronti dell’imputato e di tutti coloro che migrano verso il territorio italiano. Dal punto di vista comparativo, in molti hanno sollevato la questione canadese di un caso famosissimo riguardante un ragazzo a cui cadde il kirpan mentre correva per andare a scuola, nel cui caso di specie il Consiglio scolastico vietò l’ingresso dell’arma nell’edificio, nonostante i genitori del ragazzo contestavano che questo fosse un simbolo religioso: la soluzione adottata dalla Corte suprema canadese fu la cosiddetta “accommodation”, ossia un’opera di adattamento, di compromesso, che nel caso avrebbe comportato la modifica del materiale del pugnale che verrebbe poi cucito all’interno dei vestiti. L’attività di richiamo a suddetta sentenza non è comparazione! È vero che vi è una sentenza che procede in maniera diversa rispetto a quella giunta in Italia, ma non basta una sentenza per fare una comparazione, dovendo considerare invece l’intera situazione, ed invero, se si guarda oltre, vi sono una serie di sentenze canadesi sentenziando il divieto del kirpan sugli aerei, sopratutto dopo l’11 settembre, e negli ospedali. Nella sentenza sopracitata, la Corte suprema canadese, più che trattare dell’oggetto (il kirpan), parla genericamente dell’istituto dell’accommodation. Per completare il discorso, la sentenza sopracitata è giunta in un momento particolare, ovverosia la crisi dell’accommodation nel Québec, da ciò il Governo istituì una commissione presieduta da uno storico e da un sociologo, nella quale si studiarono le problematiche culturali sorte in quel periodo, tra queste la comunità ebraica ortodossa che non voleva la palestra vicino a sé perché le donne erano vestite con abiti discinti e con richiesta di oscuramento dei vetri; la bambina rifiutata dalla squadra di calcio in quanto portava con sé un simbolo religioso non ritenuto consono da quella comunità calcistica; il personale sanitario che si fermò a mangiare un panino col prosciutto dinanzi a un ospedale ebraico; e altri esempi esaminati dalla commissione. Da qui, si comprende come la comparazione deve vertere sull’intero iceberg e non solo sulla parte che sostiene la nostra tesi! A conclusione, nella sentenza 31 marzo 2017, n. 24048, la Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di porto d’armi ex art. 4.2 l. 110/1975, in quanto il motivo religioso non può giustificare la condotta, nonostante l’imputato avesse adito la Suprema Corte al fine dell’annullamento della sentenza invocando l’art. 19 Cost.; si può inoltre notare come, senza andare a constatare altri Stati (quali ad esempio il Regno Unito che autorizza a portare in pubblico armi da taglio o da punta per motivi religiosi, gli Stati Uniti che, pur in assenza di una disposizione ad hoc, la giurisprudenza nel 1993 ha emanato il “Religious Freedom Restoration Act”, il Canada, che in nome del multiculturalismo, nella sentenza citata sia giunta all’accommodation, la Convenzione ONU), nell’ordinamento italiano è sufficiente ricordare l’art. 2 Cost. che esprime la pluralità nella nostra democrazia e riconosce il ruolo delle formazioni sociali, specificatamente, nel caso di specie, rinviando all’art. 8 Cost. che protegge tutte le confessioni religiose considerate egualmente libere davanti alla legge. È evidente, infine, che, in relazione al caso di specie, la Corte di Cassazione ha operato una scelta politica, privilegiando i valori occidentali, in particolare la sicurezza e l’ordine pubblico, a discapito del pluralismo, nella sua declinazione sociale, trattandosi perciò di un accomodamento tra due esigenze fondamentali, da una parte la sicurezza pubblica, e dall’altra la libertà religiosa, con possibile convivenza laddove sia un disegno di legge a portare avanti la necessità di tutela. LA COMPARAZIONE NELLA GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE COMPARATA A livello di giustizia costituzionale, le Corti hanno l’interesse di espungere le norme contrarie ai valori costituzionali, con interesse delle parti di carattere pubblico (trattasi dell’obiettivo delle Corti costituzionali), un processo e un interesse diverso dai sistemi processuale penale e civile. Un’opera di comparazione è sempre più preminente nelle Corti, seppur inizialmente, ossia alla loro istituzione, dovettero sancire il proprio ruolo e la propria attività, basti pensare la nostra Corte Costituzionale che dal 1956 si premurò di delineare il proprio ruolo in relazione non soltanto all’annientamento dell’idea della vecchia Costituzione flessibile (lo Statuto Albertino), ma anche in relazione al suo antagonista naturale quale la Corte di Cassazione: in primo luogo, le Corti possiedono una “cassetta degli attrezzi” che si raffina col passare degli anni; in secondo luogo, esse comparano, ossia prendono una decisione che per renderla più autorevole la allineano al panorama internazionale, dandole più forza, spesso attendendo le pronunce delle Corti internazionali, specie la Corte di Strasburgo, prima di dare la propria, trattandosi questo di un esempio di dialogo. “Diplomazia del Ping pong”, è di ciò che oggi si parla, per l’esattezza già a partire dagli anni della guerra fredda, le Corti adesso cioè dialogano sui diritti fondamentali, anche quelle con rapporti ostili (es. Russia e Ucraina) in quanto si tratta di dialogare su aspetti tecnici (es. tema delle pandemie); inoltre, alle volte vi sono mutamenti sociali sui quali le Corti hanno un rapporto ambivalente, ovverosia spingono verso nuove realtà e altre volte le recepiscono (v. segregazione razziale: ancora non tutta la società era d’accordo, basti pensare ai bambini afroamericani scortati dalla polizia nazionale), e, nell’ultimo caso, qualora vi sia una divisione nell’opinione pubblica, ci si spinge oltre confine, vedendo cioè i percorsi compiuti da altri Stati. Un esempio di Ping pong: le relazioni intime e affettive tra persone dello stesso sesso e processo di dejurification Tutto ciò che rientra nelle proprie scelte non è di interesse dello Stato, e come tale quest ultimo non può invadere la sfera personale, basti pensare al contributo della stirpe italica in epoca fascista, ove quasi la filiazione era un dovere nei confronti dello Stato. La Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte di Strasburgo), nel caso Dudgeon vs. United Kingdom (1981), per la prima volta condannò il Regno Unito per la violazione dello “zoccolo duro” dei diritti della CEDU, in quanto, nel caso di specie, al soggetto leso venne perquisito dalla polizia l’appartamento (si dubita circa la legittimità dell’attività svolta), la quale vi trovò delle lettere di carattere affettivo che il soggetto leso scrisse ad un altro uomo, ritenendo questo agente di un reato; Mr. Jeffrey Dudgeon, attivista di 35 anni, si presentò di fronte alla Corte EDU, dopo aver esperito tutti i mezzi necessari nel proprio territorio, invocando l’art. 8 CEDU, diritto al rispetto della vita privata e familiare, molto spesso citato, secondo il quale “ogni persona ha diritto al rispetto della propria vita privata e familiare, del proprio domicilio e della propria corrispondenza”, articolo il più delle volte combinato con l’autodeterminazione: il reato posto in essere invade la vita privata e non vi è un interesse pubblico leso, e come tale dovrebbe essere illegittimo, trattasi di una invasione statale nella sfera privata. Il concetto di vita privata risente del progresso della società e dunque si ricostruisce nel tempo. La Corte rispose affermando che essa guarda non le singole scelte dei singoli Stati, ma se vi è stata una violazione dello “zoccolo duro”, trattandosi di un filtro più basilare rispetto alle singole Corti nazionali, perché, quando si tratta di materie eticamente sensibili o con difficoltà di accordi, si considera sempre il margine di apprezzamento degli Stati (v. concetto di famiglia), non esiste un consensus, ossia gli Stati non stanno convergendo verso una posizione; tuttavia, occorre altresì scrutare il tipo di attività che l’ordinamento sceglie di giuridicizzare nella forma più intensa, nel caso di specie, si procede attraverso il diritto penale: ciò che si è scelto di sanzionare è uno degli aspetti più intimi della vita privata, avendo qui un comportamento stigmatizzato, per cui quando è lo stesso Stato a invocare un disvalore sociale, vi è difficoltà di emancipazione da parte del privato nei propri diritti. Il soggetto leso lamentò il rischio di ricatto, di “harassment”, spesso invocato in siffatti casi, per cui ciò lo rende vulnerabile avendo a che fare con la sua esistenza, arrecandogli danni psicologici. La Corte di Strasburgo per la prima volta affermò espressamente che tale reato contrasta con il nucleo duro dei diritti: nonostante non sia vincolante, siffatta pronuncia ha una grande forza, ovverosia quella di comunicare a tutto il Consiglio di Europa la violazione della CEDU da parte di uno Stato e dunque con successiva richiesta di attivarsi per allinearsi al panorama internazionale. Il caso predetto diventò un importante pronuncia per ulteriori casi simili, e, invero, nel 1998, la Corte Costituzionale sudafricana venne addita da un’associazione nel caso The National Coalition for Gay and Lesbian; Equality vs. The Minister of Justice), il cui caso Dudgeon si insinuò nelle argomentazioni della Corte sudafricana nonostante non sia vincolante, però alla luce del cambiamento della società si lamentò anche qui la violazione della dignità della persona: la Corte costituzionale sudafricana richiamò il “psychological harm” e la pronuncia della Corte di Strasburgo, dato che è a conoscenza che la società non è totalmente d’accordo sul tema. Un altro caso simile a quello del 1998 è quello canadese nello stesso anno, Vriend vs. Alberta, comparando le funzioni della dichiarazione d’incostituzionalità del reato, sempre portando avanti il “psychological harm” lamentato da Dudgeon: il soggetto nel caso di specie fu licenziato per motivi discriminatori, lamentando gli stessi motivi di Dudgeon, ossia quello di temere di vivere nella stigmatizzazione, quale anticamera della discriminazione, per cui uno Stato consente un comportamento che, stigmatizzato, legittima la discriminazione, appiattendo così la categoria del soggetto ad una caratteristica: questo è il meccanismo utilizzando per trattare di identità, uguaglianza e altri concetti concernenti la persona (basti vedere le campagne pubblicitarie a favore dell’HIV). Le tre Corti sopracitate si richiamano a vicenda, nonostante si trovino in tre posti diversi e con tre tradizioni diverse, poiché è la stessa società a richiedere che, dato che certi comportamenti contrastano con la società di quel momento storico, occorre giungere all’epilogo della “dejurification”, facendo così uscire alcuni reati dal codice penale, basti pensare alla depenalizzazione nel codice penale italiano del reato di bestemmia (a seguito di un bilanciamento tra il sentimento religioso e la libertà di manifestazione del pensiero), l’ingiuria, oggi illeciti amministrativi, così come il processo opposto di giurificazione, come il sentimento degli animali, oggi tutelato. La Corte costituzionale sudafricana, come tutte le Corti, oltre a citare la Corte di Strasburgo e canadese, citano altresì la legislazione e giurisprudenza per comparare, perché va a maggior tutela dei diritti costituzionali (non fa politica!), indicando quindi il dato legislativo, ma alle volte, in casi simili, viene citata altresì la dottrina, tuttavia solo per obiter dictum (e non per ratio decidendi, non essendo il nostro sistema di Common law o simili), avendo questa un ruolo recessivo dipendendo da vari criteri, quali la lingua, l’influenza (es. colonie), gli studi dei giudici, gli autori universali citati (v. Kelsen Kant, seppur non in maniera espressa), lo stile delle decisioni (ogni Corte Costituzionale ha il suo stile: le sentenze della Corte Costituzionale sudafricana sono più di 60 pagine con diverse opinioni, citazioni di storia e anche di filosofia, mentre la Corte Costituzionale italiana opera in una strada intermedia, a differenza poi della Corte Costituzionale francese le cui sentenze constano di una facciata, massimo due, e una serie di richiami); inoltre, alcune Corti poi tendono a citare solo i propri autori (es. USA), chi meno (es. Francia, Italia, Belgio) e chi più (es. Canada e Sudafrica). In Italia, l’art. 118 delle disposizioni attuative al c.p.c. vieta in un solo caso l’utilizzo della dottrina, secondo il quale “la motivazione della sentenza consiste nella succinta esposizione dei fatti rilevanti della causa e delle ragioni giuridiche della decisione, anche con riferimento a precedenti conformi”; nella Costituzione, invece, si aprono una serie di problematiche: quando una Corte viene chiamata a decidere, come nella sentenza 84/2016: nel caso, la difesa dello Stato, oltre a ribadire le precedenti proprie conclusioni, ha contestato che nella specie sussistano «i presupposti per una attività istruttoria né in generale, né in particolare con riferimento a quella specificamente richiesta», poiché «in ogni caso, i nominativi indicati della citata istanza di parte sono quelli di studiosi che hanno scritto sull’argomento e i cui contributi scientifici (definiti dalla dottrina “microverità scientifiche”) possono essere facilmente acquisiti e considerati nell’ambito della consueta attività preparatoria da parte degli Uffici della Corte». Secondo la Corte, invece, nella prospettica critica alla quale aderisce il Tribunale a quo - e che detto giudice risolve, appunto nel sospetto di illegittimità costituzionale (dei primi tre commi) dell’art. 13 l. 40/2004 - si è, tra l’altro, sostenuto in varie sedi, dottrinarie e scientifiche. In tema di ricerca sugli embrioni sovrannumerari, si rimanda alle volte alla scelta politica, ma quando si richiedono particolari conoscenze (biologia, scienza, tecnologia) operano delle audizioni non formalizzate, necessitando una componente scientifica (diversa però dalla perizia che si può vedere nei processi quale mezzo di prova), e, nella sentenza sugli embrioni, si è anche contestato l’utilizzo della dottrina, poiché nel caso di specie sussistevano i presupposti per un’attività istruttoria, l’istanza di parte spinse verso il sentire gli studiosi e la dottrina, mentre l’avvocatura dello Stato vietò le audizioni, dato che queste potrebbero essere mirate, richiedendo semmai delle letture; la Corte contestò e considerò invece la dottrina e le diverse posizioni dottrinali emerse. Tornando alla comparazione della giurisprudenza, il reato in esame è stato dichiarato incostituzionale in India in epoca recente, la cui declaratoria va oltre, ossia giunge al dibattito sulla comparazione nel caso Navtej Singh Johar vs. Union of India: un’associazione indiana lamentò l’esistenza di un reato concernente i rapporti tra soggetti dello stesso sesso, e, per far ciò, vennero richiamate una serie di fonti e di sentenze straniere, il cui valore è anche qui di carattere argomentativo, i concetti di dignità come definiti dalla Corte suprema del Canada (Egan vs. Canada), ossia che ogni individuo o gruppo sente un rispetto e una valorizzazione personale, constatandovi il concetto di integrità fisica e psicologica; richiamò inoltre il concetto di privacy della CEDU e ulteriori fonti, tra queste sempre la CEDU, la Costituzione indiana adottata nel dopoguerra e dopo l’indipendenza dal Regno Unito, le sentenze della Corte suprema americana che trattano della privacy (la nostra autodeterminazione), una serie di sentenze dell’ONU e altro, valorizzando così l’esistenza di uno spazio privato nel quale la dignità si lega a un problema identitario. A fronte di siffatte argomentazioni, la Corte dissentì, perché nella sua volontà di proteggere i diritti LGBT e dichiarare incostituzionale tale norma, la High Port utilizzò in maniera vasta e illegittima la comparazione, portando alla luce una propria sentenza del 1973 con il oggetto tuttavia concerneva l’utilizzo della pena di morte, altro argomento su cui la stessa Corte suprema americana intervenne con utilizzo della comparazione, nella cui sentenza respinse l’idea che la pena di morte sia incostituzionale, anche in tal caso le parti fecero largo uso a riferimenti condotti in ambito occidentale in cui si diedero una serie di dati, secondo i quali i tassi di criminalità non diminuiscono prevedendo come pena principale quella capitale, per cui il mezzo non è proporzionato allo scopo da raggiungere; la Corte suprema indiana portò avanti la contestazione che tali studi fossero costruiti su realtà lontane da quelle americane, basti ricordare che il territorio indiano è complesso sul profilo storico, linguistico, religioso, federale, non avendo perciò studi su larga scala comparabili, e dunque non sapendo effettivamente se la pena di morte nella cultura americana possa essere efficace differentemente da altre culture. Il 6 settembre 2018 la Corte suprema indiana dichiarerà la norma incostituzionale, richiamando il Canada, la Corte sudafricana e il caso Dudgeon, a seguito dell’abrogazione della legge 1860. Lo stesso tipo di reato è stato oggetto di un dibattito in due casi simili esperiti dinanzi alla Corte suprema americana, il primo è Bowers vs. Hardwick del 1986, mentre il secondo, collegato al primo, è Lawrence vs. Texas nel 2003: nel primo caso, Bowers lamentò l’assenza del concetto di privacy (anche in questo caso di specie la polizia entrò nella camera da letto mentre Bowers consumava un rapporto sessuale con il proprio partner), la presenza di una stigmatizzazione di un comportamento privato e l’assenza di un disvalore sociale in detta condotta. La Corte suprema americana, sul caso di specie, affermò l’esistenza di un genus, cioè la privacy, constatata nella penombra del XIV emendamento, che non esiste un diritto per gli eterosessuali dato che, se ci consideriamo tutti uguali, tutti abbiamo una sfera privata nella quale lo Stato non può intromettersi, seppur tuttavia la Corte suprema americana non si trovò d’accordo. Conseguentemente e allo stesso modo, nel caso del 2003 nel Texas, venne proposta la medesima domanda, ossia cos’è un disvalore pubblico, e la Corte suprema americana, estremamente autorevole che difficilmente opera attività di comparazione, nel caso di specie attuò un passaggio non socialmente condiviso da tutti: ponderò invero che cinque anni prima la Corte EDU aveva considerato il medesimo caso e si ritenne dunque l’esistenza di un conflitto tra il caso Dadgeon e il caso Bowers, considerando così corretta l sentenza della Corte EDU, poiché vengono in gioco aspetti intimi della persona che hanno a che fare con la libertà e l’autonomia protette dal XIV emendamento, per cui nella sentenza del 2003 la Corte suprema americana ritenne errata la sua pronuncia del 1986, riconoscendo una libertà. Riassumendo quanto avvenuto nel caso texano del 2003, la Corte suprema americana ricondusse il diritto ad un genus protetto dalla Costituzione e non tutelati nella sentenza del 1986, concludendo che “Bowers era sbagliato e noi oggi facciamo overrulling”. Ciò che viene effettivamente criticata è la citazione della Corte di Strasburgo da parte della Corte suprema americana, tanto è vero che nel 2004 venne proposto un disegno di legge (“Bill”) discusso (ma non approvato) dal Congresso, secondo il quale nell’interpretare e applicare la Costituzione degli Stati Uniti, nessuna Corte può fondarsi su qualsiasi costituzione, legge, atto amministrativo, atti del Presidente, direttive policy, decisione giudiziale o qualsiasi altro tipo di fonte di qualsiasi Stato straniero od organizzazione internazionale che non siano di Common law o simili (sec. 201. Interpretazione of The Constitution), l’esatto contrario della disposizione della Corte sudafricana (per la quale tener conto il diritto internazionale è un “must”, mentre un “may” per il diritto di Stati stranieri): il disegno di legge proposto contrasta con la separazione dei poteri e il controllo di costituzionalità (e il meccanismo del “check and belance”), per cui, se fosse stato approvato, il Parlamento avrebbe imposto il contenuto delle argomentazioni delle Corti, venendo meno dunque la separazione dei poteri. Il disegno di legge americano aprì un dibattito sull’uso della comparazione, portando ad esame alcune sentenze (come la pena di morte, il caso del 1986) tra due giudici della Corte suprema americana, Scalia vs. Breyer, il primo considerato esponente conservatore con anima cattolica che dissentiva l’uso della comparazione, mentre il secondo esponente liberale che considerava quasi necessaria l’attività di comparazione in quanto “noi siamo persone con problematiche che nascono dal genere umano e dobbiamo pensare a come queste situazioni di vita si collochino nel panorama costituzionale”, per cui se vi è un’altra persona, in un altro Stato, che si trovò di fronte ad una situazione identica a quella che si sta vivendo nel proprio Stato, ci si domanda quale sia il motivo per cui non si dovrebbe citarla, così come viceversa, cioè se una situazione di vita del proprio Stato possa agevolare o aiutarne un altro Stato per progredire (basti pensare a quegli Stati che cercano di portare avanti l’idea della democrazia); Scalia, di canto suo, e argomentando il caso della pena capitale, è pienamente consapevole che non sussiste una maggioranza di Stati che ne vietino l’utilizzo, per cui teoricamente coloro che sono favorevoli alla comparazione (“voi”, come li indica Scalia nel dibattito) tendono a prendere una sentenza contraria alla pena di morte in un paese qualsiasi, evidenziando come ha operato tale Stato; trattò poi, sempre Scalia, il caso del 1986 che secondo il Presidente si richiamò solo la Corte di Strasburgo e non anche altri Stati ove probabilmente tale reato sia conforme a Costituzione; in altri termini, Scalia considera l’attività di comparazione un’attività di “cherry picking”, espressione inglese, secondo la quale si espongono solo le “ciliegie belle” (le sentenze o le fonti conformi alla propria tesi), nascondendo quelle “brutte” (che possano distruggere la propria tesi). Nella comparazione vi è un margine di discrezionalità, sempre guardando al metodo: Vicky Jackson, costituzionalista, assieme a Mark V. Tushnet, pubblicarono il manuale di diritto costituzionale americano e comparato con enorme successo, analizzando in un articolo il dibattito tra Scalia e Breyer, cercando di mettere un punto attraverso l’analisi della giurisprudenza comparata, ossia di individuare dei modelli di comparazione. Nella categoria “comparazione”, vi sono tre modelli: convergence, resistance ed engagement. Il punto di partenza di Vicky Jackson, oltre al caso Lawrence, è il caso Roper, nel quale la Corte suprema americana si occupò dell’applicazione della pena di morte nel caso di minori, altro ambito in cui si assiste ad un dialogo particolarmente intenso tra le Corti costituzionali, la pena di morte in alcuni Paesi abolita e in altri ancora presente, il quale ha come dato il concetto, presente in tutte le costituzioni nazionali e nel diritto internazionale, di “cruel and unusual punishment” (considerata questa “la legge della terra”), trattasi di concetti transnazionali, secondo cui ciò che è incompatibile con la nozione stessa di diritto viene vietato, come nel caso della tortura, portato avanti anche da Cesare Beccaria. La Corte suprema americana discusse circa l’applicazione della pena di morte, cui la legittimità fu erosa nel tempo, prima escludendone le persone con disabilità mentale, successivamente nel caso di delinquenti minorenni al momento del crimine, escludendo dunque queste categorie dall’applicabilità della pena capitale. Vicky Jackson partì proprio da quest’attività di erosione della Corte suprema americana, poiché quest’ultima fa riferimento ad altri Paesi: Christopher Simmons fu giustiziato alla pena di morte nel 1993, quando aveva solo 17 anni, e, dopo una serie di appelli rigettati sino al 2002, la Corte suprema del Missouri sospese l’esecuzione della pena di morte in quanto la Corte suprema federale doveva decidere nel caso Atkins vs. Virginia, nel quale la Corte suprema si domandava se fosse lecito applicare la pena di morte a soggetti con disabilità mentale e se questo entri nel concetto del “cruel and unusual punishment”, le cui domande ebbero esito positivo; successivamente tale concetto rientrò altresì nel caso di minori, preferendo una sentenza di ergastolo, in quanto ciò è ritenuto accettabile dalla maggioranza degli americani. La maggioranza dei giudici sollevò il dubbio sul motivo per cui la pena di morte ai minori viene considerata una punizione crudele e inusuale, anche perché trattasi di un concetto ampio: nella nostra Costituzione, gli artt. 19 e 21 hanno come unico limite il buon costume; le valvole contenute nella Costituzione e che le Corti costituzionali usano sono lasciate aperte per essere riempite nel loro contenuto: lo “standard of dissenses” indica qualcosa che è consono ad una società democratica. Il “cruel and unusual punishment” è invece descritto nell’VIII emendamento dalla Costituzione americana: Kennedy, il giudice che redisse l’opinione di maggioranza dei cinque giudici presenti nell’udienza, guardò tanto alla società americana quanto oltre confine, e, alla luce della propria società, vi ravvisò un consensus verso la considerazione della pena di morte per tali soggetti come “cruel and unusual punishment”, mentre, oltre confine, vi riscontrò una opinione “overwelming” internazionale, assoluta, anche se non tutti gli Stati stiano procedendo verso questa direzione, ma applicarla ai minori contrasta con l’attuale concezione di Stato democratico. Di questa direzione, i giudici Antonin Scalia, Sandra Day O’Connor e Clarence Thomas non sono d’accordo: il giudice Scalia nel caso di specie sta adottando il metodo di “convergenza”, accusando la Corte di star proseguendo verso una direzione, ritenendo invece di resistere, avendo gli Stati Uniti d’America delle specificità e quindi ritenne di adottare il modello della “resistenza”; Vicky Jackson, invece, ritenne di dover adottare un terzo modello, denominato “engagement”. La “convergence” si ha quando le Corti assumono una postura quasi legislativa, quando prendono forze esogene che sembrano spingere verso quella direzione e vi procedono, appoggiandosi sulle opinioni del panorama circostante; il modello di convergenza, secondo Vicky Jackson, guarda il panorama costituzionale interno come se fosse una sorta di sede in cui implementare dei concetti transnazionali e il significato a loro attributo a livello internazionale, citando il giudice federale australiano J. Kirby che adottò uno Statement, secondo il quale, quando la Costituzione è ambigua, la Corte dovrebbe andare nella direzione di interpretazione di questi diritti, come fatto nel caso Roper vs. Simmons: la maggioranza dei Paesi sta guardando l’applicazione della pena di morte in determinati casi come qualcosa di contrario all’idea stessa di democrazia, si dovrebbe dunque guardare a siffatto principio e procedere verso una determinata direzione, una determinata tendenza. Scalia criticò siffatta impostazione, perché le fonti transnazionali sono molto aggressive, e applicare il diritto straniero alla nostra Costituzione, fatta della storia di un popolo, consisterebbe in un’analisi comparativa nei diritti costituzionali inappropriata; quindi Scalia procedette verso una “resistance”, estremo opposto della convergence, secondo la quale l’ambito costituzionale straniero non va applicato anche se conosciuto, così come esplicitato nella Costituzione messicana, a detta della quale non si può utilizzare materiale di fonti straniere per interferire nelle argomentazioni delle decisioni domestiche (ottica invece presente nel disegno di legge del 2004). Vicky Jackson individuò un terzo modello, considerando la comparazione visto come una sorta di palestra, in cui le argomentazioni si ingaggiano in una palestra argomentativa, che non va nell’una o nell’altra direzione: trattasi dell’“engagement”, per il quale si osserva ciò che accade all’estero e, prima di adottare ciecamente la disposizione nel proprio paese, si argomenta il motivo per cui è possibile applicare o meno nella propria situazione nazionale, e le specificità impediscono la possibilità di applicare il diritto straniero. Per spiegare suddetto modello, Vicky Jackson, nella sua opera, prese a esempio una sentenza della Corte suprema canadese, che, per motivi storici e linguistici di contiguità con la Corte suprema americana, si richiamano spesso a vicenda: l’engagement è un modo di applicare la comparazione come una palestra, perché i giudici, guardando quanto accade altrove, è come se si ingaggiassero nella valutazione, richiedendo però una motivazione, includendo cioè nelle proprie argomentazioni il fatto di guardare oltre confine, rispondendo così ai vari problemi della comparazione, dato che il problema delle Corti costituzionali è la contiguità con la politica: la nostra Corte Costituzionale ha un norma la quale stabilisce che, quando vi è in gioco la libertà discrezionale del Parlamento, la Corte Costituzionale deve fare un passo indietro, seppur non sia semplice distinguere laddove vi è discrezionalità parlamentare con annessa l’incostituzionalità di una norma, un distinguo tuttavia quasi necessario; la Corte suprema americana, a differenza della Corte suprema canadese, non può essere adita per rispondere a domande di carattere politico, limitandosi a considerare o meno legittima una norma. Questo è un modo etico di utilizzo della comparazione perché non si prefigge un obiettivo, con l’esempio concreto R. Vs. Keegstra del 1990 [1990 3 SCR 697], nel quale la Corte suprema canadese venne addita per giudicare la legittimità di una norma del codice penale a confronto con il free speach, simile al nostro art. 21 Cost., secondo la quale fattispecie commette reato “chiunque, attraverso la parola, che non sia una conversazione privata, promuove odio verso persone identificabili”: il caso di specie concerneva un docente di una scuola di un paesino della provincia dell’Alberta che insegnò per 12 anni fino al licenziamento dovuto in quanto incriminato del reato predetto, date le sue affermazioni antisemite, attribuendo al gruppo di persone di religione ebraica la volontà di distruggere le persone di religione cristiana, che, secondo il professore, si trattava di una cattiveria intrinseca (qui la stigmatizzazione), oltre a obbligare gli studenti a ripetere i termini comunicati dal docente in sede di esame; nel caso, al di là della questione del licenziamento che è difficile da attaccare, il crimine va a colpire il pensiero, chiedendo così alla Corte suprema canadese se anche le idee e le parole che scavano nella società possano essere sotto l’ombrello della Costituzione. E cioè, rispondere alla domanda se gli Stati democratici, per proteggere la democrazia, possono arrivare in parte a comprimere diritti e libertà: da qui, una divisione di opinioni, da una parte vi sono i sostenitori secondo cui non può essere utilizzata la democrazia per promuovere l’odio, dall’altra vi sono coloro invece che considerano anche le parole aberranti e distruttive del vivere insieme devono essere tutelate perché rientra nel free speach. La Corte suprema canadese riterrà che questo reato non violi la libertà della manifestazione del pensiero, dichiarandolo costituzionalmente legittimo, e, per far ciò, ingaggia ciò che avviene negli Stati Uniti d’America che sul free speach tale ordinamento viene caratterizzato dall’eccezionalismo, con una tutela della manifestazione del pensiero molto ampia e difficile da scalfire (es. sono stati ritenuti legittimi per il free speach comportamenti quali bruciare la bandiera, pornografia di playboy, manifestazioni naziste, attività dei Ku-Klux-Klan nonostante siano un pericolo pubblico), ritenendo che tale pensiero, seppur scandaloso, verrebbe negli Stati Uniti protetto. Per questioni fondamentali, è pacifica l’attività della Corte suprema canadese di elevare ad esempio la giurisprudenza della Corte suprema americana, ma ove è vero che se le somiglianze giustificano il fatto di prendere in prestito ciò che avviene nella società americana, vi sono differenze che la fanno distanziare dagli Stati Uniti in alcuni ambiti, ragionando e dando le motivazioni di ciò, applicando quindi l’engagement. Il Canada è stato il primo Stato ad adottare leggi e accordi per il multiculturalismo, avendo sul proprio territorio un bilinguismo (inglese e francese) che comporta l’adozione di determinati istituti (qui, a differenza degli Stati Uniti), possiede una storia di immigrazione e di religioni, quindi sulla base della loro identità è stata adottata quella norma del codice penale al fine di evitare conflitti tra gruppi, per cui la Costituzione è fondata su equilibri (basti pensare alla religione cattolica e protestante sul territorio canadese). La fattispecie incriminatrice è stata adottata su una serie di studi condotti nel proprio Paese, pensando così che la norma incriminatrice potesse diminuire il tasso di criminalità; inoltre, si ha una base storica tale da consentire già in anticipo di conoscere quale sia la conseguenza di lasciare che l’odio sia esternato liberamente. Per il Canada, uguaglianza e multiculturalismo spingono verso questa direzione, fanno parte della loro identità costituzionale. Riassumendo, l’engagement consiste nella valutazione e nella riflessione dell’ordinamento di riferimento, motivando l’esito; esso non è strumentale secondo Vicky Jackson, anche se, pensando alle parole del giudice Scalia, non si può avere sempre l’adozione di un modello di convergence per le seguenti ragioni: in primo luogo si ha un testo importante e rilevante (basti pensare alle regole sul giusto processo); in secondo luogo, nelle norme costituzionali vi è una storia, alcune norme sono l’esito di compromessi (v. art. 7 Cost., l’accordo tra Stato e Chiesa cattolica), un accordo tra chi era e chi non era d’accordo su una determinata questione, che in alcuni casi non è possibile giungervi (v. accesso delle donne alla magistratura raggiunto 20 anni dopo; l’obiezione di coscienza ancora non presente in Costituzione); questione specifica (non di una libertà, ma) di un meccanismo costituzionale e istituzionale difficilmente esportabile, quindi non tutto può essere oggetto di comparazione; infine, occorre sempre rispettare le parti politiche e l’identità nazionale. Rimangono dei buoni motivi per guardare oltre confine: se i sistemi istituzionali svolgono funzioni simili, è più plausibile che le argomentazioni basate oltre confine danno forza autoritativa; in secondo luogo, comparare non vuol dire fare esattamente ciò che ha compiuto l’altro Stato, ma anzi, alle volte si procede in senso inverso e spiegando anche il perché; adottando invece un ragionamento portato avanti dal giudice Scalia del resistance model, non vi è spazio per guardare oltre, non vi è spazio per il cambiamento, dunque se vi sono questioni che non funzionano nel proprio ordinamento è difficile vedere quale sia il problema, per cui errori e strutture da cambiare potrebbero non essere mai messe in discussione. Il terzo motivo, secondo Vicky Jackson, per cui risulti opportuno comparare, concerne il motivo secondo cui le fonti giuridiche internazionali o straniere possono mettere in luce aspetti e dimensioni positive dei diritti costituzionali, quando ad esempio vi sono parole che fungono da parametri per interpretare diritti: ad esempio, la ragionevolezza della norma è criterio utilizzato dalla Corte costituzionale italiana per valutare se una norma sta raggiungendo in maniera razionale un determinato fine, dicitura che nasce dall’uguaglianza, in un processo triangolare dall’art. 3 Cost., sino a divenire a se stante, allorquando un giudice tedesco guarda la Corte costituzionale italiana e stabilisce se secondo lui se vi è ragionevolezza nel p.m.a., dà maggiore autorevolezza al suo pensiero. Il criterio di ragionevolezza è un termine tecnico e internazionale, analogo in tutti gli Stati, un intersecamento transnazionale. Collegandoci a quanto detto sulla ragionevolezza, nel diritto costituzionale comparato emergono le cosiddette “parole della grotta”, fondamento del rito costituzionale, come i concetti di Stato di diritto, democrazia, divieto di tortura, parole che ci fanno riconoscere come appartenenti alla stessa famiglia; ovviamente, vi sono parole che più delle altre si prestano alla comparazione, ad esempio, “treaty” o “war”, riferendocisi al diritto internazionale, a differenza invece del ruolo della giuria che è diverso da Stato in Stato, e in quest ultimo caso la comparazione va fatta con giudizio, sempre tenendo conto che il diritto costituzionale è un iceberg, per cui vi sono aspetti sovrapositivi da considerare e che spesso vi sono figure contingenti legate al panorama storico. “Un lessico comune, il nostro latino”: quando una Corte costituzionale guarda le situazioni di emergenza, si concentra sulla democrazia, concetto analogo in qualsiasi Stato, comprensibile a tutti, avendo cosi una vocazione transnazionale, che non può prescindere dal guardare oltreconfine, ovviamente comparando ma con giudizio. Oltre alla comparazione, un ulteriore questione da considerare è la corrispondenza tra quanto pronunciato dalle Corti costituzionali e quanto percorso dal Parlamento che spesso non legifera (es. nel caso del suicidio assistito), quindi dietro le sentenze vi è il “willingnesses” (una buona volontà); inoltre, secondo Vicky Jackson, le Corti adottano decisioni parte del processo politico, poi commentate dalla dottrina; infine, bisogna anche capire quando o quanto una sentenza di una Corte Costituzionale citata sia autorevole e quanto si sia legata a cambiamenti e a modifiche di opinioni. A conclusione, la risposta da poter dare al presidente Scalia è quella di comparare con giudizio, quindi motivando senza preclusioni ma con un obiettivo, tenendo conto che alle volte il diritto comparato stesso serve per raggiungere gli obiettivi; oggi si osserva un fenomeno ulteriore, ambiti in cui si individuano diritti fondamentali condivisi: esiste invero un nucleo di diritti tutelato a livello statale, sovranazionale ed internazionale in cui concorrono diverse voci (es. EU, CEDU, Stati), spettro corale che può essere definito come “diritto transnazionale”, arrivandoci solo se si è capaci di comparare, trattasi di concetti necessari per parlare di metodo al fine di applicare nel concreto e nella Costituzione, attraverso l’adozione della teoria di Costantinesco al fine di capire quando si è dinanzi ad una Costituzione. Ricapitolando, i tre modelli di comparazione individuati sono i seguenti: I. Convergence model: le Costituzioni nazionali sono considerati luoghi per implementare e migliorare il proprio diritto, attraverso approcci interpretativi; trattasi di un modello che può essere riscontrato nelle costituzioni post seconda guerra mondiale che esplicitamente incorporano la legge internazionale (es. Costituzione sudafricana); II. Resistance model: le Costituzioni estere sono considerate come n modello dalle quali resistere o discostarsi; qui l’opinione del giudice Scalia largamente esaminata incita ad una voluta indifferenza verso la legge estera nell’interpretazione costituzionale e che l’analisi comparata è inappropriata per l’interpretazione costituzionale; III. Engagement model: le leggi e le sentenze domestiche, straniere e internazionali vengono confrontate (non vanno seguite o copiate), per principio (modello esaminato da Vicky Jackson), inserendovi esplicitamente le motivazioni per cui ci si affianca o ci si discosta da quel modello. Le fonti internazionali sono considerate degli interlocutori, da qui il caso esemplificativo Marbury vs. Madison, dove il carattere scritto della costituzione americana, opposto a quello della Costituzione inglese, serve per giustificare la legittimità del “judicial review”. Il modello di engagement è un modello utilizzato a volte per allinearsi e altre volte per distaccarsi da precedenti stranieri. David Strauss lo descrive come “il metodo di interpretazione costituzione di Common law per capire meglio la propria costituzione”, perché i sistemi costituzionali hanno funzioni simili e problemi simili che possono sorgere come conseguenze di scelte interpretativi; la comparazione può portare a capire quali siano le funzioni differenti tra le varie fonti e quali tra esse sono più simili alle nostre; infine, la comparazione mostra una dimensione universale di alcuni aspetti di diritti umani. LA COSTITUZIONE partendo dalla Costituzione britannica Per conoscere al meglio l’idea di Costituzione, occorre considerare una categoria che si ponga al centro di istituti diversi da un punto di riferimento, svolgendo una sorta di funzione di confine (detta categoria) tra gli elementi determinanti che definiscono la “Costituzione” e quelli che escludono detta ipotesi dal campo semantico creato attraverso la categorizzazione. Attraverso lo studio della Costituzione britannica si possono cogliere gli elementi di “Costituzione” nonostante essa presenti caratteristiche diverse da quelle da noi conosciute. Due punti fermi: 1. Il Regno Unito ha una Costituzione; 2. Il Regno Unito non ha una Costituzione scritta (unitestuale), rigida (non vi è una fonte sopra a quella emanata dal legislatore, si ha la Supreme Court, non paragonabile alla Corte Costituzionale!, trattasi di un organismo posto al vertice della struttura giudiziaria, che non ha il potere di dichiarare incostituzionalità) e garantita, differentemente dall’Italia. Le metafore della Costituzione americana sono due: la prima è quella di un fiume con tante anse che si muove in un territorio, mentre la seconda è la maglia di cotta (preferibile come metafora), un indumento a forma di comoda tunica utilizzato sotto le armature, estremamente resistente ma al contempo estremamente flessibile. La Costituzione britannica può essere vista come una stratificazione di elementi, quali documenti di natura storica, come la Magna charta libertatum del 1215 (“no taxation without rappresentation”, rivendicato dalla rivoluzione americana), il Confirmatio cartarum del 1297, la Petition of rights del 1628, l’Habeas corpus act del 1679 (con le disposizioni sulle libertà fondamentali), il Bill of rights del 1689 e l’Act settlement del 1710, atti che rappresentano il punto di arrivo di battaglie storiche, con principi che vogliono essere continuamente essere affermati, semi che si piantano che fanno nascere una pianta; consuetudini (conventions of the Constitution), di carattere pseudopolitico, condotte mai messe in discussione, quali norme che disciplinano i poteri come obbligatori ma al tempo stesso con carattere di flessibilità. Le categorie politico e giuridico, che per noi hanno un confine abbastanza netto e preciso, in Gran Bretagna non è così, essendo queste conventions (false friend! Trattasi delle nostre consuetudini) un mix di comportamenti percepiti come politicamente obbligatori con una sorte di valenza giuridica, esse non sono scritte da alcuna parte ma vengono comunque rispettate. L’esempio eclatante delle conventions è rappresentato dalla sanzione reale alle leggi: quando una legge viene approvata dal Parlamento, deve concludere il suo percorso ricevendo la sanzione reale; il 1707 è una data da ricordare, rappresentando l’ultima volta in cui è stata negata la sanzione reale da parte del Re, seppur vi sono state volte in cui questo prese posizione, e invero una recente legge prevedeva che a determinate condizioni gli stranieri che chiedono asilo in Gran Bretagna dovevano essere rimandati, anche contro la loro volontà, in Ruanda, è stata criticata dal re Carlo, senza però negare la sanzione reale; esso è il medesimo meccanismo adottato dal re canadese. Dunque, esse sono regole non fissate, ma sono elementi politici. Alcune conventions sono state codificate (come norme nei rapporti tra Parlamento e Governo) come manuale di comportamento, regolamenti interni, mai messe in discussione, e, anche quando vengono codificate, la parola solitamente utilizzata è “normally”, per segnalare la presenza di una consuetudine codificata; tra gli esempi, ricordiamo nella Convenzione a detta della quale sulle materie devolute alle varie componenti quali Scozia, Galles e Irlanda del Nord, il Westminister di solito (“normally”) evita di adottare leggi configgenti (lo può fare, ma non lo fa, a meno che non voglia scientemente creare un conflitto), o anche nella Convenzione secondo la quale la House of Lords, “di solito”, evita di interferire sui disegni di leggi “manifesto Bill”, cioè i disegni di legge che consentono al Governo di mettere in atto i punti cardine del programma governativo, ma anche possiamo richiamare l’ambito della devolution; quando vi è stata l’invasione dell’Iraq, era Convenzione costituzionale che il Governo non mandasse truppe all’estero senza aver prima avuto un dibattito in Parlamento, seppur Teresa May decise diversamente, autorizzando nel 2018 interventi aerei di bombardamento in Siria, ritenendo di non dover chiamare in causa il Parlamento. Da ciò si può dedurre che le Convention possono ricevere degli scossoni, ma in linea di massima fanno parte del panorama costituzionale. I pilastri del diritto costituzionale del Regno Unito, quali principi costituzionali, sono: 1. Supremacy/sovereignty of Parliament (“la sovranità del Parlamento”): non esistendo in Gran Bretagna un organismo che possa mettere in discussione le leggi, la legge è la fonte principale, “la legge può tutto”. Dicey spiega che “la sovranità parlamentare vuol dire né più né meno che il Parlamento è titolare, nel sistema costituzionale inglese, del diritto di fare e disfare qualsiasi atto di legge; e, inoltre, che nessun soggetto o organo è legittimato dal diritto d’Inghilterra a non tenere conto della legislazione parlamentare e a disapplicarla”. Nei sistemi di costituzionalità, difatti, possono essere poste in essere due attività, ovverosia, secondo la prima, una Corte può abrogare parte di una norma perché incostituzionale, o, secondo la seconda, i giudici possono disapplicarla; il risultato è il medesimo: si ha un organo che fa venir meno la legge essendo superiore la Costituzione, strumento non operabile dal Regno Unito, nel cui vige il principio in esame; 2. Rule of law (“Stato di diritto”), termine che fa parte del “nostro latino”, ossia regole poste dai poteri osservate da tutti, a partire dai poteri stessi, intendendo dire che la legge è sovrana e alla quale tutti obbediscono. Nel tempo, vi sono stati fenomeni di erosione: in tutti gli ordinamenti, e in particolare, si può notare come il principio della sovranità parlamentare era il vessillo della Rivoluzione francese, cui la legge generale e astratta godeva di una posizione di supremazia, tanto è vero che nei primi anni di vigenza del nuovo ordinamento, il giudice era considerato “la bocca della legge” essendo quest’ultima la sostituta del Re, e che, in caso di dubbio nella sua applicazione, il giudice è tenuto a rivolgersi al Parlamento il quale compieva una interpretazione autentica, sistema che durò poco perché non fattibile, essendo l’attività giurisprudenziale in questo caso quale esegeta, ma in realtà deve essere volta all’interpretazione delle norme alla luce del caso concreto; di solito i fenomeni di erosione dei modelli simili a quello italiano si connotano laddove si violano diritti fondamentali anche da parte della fonte parlamentare, necessitando qualcuno che blocchi colui che violi il principio di uguaglianza, di manifestazione del pensiero ed altri principi che possono venire in gioco. In Gran Bretagna, i fenomeni di erosione non vanno verso questa direzione, essendo assente la Costituzione rigida e la Corte Costituzionale, per cui periodicamente si procede per mezzo di dibattiti volti a compiere modifiche nel sistema, e, alcuni di essi, con gli occhi dei giuristi continentali, sembrerebbero referendum di estrema importanza ma che in realtà non lo sono, dovendo invece constatare quelli nel profondo: per due volte invero si è dibattuto, domandando ai cittadini britannici, se procedere alla codificazione costituzionale, con l’alternativa se adottare un testo costituzionale (l’ultimo dibattito avvenne nel 2015, per l’anniversario della Magna charta) oppure un Bill of rights (questo sorto da un dibattito più recente). La domanda sorta nel dibattito è stata la seguente, ossia se “il Parlamento deve vincolare se stesso?”, in quanto dovrebbe adottare una procedura aggravata per la introduzione di una Costituzione e vincolare se stesso e i suoi successori, in quanto si andrebbe a distruggere il pilastro della supremacy of the Parliament. Anche nel caso della Brexit, il Governo (Cameron) ha indotto un referendum per la decisione, trattasi di un impegno politico del Primo ministro, per noi ciò non è auspicabile perché vietato dall’art. 75 Cost., e difatti alcune sentenze testimoniano che la Brexit sia avvenuta su un’attività non conforme. Ritornando al progetto di Costituzione, vi sono una serie di difficoltà che creerebbero ancor più complicato l’atto di creazione di una Costituzione, tra queste quesiti da risolvere, quali come procedere alla codificazione delle constitutions of convention (spesso disattese); se mantenere o meno la presenza del re, con annesso il conflitto tra monarchici e antimonarchici; la divisione dei poteri, la nomina del Capo di Stato e il ruolo dell’esecutivo (con annesso il “governo ombra”, fatto dall’opposizione, non formalizzato, nonostante vi siano studi che constatano l’esistenza di una serie di norme che presuppongono l’esistenza del governo ombra); la previsione o meno di una Corte costituzionale. Nonostante ai nostri occhi detti quesiti sembrerebbero importanti, non si tratta di fenomeno di erosione. Il vero fenomeno di erosione si ha nel rapporto tra la Costituzione britannica e il diritto dell’Unione europea, evento rivoluzionario che ha posto il Regno Unito nella condizione di porsi domande sulle proprie fonti, ed in particolare come opera il principio di sovranità del Parlamento con il diritto dell’Unione Europea, e sopratutto come fino al momento dell’uscita dall’Unione Europea si sia creata una situazione tale da dirimere ogni tipo di conflitto che sarebbe potuto essere sorto. In tutti gli ordinamenti interni vi è stato un passaggio dottrinale, anche identitario, per recepire il diritto eurounitario: laddove la Germania e l’Italia, dal caso Solange del 1974 sui controlimiti, si rileva l’assenza di appigli costituzionali e dunque la relativa costituzione e costruzione degli artt. 11 e 117 Cost., questo non è previsto per la Gran Bretagna, in essa assente sia di una Costituzione rigida e garantita che una Corte Costituzionale che possa dialogare con la Corte di giustizia dell’Unione Europea. Il problema è stato risolto con fenomeni di erosione: nel caso R. vs. Secretary of State for Transport del 1990, ad oggetto un questione di pesca, e, raccontandolo sommariamente, trattò della disputa tra Gran Bretagna e Spagna, cui quest’ultima, per evitare di aggirare le norme, alcune società spagnole decisero di porre la propria sede in Gran Bretagna per fruire delle quote pesca inglesi, rimanendo pur sempre società spagnole; di contro, la Gran Bretagna pose norme limitative circa lo stabilimento di società straniere sul proprio territorio, salvo la presenza di un numero di soci inglesi: la Spagna, invocando l’allora Comunità economica europea (C.E.E.), reagì lamentando il caso dinanzi alla Corte di giustizia. La questione verte sull’applicazione di norme che concernono provvedimenti provvisori: il diritto dell’Unione Europea lo consente, diversamente dal diritto interno. I costituzionalisti britannici richiamarono la sovranità del Parlamento e che in caso di conflitto con il diritto dell’Unione Europea prevale la norma britannica, ma la House of Lords riconobbe che se si ha intenzione di permanere all’interno dell’Unione Europea occorre restringere la propria sovranità (come posto in essere da tutti gli ordinamenti che hanno la propria sentenza Solage), con la conseguenza che la House of Lords applicò il diritto dell’Unione Europea e disapplicò la norma britannica, utilizzando un escamotage, secondo cui quello che sta prevalendo non è un diritto esterno (il regolamento europeo), ma si sta applicando una propria norma del 1972, lo European Community Act, legge attraverso la quale l’ordinamento britannico ha deciso di aderire all’Unione Europea. Essenzialmente, non si sta dando prevalenza al diritto unitario, bensì si sta attuando una legge interna del 1972 che funziona solo se si applicano le norme esterne. Il caso in questione fu richiamato per questioni di legittimità costituzionale della Brexit. Il caso prospettato mette in luce alcune contraddizioni, tra queste se il Parlamento può limitarsi da solo, dato che, se il principio di sovranità della legge consiste nel considerare tutte le leggi sullo stesso piano, opera il criterio cronologico qualora una legge successiva contrasti con una precedente, essendo assente una Costituzione o leggi con forza particolare poiché la Costituzione le nomina (come la nostra adesione all’Unione Europea); dall’altro lato, la Gran Bretagna è cosciente dell’alternativa secondo la quale si dovrebbe erodere il principio costituzionale della sovranità del Parlamento, altrimenti l’accesso all’Unione Europea perderebbe di significato, in quanto tale ordinamento sovrastatale funziona solo se tutti procedono verso l’applicazione conforme delle proprie regole, secondo le quali il diritto dell’Unione Europea, in caso di conflitto, prevarica rispetto ad una norma interna. Da qui si può ricavare che la House of Lords deve sostanzialmente applicare una sospensiva imposta dal diritto dell’Unione Europea, in contrasto con l’opinione dei costituzionalisti che richiedono in prima battuta il rispetto delle leggi britanniche, risolto appunto dal fatto che la House of Lords sta applicando una norma interna. Ciclicamente, la situazione esaminata si è ripresentata diverse volte, nonostante la parola della House of Lords (massima istanza giurisdizionale dei tempi con parola definitiva), in particolare nel caso denominato, dai mass media, dei “Martiri del sistema metrico decimale” (“metric martyrs case”, Weight and Measures Act 1985) che, dopo l’emanazione della direttiva 80/181/EEC concernente i pesi e le misure, volta all’armonizzazione, per la quale si richiedeva che le unità di misura britanniche (il “sistema imperiale”) vengano accompagnate dalle unità di misura in kg e g e che questi ultimi siano preminenti (dal 1994), spingendo così un gruppo di persone (maggiormente fruttivendoli), denominati appunto dalla stampa “martiri del sistema metrico decimale”, a ribellarsi in quanto il sistema di misurazione imperiale fa parte dell’identità britannica, del Britishness. Trattasi più di una questione simbolica. La prima opinione data dalla posizione britannica è quella di chi lamenta che non importa se si tratti di un obbligo dell’Unione europea e che potrebbe esservi una sanzione, non essendo quel sistema metrico inerente alla propria identità, per cui si è dichiarato che “se il Governo vuole rendere illegittimo vendere un pound di banane, allora vogliamo che ce lo dica una legge del Parlamento britannico. Il nostro Parlamento non dovrebbe essere visto meramente come uno che timbra le direttive che arrivano da un corpo di persone non elette, di burocrati a Bruxelles. Questo caso va contro alla nostra Nazione, perché il sistema imperiale è parte della nostra cultura, è parte della nostra storia, è parte della nostra identità culturale, è parte di quello che siamo, è parte della nostra Britishness, e quindi tentare di renderlo illegittimo è sbagliato”, venendo in gioco la questione politica e giuridica, in quanto si dovrebbero mettere in dubbio anche i due principi britannici; dall’altra parte, Eleanor Sharpston (Pubblic Prosecutor del caso), nel processo del 1973, affermò che sostanzialmente la Gran Bretagna si è unita alla Comunità europea, e, facendovi parte, occorre che questa osservi le regole, condannando i martiri che però continueranno ad esporre in pound e non in kg la propria merce. Il giudice John Laws, nel caso Thoburn vs. Sunderland City Council del 2002 [EWHC 195 Admin], tacciato dai critici per essere favorevole ai fenomeni di erosione dei principi classici costituzionali britannici, per la prima volta dirà che nel sistema britannico vi sono norme che possono essere definite “costituzionali”, istituto che noi intendiamo come leggi approvate con procedure particolari, che per essere modificate si richiedono maggioranze qualificate che consentono di porsi al medesimo livello della Costituzione, ovviamente, si ricorda, assente in Gran Bretagna; il giudice Laws non sta dicendo “costituzionali” nel nostro senso, bensì che vi sono leggi che nella sostanza sono costituzionali perché attengono ai pezzi del DNA della Costituzione, principi fondamentali che caratterizzano un territorio, però mancano gli strumenti e la forma per individuarle tali. Per Laws, sono presenti norme che, allo stato attuale, si possono ricondurre a leggi ordinarie con carattere fondamentale costituzionale: “dovremmo riconoscere che anche nel nostro ordinamento vi sono delle leggi del Parlamento che sono ordinarie e delle leggi del parlamento che sono costituzionali”, e, in assenza di una procedura che le possa distinguere, “ci sono leggi che sono costituzionali perché riguardano aspetti fondamentali del rapporto tra cittadini o Stato, oppure ampliano o diminuiscono l’ambito di quelli che noi consideriamo diritti costituzionali”; “tra questi atti costituzionali - continua il giudice - deve essere posto l’European Community Act che ha intrinsecamente natura costituzionale”, perché, con l’adesione all’Unione europea, si sono inglobati e ampliati una serie di diritti e obbligazioni (v. libertà di circolazione), “ma anzi, forse non c’è mai stata nella nostra storia una legge del Parlamento britannico che abbia avuto un impatto così grande” (v. la sicurezza dei prodotti, i livelli di fitofarmaci per l’agricoltura, la sicurezza sui giocattoli dei bambini), dipende quindi dall’impatto sui diritti fondamentali che dà natura costituzionale. Quanto alle conseguenze, qualora in Italia si violi una norma protetta dalla Costituzione, si possono avere come conseguenze la disapplicazione della norma interna e l’applicazione della norma europea o, in alternativa, l’essere citati dinanzi alla Corte costituzionale ex art. 117 Cost., avendo dunque una gerarchia delle fonti che disciplina le conseguenze, concetto non esportabile per la Gran Bretagna, nella quale, fintantoché il Regno Unito è stato parte dell’Unione Europea, la conseguenza nel dire che alcune norme hanno carattere costituzionale è quello dell’impossibilità di un “implied repeal”, per cui qualora una legge venga violata da una norma successiva, e la prima ha carattere costituzionale, non può esservi un’abrogazione tacita, non si applica cioè il criterio cronologico automaticamente, bensì è necessaria una legge che vada ad abrogare espressamente la norma considerata costituzionale. Il giudice Laws, nel caso di specie, diede un’altra spiegazione sulla prevalenza delle norme dell’Unione Europea: si può abrogare ma espressamente, perché la norma del 1972 ha carattere costituzionale, e difatti il fenomeno della Brexit è avvenuto in tale modo, attraverso cioè una disposizione parlamentare nel cui art. 1 si abroga l’European Community Act. Anche la maggioranza dell’opinione dottrinale constata invero l’esistenza di norme costituzionali, il cui carattere costituzionale risiede nel fatto dell’assenza, per queste, dell’abrogazione tacita, e non la presenza di procedure particolari come nel nostro sistema. Da qui, un dibattito molto acceso e profondo si ebbe in Gran Bretagna fintantoché questa fu membro dell’Unione Europea, dibattito di natura costituzionale, trattandosi di una ricostruzione ex post strumentale per consentire la vigenza del diritto dell’Unione Europea in Gran Bretagna, essendo presente il principio costituzionale della prevalenza delle leggi interne essendo sovrane: si ribadisce che si tratti di un fenomeno di erosione, consentendo così alla Gran Bretagna di continuare a far parte dell’Unione Europea fino alla Brexit. I costituzionalisti, a termine, ritennero che ciò che il giudice Laws sancì è che, alla fine dei conti, il principio costituzionale che consente la vigenza del diritto dell’Unione Europea in Gran Bretagna è un principio costituzionale britannico (come la legge del 1972), non trattandosi di un elemento esterno; altri considerano invece ciò come un compromesso tra la primordia del diritto dell’Unione Europea e il principio costituzionale molto rigido della supremazia della legge, come operato da Italia e Germania con la sentenza Solange, con l’unica differenza che qualora la Gran Bretagna non si riconosce più nel diritto europeo, avrà la possibilità di uscire, abrogando espressamente la legge del 1972 (come appunto fece); ancora, sulla questione si espresse il professor Craig, costituzionalista britannico, commentando e affermando che in fondo quanto detto è che esiste un impatto del diritto dell’Unione Europea su quello costituzionale britannico, ma non è l’Unione Europea a dettarlo, bensì lo stesso ordinamento britannico, alla luce del loro diritto costituzionale che mette insieme le due fonti, e quindi sono le Corti britanniche a decidere il quantum di impatto del diritto dell’Unione europea sul proprio ordine costituzionale, la cui ragione è dovuta al fatto che quanto espresso è stato pronunciato da un giudice britannico (un connazionale), venendo in gioco una sorta di costituzionalismo nazionale: la limitazione della sovranità dei principi costituzionali risiede nella sovranità parlamentare, potendo così capire come questo fenomeno fu fortemente burrascoso. Il Bill and Parliamentary covereignty - European Scrutiny Committee del 2010 intendeva (in quanto mai approvato) invece affermare il principio della sovranità parlamentare in rapporto all’Unione Europea (clause 18 in Part 3 of the Bill), secondo il quale lo status del diritto dell’Unione Europea dipende dalle basi legislative (“legislative” intese come “costituzionali”) ed è solo grazie a leggi del Parlamento che l’Unione Europea può avere effetti diretti in Gran Bretagna con tutto ciò che ne consegue. Vi è una diatriba molto profonda che riguarda lo status costituzionale del diritto britannico. A conclusione, si può dire che tutti hanno cercato strade alternative che non mettessero in discussione la sovranità parlamentare, la garanzia dei diritti fondamentali, la parte dell’identità nazionale, analoga alle nostre Costituzioni. La sentenza deve essere considerata di estrema rilevanza in quanto, ripetendo, si dispone che non vi sono delle leggi formalmente costituzionali, ma anche nel diritto britannico sono presenti leggi costituzionali nella sostanza, quelle cioè che si occupano dei rapporti tra i cittadini e lo Stato e le leggi volte ad ampliare dei diritti, quindi la legge del 1972 è costituzionale nella natura. Una legge costituzionale, negli ordinamenti come il nostro, è adottata con una forma particolare e, in caso di violazione, si chiama il caso all’attenzione della Corte Costituzionale, diversamente dal caso britannico, nel cui territorio sono assenti sia le forme particolari di adozione di una legge che la Corte Costituzionale, l’unico criterio per considerarle tali, si ripete, è l’impossibilità dell’implied repeal, quindi se una norma successiva viola il diritto dell’Unione Europea, si applica quest ultimo in virtù del diritto interno per il carattere costituzionale, e, così facendo, si è reso compatibile il diritto interno con quello eurounitario. Non tutti però sono d’accordo, le norme intrinsecamente costituzionali vincolerebbero il Parlamento del futuro, considerato sovrano al pari di quello precedente. Una serie di opinioni (riassumibili in 4 linee) hanno avuto luogo sul dibattito parlamentare sull’approvazione di detta legge, con richiamo sia del termine “costituzione” che dell’aggettivo “costituzionale” (anche quando lo Statuto Albertino è stato violato, a giudizio di alcuni, i dibattiti parlamentari del tempo affermarono esplicitamente la violazione di un principio costituzionale, senza alcuna obiezione: l’esistenza di un panorama costituzionale lo si vede proprio da questi dibattiti): secondo alcuni, si tratta di una rivoluzione (che i due pilastri traballano e quindi l’intero sistema), essendo considerata una invasione pericolosa della Comunità europea nell’ambito del Parlamento del Regno Unito, perché il Parlamento non può adottare norme che vincolino il suo successore, in quanto sono ugualmente sovrani e la fonte principale è sempre la legge, mentre per altri si tratta di una evoluzione (la roccia che viene erosa nel tempo), in quanto la supremazia delle norme della Comunità economica europea sugli Stati membri non è imposta, si è fatta invece propria nel proprio diritto costituzionale con la legge del 1972, con incorporazione del principio a livello domestico come nuovo principio costituzionale, la sovranità del Parlamento è un fatto politico con riconoscimento giudiziale (ovviamente si tratta di due categorie non considerate analoghe alle nostre), e quindi il fatto politico nel contenuto può cambiare, come in questo caso; secondo una quarta posizione, l’European Community Act deve essere ritenuto come un principio che rende il diritto britannico compatibile con i diritti previsti dal diritto europeo stesso, per cui in qualsiasi momento può essere eliminato, ma non in maniera tacita (principio di natura costituzionale). Tuttavia, nessuno mette in discussione che la questione è di diritto interno, riguarda difatti il rapporto tra le leggi britanniche, e che nessuno ha contrastato neppure l’idea della sovranità della legge, per cui nessuno ha potere di non obbedire o di non osservare una legge nel diritto britannico, essendo l’insieme dei due pilastri fondamentali (supremacy of the Parliament e rule of law); l’unica questione discussa nel dibattito è che oggi il diritto che viene applicato nel Regno Unito è sia tanto quello interno che anche quello europeo. Riassumendo: 1. in UK c’è una Costituzione, ma non è scritta (unitestuale), rigida e garantita; 2. la Costituzione è il risultato di diversi elementi stratificati nel tempo; 3. per capirla, dobbiamo togliere gli occhiali da giuristi continentali e cambiare paradigmi; 4. si comprende molto del diritto costituzionale nell’analisi del rapporto con l’UE. Caso Brexit La Brexit è stata indubbiamente analizzata dal punto di vista politico, ma, dal punto di vista tecnico, il Governo di Cameron si impegnò a pubblicare un referendum chiedendo al popolo se uscire dall’Unione Europea, cui la maggioranza risicata rispose in senso affermativo. Questa questione, ancora e sempre politica, pone anche dei problemi di natura costituzionale, ossia di chi ha il potere di gestire l’uscita dall’Unione Europea, di quali sono le regole per ottemperare lo scopo e quali sono i principi costituzionali che regolano l’uscita. Non tutti sono d’accordo sul corretto svolgimento della negoziazione. Un faro molto potente di un principio non scritto vede la necessità di interrogare il Parlamento: Gina Miller, imprenditrice, filantropa e attivista, contraria all’uscita dall’Unione Europea da parte del Regno Unito, prese comunque atto della volontà dei connazionali, ritenne di non essere d’accordo ma, per democrazia, vi dovette sorvolare, constatando invece che dovrebbero essere applicate le regole: il Governo non può decidere di abbandonare l’Unione Europea secondo i propri poteri, ovverosia secondo le prerogative reali esercitate dal Governo. Esiste invero un principio costituzionale secondo cui l’unico organismo che può togliere diritti ai cittadini è il Parlamento, altrimenti vuol dire compiere un implied repeal nei fatti della legge del 1972 e quindi andare contro una legge costituzionale nella sostanza. L’attivista propose azione contro il Governo affinché vengano applicati i principi, e, la Supreme Court (si ricorda, trattasi del vertice della struttura giudiziaria, che prese il posto della House of Lords; non è una Corte Costituzionale, ma nonostante ciò nel caso si occuperà di una questione giudiziale). La donna venne intervistata, nella cui intervista il reporter trattò della parte politica, chiedendole il motivo di portare la questione dinanzi alla Corte ove i giudici non sono eletti, quindi le chiese il motivo per cui non rispetti la volontà popolare; di contro, ella rispose ripiegandosi sul piano tecnico: i connazionali, affermò, hanno votato per la Brexit perché esausti delle ingerenze nel diritto britannico e volevano quindi che il diritto britannico venisse applicato da Corti britanniche che rispettassero leggi britanniche, ragion per cui si rivolse alla Supreme Court, e che, in ogni aspetto della nostra vita, si presta come necessario il rispetto delle regole, quindi il problema non è il “se” uscire dall’Unione Europea, bensì il “come”, indi per cui si rivolgerà alla Corte, perché, in virtù del principio della sovranità parlamentare, si sta uscendo dall’Unione Europea senza una legge che abroga espressamente l’atto di adesione, vigendo e venendo ancora applicata la legge del 1972. In Corte suprema si è contestato sia il caso Miller (con 2 sentenze, ma ne verrà esaminata una) che il caso Johnson, nell’ultimo per vietare lo scioglimento del Parlamento da parte della Regina in pendenza dell’uscita dall’Unione Europea. I motivi in fatto sono i seguenti: nel dicembre del 2015 il Parlamento ha approvato un referendum avvenuto nel 23 giugno 2016 con una maggioranza del 52% che ha votato si per l’uscita dall’Unione Europea; il Governo ha annunciato che avrebbe disposto le azioni per l’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea: il problema posto dinanzi alla Corte ha riguardato i passaggi che l’ordinamento costituzionale interno prevede in ciò che il Governo provvede di fare (lasciare l’Unione Europea), in particolare, la questione verte sulla legittimità dell’azione del Governo, cioè porre a termine un processo senza una legge e senza abrogare esplicitamente la legge del 1972. Il punto di diritto si fonda su una prerogativa della Corona, quali poteri propri della Corona inteso come esecutivo (posti in essere dalla Corona ma di fatto esercitati dall’esecutivo, tra cui le norme che riguardano la politica estera; lo stesso si può dire del King in Parliament, sostanzialmente si pala dei esercitati dal Parlamento). Diversamente dalla maggioranza dei Paesi esistenti, spiega la Corte Suprema, il Regno Unito non ha una Costituzione, nel senso di una legge fondamentale codificata in un’unica norma che prevalga su tutte le altre fonti di diritto: il panorama costituzionale britannico si è sviluppato nel tempo in modo pragmatico, per cui si ha una stratificazione di leggi, fatti, convenzioni, dottrina e giurisprudenza. Inizialmente, la sovranità nella storia apparteneva alla Corona con poche limitazioni e non molto definite nell’ambito della legge e che nel tempo sono state modificate, la sovranità parlamentare ha eroso detti poteri per cui si è sviluppato il Rule of law. L’idea costituzionale dell’inesistenza di un potere assoluto che si esercita sui cittadini, ma che interviene il filtro del Parlamento, ha origine proprio in Gran Bretagna e prende il nome di “Stato di diritto”, con annessa l’idea della divisione dei poteri. Il diritto risiede nelle leggi interne come interpretate dai giudici (sistema di Common law): i giudici non hanno libertà di interpretazione delle leggi in maniera arbitraria, anche perché la sovranità parlamentare è un principio fondamentale della Costituzione; le prerogative reali (come in materia di politica estera) sono una fonte di potere che si ha laddove non sussiste una legge che ha disciplinato gli istituti: quando il potere dell’esecutivo di interferire con libertà e diritti dei soggetti è sotto il potere parlamentare e disciplinato dalla legge, l’esecutivo non ha più potere, non opera cioè la prerogativa reale perché appunto quell’ambito è disciplinato dalla legge (considerata, si ripete, sovrana). Un principio cardine della Costituzione britannica non è presente in alcun documento, è una dato presupposto dalle sentenze della giurisprudenza e oggi scritto nei manuali di diritto costituzionale, anche se dette prerogative non consentono ad alcuno di cambiare le norme legislative a meno che non sia il Parlamento a dare detta possibilità (questa è l’affermazione e il principio cardine dello Stato di diritto). L’ambito di politica estera spetta all’esecutivo, ai ministri, e la regola generale è che spetta il potere di fare o lasciare dei trattati nel quadro legislativo, per cui si può mettere in atto tale condotta senza autorizzazione legislativa (le Corti non possono discuterne perché politica), possibile in quanto i trattati impegnano lo Stato come Stato, e quindi all’esterno e non all’interno, per cui, i trattati siano vincolanti per lo Stato e non entrano nel diritto domestico, il diritto in